Riflessioni e divagazioni sulla legislazione europea
in materia di tutela e circolazione dei beni librari
Che quella attuale sia una stagione culturale difficile e che tali difficoltà abbiano prodotto un annebbiamento, a più riprese, di una solida e coerente struttura di pensiero e normative qual era quella delle Belle arti - il cui punto più alto è forse la encomiabile legge Rosadi del 1909 -, è un dato di fatto.
Quali siano le peculiarità e le cause di questa involuzione - che sembrerebbe aver toccato soprattutto il nostro paese -, è problema diverso e più complesso, che richiede forse un supplemento di riflessione.
Non prima, però, di aver cercato di delineare, in sintesi, qual è la situazione legislativa in Italia e nei principali paesi dell'Unione europea sul punto che più interessa: la tutela, ma soprattutto la circolazione dei beni librari.
Partendo da un paio di casi, si direbbe, "di scuola": tanto singolari quanto istruttivi. Il primo è:
Albertus de Saxonia. Quaestiones in Aristoteles libros posteriorum. Venezia:Boneto Locatelli per Ottaviano Scoto, 9 marzo 1497: decisamente si tratta di un incunabolo.
Ma leggiamo anche il resto della scheda, dal catalogo dell'asta della Christie's di Roma, del 16 giugno 2005 (il lotto è il n. 1):
"2°. 30 carte. Occhiello su due righe, capilettera xilografici, il primo abitato, marca in fine volume. Legatura moderna in mezza pergamena e cartone. Prima edizione di quest'opera, dotto commento su opere aristoteliche".
Sembrerebbe un bell'esemplare (oltre che una prima edizione).
Il prezzo? La stima è di 1.000-2.000 euro.
Sì avete letto bene.
E non spetta a chi scrive ricordare che il lotto, in teoria, potrebbe essere aggiudicato anche ad un prezzo inferiore, il c.d. "prezzo di riserva", calcolato al 10-15% sotto la stima minima: una sorta di valore limite, che non appare in catalogo, concordato con il cliente venditore, al di sotto del quale il lotto non può essere venduto.
Il medesimo catalogo si segnala anche per un altro lotto particolare: il n. 3, riguardante una Bibbia latina, stampata a Venezia nel 1475, la cui stima è di 200-300 euro: nonostante quello dei libri religiosi sia, come è noto, un settore dalle quotazioni decisamente inferiori alla media degli altri libri di pregio, non si può non rilevare che si tratta comunque di un altro incunabolo.
Il che, al fine di illustrare lo stato della legislazione italiana in materia di circolazione dei beni librari, è un dettaglio tutt'altro che insignificante.
In Italia, infatti, gli incunaboli - e sottolineo - a prescindere dal loro valore, sono compresi nell'Allegato A del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio (di seguito: Codice), che contiene una lista di beni (individuati con duplice criterio, di antichità e valore [1]), per l'esportazione dei quali dal territorio dell'Unione europea è richiesto, dall'art. 74 dell'attuale Codice - che ricalca le disposizioni dell'art. 72 del precedente Testo Unico del 1999 -, sia il rilascio di un attestato di libera circolazione, sia di una licenza d'esportazione, con validità di sei mesi.
Per entrambi i documenti, rilasciati dall'ufficio di esportazione - in genere presso la soprintendenza -, è richiesta l'autorizzazione del competente Direttore generale del ministero.
Per i beni dell'Allegato A, inoltre, l'art. 63, da un lato, conferma, rispetto al Testo Unico del 1999, l'obbligo di denuncia dell'attività commerciale e di tenuta del registro per chiunque ne eserciti il commercio; dall'altro, aggiunge, al comma 4, che "coloro che esercitano il commercio di documenti, i titolari delle case di vendite, nonché i pubblici ufficiali preposti alle vendite mobiliari hanno l'obbligo di denunciare al soprintendente l'elenco dei documenti di interesse storico posto in vendita. Allo stesso obbligo sono soggetti i privati proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di archivi che acquisiscano documenti aventi il medesimo interesse, entro novanta giorni dall'acquisizione".
