I volti della tutela: fattispecie ed esperienze
I commissari straordinari per la gestione dei beni culturali
Sommario: 1. Efficienza ed emergenza nell'attività amministrativa. - 2. L'emergenza nel settore dei beni culturali. - 3. La figura del commissario straordinario e la natura del potere sostitutivo. - 4. I poteri dei commissari. - 5. Le misure straordinarie come sintomo di malessere dell'amministrazione. - 6. L'emergenza come risposta alla crisi dei modelli amministrativi.
The Appointment of Commissioners to the Administration
of Cultural Heritage
In 2008 and in 2009, Italian Government asked for the cooperation of the Civil
Protection's National Service in order to face and manage the emergencies
that are affecting two of the most notable Italian archeological sites: Pompeii
and Rome. Special commissioners were so appointed to the administration of
these sites. This essay offers a critical analysis of these Governmental decisions.
First of all, the study highlights that Civil Protection intervention as the
appointments of commissioners may turn out to be a defeat for ministry action,
such as proving its inefficiency. It is also uncertain the real usefulness
of these commissioners, who proved to be of not real help in other similar
emergencies. Anyway, three conditions seem to be required because this way
of facing emergencies works out well: the commissioners must have a good understanding
of the specific situations and needs and they have to act quickly; causes
of the emergencies and responsibilities for them must be established; fuctionality
of the administrative system needs to be verify so to realize whether rules
in force are suitable and tasks are divided up well.
1. Efficienza ed emergenza nell'attività amministrativa
E' facile prevedere che questo primo scorcio del Millennio sarà ricordato dagli storici come un periodo caratterizzato da crisi e da emergenze continue. Che si tratti dell'economia o dei cambiamenti climatici, della salute o delle questioni sociali, come le migrazioni o il terrorismo, sembra che la sicurezza e il benessere delle persone siano costantemente messe in pericolo. Senza aspettare il giudizio degli storici, va detto che il fenomeno è già ampiamente studiato da scienziati, economisti, sociologi e giuristi che in questi anni hanno prodotto cospicue analisi nei rispettivi campi che, però, non sembrano avere un impatto concreto e positivo né sui decisori politici né sull'opinione pubblica che appaiono, entrambi, disorientati e incapaci di azioni concrete e risolutive. La complessità del mondo moderno, lungi dall'essere risolta, viene descritta meglio dalla letteratura di fantascienza che dai saggi degli studiosi i quali non sembrano accorgersi delle enormi interferenze e interazioni dei singoli fenomeni che, al contrario, andrebbero affrontati nel loro insieme. Sono, ad esempio, evidenti le interazioni tra fenomeni economici, sociali e ambientali: lo sviluppo economico produce, contemporaneamente, fenomeni di sovrappopolazione e di spopolamento e questo genera problemi sociali (immigrazione) e ambientali (eccessivo sfruttamento delle risorse e desertificazione di territori). Molti sono, almeno, consapevoli della dimensione globale dei fenomeni ma è difficile produrre e gestire regole a scala planetaria.
Poi, ci sono i problemi di casa nostra: il nostro paese, infatti, sembra avere un modo tutto suo di concepire e amministrare il fenomeno delle emergenze.
Come altri fenomeni naturali o sociali, anche l'emergenza assume una dimensione giuridica poiché è regolata da norme ed è affidata alle cure di amministrazioni pubbliche. Molte possono essere le cause di una situazione d'emergenza: in genere, si tratta di cause non prevedibili con certezza che producono situazioni straordinarie le quali devono essere affrontate con mezzi e strumenti eccezionali.
Assistiamo, però, da alcuni anni a un fenomeno nuovo che riguarda in modo specifico le amministrazioni pubbliche. Accanto alle emergenze tradizionali, imputabili a cause esterne poco prevedibili, vanno aumentando i casi di emergenze prodotte dall'inefficienza amministrativa. Tra gli esempi più noti si possono citare lo smaltimento dei rifiuti, la gestione del traffico urbano, la realizzazione di opere pubbliche: in questi casi le situazioni di emergenza e di pericolo sono il frutto di inefficienze delle pubbliche amministrazioni alla cui cura sono attribuite, in via ordinaria, le funzioni di gestione dei rifiuti, della viabilità e del traffico o della realizzazione delle opere.
