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Le modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio
dopo i decreti legislativi 62 e 63 del 2008 / Beni culturali

La nuova disciplina della consultabilità dei documenti degli archivi: gli artt. 122 e 123

di Giuseppe Manfredi

Sommario: 1. Premessa. - 2. La modifica del comma 2 dell'art. 122, sulla competenza in tema di accesso ex l. 241/1990 ai documenti degli archivi. - 3. La modifica del comma 3 dell'art. 122, sulla consultabilità dei documenti ceduti da privati. - 4. La modifica del comma 2 dell'art. 123, sui limiti alla diffusione dei documenti consultati a scopo storico.

1. Premessa

Le tre modifiche recate dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62 - mediante la lett. ccc) del comma 1 dell'art. 2 - alla disciplina della consultabilità e della tutela della riservatezza in ordine ai documenti conservati negli archivi sono abbastanza marginali, e consistono in aggiustamenti dei contenuti degli artt. 122 e 123 del Codice dei beni culturali, dedicati rispettivamente alla disciplina generale della consultabilità dei documenti degli archivi e a quella della consultabilità dei documenti riservati.

2. La modifica del comma 2 dell'art. 122, sulla competenza in tema di accesso ex l. 241/1990 ai documenti degli archivi

La prima modifica è senz'altro quella più discutibile, e riguarda il comma 2 dell'art. 122 del Codice, dove viene soppresso l'inciso "ove ancora operante", e alla fine del comma vengono aggiunte le parole "ove ancora operante, ovvero quella che ad essa è subentrata nell'esercizio delle relative competenze".

In sostanza, si tratta di un'inversione di rotta rispetto alla prima modifica del comma 2 che era stata disposta dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156.

Per comprendere il significato di questo intervento occorre ricordare che tramite la disciplina della consultabilità dei documenti di archivio il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha curato di coordinare i princìpi in tema di accessibilità ai documenti archivistici con quelli sanciti nelle più recenti previsioni in tema di accesso ai documenti amministrativi e in tema di tutela della riservatezza [1].

Per quanto qui interessa, il d.p.r. 30 settembre 1963, n. 1409, si ispirava infatti a princìpi diversi rispetto a quelli sull'accesso ai documenti amministrativi sexies legge 7 agosto 1990, n. 241.

Mentre l'art. 21 del d.p.r. 1409/1963 sanciva la libera consultabilità dei documenti conservati negli archivi di Stato, ossia una forma di pubblicità cosiddetta erga omnes, gli artt. 22 e ss. della l. 241/1990 riconoscono il diritto di accesso in capo ai soli soggetti "che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso", ossia una forma di pubblicità cosiddetta erga partes.

Diverso era pure il regime delle eccezioni al regime di pubblicità: anche a prescindere dalla parziale non coincidenza degli interessi tutelati, ad essere sensibilmente differenti erano le tecniche di tutela, dato che la legislazione archivistica a tal fine prevedeva che i documenti riservati fossero esclusi dalla pubblicità per periodi di tempo predeterminati ex lege, mentre la l. 241/1990 prevede esclusioni a tempo indefinito - anche se dopo le modifiche recate alla legge sul procedimento dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, il comma 4 dell'art. 24 prevede che esclusioni siffatte non possono essere disposte quando è sufficiente fare ricorso a un mero differimento dell'accesso.

Il Codice in sostanza ha confermato la coesistenza di questi due diversi sistemi di pubblicità amministrativa.

L'art. 122 riprende infatti le regole sulla pubblicità erga omnes dettate dal d.p.r. 1409/1963, ma nel comma 2 precisa che, prima della scadenza dei termini al cui decorso è subordinata la libera consultabilità, i documenti conservati negli archivi restano accessibili erga partes ai sensi della l. 241/1990.

In questa ipotesi la competenza a decidere sull'istanza di accesso viene però attribuita alla amministrazione che ha effettuato il versamento o il deposito del documento presso gli archivi, anziché all'amministrazione archivistica: così peraltro derogando a una regola sancita dalla l. 241/1990, dato che il comma 2 dell'art. 25 prevede che l'istanza di accesso deve essere rivolta, oltre che "all'amministrazione che ha formato il documento", a quella "che lo detiene stabilmente".

