Sommario: 1. L'ambito di applicazione. - 2. I principi. - 3. Il riparto delle funzioni legislative. - 4. Il riparto delle funzioni amministrative. - 5. Le modalità di esercizio delle funzioni amministrative: il ruolo centrale degli strumenti consensuali. - 6. Gli accordi. - 6.1. La struttura. - 6.2. I soggetti. - 6.3. Gli oggetti. - 6.4. Il regime giuridico. - 7. Le convenzioni con le associazioni culturali o di volontariato.
Per quanto riguarda l'ambito di applicazione dell'art. 112 si possono distinguere due profili, soggettivo e oggettivo.
Dal punto di vista soggettivo, l'art. 112 si riferisce primariamente alle pubbliche amministrazioni, ma in realtà configura anche un possibile ruolo dei privati.
Sul versante degli attori istituzionali, la disposizione in esame menziona costantemente "lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali" (cfr. commi 1, 4 e 6). E' dunque assente una considerazione espressa e specifica degli enti pubblici non territoriali, a partire da quelli operanti in regime di autonomia funzionale, come le università, gli istituti scolastici, le camere di commercio; e ciò sebbene detti enti, e soprattutto le università, possano senz'altro vantare la titolarità di beni culturali. Del resto vi sono elementi per ritenere che siffatta "esclusione" sia dovuta non tanto ad una stesura affrettata quanto ad una scelta ben precisa, se è vero che già l'art. 1, nell'introdurre la distinzione tra fruizione e valorizzazione, prevede espressamente che "lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni" siano competenti in merito ad entrambi i profili, e che invece "gli altri soggetti pubblici" siano competenti solo per il primo e non anche per il secondo. Il significato teorico e pratico di una simile opzione legislativa non è agevole da cogliere, anche perché essa prende le mosse da un dato a sua volta discutibile se non innaturale, ossia - per l'appunto - dalla distinzione tra fruizione e valorizzazione. Interpretando tali disposizioni in modo sistematico e secondo ragionevolezza, comunque, sembra potersi dire che i compiti e gli strumenti di valorizzazione debbano necessariamente essere riconosciuti anche agli enti privi di dimensione territoriale, allorché questi ultimi siano titolari di beni culturali, a maggior ragione se connessi alle attività d'istituto (si pensi alle raccolte museali e bibliotecarie delle università). Una corretta lettura delle disposizioni in parola, d'altro canto, consente di ritenere che l'omessa menzione degli enti non territoriali per quanto riguarda lo svolgimento della valorizzazione risulti coerente con gli spazi di autonomia propri di detti organismi, specialmente quando si tratta di un'autonomia costituzionalmente garantita (è nuovamente il caso delle università). Del resto, la circostanza che le politiche di valorizzazione debbano conciliarsi con il particolare status delle amministrazioni non territoriali, da un lato coinvolgendole e dall'altro rispettandone le prerogative, risulta da quelle norme del Codice che configurano possibili forme di partecipazione alle iniziative in materia, e di sottoscrizione dei relativi accordi, per le università (art. 118) e per gli istituti scolastici (art. 119, comma 2).
Sul versante degli attori privi di veste istituzionale, la disposizione in commento prevede che ai programmi di valorizzazione possano aderire sia "soggetti privati" senza ulteriori qualificazioni (comma 7), sia "associazioni culturali o di volontariato che svolgano attività di promozione e diffusione della conoscenza dei beni culturali" (comma 8). In attesa di tornare sul punto con maggior dettaglio, si può constatare fin d'ora il peculiare rilievo della prima categoria, quella dei privati "innominati", la quale risulta ampia al punto da comprendere soggetti non profit (anche al di là delle figure associative specificamente contemplate dalla seconda categoria), soggetti imprenditoriali (singole aziende, rappresentanze di settore), proprietari di beni di interesse culturale (cui del resto la norma dedica un'apposita menzione).
Dal punto di vista oggettivo, l'art. 112 ha valenza generale per quanto riguarda i beni culturali di appartenenza pubblica, tanto interni quanto esterni agli istituti e luoghi della cultura (commi 1 e 3), mentre ha una portata più circoscritta relativamente ai beni di proprietà privata, rilevanti unicamente "previo consenso dei soggetti interessati" (comma 7).