Altra peculiarità italiana è l'ampiezza delle competenze attribuite alla protezione civile che sta diventando una sorta di amministrazione parallela che, in virtù degli speciali poteri che la legge le attribuisce, si sostituisce alle amministrazioni ordinarie quando queste non sono in grado di svolgere le proprie funzioni. Un chiaro sintomo è il frequente ricorso all'ordinanza di protezione civile, prevista dalla legge 24 febbraio 1992, n. 225, come provvedimento tipico di tutte le situazioni d'emergenza (vera o presunta). Per avere un quadro della dimensione del fenomeno basti ricordare come, in meno di due anni, dal gennaio 2008 al settembre 2009, siano state emanate dal Presidente del Consiglio dei ministri più di 160 ordinane di protezione civile che riguardano situazioni disparate. Senza contare una decina di provvedimenti riguardanti il terremoto dell'Aquila (ma ci sono anche ordinanze sul terremoto in Iran), si va dagli eventi atmosferici (anche definiti eventi meteorologici e avversità atmosferiche) alle esplosioni, dalla gestione dei rifiuti a quella del traffico, dai rischi idrogeologici al risanamento delle lagune, dagli inquinamenti agli eventi vulcanici (che sembrano affliggere le isole Eolie dal 2003), dall'immigrazione irregolare ai campi nomadi fina ad arrivare alla ricerca di un aereo da turismo scomparso nei pressi dell'isola di Los Roques (Venezuela). Un capitolo a parte riguarda la gestione dei cosiddetti grandi eventi: da quando le norme sulla protezione civile hanno equiparato i grandi eventi alle emergenze si usano le ordinanze di protezione civile per organizzare eventi come le visite papali, l'anno giubilare paolino, la riunione del G8, i festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia, i mondiali di nuoto e altri ancora.
L'eccessivo uso degli strumenti giuridici d'emergenza si presta a numerose considerazioni critiche che meriterebbero maggior spazio e approfondimento: ci si limita, dunque, a due considerazioni.
In primo luogo, l'uso dei poteri straordinari è indice di un cattivo uso dei poteri ordinari da parte delle amministrazioni competenti. Quando l'inefficienza arriva al punto di creare situazioni di pericolo per i cittadini tali da giustificare un intervento sostitutivo della protezione civile si possono trarre due conclusioni: o gli amministratori sono incapaci o gli strumenti a disposizione dell'amministrazione (norme, procedure, mezzi) sono insufficienti o sbagliati. Spesso l'emergenza nasce dalla combinazione dei due fattori ma, in ogni caso, è un errore intervenire sull'emergenza senza intervenire sulle cause di essa.
La seconda considerazione riguarda l'attuale assetto dei poteri e delle competenze; se, infatti, alcune amministrazioni non sono in grado di esercitare le funzioni assegnate questo può voler dire o che è sbagliata la distribuzione delle competenze o che, evidentemente, le amministrazioni non sono tutte uguali tra loro. Comuni, regioni, uffici statali andrebbero valutati per la loro efficienza ed efficacia prevedendo incentivi e sanzioni: ma, anche in questo caso, è sbagliato intervenire sull'emergenza senza incidere sul funzionamento ordinario dell'amministrazione.
2. L'emergenza nel settore dei beni culturali
Alcune delle 160 ordinanze prima citate interessano il settore dei beni culturali. Non è la prima volta che si usano strumenti straordinari in questo settore ma, in genere, i precedenti interventi erano finalizzati al risanamento o alla liquidazione di enti culturali. Lo strumento era quello del commissario straordinario nominato al vertice di istituzioni culturali (teatri, enti lirici, istituti culturali) per un periodo transitorio con un preciso mandato, in genere, di liquidazione, di risanamento dei conti o di riassetto organizzativo.
Gli interventi del 2008 e del 2009 rappresentano una novità per diversi motivi: anzitutto perché è la prima volta che si interviene con lo strumento dell'ordinanza di protezione civile che presuppone una dichiarazione dello stato di necessità e d'urgenza da parte del Presidente del Consiglio; in secondo luogo, per la rilevanza dei siti dei siti archeologici oggetto dell'intervento, Pompei e Roma; in terzo luogo, per l'ampiezza del mandato affidato al commissario straordinario.
Tutta la vicenda prende le mosse dalla costatazione, da parte dell'opinione pubblica, dello stato di degrado in cui versa il sito archeologico di Pompei nonostante sia uno dei primo in Italia per numero di visitatori.