In effetti, questo riparto di competenze risponde a condivisibili esigenze organizzative, dato che l'amministrazione che ha effettuato il versamento o il deposito di un documento può valutare se esso rientra o meno nelle esclusioni dall'accesso sexies l. 241/1990 più agevolmente dell'amministrazione archivistica.

In dottrina s'era però rilevato che questa regola era suscettibile di creare incertezze, e, quindi, di risultare eccessivamente defatigante per il cittadino intenzionato a esercitare il diritto di accedere a un documento, qualora l'amministrazione che ne ha effettuato il versamento o il deposito agli archivi sia stata medio tempore soppressa, dato che non sempre è facile individuare l'amministrazione che ad essa è succeduta [2] - ed è appena il caso di rilevare che non si tratta di un'ipotesi di scuola, dato che a partire almeno dall'inizio scorso decennio le riforme amministrative si susseguono a cascata [3], e sembrano destinate a non avere fine -.

Il d.lg. 156/2006 aveva dunque risolto il problema nel senso più favorevole per le esigenze di tutela dei diritti dei cittadini tramite l'aggiunta alla fine del comma 2 dell'inciso "ove ancora operante", per cui la competenza a provvedere sull'istanza di accesso ai documenti delle amministrazioni soppresse doveva considerarsi implicitamente trasferita in capo all'amministrazione archivistica.

Come s'è anticipato, la modifica in commento va però in senso esattamente opposto rispetto alla riforma del 2006.

Sicché, in definitiva, le esigenze organizzative sono prevalse sull'esigenza di agevolare l'esercizio del diritto di accesso.

3. La modifica del comma 3 dell'art. 122, sulla consultabilità dei documenti ceduti da privati

La seconda modifica riguarda il comma 3 dell'art. 122, e consiste in una restrizione delle ipotesi di riservatezza dei documenti ceduti agli archivi da privati.

Mentre il testo originario della disposizione relativamente a tali documenti richiamava tout court tutti i limiti alla consultabilità previsti in via generale nel comma 1 per i documenti provenienti dalle pubbliche amministrazioni, tramite la modifica in parola si è limitato il richiamo alle sole ipotesi di cui alla lettera b) del medesimo comma.

Talché i documenti ceduti da privati possono essere esclusi dalla libera consultabilità solo per tutelare le esigenze garantite dalla normativa in tema di trattamento dei dati personali, e non perché "relativi alla politica estera o interna dello Stato".

E in virtù di questa modifica, per effetto dei rinvii che si rinvengono negli artt. 125 e 127 non è neppure più possibile che vengano dichiarati riservati perché relativi alla politica statale i documenti conservati negli archivi privati.

Il che può considerarsi un ulteriore segno della prevalenza della concezione storico - scientica degli archivi su quella giuridico - amministrativa (la quale, come noto, sino agli anni settanta del novecento fondava l'attribuzione della competenza in tema di archivi al ministero dell'Interno che si era affermata a partire dal r.d. 1852/1874, perché "l'elemento politico in materia di archivi era allora particolarmente sentito a seguito delle polemiche risorgimentali e post-risorgimentali in atto" [4]; e che tuttora è alla base della norma di cui all'art. 125 del Codice, per cui la declaratoria di riservatezza dei documenti può essere disposta solo d'intesa tra ministero dell'Interno e ministero per i Beni e le Attività culturali).

L'esclusione dalla libera consultabilità dei documenti inerenti la politica estera o interna è infatti intesa alla tutela degli interessi che stavano alla base della seconda concezione.

Interessi che, però, il legislatore ormai non ritiene più di rilievo tale da giustificare vincoli sui documenti degli archivi privati, o sui documenti ceduti agli archivi pubblici da privati.