Nel caso in cui i "nostri" incunaboli fossero venduti ad un cliente di uno stato dell'Unione europea, dovrebbero invece ottenere, in base agli artt. 65 e 68 del Codice, il "solo" - si capirà a breve il motivo delle virgolette - certificato di libera circolazione, con validità, questa volta, di tre anni.
Contro il diniego di tale attestato - così come avverso la dichiarazione dell'interesse culturale - è stata introdotta, dal Codice (cfr. artt. 16 e 69), la possibilità di ricorso amministrativo: novità che, pur nelle buone intenzioni del legislatore, non può che risolversi, all'atto pratico, in un ulteriore allungamento dei tempi.
Il procedimento per ottenere il rilascio dell'attestato di libera circolazione è infatti tutt'altro che celere: entro tre giorni dalla contestuale presentazione della denuncia e del bene, l'ufficio di esportazione ne dà notizia ai competenti uffici ministeriali, che a loro volta devono svolgere gli opportuni accertamenti e comunicare entro dieci giorni all'ufficio ogni elemento utile raccolto; entro quaranta giorni dalla presentazione del bene, l'ufficio deve non solo emanare il provvedimento con cui rilascia o nega l'attestato, ma altresì darne comunicazione all'interessato; sempre entro lo stesso termine l'ufficio di esportazione può proporre al ministero l'acquisto del bene; ove ciò avvenga, il termine per il solo rilascio dell'attestato è prorogato di ulteriori sessanta giorni (quindi in totale cento giorni dall'avvenuta presentazione); se viene emanato un provvedimento negativo, l'interessato può - come già ricordato - proporre opposizione sia per motivi di legittimità che di merito, al ministero: il quale, a sua volta, deve pronunciarsi sul ricorso entro novanta giorni dalla sua presentazione.
Una procedura lunga e macchinosa che, secondo le intenzioni del legislatore, versate negli artt. 65 e 68 del Codice - e contro le quali può essere invocata, allo stato, solo l'intelligenza di chi applica le leggi... -, dovrebbe essere messa in moto non per i beni dell'Allegato A - ciò che potrebbe essere, per alcuni casi, ma non di certo i nostri, comprensibile -, il quale tecnicamente non si applica all'esportazione all'interno della zona Ue, ma per tutte "le cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni" (cfr. art. 65, comma 3, lettera a dell'attuale Codice), per permettere la "verifica dell'interesse culturale", secondo l'art. 12 del Codice [2].
Con buona pace anche della coerenza del sistema: in quanto, per assurdo, un bene - in quanto non compreso nell'Allegato A - potrebbe avere il via libera per i Paesi terzi, ma essere bloccato all'interno dell'Unione europea se, per avventura, gli fosse denegato l'attestato di libera circolazione, in considerazione di un suo presunto "interesse culturale", una vaga quanto pericolosa Leerformel, direbbero i tedeschi, una "formula vuota": comodo contenitore da poter utilizzare alla bisogna [3].
Insomma, sembrerebbe decisamente complicata la vita del libraio antiquario, o della casa d'aste, che volesse vendere ad un cliente straniero un incunabolo dal valore (venale) di soli 1000 o, addirittura, 200 euro!
E, se ciò non bastasse, ove i "nostri" incunaboli superassero una certa soglia di valore - come di regola accade per questa tipologia di libri - il legislatore ha altresì previsto al comma 2 dell'art. 63 dell'attuale Codice, che "con decreto" (che io sappia: non ancora emanato) "adottato dal ministro di concerto col ministro dell'Interno sono definiti i limiti di valore al di sopra dei quali è obbligatoria una dettagliata descrizione delle cose oggetto delle operazioni commerciali".