La stampa dava conto di una situazione di degrado, peraltro ben nota agli addetti ai lavori, giunta a un livello tale da mettere in pericolo l'esistenza stessa di uno dei siti più importanti al mondo, patrimonio dell'Umanità tutelato dall'Unesco, visitato da oltre 2 milioni e mezzo di visitatori l'anno. A cominciare dall'ingresso al sito per proseguire nella sua visita, la situazione segnalata dalla stampa appariva penosa: servizi di accoglienza inefficienti, spesso in mano a personale abusivo (parcheggiatori, guide, venditori ambulanti); segnaletica confusa o illeggibile; intonaci e affreschi scrostati o crollati; case e mura sgretolate; asportazione e furti di pietre e altri reperti; ville, case o intere aree del sito chiuse a causa di interminabili restauri (che vanno avanti dagli anni settanta dello scorso secolo) o magari appena restaurate ma comunque invisibili; reperti ammassati in capannoni semi aperti e mai catalogati.
La situazione era nota poiché allarmi del genere sono apparsi ciclicamente sulla stampa, non solo italiana, ma le amministrazioni competenti (?), statali, regionali e locali, pur avendo una precisa conoscenza del problema, e pur avendo risorse disponibili (si è parlato di 70 milioni di euro mai spesi), non sono mai state in grado di intervenire.
Il Presidente del Consiglio, su proposta del Capo del Dipartimento della protezione civile e del ministro per i Beni e le Attività culturali, ha prima dichiarato la necessità e l'urgenza e poi emanato l'ordinanza 11 luglio 2008, n. 3692 contenente "Interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare la grave situazione di pericolo in atto nell'area archeologica di Pompei". Le misure straordinarie sono necessaire, si legge nelle motivazioni del provvedimento, per far fronte alla "grave situazione di criticità che caratterizza l'area archeologica" e per "scongiurare la paralisi delle attività finalizzate alla tutela dell'ingente patrimonio storico-artistico presente sull'area archeologica di Pompei".
Più complessa, e venata di risvolti politici, è la successiva vicenda che riguarda le aree archeologiche di Roma e Ostia Antica che si è conclusa con l'ordinanza del Presidente del Consiglio 12 marzo 2009, n. 3747, con la quale il Capo del Dipartimento della protezione civile, Guido Bertolaso, è stato nominato commissario straordinario. Che le situazioni di Pompei e di Roma non siano comparabili è ben noto e questo non sfugge agli estensori dell'ordinanza i quali, per motivare la necessità e l'urgenza, non partono dalle condizioni dei siti ma dagli eventi atmosferici. Con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri era stato dichiarato lo stato di emergenza in tutto il territorio nazionale, per far fronte agli eventi atmosferici "di natura eccezionale" verificatisi nei mesi di novembre e dicembre 2008. Proprio questi eventi climatici avrebbero aggravato "dei fenomeni di avanzato dissesto nonché una rapida progressione dei rischi strutturali per l'intero patrimonio archeologico di Roma e provincia". Il "rischio imminente di crolli" che caratterizzerebbe le aree archeologiche di Roma e provincia rende "necessario ed urgente adottare misure straordinarie per la messa in sicurezza ed il consolidamento delle strutture e dei manufatti ivi localizzati" e rende necessaria "l'adozione di misure urgenti che possono essere tempestivamente assunte con l'esercizio di poteri in deroga alle vigenti normative".
Questi due esempi mettono bene in evidenza uno dei maggiori problemi dell'amministrazione dell'emergenza e cioè la determinazione del presupposto di fatto che genera l'emergenza e che rende necessaria l'adozione di misure straordinarie. Nel primo caso il presupposto nasce dal degrado del sito ed è evidente e ben documentato; anche se ha radici nell'incapacità di gestione delle amministrazioni, la situazione di endemico degrado è chiaramente riscontrabile. Nel secondo esempio, invece, la giustificazione dell'emergenza viene fatta risalire al maltempo che, guarda caso, nei mesi di novembre e dicembre metterebbe a rischio il patrimonio archeologico laziale. Sulla debolezza e, forse, pretestuosità del presupposto si potrebbe discutere ma è certo che i provvedimenti d'urgenza hanno prodotto polemiche e controversie (con minacce di ricorso alla Corte costituzionale) tra le amministrazioni centrali, regionali e locali ciascuna titolare di una parte delle competenze. La decisione sulla dichiarazione dello stato d'emergenza spetta al presidente del consiglio ed è, evidentemente, ampiamente discrezionale la valutazione dei suoi presupposti: alcune volte il presupposto è drammaticamente evidente, altre volte lo è molto meno ma non essendoci criteri e parametri oggettivi è difficile determinare la legittimità e l'opportunità della dichiarazione e delle successive ordinanze.