4. La modifica del comma 2 dell'art. 123, sui limiti alla diffusione dei documenti consultati a scopo storico

La terza modifica corregge una previsione particolarmente infelice del testo originario del comma 2 dell'art. 123, ove sostituisce la parola "diffusi" con l'espressione "ulteriormente utilizzati da altri soggetti senza la relativa autorizzazione".

L'art. 123 introduce una deroga al regime di non consultabilità di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo precedente per il caso in cui la conoscenza di un determinato documento sia funzionale a scopi di ricerca storica, prevedendo che in tale ipotesi anche prima della scadenza dei termini di cui al comma 1 dell'art. 122 può essere rilasciata una speciale autorizzazione per la consultazione.

Ciò posto, il testo originario del comma 2 dell'articolo, ove prevedeva che, anche in caso di autorizzazione alla consultazione per scopi storici, i documenti "conservano il loro carattere riservato e non possono essere diffusi", suscitava gravi perplessità, dato che sembrava riferirsi all'impiego dei dati contenuti nei documenti riservati da parte dello studioso che aveva potuto accedervi in virtù dell'autorizzazione di cui s'è appena detto - in sostanza, sembravano porsi problematiche analoghe a quelle che emergono in ordine al diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali sexies art. 43 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dato che il comma 2 di questa disposizione prevede che dopo aver esercitato l'accesso i consiglieri "sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge", e, quindi, impone limiti stringenti all'impiego delle informazioni ottenute per questa via [5].

Come ognun sa, il metodo storico non può però prescindere dalla ricerca e dalla disamina delle fonti [6], sicché l'attendibilità di un qualsiasi studio dipende dalla possibilità di riscontro e di verifica delle fonti che sono state utilizzate per la sua elaborazione.

Ne discende che l'ipotesi per cui, sulla base di detta previsione, "lo storico, dopo aver ottenuta l'autorizzazione ministeriale, potrà consultare i documenti, ma...non potrà pubblicare o citare il documento a sostegno della sua ricerca" [7], rischiava di condurre a un risultato paradossale, ossia alla sostanziale inutilità per gli studiosi dell'accesso agli archivi per scopi storici.

Certo, di detta previsione erano possibili anche letture diverse da quella appena riferita, ad esempio nel senso che il divieto di diffusione non implicasse anche il divieto di citazione della fonte a cui si era acceduti per il tramite dell'autorizzazione di cui al comma 1 [8].

La modifica in commento risolve dunque il problema in radice, dato che elimina l'ambiguo divieto di diffusione, e chiarisce piuttosto che anche dopo l'accesso per finalità di ricerca storica il carattere riservato del documento non viene meno: sicché ogni nuovo utilizzo del medesimo documento da parte di soggetti diversi da quello che ha ottenuto la prima autorizzazione richiederà un apposito nuovo atto di assenso.

 

 

Note

[1] V. G. Sciullo, Le funzioni, in C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2003, 93, e sia permesso anche il rinvio a G. Manfredi, Premessa agli artt. 122-127, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2004, 477 e ss.

[2] V., in particolare, E. Gustapane, Gli archivi, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo - Diritto amministrativo speciale, II, Milano, 2000, 957 e ss.

[3] Espressione che viene ripresa da S. Amorosino, Achille e la tartaruga, Milano, 2006, 61.

[4] L. Sandri, Archivi di Stato, voce in Enc. dir., II, Milano, 1958, 1001. V., in proposito, almeno anche E. Lodolini, Archivi di Stato Italiano, voce in Novissimo Digesto Italiano, App., I, Torino, 1980, 391 e ss.

[5] V., in proposito, per tutti, V. Palmieri, Il diritto all'informazione dei consiglieri comunali e provinciali, in FA-C.D.S., 2005, 3329 e ss., anche per puntuali richiami giurisprudenziali e dottrinali.

[6] Cfr., per tutti, F. Chabod, Lezioni di metodo storico, Roma-Bari, 2004, passim.

[7] E. Gustapane, Gli archivi, cit., 963.

[8] Lettura che si era proposta nel ns. Commento all'art. 123, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice, cit., 489 e s.

 

 

 



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