Per tacere, poi, dell'esistenza, sotto certe condizioni, di diritti di prelazione dello Stato italiano per i trasferimenti di beni culturali a titolo oneroso, e dell'acquisto coattivo da parte del ministero, che di certo non alleggeriscono il quadro: gli interessati potranno utilmente dare uno sguardo, per farsi un'idea in proposito, agli artt. 60 e ss., e all'art. 70 dell'attuale Codice.
Non è pertanto difficile immaginare come mai i librai antiquari italiani guardino con una certa invidia i loro colleghi stranieri, il cui lavoro appare meno ostacolato dai lacci delle formalità burocratiche.
In Francia, ad esempio - paese che ha adottato lo stesso doppio criterio, di antichità e valore, per l'individuazione di alcune categorie di beni la cui circolazione è sottoposta a restrizioni -, gli stessi libri del nostro esempio potrebbero essere liberamente venduti, perlomeno all'interno dell'area dell'Unione europea.
Vediamo più nel dettaglio perché.
In questo stato, il regime della circolazione dei beni culturali è stato rifuso dalla Loi 92-1477 del 31 dicembre 1992 nel Code du patrimoine, chapitre 1er, articoli da L111-1 a L111-7; mentre con un decreto attuativo, il Décret 93-124 del 29 gennaio 1993, sono stati fissati i limiti di età e di valore al di sopra dei quali l'esportazione di alcune categorie di beni è subordinata al rilascio del certificato di esportazione.
Il ministero della Cultura e della Comunicazione ha quattro mesi di tempo dalla data della domanda per rifiutare o rilasciare il certificato, termine elevato a sei mesi per gli archivi privati non catalogati.
In Francia, i libri la cui circolazione è subordinata al rilascio del certificato sono i seguenti:
- incunaboli e manoscritti, comprese le lettere e i documenti autografi letterari e artistici, con valore superiore a 1500 euro, per l'esportazione dentro l'Unione europea;
- gli stessi incunaboli e manoscritti, ma a prescindere dal valore, per l'esportazione verso stati terzi;
- libri e spartiti musicali stampati e aventi, isolati, più di cinquanta anni, o in collezione, elementi con più di cinquanta anni e una soglia di valore di 50.000 euro, per l'esportazione dentro e fuori l'Unione europea;
- carte geografiche stampate, di almeno cento anni e valore di almeno 15.000 euro, per l'esportazione dentro e fuori la Ue.
Si può notare come le soglie di valore siano in alcuni casi diverse per l'esportazione verso un paese dell'Unione o verso uno stato terzo: e come i 'nostri' incunaboli, valutati al di sotto dei 1500 euro, rientrino in una categoria di beni che circola senza certificato all'interno dell'area europea.
Più in generale, la legislazione francese sembra essere caratterizzata da una tendenza alla semplificazione: i beni culturali importati legittimamente da meno di cinquanta anni lasciano liberamente il Paese senza certificato, a meno che non siano stati catalogati come tesori nazionali; i beni importati su base temporanea da meno di due anni lasciano liberamente il paese; inoltre il certificato di esportazione è valido illimitatamente - mentre in Italia, come visto poc'anzi, ha una validità, a seconda dei casi, di tre anni o di sei mesi -, salvo il caso di beni di età non superiore ai cento anni, per i quali è rilasciato per venti anni, ma con possibilità di rinnovo.
In Francia, lo Stato può esercitare i suoi diritti di prelazione solo nelle aste pubbliche.
Più difficile capire quale sarebbe la sorte dei "nostri" incunaboli in un Paese come la Germania, in cui tutto viene deciso a livello di singolo Land: limiti alla circolazione potrebbero essere imposti solo nel caso in cui i libri in questione, per avventura, fossero stati schedati dalle autorità del Land in cui si trovano, entrando così a far parte di una lista di beni protetti, l'inventario dei beni del patrimonio culturale di valore nazionale del Land medesimo.
Il sistema tedesco merita comunque di essere brevemente descritto, come esempio di federalismo: un modello verso cui sembrerebbe sempre più tendere il nostro legislatore, che con l'art. 5, comma 2, del Codice attuale ha inteso ampliare la delega alle regioni in materia di tutela dei beni culturali.