3. La figura del commissario straordinario e la natura del potere sostitutivo
Il commissario straordinario è una figura di carattere speciale, destinata a dispiegare la propria funzione al manifestarsi di un'esigenza eccezionale imprevista ed imprevedibile. L'istituto trova spazio in numerose disposizioni vigenti ma la norma generale cui fare riferimento è costituita dall'art. 5, comma 4, della legge 225/1992 secondo il quale il presidente del consiglio, ovvero, per sua delega, il ministro dell'Interno, per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione dello stato d'emergenza può avvalersi di commissari delegati. Il relativo provvedimento di delega deve indicare il contenuto della delega nonché i tempi e le modalità del suo esercizio. Questo procedimento prende l'avvio quando, al verificarsi degli eventi calamitosi il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi.
A ciò consegue l'assunzione della gestione dell'emergenza da parte del Presidente del Consiglio, o del ministro dell'Interno da lui delegato che possono entrambi avvalersi di commissari delegati che, in virtù della delega, potranno adottare ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente, ma nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico.
Tale procedura viene ormai utilizzata attraverso una lente che ingrandisce la nozione di protezione civile fino a comprendere l'esercizio di funzioni pubbliche, la gestione dei servizi pubblici o dei grandi eventi. Questa pratica costituisce un uso distorto dello strumento commissariale poiché vi si fa ricorso non solo per reali esigenze ma anche per affrontare situazioni di pericolo derivanti da un cattivo esercizio dei poteri amministrativi. In pratica, la gestione commissariale prevista dalla legge sulla protezione civile, da strumento eccezionale, tende a stabilizzarsi e a diventare, pur nella sua sostanziale inadeguatezza, motivo di ulteriori proroghe dello stato di emergenza; e la compenetrazione del regime straordinario nel tessuto amministrativo ordinario è dimostrato dal fatto che, mentre all'origine di questa tendenza i commissari di nomina governativa erano scelti tra le fila dell'amministrazione statale (nelle prefetture), oggi commissari nominati sono quasi sempre esponenti dell'amministrazione locale (presidenti di regioni e province, sindaci ecc.). Tale prassi non fa che disincentivare il corretto adempimento dei compiti istituzionali che prevede, tra gli altri, interventi di pianificazione e quindi di prevenzione delle emergenze. Non va sottovalutato il fatto che la gestione commissariale, stabilizzandosi, tende a spogliare le amministrazioni locali delle loro funzioni determinando, alla lunga, un'alterazione del sistema costituzionale di allocazione delle competenze.
La figura del commissario si inserisce, dunque, nel generale potere di sostituzione che i principi generale e le norme prevedono proprio come strumento di salvaguardia dell'ordinamento quando, per diverse ragioni, i soggetti ordinariamente competenti non sono in grado di assicurare il corretto svolgimento delle funzioni pubbliche.
Quella di sostituzione è una nozione generale che si applica nei rapporti tra organi o tra amministrazioni. Può essere collegata alla funzione di controllo e, in tal caso, designa lo svolgimento, da parte di un'autorità amministrativa, di poteri che sarebbero propri di un'altra autorità, al verificarsi di un evento che legittima la prima a svolgere funzioni o compiti della seconda. Non sempre, però, la sostituzione presuppone un controllo in senso tecnico anche se in tutti i casi presuppone un giudizio sull'adeguatezza del soggetto, titolare della funzione in via ordinaria, a svolgerla in determinate condizioni. Questa è, ad esempio, la logica della normativa sulla protezione civile in cui al verificarsi di eventi che superino, non solo le attribuzioni o le competenze, ma anche le capacità di rispondere all'evento intervengono in via sostitutiva i soggetti indicati dalla normativa stessa. In questa ipotesi casi, infatti, non è molto chiaro il confine tra l'intervento in via sussidiaria, in base al noto principio costituzionalizzato nel 2001, e quello in via sostitutiva. La sussidiarietà, che si accompagna ai principi di differenziazione e adeguatezza, riguarda il conferimento di funzioni in via ordinaria, quindi, il giudizio sull'adeguatezza è riferito alla capacità di svolgimento di un compito in condizioni di normalità. Nel caso della protezione civile, al contrario, il giudizio sull'adeguatezza è limitato al singolo evento e il potere decisionale viene attribuito al soggetto subentrante (ad esempio, il presidente del consiglio, il prefetto, il commissario straordinario). Il potere di sostituzione deve, poi, essere temporalmente limitato alla soluzione del singolo caso non essendo pensabile uno spostamento di attribuzioni, e di poteri, al di fuori di un'ipotesi normativa.
