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Editoriale

Il ministero per i Beni e le Attività culturali nella relazione annuale sul 2008 della Corte dei conti

di Marco Cammelli

The Ministry for the Cultural Heritage and Activities in the Italian Audit Court 2008 Report
This annual Audit Court Report, although careful and spare in style as it suits to these institutional records, gives an outline of the Ministry organizational skills and structure that while recognizes some positive achievements points out problems far from being solved. The Report supports this way widespread worries expressed more than often by this Journal too. Above all, are the frequent changes (three reforms in less than seven years) of the Ministry apparatus that have impaired its action planning. This tecnique of producing institutional models far from solving the real problems related to cultural heritage preservation and management proves to be able to avoid them only.

La relazione annuale sul rendiconto del ministero per i Beni e le Attività culturali per l'esercizio 2008 delle sezioni riunite della Corte dei conti in sede di controllo merita un attento esame e un'altrettanto approfondita riflessione.

Pur nel linguaggio scarno, e in più di un caso assai prudente, proprio di questi atti istituzionali, emerge un quadro degli apparati statali che, insieme ad aspetti positivi che fortunatamente non mancano, conferma preoccupazioni più volte segnalate, anche da questa Rivista, e problemi che in molti casi invece di affievolirsi tendono a cronicizzarsi e ad aggravarsi.

Per quanto riguarda l'assetto del ministero, il primo dato critico è rappresentato dalla continua instabilità organizzativa. La Corte infatti, nel prendere atto delle innovazioni introdotte dal d.p.r. 26 novembre 2007, n. 233 e rinviando al rendiconto 2009 una valutazione più approfondita, non può esimersi dal notare che si tratta "della terza riforma dell'assetto organizzativo in poco più di sette anni" e dal sottolineare "che la frequente modifica degli assetti organizzativi dell'amministrazione incide negativamente sulla pianificazione delle attività e degli interventi, determinando un rallentamento nella realizzazione dei programmi". Incidenza tanto più rilevante quando si consideri la particolare intensità degli effetti sui beni e le attività dei terzi derivanti dai poteri regolativi di questa amministrazione e la peculiare esigenza di raccordo con gli altri livelli istituzionali.

Ma non c'è solo l'organizzazione ordinaria resa instabile dai ripetuti interventi di riforma. In (non casuale) parallelo, emerge e si va diffondendo una altrettanto stabile "amministrazione di emergenza" con l'obbiettivo di (tentare di) risolvere i problemi di specifici settori o di determinate aree territoriali ricorrendo agli strumenti predisposti dall'ordinamento per far fronte a situazioni imprevedibili e di emergenza. E così, muovendo magari da reali ma circoscritte difficoltà come gli eventi climatici degli ultimi mesi del 2008 e i relativi rischi che ne sono derivati per le aree archeologiche di Roma e provincia, si è nominato un Commissario speciale (ordinanza p.c.m. 12 marzo 2008, n. 3747) dotato di ampi poteri, e di ancora più ampie possibilità di deroga rispetto al regime vigente, su un sito tra i più importanti dell'intero pianeta.

Un esito tutt'altro che necessario o scontato rispetto al quale la Corte, dopo avere richiamato i ben noti principi della materia secondo cui "l'uso delle ordinanze di protezione civile deve essere limitato a contesti emergenziali che non consentano il ricorso a procedimenti ordinari pena il rischio di danni gravi a persone e a monumenti", non può fare a meno di osservare che "l'estensione degli interventi oltre tali limiti condurrebbe l'esercizio dei poteri eccezionali del Commissario delegato in un ambito sostanzialmente elusivo delle norme generali che disciplinano il procedimento amministrativo".

Problemi seri sono poi rilevati sul terreno, anch'esso cruciale, dei rapporti tra centro e articolazioni decentrate del Mibac. E questo sia per ragioni (relativamente) nuove, come l'impatto conseguente al drastico taglio di risorse operato dalla c.d. manovra d'estate (decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133) che ha seriamente condizionato il funzionamento di soprintendenze, archivi e biblioteche, che per tradizionali difficoltà tra le quali la scarsa capacità di coinvolgere nella definizione degli obbiettivi da perseguire i responsabili degli istituti incaricati dell'attuazione dei programmi. Il che spiega ad esempio la scarsità degli stanziamenti per obbiettivi operativi (appena l'1,5% dello stanziamento complessivamente assegnato) in casi come quello del programma 3 riguardante la tutela e valorizzazione dei beni archivistici e librari (tavola 2). Un dato negativo certo tra i più estremi, ma pur sempre emblematico di difficoltà di relazione e di cooperazione tra livelli proprio nella amministrazione statale che più di ogni altra è articolata sul territorio e dove dunque il rapporto tra centro e propria periferia ha un valore ancora più determinante.

Il rapporto naturalmente non finisce qui, e neppure i problemi, basti ricordare lo squilibrio tra investimenti e spese di funzionamento e in particolare di personale, che in alcuni casi (v. direzioni generali beni archeologici e beni architettonici, storico-artistici ecc.) assorbono il 95,5% dello stanziamento disponibile.

Ma particolarmente significative sono le indicazioni che emergono in ordine alle giacenze nelle contabilità speciali, e all'analisi condotta in materia dal Mibac nel biennio 2005-2007, nonché quelle sui residui finali sul consuntivo del ministero, che pur rimanendo elevati (più di 860 milioni di euro) registrano un apprezzabile miglioramento rispetto all'esercizio precedente (1.284 milioni). Nell'uno e nell'altro caso, da sottolineare le proposte di intervento suggerite dal Mibac o dalla stessa Corte dei conti.

Non mancano, infine, le buone notizie, come i progetti di innovazione amministrativa e strumentale (specie in forma digitale) avviati di recente (febbraio 2009) d'intesa con il ministro per la Pubblica Amministrazione.

Si tratta di vedere, naturalmente, quanto di tutto ciò verrà effettivamente realizzato e sopratutto se e quanto ci si è posti il problema del collegamento con le numerose esperienze di digitalizzazione e reti di informazione e comunicazione attivate sul territorio da regioni, enti locali e altre istituzioni.

Ma i problemi, appunto, sono questi e insistere nella modellistica istituzionale e macro organizzativa del Mibac è, che lo si voglia o meno, semplicemente un modo per evaderli.

Come conferma, ed è il suo merito, anche la relazione annuale della Corte dei conti.

 

 

 



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