In Germania, infatti, come anticipato, in base alla Deutschen Kulturgutschutzgesetz del 15 ottobre 1998, i beni culturali, compresi quelli appartenenti a biblioteche o archivi, sono sottoposti ad una speciale protezione contro l'esportazione - che include anche l'uscita temporanea dalla Repubblica federale tedesca - solo quando entrano a far parte di una lista di beni o archivi di importanza nazionale.
L'autorità di ogni singolo Land decide quali beni devono essere schedati, e il rappresentante del governo federale per la cultura e i media (anteriormente il ministro federale per l'Interno) individua, tra questi, i beni di interesse nazionale, il cui allontanamento dalla Repubblica federale implicherebbe una perdita significativa per l'eredità culturale tedesca
Si è detto dell'esistenza, per ciascun Land, di un "inventario dei beni del patrimonio culturale di valore nazionale del Land in cui il bene stesso si trova, l'iscrizione nel quale conserva i suoi effetti anche se il bene viene portato da un Land all'altro".
Il ministro federale dell'Interno cura poi un "inventario globale dei beni del patrimonio culturale di valore nazionale" a partire da quello dei singoli Laender.
Il rappresentante governativo per la cultura e la comunicazione ha il potere di decidere se rilasciare la licenza per l'esportazione dei beni culturali schedati e protetti.
Tali disposizioni non si applicano né ai beni di proprietà pubblica, per i quali solo l'autorità federale o del Land può decidere l'eventuale alienazione, sotto certe particolari condizioni; né ai beni in possesso delle chiese o di altre autorità religiose riconosciute come corporazioni dalla legge pubblica.
I beni non schedati circolano liberamente, con l'unica cautela, in caso di esportazione verso un paese terzo di un bene che abbia un valore superiore ai 3000 euro, del rafforzamento dei controlli alla dogana, previsto, del resto, anche per tutti i casi di beni schedati.
In Germania, non esistono diritti di prelazione da parte dello stato, ma è previsto che se il possessore di un bene protetto, che non potrebbe essere in teoria esportato, è costretto a vendere per ragioni di dissesto economico, le autorità supreme del Land in cui il bene si trova devono poter ottenere, in accordo con il ministro federale dell'Interno, un'equa compensazione (cfr. art. 8 della Deutschen Kulturgutschutzgesetz).
Molto diverso il caso dell'Inghilterra, in cui gli incunaboli del nostro esempio possono circolare liberamente, in quanto venduti tramite una casa d'aste: dotata, istituzionalmente, di una licenza c.d. aperta di esportazione.
Nel Regno Unito, infatti, esiste sì un principio generale, apparentemente restrittivo, in base al quale è richiesta una licenza di esportazione individuale per tutti i beni sopra i cinquant'anni, ma anche e soprattutto una serie di eccezioni che lo svuotano di contenuto, rendendo questo paese un'oasi decisamente felice per il commercio antiquario.
Alcune eccezioni sono di minor pregio per il nostro discorso: come quella che esonera dalla licenza individuale francobolli; carte personali e manufatti dell'esportatore; strumenti musicali esportati per meno di tre mesi da un musicista professionista per il suo lavoro; veicoli a motore o veicoli militari o paramilitari esportati per meno di tre mesi per scopi di piacere.
Mentre non può non impressionare il fatto che, al fine di ridurre le formalità a carico dei potenziali esportatori, il governo inglese rilasci delle Licenze aperte (Open Licences), permettendo così l'esportazione di tutta una serie di oggetti senza la necessità di ottenere una licenza individuale dal dipartimento di Cultura, media e sport.
Vediamo un po' più da vicino come funziona tale sistema, basato essenzialmente su due tipi di Licenze aperte:
l'Ogel, Open general export license, che permette l'esportazione temporanea di beni valutati al di sotto di una certa soglia finanziaria;
l'Oiel, Open individual export license, che è accordata, dal dipartimento di Cultura, media e sport con il consenso di un expert adviser del National museums and galleries, a soggetti specifici, società o istituzioni, e che permette l'esportazione sia temporanea che definitiva.