La connessione tra emergenza e sostituzione si genera, anzitutto, perché la prima produce, nei fatti, un pericolo che, a sua volta, rende necessario un intervento immediato. Tuttavia l'emergenza, di per sé, non crea l'esigenza di una sostituzione che si rende necessaria solo quando il soggetto competente non sia in grado di curare tempestivamente l'interesse ad esso ordinariamente affidato. Rispetto all'emergenza, quindi, la sostituzione, trova il suo fondamento nella tutela degli interessi coinvolti e messi in pericolo dalla situazione di fatto e non in un rapporto gerarchico tra sostituto e sostituito. Né si potrebbe sostenere che il sostituto sia portatore di interessi diversi e meritevoli di maggior tutela poiché, in realtà, gli interessi da tutelare sono gli stessi (quelli direttamente coinvolti dall'evento).
La sostituzione risponde, in questi casi, più ad una logica di sostanziale tutela degli interessi che ad una logica di rispetto formale dei rapporti tra soggetti pubblici: non c'è un intento sanzionatorio dell'inerzia (o, comunque, tale intento non è immediatamente rilevante) ma, piuttosto, collaborazione nel raggiungimento della comune finalità. Se nell'emergenza diventano più strette le interdipendenze tra i soggetti coinvolti, allora ogni titolare di un potere è tenuto, per il perseguimento del risultato, ad operare non solo nel rispetto della norma che ne regolamenta l'attività, ma anche nell'ottica di soddisfare le esigenze degli altri soggetti implicati, per una maggiore efficienza complessiva.
Di per sé, dunque, la sostituzione rappresenta un'utile tecnica amministrativa finalizzata al raggiungimento di un obiettivo ritenuto meritevole di tutela, sia in tempi ordinari sia in casi d'emergenza; va, però, considerato come un aspetto per certi versi patologico del sistema il crescente ricorso alla sostituzione dovuto, da una parte, alle trasformazioni sociali e all'aumento dei rischi e delle emergenze e, dall'altra, ad una incapacità delle amministrazioni di far fronte ai normali compiti ad esse affidati.
Qualche riflessione merita anche il problema della scelta del commissario; è evidente che si tratti di una scelta discrezionale del presidente del consiglio ma ciò non toglie che almeno due requisiti dovrebbero essere sempre richiesti: capacità e competenza. Nei due casi di Pompei e Roma, si nota proprio la difficoltà della scelta della persona: nel ruolo di commissari si sono nel giro di pochi mesi avvicendati, prefetti, lo stesso capo della protezione civile, funzionari statali, architetti. Lungi dall'avventurarsi in giudizi sulle persone si noti solo come sia complesso il ruolo del commissario che dovrebbe avere capacità gestionali, conoscere le amministrazioni, essere esperto dei problemi che dovrà affrontare e risolvere (in questi casi dovrebbe essere un archeologo). Più semplicemente dovrebbe essere un buon amministratore capace di gestire e valorizzare le risorse, economiche, umane e strutturali, a sua disposizione. Ma tale figura non assomiglia a quella di un buon amministratore di cose ordinarie?
Connaturati alla figura del commissario sono i suoi poteri straordinari che, come già detto, dovrebbero consentirgli di superare l'emergenza e di ristabilire una situazione gestibile con i poteri ordinari dalle amministrazioni competenti. Accanto ai poteri vengono attribuiti, come in questo caso, finanziamenti straordinari per consentire al commissario di operare. Le risorse possono essere aggiuntive e derivare dal bilancio della presidenza del consiglio - protezione civile (o da interventi legislativi speciali come nel caso del recente terremoto dell'Aquila), oppure sono il frutto di spostamenti e rassegnazioni nell'ambito dei bilanci delle amministrazioni commissariate. In ogni caso, sono le stesse ordinanze a prevedere e regolare i finanziamenti e le modalità di spesa, spesso in deroga alle ordinarie norme di contabilità pubblica.
Nel caso del commissariamento delle aree archeologiche, i compiti attribuiti sono molto ampi e accompagnati da un generoso pacchetto di deroghe. Nelle ordinanze sono, infatti, precisamente elencate le norme che possono essere oggetto di deroga da parte dei commissari, fatti salvi i principi generali dell'ordinamento giuridico e quelli derivanti dall'ordinamento comunitario, e sulla base di una specifica motivazione. Possono essere derogate, quando lo si ritiene indispensabile, le norme sulla contabilità di stato, sul procedimento amministrativo, sul pubblico impiego, nonché le norme del Codice dei contratti pubblici, quelle in materia di emergenza sanitaria ed igiene pubblica, oltre alle leggi regionali di recepimento e applicazione.