Dal complesso delle indicazioni sulla portata soggettiva e oggettiva della norma, in definitiva, risulta che essa si riferisce alle attività di valorizzazione non già in quanto concernano beni di appartenenza pubblica, bensì in quanto si svolgano ad iniziativa pubblica. Sicché l'intitolazione dell'art. 112 risulta imprecisa, laddove si basa sull'appartenenza dei beni. Invece è più corretto fare riferimento alle partizioni di cui all'art. 111, che sono fondate proprio sulla distinzione tra iniziativa pubblica e privata.
I principi in materia di valorizzazione dei beni culturali, anche con specifico riguardo alle attività ad iniziativa pubblica, sono enunciati già dall'art. 111. Tuttavia l'art. 112 detta alcune ulteriori prescrizioni in proposito.
Innanzitutto, si noti la previsione secondo cui gli enti pubblici territoriali "assicurano la valorizzazione" dei beni culturali, interni (comma 1) o esterni (comma 3) agli istituti e luoghi della cultura. Tale affermazione mira ad attribuire alle attività di valorizzazione un carattere propriamente doveroso, anziché semplicemente eventuale.
Inoltre, viene in rilievo la distinzione tra i beni - rispettivamente - interni ed esterni agli istituti e luoghi della cultura: per i primi, si dispone che la valorizzazione sia assicurata "nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal presente Codice" (comma 1); per i secondi, si stabilisce che la valorizzazione sia assicurata "compatibilmente con lo svolgimento degli scopi istituzionali cui detti beni sono destinati" (comma 3). Ciò comporta una graduazione della doverosità: la quale emerge in pieno - o in termini assoluti - per i beni presenti negli istituti e luoghi della cultura, in conformità alla vocazione strettamente culturale di tali sedi, e viceversa si configura in modo attenuato - o in termini relativi - per i beni collocati altrove, facendone salvi gli utilizzi non culturali.
3. Il riparto delle funzioni legislative
L'art. 112 mira a definire i confini della materia "valorizzazione dei beni culturali", che l'art. 117, comma 2, della Costituzione - così come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - assegna alla legislazione concorrente stato-regioni.
Ridotto all'essenziale, il problema di interpretazione si articola lungo due principali direttrici, peraltro reciprocamente connesse, trattandosi di stabilire: in primo luogo, quali attività debbano essere ricondotte al concetto di valorizzazione; in secondo luogo, il rapporto tra le potestà legislative e il regime dominicale. Mentre per il primo aspetto occorre rinviare al commento delle pertinenti disposizioni del Codice, per il secondo profilo è necessario svolgere un sommario inquadramento, che tenga conto della recente giurisprudenza costituzionale.
In merito al rapporto tra potestà legislativa e regime dominicale, infatti, la Consulta ha ritenuto che la legge costituzionale n. 3/2001 abbia recepito il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (anche) con specifico riguardo alla regola espressa da quest'ultimo all'art. 152, comma 1, secondo cui lo stato e le regioni nonché gli enti locali svolgono le attività di valorizzazione "ciascuno nel proprio ambito". Da ciò ha desunto (sent. 19 dicembre-20 gennaio 2004, n. 26) che "ciascuno dei predetti enti è competente ad espletare quelle funzioni e quei compiti riguardo ai beni culturali, di cui rispettivamente abbia la titolarità". E di conseguenza ha escluso (sempre con detta sentenza) che le norme di legge dettate dallo stato per disciplinare "la titolarità e la gestione, oltre che la tutela" dei beni culturali di proprietà statale violino l'odierno riparto delle competenze legislative.
Tornando alla disposizione in rassegna, viene segnatamente in rilievo il comma 2 dell'art. 112, secondo cui "nel rispetto dei principi richiamati al comma 1" - che a sua volta si riferisce ai "principi fondamentali fissati dal presente Codice" - il legislatore regionale risulta competente a disciplinare "la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura (...) non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa vigente".
