Incontro di studio L'intervento pubblico per la
promozione
delle attività culturali – Cinema e spettacolo dal vivo
(Roma, 9 ottobre 2007)
La cultura come risorsa e come valore
Nel 2005, partendo dalla necessità di nuove elaborazioni politiche e con la collaborazione di molti fra accademici e operatori dei vari settori della cultura - che colgo qui l'occasione di ringraziare, ancora una volta, per il loro prezioso contributo -, abbiamo iniziato un percorso di analisi e di lavoro intorno al ruolo della cultura nei processi di sviluppo e di modernizzazione del Paese, coerentemente con i documenti dell'Unione europea che delineano la strategia della costruzione della società e dell'economia della conoscenza.
Al centro di questa analisi, oltre al bisogno di aggiornare il quadro normativo statale in conseguenza del nuovo disegno del Titolo V della Costituzione, è posta l'idea della cultura come risorsa e valore.
Siamo nel pieno di una trasformazione dal modello industriale di società alla società post industriale, dalla produzione di beni materiali a una dimensione di maggior valore di beni immateriali, come la conoscenza, il benessere, la qualità della vita, l'esperienza, la comunicazione, l'informazione. Come ricorda Jeremy Rifking in L'era dell'accesso, "Nella new economy sono le idee, i concetti, le immagini, non le cose i componenti fondanti del valore". Vi è una sorta di "dematerializzazione dell'economia". I beni diventano meno oggetti e più rappresentazione di esperienze. "Gli spigoli vivi" - dice Rifking - "di un'era dedicata ad imbrigliare e trasformare risorse materiali si sono smussati. La post modernità è più morbida, leggera, legata alle sensazioni e alle attitudini: è un mondo alla rovescia". Con un altro linguaggio potremmo dire che cambia lo statuto, la logica dei bisogni. Nella società post industriale la cultura è parte integrante della catena del valore e sempre più spesso la determina. E' ormai dimostrato dall'analisi delle cifre e le esperienze in atto che il grado di competitività di un paese è direttamente proporzionale agli investimenti in cultura. I paesi Scandinavi, il Regno Unito, la Germania, il Giappone, sono anche i paesi che più investono in cultura, in industria culturale. Sono i paesi che si sono riconvertiti più rapidamente.
Da noi il non sufficiente investimento in innovazione e ricerca va insieme con la scarsità degli investimenti. La spesa per la cultura costituisce lo 0,4% del bilancio (rispetto al 2 o 3% dei paesi più competitivi). Eppure, abbiamo la fortuna, oltre che la responsabilità, di disporre di uno straordinario patrimonio di beni artistici, museali, paesaggistici, di professionalità, di un patrimonio di culture e tradizioni che costituiscono in gran parte la nostra identità e fanno dell'Italia un paese unico al mondo. Dobbiamo riconoscere che siamo ancora molto indietro rispetto all'assunzione della cultura come un fattore di sviluppo, come una delle molle che acquistano sempre più centralità nella strategia complessiva di crescita di un paese moderno, di un paese che sa vedere il nuovo di cui parla Jeremy Rifkin: il fatto che la cultura è sempre più un canale privilegiato di produzione di pensiero innovativo e di sollecitazione all'innovazione. La creatività difficilmente può svilupparsi al di fuori di comunità capaci di favorire e promuovere la cultura. Occorre allora superare una concezione della valorizzazione della cultura e dei beni culturali legata pressoché esclusivamente al tempo libero e al turismo: è questa, infatti, la concezione che porta a considerare la cultura come la cenerentola dei bilanci dello Stato e delle autonomie locali, come lusso, spesa sempre meno sostenibile per le finanze pubbliche, anziché come investimento.
Abbiamo invece le condizioni, le competenze, le risorse umane e creative per compiere un passo importante verso una modernizzazione del Paese, che veda anche la cultura come fattore di sviluppo sociale, civile, economico, come un investimento per il futuro del Paese. La capacità creativa (dal teatro al cinema all'arte alla ricerca, all'editoria, all'informazione) può fornire al nostro Paese una possibilità per crescere e competere. La cultura può creare ricchezza nelle città e sul territorio se si sostengono politiche integrate e concertate fra Stato, autonomie locali, istituzioni e imprese.