Le competenze dei commissari sono molto ampie. Nel caso di Pompei, spaziano dalla messa in sicurezza e la salvaguardia dell'area archeologica, all'allontanamento degli insediamenti abusivi nell'area archeologica e nelle vie immediatamente adiacenti, avvalendosi delle forze dell'ordine. Che l'attività del commissario vada oltre la stretta emergenza lo si desume anche dai poteri di pianificazione che gli sono assegnati; deve, infatti, elaborare un piano degli interventi che prevede, tra l'altro, "a) la realizzazione urgente delle opere di manutenzione straordinaria occorrenti per contrastare il degrado dei beni archeologici e per consentirne la piena fruizione da parte dei visitatori; b) la realizzazione urgente delle opere di ristrutturazione degli edifici ubicati nell'area del sito archeologico da destinare a sede della Soprintendenza; c) l'espletamento delle procedure di gara finalizzate all'affidamento, in via di somma urgenza, dei servizi di vigilanza nell'area archeologica di Pompei; d) l'adozione dei necessari provvedimenti finalizzati alla migliore razionalizzazione dell'impiego del personale della Pubblica Amministrazione in servizio nel sito archeologico, anche in deroga all'art. 33 del decreto legislativo n. 165 del 2001; e) il conseguimento urgente di sponsorizzazioni volte ad acquisire risorse finanziarie per la realizzazione degli interventi e delle opere necessarie per la messa in sicurezza e la valorizzazione del sito archeologico".
Oltre a ciò, il commissario deve migliorare i servizi per i visitatori, compresa la regolazione del commercio all'interno del sito, e deve elaborare un documento per il censimento e l'individuazione dei beni culturali, storici, artistici ed archeologici, per i quali sia necessario prevedere specifiche misure di tutela, di protezione e di eventuale asportazione in caso di calamità naturali (in particolar modo, le eruzioni vulcaniche).
Per lo svolgimento delle sue funzioni il commissario si avvale della collaborazione delle strutture delle amministrazioni centrali e territoriali dello stato, dell'amministrazione regionale, dell'ufficio territoriale del governo di Napoli, della provincia di Napoli e degli enti locali interessati.
Al commissario viene affiancata una commissione generale d'indirizzo e coordinamento presieduta dal capo di gabinetto del ministro e composta dal segretario generale e dal direttore generale per i beni archeologici del medesimo ministero, da un esperto nominato dal dipartimento della protezione civile e dal capo di gabinetto della Regione Campania.
Il supporto giuridico, amministrativo e tecnico è garantito da un'apposita struttura composta da 12 persone (di cui 6 esterni all'amministrazione) più due dirigenti (anche con contratto di diritto privato).
Gli interventi sulle strutture possono essere dichiarati indifferibili, urgenti, di pubblica utilità e costituiscono varianti ai piani urbanistici; se necessario il commissario può affidare la progettazione delle opere anche a liberi professionisti in deroga alle norme sugli affidamenti di servizi, può provvedere per le occupazioni di urgenza e per le eventuali espropriazioni delle aree occorrenti i termini di legge ridotti della metà. Anche le norme sulla conferenza dei servizi possono essere derogate al fine di ottenere rapidamente gli assensi necessari da parte di altre amministrazioni.
Molto simili sono i poteri e le funzioni del commissario per le aree archeologiche di Roma e di Ostia antica, con un'accentuazione degli aspetti relativi alla sicurezza dei luoghi e un minor rilievo di quelli relativi al funzionamento dei servizi.
Una rilevante differenza riguarda le modalità di attuazione degli interventi previsti che, in questo caso, possono essere realizzati da "uno o più soggetti attuatori" che provvedono con i poteri straordinari attribuiti al commissario sulla base di direttive da lui stesso impartite. Anche se l'ordinanza non si esprime chiaramente, tali soggetti attuatori sembrano essere le imprese cui vengono appaltate, mediante procedure negoziate, le opere da realizzare. Si tratta, dunque, di un affidamento a soggetti privati di funzioni pubbliche, peraltro, straordinarie e derogatorie sotto il controllo del commissario che è autorizzato a disporre, ove necessario, l'immediata risoluzione dei contratti relativi ai lavori in corso ove risultino inerzie ed inadempimenti da parte degli appaltatori.
Sembra chiaro, in entrambe i casi, che i commissari hanno poteri straordinari ma limitati alla funzione di valorizzazione dei beni mentre la tutela resta di competenza delle soprintendenze per i beni archeologici. Vista, però, la rilevanza degli interventi straordinari è inevitabile che le funzioni di valorizzazione debbano essere correlate a quelle di tutela ciò comportando uno stretto coordinamento tra commissari e soprintendenze.