In termini generali, questa disposizione sembra coerente alla giurisprudenza costituzionale riportata poc'anzi, nella misura in cui l'accento viene posto sulla proprietà dei beni prima e più che sulla lettera dell'art. 117 Cost.: infatti allo stato viene riconosciuta la potestà di legiferare - tanto per i principi quanto per ogni aspetto ulteriore - sulla valorizzazione dei propri beni; mentre alle regioni viene riconosciuta la potestà di legiferare - nel rispetto dei principi fondamentali posti dal legislatore statale - sulla valorizzazione dei loro beni, da un lato, e dei beni degli enti locali, dall'altro (ferma restando, a tale ultimo proposito, la possibilità per le istituzioni locali di esercitare la potestà statutaria e - soprattutto - regolamentare in tema di "organizzazione e svolgimento delle funzioni", ex art. 117, comma 6, Cost.).
Si deve notare che la disposizione in commento stempera il criterio della proprietà, e conferisce un certo rilievo al criterio della disponibilità, laddove stabilisce che la legislazione regionale si estenda ai beni di proprietà dello stato la cui disponibilità risulti trasferita "in base alla normativa vigente". Peraltro sul rilievo di tale norma incide la circostanza che l'art. 184 del Codice abroghi l'art. 150 del decreto legislativo n. 112/1998, il quale prevede(va) una commissione paritetica competente a trasferire dallo stato alle regioni o agli enti locali la gestione di "musei o altri beni culturali".
4. Il riparto delle funzioni amministrative
L'art. 112 non contiene disposizioni che concernano ex professo il riparto delle funzioni amministrative tra i vari livelli territoriali di governo. Nondimeno, è possibile rinvenire significative indicazioni anche su tale profilo. Basti ricordare alcuni incisi: quello secondo il quale "lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali assicurano la valorizzazione dei beni" (comma 1), che per la sua ampiezza legittima interventi non solo legislativi ma anche amministrativi; quello secondo il quale "ciascun soggetto pubblico è tenuto a garantire la valorizzazione dei beni di cui ha comunque la disponibilità" (comma 5), che seppur collocato in un ambito particolare - quello della disciplina degli accordi, di cui si dirà tra breve - possiede una valenza più ampia. In effetti, si registra nuovamente una consonanza con l'interpretazione accolta dalla Corte costituzionale, e qui già ricordata con specifico riguardo alla distribuzione delle potestà legislative, che riconosce ad ogni ente territoriale la competenza alle attività di valorizzazione dei beni culturali di propria rispettiva pertinenza (sempre da intendersi sia come proprietà sia come disponibilità).
5. Le modalità di esercizio delle funzioni amministrative: il ruolo centrale degli strumenti consensuali
L'art. 112, una volta definite le questioni di ordine più generale (ambito di applicazione, principi, riparto delle competenze), pone una serie di precetti sulle modalità di esercizio delle funzioni amministrative dei diversi livelli territoriali di governo. In particolare, viene configurato un sistema tutto improntato al principio di consensualità, all'impiego di metodi e strumenti negoziali e pattizi, alla figura dell'accordo, e ciò a partire dalla sfera dei rapporti tra pubbliche amministrazioni.
La "codificazione" nel diritto positivo del principio consensuale per la valorizzazione dei beni culturali, realizzata dalla disposizione in rassegna, costituisce il punto d'arrivo di una lunga evoluzione e - al contempo - un elemento di per sé innovativo.
Sotto il primo profilo, si ricordi come la materia sia caratterizzata dall'incontro delle competenze delle diverse istituzioni territoriali, e come - di conseguenza - tanto l'ordinamento di settore quanto la giurisprudenza costituzionale formatasi in materia abbiano sempre privilegiato le logiche di tipo collaborativo/cooperativo: così per le disposizioni secondo cui "le regioni concorrono all'attività di valorizzazione secondo programmi concordati con lo Stato" (art. 2, comma 2, d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805) o "la valorizzazione viene di norma attuata mediante forme di cooperazione strutturali e funzionali tra Stato, regioni ed enti locali" (art. 152, comma 1, d.lg. n. 112/1998); così per le reiterate pronunce del Giudice delle leggi in merito alla centralità del principio di leale collaborazione (a partire dalle sentenze 2 marzo 1987, n. 64 e 28 luglio 1988, n. 921).