Il rilascio delle Licenze aperte avviene in base a delle precise regole.
Per il caso dei libri vale, in generale, quanto segue.
Se il libro deve essere esportato fuori dall'Unione europea, ed il suo valore è uguale o superiore ad una soglia considerata rilevante (per incunaboli e manoscritti, incluse le carte geografiche e gli strumenti musicali, singoli o in collezione non vi è soglia di valore; mentre per i libri con più di cento anni, la soglia di valore rilevante è uguale o superiore a £ 30.400, pari a circa 42.000 euro): occorre la licenza individuale, da chiedere al Mla (Museums libraries archives, competente in materia dall'aprile 2005).
Se invece, pur dovendo essere esportato fuori dall'area europea, il libro non eccede tali valori, i casi sono due: se non ha più di cinquant'anni, a prescindere dal valore, può ottenere l'Ogel, senza richiedere una licenza individuale al Mla; se ha più di cinquant'anni, ma il soggetto esportatore ha l'Oiel ed esistono i presupposti per l'esportazione attraverso tale licenza, non sono richieste altre formalità; se il soggetto non ha l'Oiel, si deve chiedere la licenza individuale.
Se, viceversa, il libro viene esportato all'interno della zona dell'Unione europea è sufficiente l'Ogel se non ha più di cinquant'anni ed a prescindere dal valore; se supera i cinquant'anni ed il soggetto ha l'Oiel, e il libro può essere esportato con questo tipo di licenza, non vi è necessità di chiedere la licenza individuale; in caso contrario, quest'ultima va richiesta al Mla.
Neanche nel Regno Unito vi sono diritti di prelazione da parte dello stato, anche se il deferimento ad un expert adviser della decisione su una richiesta di licenza d'esportazione avviene molto spesso per dare l'opportunità alle autorità governative di fare un'offerta di acquisto al prezzo di mercato (che il proprietario può comunque sempre rifiutare).
Ultima tappa del nostro tour "virtuale" fra i paesi europei, la Spagna: qui i "nostri" incunaboli potrebbero essere sottoposti a limitazioni nella circolazione solo se appartenenti ad una delle tre categorie di beni il cui allontanamento dal territorio spagnolo è sottoposto al controllo del ministero della Cultura e degli uffici doganali.
Secondo la legge n. 16 del 1985 sul Patrimonio storico spagnolo, così come modificata dal decreto reale n. 111 del 1986 e dal decreto reale n. 64 del 1994, che ha parzialmente emendato il precedente, tali categorie di beni sono le seguenti:
- beni di interesse culturale;
- beni inclusi in un inventario generale della proprietà mobile del patrimonio storico;
- oggetti aventi più di 100 anni.
L'inclusione nelle prime due categorie protette è richiesta volontariamente dal privato proprietario.
La richiesta di autorizzazione avviene secondo moduli analoghi nel caso di esportazione verso Stati membri dell'unione europea e verso paesi terzi: la Spagna sembrerebbe quindi aver superato e semplificato un sistema che spesso risente - come si è visto nel caso dell'Italia - dei diversi rapporti tra gli Stati dell'Unione e Stati terzi.
La legislazione spagnola prende in considerazione tre livelli di esportazione: definitiva; temporanea con possibilità di vendita; temporanea (quest'ultima è l'unica possibile per i beni di interesse culturale).
Una previsione della l. 16/1985 sul Patrimonio storico spagnolo prevede la possibilità, per i beni legalmente importati in Spagna, di fruire di un periodo di dieci anni - prorogabile per altri dieci - durante il quale il governo spagnolo deve garantirne la libera circolazione.
In Spagna esistono diritti di prelazione da parte dello Stato.