Questa posizione ci spinge oltre la logica meramente mecenatistica e oltre il semplice binomio cultura-turismo, che pure resta importante per creare ricchezza. Ma quel binomio va inserito in una rete più larga. In un tessuto più ricco di investimenti culturali, anche le singole istituzioni acquistano maggiore dinamicità e l'intero territorio può crescere.
E' evidente, e tutte le ricerche lo dimostrano (la più nota quella di Richard Florida in L'ascesa della nuova classe creativa), che vi è una connessione stretta fra qualità dell'offerta culturale e qualità della vita, sviluppo del territorio, coesione sociale, tolleranza. Sono interessanti le esperienze di alcune città capitali europee della cultura, come Glasgow o Lille, che hanno saputo costruire esperienze di sviluppo locale basato sulla cultura, nelle quali essa è diventata volano per strategie di sviluppo complessivo.
Premesso, dunque, che la cultura è un bene in sé e produce comunque benefici, le politiche pubbliche di sostegno e promozione si devono concentrare sulla possibilità di mettere in moto i meccanismi utili a creare sviluppo a partire dalle risorse culturali.
A fronte di questo nuovo approccio, siamo nella necessità di rideterminare gli obiettivi fondamentali degli interventi pubblici per il sistema culturale, e la politica si trova, inevitabilmente, ad affrontare la questione dell'aggiornamento degli strumenti normativi ed operativi per il loro conseguimento.
Abbiamo ritenuto, condividendo quest'analisi con molti interlocutori, che un nuovo modo di interpretare l'azione pubblica per la cultura, che abbia come focus i fruitori, il pubblico, la generalità dei cittadini, si possa realizzare a partire dalla costruzione di un sistema di governance. Una struttura, cioè, dell'azione pubblica che, coinvolgendo tutti i gradi di governo della Repubblica nella programmazione di interventi e risorse economiche, da un lato fornisca, oltre che interventi finanziari, servizi e garanzie di pluralismo ed accesso ai mercati per gli operatori della produzione culturale, e, dall'altro lato, sia rivolta alla crescita ed alla differenziazione dell'offerta e dei consumi culturali.
L'avere focalizzato il settore culturale come comparto produttivo ci ha condotto rapidamente ad analizzare il campo specifico della produzione e dell'industria nazionale del cinema e dell'audiovisivo.
Appare addirittura pleonastico soffermarsi sull'importanza degli effetti della new tecnology e del digitale su questo ramo dell'industria culturale.
Sotto tutti i punti di vista, da quello creativo a quello distributivo, l'affermarsi di nuove piattaforme di diffusione e l'innovazione tecnologica hanno già prodotto conseguenze sugli assetti "tradizionali" di questo settore. In particolare, l'industria e l'economia del cinema hanno quasi subito l'innovazione tecnologica e la differenziazione delle modalità di fruizione derivata dall'affermarsi di canali di diffusione ulteriori o alternativi alla sala cinematografica. Sotto questo aspetto si può dire che vi sia stata una convergenza negativa a rafforzare alcuni squilibri del mercato cinematografico di cui le analisi scientifiche ed economiche ci hanno fornito la possibilità di individuare le cause ed i risultati.
Si tratta di fattori riferibili ad alcuni elementi quasi connaturati ai diversi segmenti della filiera industriale del cinema europeo (produzione, distribuzione, esercizio, consumo), ma anche alla formazione ed al consolidamento delle concentrazioni verticali ed orizzontali operate dai principali attori del sistema cine-audiovisivo e, non ultimi, di certi limiti delle forme e degli obiettivi dell'intervento statale per il sostegno del cinema e delle norme che tutt'ora regolano il sistema dell'emittenza radio-televisiva e, in generale, dell'informazione in Italia. Su tutti questi argomenti, peraltro, abbiamo potuto trarre importanti ausili di analisi dallo svolgimento delle audizioni in sede di indagine conoscitiva, aperta su iniziativa della VII Commissione Permanente del Senato della Repubblica e che ha preceduto la depositazione di tutte le proposte di riforma per il settore attualmente all'esame della Commissione stessa.