Sotto il secondo profilo, d'altro canto, non sembra dubbio che fino ad oggi lo strumentario operativo per lo svolgimento concertato delle iniziative di valorizzazione sia rimasto piuttosto limitato. O meglio, ciò vale soprattutto per l'ordinamento settoriale dei beni culturali, in merito a cui basti rammentare come lo stesso decreto legislativo n. 112/1998 incentri la concertazione interistituzionale sulle commissioni regionali per i Beni e le Attività culturali, da un lato, e sulla redazione di "piani pluriennali e annuali": il che pone diversi problemi strettamente tecnico-giuridici, a partire dalla formazione e dal regime di tali atti di pianificazione, cui oggi si aggiunge la circostanza che l'art. 184 del Codice abroghi e sostituisca il d.lg. n. 112/1998 per quanto riguarda solo l'art. 152 (relativo al principio di cooperazione tra enti territoriali) e non anche gli artt. 154-155 (relativi alla commissione e ai piani in discorso); ma soprattutto pone altrettanti problemi di opportunità, perché la prassi sovente privilegia i raccordi funzionali (atti pattizi) a quelli strutturali (organismi misti) qual è la commissione qui considerata, e la programmazione per progetti a quella generalistica di cui sono espressione i piani di competenza della stessa commissione. Il discorso si fa invece più articolato se si va al di fuori dell'ordinamento sezionale dei beni culturali: è noto, in particolare, come le pubbliche amministrazioni stiano facendo ampio uso degli strumenti della programmazione negoziata per elaborare e realizzare iniziative nella materia in esame; d'altro canto, sono numerosi pure i casi in cui si fa ricorso ad atti convenzionali non tipizzati, a volte sottoscritti sulla base delle norme generali sull'amministrazione negoziale, altre volte attivati dando rilievo alla dimensione politico-istituzionale più che alla consistenza giuridica (nel qual caso si utilizza solitamente la denominazione di "protocolli d'intesa"). Ecco dunque spiegata l'innovatività del disposto dell'art. 112 del Codice: la norma disciplina in modo espresso e specifico la figura dell'accordo, come forma di svolgimento delle attività di valorizzazione dei beni culturali, e particolarmente come modalità di esercizio congiunto delle funzioni degli enti pubblici territoriali; dunque sembra esprimersi appieno quell'aspirazione alla concertazione che finora si era tradotta in enunciati di principio più che nella predisposizione di strumenti operativi (basti ricordare la concisione degli artt. 47 e 105 del testo unico, ora abrogati dall'art. 184 del Codice, in merito - rispettivamente - all'utilizzo della programmazione negoziata a fini di tutela e alla stipula di accordi a fini di fruizione; concisione dimostrata pure dall'art. 10, comma 1, lett. a), d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368, in tema di accordi per la gestione dei beni culturali di interesse nazionale).
Del resto ciò vale non solo per la sfera dei rapporti tra le pubbliche amministrazioni, oggetto delle considerazioni esposte finora, ma anche per l'area delle relazioni tra enti pubblici e soggetti privati, giacché a questi ultimi è consentita la partecipazione agli accordi in discorso, oltre che - con specifico riguardo alle associazioni culturali o di volontariato - la sottoscrizione di convenzioni ad hoc.
Sicché l'art. 112 mette in risalto il principio di consensualità sotto più angoli prospettici: innanzitutto, relativamente ai principi di leale collaborazione nonché di sussidiarietà verticale; inoltre, in merito al principio di sussidiarietà orizzontale; infine, per quanto riguarda il punto d'incontro tra le due sussidiarietà, consentendo che la definizione e attuazione dei progetti di valorizzazione emerga da un confronto sviluppato contemporaneamente lungo gli assi dei rapporti tra istituzioni territoriali e dei rapporti pubblico-privato.
La principale fattispecie pattizia contemplata dall'articolo in rassegna, come detto, è costituita dagli accordi tra enti pubblici territoriali, che peraltro possono vedere la partecipazione anche di soggetti privati.