A questo punto dell'esposizione, non occorrono molte parole per far notare la distanza tra la legislazione italiana in materia di circolazione dei beni librari e quella dei principali paesi europei, in cui sembrerebbero prevalere istanze più liberali, con conseguente snellimento dell'iter burocratico: meno evidente, ad una prima lettura, ne sono le ragioni.
Per comprendere le quali è opportuno fare, a questo punto, delle considerazioni di ordine storico.
In Italia, a differenza degli altri paesi, esiste, e da sempre, una "cultura della conservazione" [4].
Questa tradizione non ha avuto inizio con l'unità d'Italia, ma è profondamente radicata nella storia e nella cultura giuridica degli Stati preunitari della penisola.
A partire dal 1700, gli stati preunitari, seppur diversi per governo e dinastia, cominciarono ad elaborare normative straordinariamente convergenti per arginare l'emigrazione delle opere d'arte [5].
Il che sembrerebbe stridere con l'incapacità odierna dell'Europa di darsi una linea comune sul punto: ma che può spiegarsi con il forte e alto concetto di cittadinanza che gli Stati preunitari avevano sviluppato, con l'unica - non ininfluente - eccezione del Regno di Sardegna, in cui la tradizione, e conseguentemente la normativa, di tutela erano pressoché inesistenti.
Una circostanza, quest'ultima, cui sono state in parte addebitate le difficoltà di tradurre le varie norme di tutela degli Stati preunitari in una legge nazionale, una volta che - per l'appunto - il re di Sardegna divenne re d'Italia [6].
E che furono superate, grazie, ancora una volta, a quella "cultura della conservazione", che è così radicata in Italia da essere stata cristallizzata in una norma costituzionale, l'art. 9 Cost. [7]: un fatto tutt'altro che scontato [8], che ha un unico precedente (la Costituzione repubblicana spagnola del 1931) e pochi altri casi analoghi (in Europa, gli artt. 8 e 9 della Costituzione di Malta - che riproducono l'art. 9 della Costituzione italiana -; e l'art. 9 della Costituzione del Portogallo).
Le radici dell'attuale impostazione "protezionista" della legislazione italiana in materia di beni culturali [9] vengono pertanto da lontano: dalla storia del nostro paese.
E ancora, come ricorda sempre Settis [10]: dall'enorme pressione dei collezionisti ad esportare dagli Stati italiani oggetti d'arte, che mise sì a dura prova la "cultura della conservazione", ma che, nel contempo, la rafforzò, producendo leggi protettive e una precoce cultura istituzionale della tutela.
Che è quella che, tradizionalmente, manca in altri paesi: in Germania, dove la protezione del patrimonio è inesistente a livello federale, e delegata ai singoli Laender, ciascuno dei quali non può che comportarsi, ancora una volta, in base alla propria storia; in Inghilterra, in cui fino al 1968 non esisteva alcuna legge di tutela del patrimonio nazionale; e infine, gettando lo sguardo al di là dell'oceano, negli Stati Uniti, dove, come in Germania, non vi è un corpo di norme di tutela del patrimonio a livello federale, e quelle dei singoli Stati puntano - in una società notoriamente molto individualista - sulla protezione della proprietà privata a scapito della tutela pubblica.
Diverso il caso della Francia, in cui, da un lato, l'idea di patrimoine national, elaborata negli anni della rivoluzione, divenne il cardine di una cultura nazionale che pone al centro il patrimonio culturale e la memoria storica; ma dall'altro, con una deriva liberista, ci si appropriò dell'idea di Winckelmann secondo cui le arti prolificano solo in regime di libertà, per giustificare i bottini di opere d'arte delle armate francesi: traducendosi, lo si è visto poc'anzi, in una legislazione ispirata da principi affini a quelli italiani, ma interpretati e applicati con maggiore duttilità e disinvoltura.