In effetti non si può, oggi, più trascurare il ruolo giocato da una disciplina del sostegno e della promozione del cinema che, pur avendo l'indiscutibile merito di assicurare i mezzi finanziari necessari alla produzione italiana, non contiene gli strumenti di intervento per un'azione pubblica fondata sul governo e la regolazione dei processi di sviluppo e aggiornamento del sistema creativo e produttivo del cinema, anche in riferimento alla necessità di garantire il pluralismo dell'offerta e della domanda e le libertà creative ed editoriali - temi cruciali del ruolo pubblico in materia di produzione culturale.
Il disegno di legge di riforma del settore che abbiamo proposto alla discussione del Parlamento, dunque, intende tracciare una nuova architettura dell'intervento pubblico per il cinema e l'audiovisivo, basata sulla tessitura d'una diversa governance.
A partire da un'innovazione dell'impostazione culturale della disciplina stessa: fin qui abbiamo avuto lo Stato, da solo, impegnato, quasi esclusivamente, a sostenere la produzione cinematografica con interventi di finanziamento diretto alle imprese. Il progetto per il futuro vede la Repubblica impegnata a fornire strumenti, anche finanziari, di sostegno e promozione culturale, dell'innovazione, della ricerca e della sperimentazione di nuovi linguaggi, e garanzie di pluralismo del mercato produttivo industriale. In questa nuova architettura, abbiamo ritenuto fondamentale gettare le basi per individuare gli strumenti operativi per la realizzazione della collaborazione tra tutti i soggetti pubblici coinvolti, ma anche quella tra quest'ultimi ed i soggetti privati che operano nell'intera filiera industriale.
Il nuovo Centro nazionale per il cinema e l'audiovisivo, istituito nella proposta, si colloca come il mezzo per il perseguimento di questi obiettivi. Lungi dal porsi in sovrapposizione all'amministrazione statale competente e agli altri enti pubblici e semi-pubblici esistenti, il Centro viene creato per razionalizzare e semplificare il sistema pubblico di sostegno e promozione dell'intero settore, passando dall'attuale frammentazione delle competenze amministrative ad una gestione unitaria, organica e più coerente con gli indirizzi politici di intervento e con i bisogni degli agenti privati. Non sfuggirà alla lettura che l'aggettivo nazionale che connota il Centro introduce nel nostro sistema normativo, per la prima volta dal 2001, un organismo che coinvolge direttamente gli enti di governo territoriali nei processi decisionali e di programmazione, prevedendo la presenza di membri espressi dalla Conferenza Stato-regioni nel consiglio di amministrazione. Si crea un organismo a carattere operativo per la gestione unitaria delle risorse e degli interventi e che, pur essendo indirizzato e vigilato dal ministro competente, gode dell'autonomia statutaria, organizzativa e gestionale indispensabile per l'efficacia della propria azione. L'unità dell'azione del nuovo Centro nazionale viene perseguita anche con l'avvio di una serie di procedure, previste in legge, per riportare alla competenza di questo nuovo organismo pubblico, oltre all'attuazione degli indirizzi e al conseguimento degli obiettivi culturali e di politica industriale, la gestione di una serie di attività, anche a carattere scientifico (ad esempio, i compiti di osservatorio o la tutela e la valorizzazione del patrimonio filmico ed audiovisivo), e di servizi (come la tenuta del pubblico registro cinematografico) che, ai fini della bontà e dell'adeguatezza stessa delle azioni pubbliche per il sistema cine-audiovisivo, consideriamo addirittura strategiche. All'interno del sistema ampio dell'espressione e dei linguaggi artistici, il cinema e l'audiovisivo hanno una propria autonoma collocazione che deriva dalla natura stessa di questa modalità creativa. Il nesso tra l'ideazione cine-audiovisiva e le tecniche indispensabili per la realizzazione e la rappresentazione delle opere (che ne consentono il godimento da parte del pubblico) è, infatti, indissolubile. Per questo riteniamo essenziale, anche ai fini della missione culturale che una nuova disciplina deve porsi, che per il settore del cinema e dell'audiovisivo gli interventi pubblici seguano un'ottica binaria: promozione e sostegno del cinema e dell'audiovisivo come fenomeno culturale e, contemporaneamente, politiche di sviluppo industriale.
Vorrei, infine, ringraziare Aedon e Il Mulino per avere dedicato a questi temi la giornata di studio del 9 ottobre scorso; ogni occasione di incontro e riflessione è, infatti, uno strumento prezioso per proseguire e migliorare il nostro lavoro.