6.1. La struttura
Gli accordi ruotano intorno ad alcuni elementi essenziali:
a) la dimensione regionale: il comma 4 dell'art. 112 stabilisce che gli accordi sono stipulati "su base regionale". Il legislatore dunque intende fare sì che vi sia un accordo in ogni regione, in modo tale da garantire l'unitarietà e la coerenza del quadro programmatorio. Ciò comunque non esclude la possibile stipula di ulteriori atti pattizi, variamente collegati agli accordi, in funzione integrativa o esecutiva;
b) il carattere eventuale: il comma 5 dell'art. 112 dispone che "in assenza di accordo, ciascun soggetto pubblico è tenuto a garantire la valorizzazione dei beni di cui ha comunque la disponibilità". Quindi la concertazione può anche mancare, nel qual caso ciascuna istituzione provvederà separatamente alle attività di valorizzazione di propria competenza. Peraltro rimane impregiudicato il ruolo, fin qui più teorico che pratico, delle commissioni e dei piani di cui agli artt. 154-155 del d.lg. n. 112/1998;
c) la possibile fissazione di indirizzi da parte della Conferenza unificata: secondo il comma 6 dell'art. 112 gli enti pubblici territoriali "possono definire, in sede di Conferenza unificata, indirizzi generali e procedure per uniformare, sul territorio nazionale, gli accordi". Si tratta chiaramente di un aspetto eventuale, la cui mancanza non impedisce la stipula degli accordi.
6.2. I soggetti
Come si è visto al paragrafo 2, gli accordi sono concepiti fondamentalmente come mezzo di concertazione tra le pubbliche amministrazioni, con primario riferimento a quelle territoriali. Qui preme sottolineare la distribuzione delle competenze tra i diversi organi degli enti interessati, per quanto riguarda la competenza alla conclusione degli accordi. Infatti, il comma 5 dell'art. 112 dispone che "Qualora, entro i tempi stabiliti, gli accordi (...) non siano raggiunti tra i competenti organi, la loro definizione è rimessa alla definizione congiunta del ministro (per i Beni e le Attività culturali), del presidente della regione, del presidente della provincia e dei sindaci dei comuni interessati". La norma conferma che in via ordinaria la stipula è di pertinenza degli organi amministrativi, e particolarmente dei dirigenti, e tuttavia stabilisce che in caso di mancato rispetto di una determinata tempistica la stipula divenga di pertinenza degli organi politici, avendosi lo spostamento dal basso verso l'alto - per così dire - dell'esercizio del relativo potere-dovere. Rimane il problema di individuare il termine oltre il quale opera siffatto meccanismo: in proposito verranno in rilievo gli appositi "indirizzi generali" stabiliti dalla Conferenza unificata; qualora però essi non vengano deliberati, sembra immaginabile l'adozione non già di discipline unilaterali dell'una o dell'altra istituzione pubblica, bensì di regole concordemente stabilite tra le amministrazioni interessate, semmai tramite delle intese preliminari.
Sotto un altro profilo, anch'esso trattato al paragrafo 2, viene in rilievo l'eventuale partecipazione di soggetti privati. Si formulano qui soltanto due brevi annotazioni, connesse al comma 7 dell'art. 112: in primo luogo, si noti l'ampiezza dell'apertura al privato, visto che non vi sono limiti soggettivi, potendosi trattare di figure profit o non profit, di singoli od associazioni, né limiti oggettivi, essendo ammesso il coinvolgimento a titolo di finanziatore degli interventi, di gestore delle attività, di proprietario dei beni; in secondo luogo, si rilevi come venga riconosciuta al privato la piena legittimazione a sottoscrivere agli accordi, a partecipare alla concertazione, al pari dei contraenti istituzionali.
6.3. Gli oggetti
Il comma 4 dell'art. 112 prevede le seguenti finalità degli accordi:
a) "coordinare, armonizzare ed integrare" le attività di valorizzazione dei diversi partecipanti, a partire dagli enti pubblici (menzionati specificamente nel comma 4) ma senza esclusione dei soggetti privati (considerati a loro volta dal comma 5): sicché da un lato si mira dichiaratamente a garantire il coordinamento tra le istituzioni competenti in materia, ma dall'altro si tende pure ad acquisire le risorse disponibili nella società e nel mercato (in termini di saperi specialistici e di dotazioni economiche oltre che di proprietà di beni);
b) definire "gli obiettivi e (...) i tempi e le modalità di attuazione" degli interventi concordati: la norma vuole far sì che gli accordi configurino impegni specifici ed effettivi a carico dei partecipanti, e non si traducano semplicemente in indicazioni di massima;
c) individuare "le adeguate forme di gestione, ai sensi dell'articolo 115": il riferimento sembra soprattutto al comma 7 dell'art. 115, secondo cui "previo accordo tra i titolari delle attività di valorizzazione, l'affidamento o la concessione (delle stesse, nelle forme disciplinate dal comma 3 dell'art. 115) possono essere disposti in modo congiunto ed integrato".