Concludo osservando come mentre per il profilo che qui interessa - della tutela e circolazione dei beni librari - la legislazione italiana sembrerebbe aver conservato l'impianto, che, storicamente, le deriva dalla più volte menzionata "cultura della conservazione" - con una scelta sicuramente penalizzante per un settore in cui il 'bene' è pur sempre un multiplo -, in molti altri aspetti sta subendo un pericoloso depotenziamento: penso alla privatizzazione dei beni culturali pubblici; al rapporto sempre più conflittuale tra Stato e regioni, ingenerato dal linguaggio confuso delle nuove norme sul punto del riparto di competenze; al problema della gestione dei musei, che si vorrebbe risolvere adottando un modello, quello americano, che non può che funzionare - per motivi analoghi a quelli che inducono a cercare nella storia le cause degli attuali diversi sistemi di tutela - nel peculiare contesto d'origine; allo stesso attacco che l'art. 9 della Cost. sta subendo da parte di alcune avventurose proposte di riforma costituzionale.
Si tratta di un processo culturale più generale, come accennavo all'inizio: di cui non si può ora non notare la singolare quanto ambigua convivenza fra elementi di continuità col passato - là dove il legislatore utilizza addirittura le stesse parole di chi lo ha preceduto - e elementi di (spesso dirompente) novità, che, anche qui altrettanto singolarmente, sembrerebbero muoversi verso due opposte direzioni: tendendo ora ad accentuare ora a scardinare la tradizione di conservazione del nostro paese.
Note
[1] L'Allegato A individua, tra i beni librari - aggiornando la soglia di valore del precedente Testo Unico, ma lasciandone invariate le scelte -: incunaboli e manoscritti compresi le carte geografiche e gli spartiti musicali, isolati o in collezione, a prescindere dal loro valore; carte geografiche stampate aventi più di 200 anni e con valore superiore a 13.979,50 euro; libri, isolati o in collezione, aventi più di 100 anni e con valore superiore a 46.598,00 euro.
[2] Tra le innovazioni del nuovo Codice, sicuramente la più notevole - e la più preoccupante - è contenuta proprio nell'art. 12, che introduce il procedimento di verifica dell'interesse culturale anche per i beni demaniali ed il conseguente mutamento del regime di (possibile) alienazione dei medesimi. Si tratta di una novità considerata "epocale" - cfr. G. Leone e A.L. Tarasco (a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2006, 43 -, in quanto si passa da un regime di generale, indifferenziata e permanente tutela di tutti i beni pubblici e delle persone giuridiche private senza fine di lucro, ad un regime di verifica caso per caso dell'esistenza, nel bene da proteggere, dell'interesse culturale. Un passaggio, quindi, ad una situazione di "continuo monitoraggio" (ibid., 43), che richiederà un significativo (e oneroso) mutamento delle strutture organizzative, allo stato tutt'altro che preparate a sostenere quantitativamente, ma spesso anche qualitativamente, un compito del genere.
[3] Da notare che, come è stato precisato dalla dottrina, in particolare in C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo (a cura di), Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2003, 73, se la "circolazione in ambito nazionale" di cui al Capo IV (Titolo I) del Codice del 2004 riguarda la circolazione nazionale dei diritti sul bene, la "circolazione in ambito internazionale" di cui al successivo Capo V - da cui sono tratte le norme citate nel testo - riguarda anche l'uscita o l'ingresso del bene stesso dal o nel territorio nazionale. Può esservi, in pratica, circolazione del diritto sul bene senza circolazione del bene e viceversa.
[4] Così S. Settis, Italia S.p.A., Torino, 2002, 6, 14 ss.
[5] Per i dettagli, si rinvia alla splendida presentazione di S. Settis al volume di Leone e Tarasco (a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., XXI ss.
[6] Sul punto, si rinvia ancora alla presentazione di Settis, citata nella nota precedente.
[7] "La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione".
[8] Come informa puntualmente ancora Settis, in Leone e Tarasco (a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., XXVIII s.
[9] In Europa, insieme alla Grecia, l'Italia ha la legislazione più protettiva in materia di beni culturali.
[10] Italia S.p.A., 20.