5. Le misure straordinarie come sintomo di malessere dell'amministrazione
Le vicende appena descritte rientrano in un'ampia tendenza alla sostituzione dell'ordinario con lo straordinario: l'intervento nella materia dei beni culturali è solo l'ulteriore prova che l'amministrazione dell'emergenza sta diventando un vero e proprio modello parallelo e alternativo di amministrazione. Dove non si arriva con gli strumenti ordinari si può arrivare con quelli straordinari.
Su tale fenomeno è necessario riflettere poiché esso rappresenta il sintomo di un serio malessere dell'amministrazione pubblica italiana. Tralasciando quella parte delle emergenze che ha origine in fenomeni naturali o sociali imprevedibili, sulle quali, però, è necessario riflettere almeno sulla capacità di esercitare efficacemente le attività di prevenzione (che, per esempio, nel caso del terremoto dell'Aquila o della frana di Messina non sembrano essere state correttamente esercitate), è evidente che molti interventi straordinari sono resi necessari dall'inefficienza e inefficacia delle amministrazioni. L'amministrazione d'emergenza dovrebbe avere lo scopo di proteggere la vita e i beni delle persone in situazioni eccezionali e non quello di supplire all'inefficienza delle altre amministrazioni.
L'esempio dei beni culturali è quanto mai istruttivo. Tutti ricordiamo le immagini dell'alluvione di Firenze e dei danni, a volte irreparabili, prodotti al patrimonio artistico e storico della città; di recente, abbiamo visto le immagini delle chiese e dei palazzi umbri e abruzzesi distrutti o danneggiati dal terremoto. Da simili episodi si possono facilmente trarre alcuni insegnamenti: i beni culturali dovrebbero essere custoditi e mantenuti anche per proteggerli dalle possibili calamità. E, comunque, quando tali fenomeni imprevedibili si verificano si deve intervenire rapidamente con gli strumenti dell'amministrazione d'emergenza. Prevenzione, messa in sicurezza e rapidità degli interventi rappresentano i punti fermi di una buona amministrazione.
Tutt'altro è l'insegnamento che ci viene dai casi di Pompei e del Lazio. Qui non si sono verificate catastrofi ma i danni, concreti, al patrimonio culturale sono derivati dall'inosservanza di norme, giuridiche e comportamentali, da parte di chi ha avuto la responsabilità della gestione nel corso degli anni. E come sempre avviene per la gestione della cosa pubblica, la ricerca delle responsabilità risulta difficile se non impossibile: la catena delle responsabilità è sempre lunga e, in ultima analisi, può essere fatta risalire all'assetto normativo così da perdersi nell'irresponsabilità politica.
Altre riflessioni, poi, possono esser fatte sulla portata generale del fenomeno dell'amministrazione d'emergenza che prende le mosse da una situazione di necessità la quale attiva un potere straordinario che è latente in situazioni di normalità e che rappresenta una delle manifestazioni del potere amministrativo. Si può, dunque, sostenere che l'amministrazione d'emergenza non rappresenti altro che la continuazione dell'amministrazioni ordinaria in circostanze eccezionali.
L'individuazione del confine tra situazione ordinaria e straordinaria è, forse, il punto più debole dell'intera architettura poiché le norme non possono definire precisamente quando un certo evento presenti caratteristiche tali da richiedere un intervento straordinario (sul piano delle risposte giuridiche). Il risultato di tale incertezza classificatoria è un'amplissima discrezionalità amministrativa poiché anche la valutazione tecnico scientifica che può essere alla base della decisione viene in genere filtrata o affiancata da valutazioni d'altro tipo. La discrezionalità è massima quando si tratta di definire i cosiddetti grandi eventi e le emergenze sociali o economiche. D'altra parte, la stessa giurisprudenza non aiuta a definire il confine tra ordinario e straordinario; sia i giudici costituzionali sia quelli amministrativi sembrano dare per scontato il presupposto dell'emergenza che, evidentemente, è alla base della situazione sotto scrutinio.
Un secondo aspetto problematico concerne i limiti interni dell'amministrazione d'emergenza e, cioè, la definizione dei confini del potere straordinario. In questo caso, al contrario, norme, giurisprudenza e scienze giuridiche hanno contribuito a definire un quadro preciso dell'estensione del potere. Se l'emergenza consente all'amministrazione di derogare le regole che sovrintendono al suo funzionamento e alla sua organizzazione si devono, comunque, tener presenti almeno tre tipi di limiti.