6.4. Il regime giuridico
La disposizione in commento non contiene indicazioni sul regime giuridico degli accordi per la valorizzazione dei beni culturali.
In estrema sintesi, si può dire che i punti di riferimento siano almeno due: da un lato, le norme generali sugli accordi tra pubbliche amministrazioni (art. 15 legge 7 agosto 1990, n. 241) nonché tra enti pubblici e soggetti privati (art. 11 l. n. 241/1990; art. 43, commi 1-2, legge 27 dicembre 1997, n. 449); dall'altro, le norme speciali sugli accordi di programma (art. 34 decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) e sulla programmazione negoziata (art. 2, commi 203 ss., legge 23 dicembre 1996, n. 662). E' noto che tra i due ambiti normativi esiste un rapporto da genere a specie, nel senso che la prima categoria di disposizioni ha ad oggetto i profili sostanziali, in relazione a cui individua un punto di incontro tra contratto e provvedimento, mentre la seconda categoria di disposizioni è rivolta agli aspetti procedimentali, soprattutto nel senso di far discendere da un certo iter l'attitudine a produrre determinati effetti (ad esempio, la variante urbanistica).
Ad oggi la gran parte delle esperienze di concertazione in materia di valorizzazione dei beni culturali sono state condotte tramite lo strumentario della programmazione negoziata. Tuttavia, ad opinione di chi scrive, gli accordi configurati dalla disposizione in commento sono riconducibili soltanto alle norme generali, per ragioni testuali e contenutistiche: manca infatti qualsiasi menzione delle discipline speciali, o delle modalità procedimentali ivi previste; si stabilisce anzi che le procedure possano essere configurate dalla Conferenza unificata.
Al di là dell'iter da seguirsi, comunque, e volgendo lo sguardo agli aspetti sostanziali, non pare dubbio che agli accordi in esame trovi applicazione la suddetta disciplina generale: a partire dal principio per cui - in via ordinaria - dall'atto scaturiscono effetti di tipo contrattual-obbligatorio ma - in caso di sopravvenienze obiettive - le amministrazioni contraenti sono abilitate a liberarsi dal vincolo pattizio (sebbene molte questioni rimangano controverse).
7. Le convenzioni con le associazioni culturali o di volontariato
La disposizione in rassegna, al comma 8, prevede che "i soggetti pubblici interessati" possano stipulare convenzioni con "associazioni culturali o di volontariato" che svolgono "attività di promozione e diffusione della conoscenza dei beni culturali". Il precedente è costituito dall'art. 105 del testo unico, abrogato dall'art. 184 del Codice, secondo cui "il ministero" può stipulare convenzioni con "associazioni di volontariato" che svolgono "attività per la salvaguardia e la diffusione della conoscenza dei beni culturali".
Come si vede, le differenze tra l'una e l'altra formulazione tendono ad ampliare il campo di applicazione della norma: sul versante pubblico, le convenzioni possono essere attivate da tutte le amministrazioni competenti per le attività di valorizzazione dei beni culturali, e non più soltanto dagli organismi ministeriali; sul versante privato, alle convenzioni possono partecipare non solo le vere e proprie "associazioni di volontariato" ma anche le semplici "associazioni culturali".
I problemi maggiori, in realtà, derivano non tanto da tali innovazioni quanto dalla genericità della norma, che né affronta le singole questioni concernenti la sua applicazione, né si coordina con la variegata disciplina di settore - statale e regionale - sui rapporti tra le pubbliche amministrazioni e le associazioni private. Ciò lascia aperta la via ad interpretazioni diverse se non opposte. Un criterio equilibrato, tuttavia, sembra quello di ritenere che il convenzionamento risulti consentito anche con gli organismi mancanti dei requisiti contemplati dalla legislazione speciale, e che però in tal caso si debba verificare attentamente la possibilità di applicare le condizioni di favore previste dalla legislazione speciale stessa.