Il primo limite riguarda il rapporto con le leggi: il fondamento del potere d'emergenza non deve necessariamente essere cercato in una specifica norma perché è insito nel più generale potere attribuito all'amministrazione per la cura di un interesse pubblico e opera come continuazione del potere amministrativo ordinario. L'ordinamento ha, però, individuato nell'ordinanza di protezione civile un atto tipico per le situazioni d'emergenza. La loro adozione spetta al presidente del consiglio ma, nel caso in cui la delega venga effettuata nei confronti di un commissario straordinario, la condizione di legittimità dell'azione è costituita dalla indicazione del contenuto, dei tempi e delle modalità dell'incarico stesso.
Il secondo limite riguarda il rapporto con il principio di legalità inteso nella sua più ampia e moderna accezione di rispetto della regola del diritto: l'uso del potere d'emergenza non comporta uno strappo della legalità poiché deve esercitarsi nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti, delle riserve assolute di legge, nel rispetto dei principi di uguaglianza e di buon andamento nonché nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico. Nei casi in cui l'amministrazione dovesse eccedere tali limiti saremmo di fronte ad una situazione patologica che potrà essere affrontata con i mezzi e gli strumenti posti a tutela delle persone. Gli articoli 24 e 113 Cost. sulla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica amministrazione, così come l'art. 28 sulla responsabilità dei dipendenti delle amministrazioni, non sono limitati e limitabili ma rappresentano una garanzia anche nelle situazioni eccezionali, così come non sono limitabili i diritti dei terzi o dei contro interessati.
Il terzo limite all'esercizio dei poteri d'emergenza è quello rappresentato dal tempo che deve essere correlato all'evento e alla sua soluzione. Sono le stesse norme che stabiliscono un limite temporale (anche solo implicito perché correlato alla durata dell'evento) e, in ogni caso, la giurisprudenza ha sempre ribadito che i poteri straordinari non possano eccedere i tempi (e i luoghi) strettamente necessari ad affrontare la situazione straordinaria.
6. L'emergenza come risposta alla crisi dei modelli amministrativi
Che si tratti di un fenomeno unitario e non di casi diversi e disparati lo si evince dalla omogeneità dei presupposti, giuridici e di fatto, delle misure e degli strumenti previsti per affrontare le situazioni concrete nonché dei limiti al potere d'emergenza e delle tutele. La quantità e la qualità dei casi che danno vita al fenomeno dell'amministrazione d'emergenza fanno pensare alla configurazione di un nuovo modello di amministrazione che può essere interpretato come la risposta a due diverse ma convergenti motivazioni.
La prima ha origine nella crescente complessità sociale che si manifesta in quella che i sociologi definiscono, ormai, società del rischio e dell'incertezza; evidentemente gli strumenti offerti dal sistema giuridico e amministrativo non sono sufficienti e adeguati per dare risposte alla complessità. Il secondo motivo sta, probabilmente, nella crisi dei modelli di amministrazione basati sulla partecipazione e sul consenso.
Ciò che desta perplessità è l'allargamento del concetto di emergenza che come abbiamo visto viene ormai applicato a situazioni in cui o non è rintracciabile alcun elemento tipico dell'emergenza o, peggio, in cui l'emergenza nasce dall'inefficienza o dall'incapacità di affrontare i problemi con i mezzi ordinari. In questi casi al modello dell'amministrazione ordinaria si sostituisce quello dell'emergenza che evidentemente è più in grado di offrire soluzioni ai problemi sostituendo il consenso e la partecipazione con l'autorità, l'unilateralità e la conseguente deroga al regime ordinario.
Per tornare ai beni culturali se, come nel caso di Pompei, l'inefficienza ha prodotto una reale emergenza, ben venga il commissario straordinario purché, contemporaneamente, si rispettino tre condizioni.
I commissari devono essere persone capaci e competenti e la loro opera deve essere costantemente monitorata affinché le gestioni straordinarie non si trascinino nel tempo producendo ulteriori sprechi e inefficienze e, in ultima analisi, producendo ulteriori emergenze.
Se l'emergenza è frutto di specifiche situazioni di inefficienza devono essere accertate le cause e le responsabilità. Non tanto per una sorta di furore giustizialista ma per comprendere le vere ragioni del mancato funzionamento delle amministrazioni.
Da ultimo, va accertata la funzionalità del sistema; se le cause dell'emergenza non possono essere imputate a singoli soggetti o a situazioni specifiche vuol dire che qualcosa non funziona nell'architettura del sistema. Probabilmente le norme non sono adeguate o le competenze non sono ben ripartite: da una situazione d'emergenza si può uscire anche progettando edifici giuridici più solidi e resistenti.