La "delegazione contrattuale" di funzioni amministrative: in particolare la scelta del contraente e l'esecuzione dei contratti aventi ad oggetto beni culturali
di Federico VenturaSommario: 1. Premessa. - 2. La regolamentazione in materia di appalti pubblici: i fini pubblici della gara e della corretta esecuzione del contratto. - 3. La "delegazione contrattuale" della funzione amministrativa di stazione appaltante.
Con il presente scritto si intende dare cenno a ciò che sarà di seguito definito come "delegazione contrattuale" di funzioni amministrative, volendo intendere quel particolare fenomeno giuridico che consente ai soggetti pubblici che rivestono funzioni di stazione appaltante di delegare la stessa funzione a terzi privati, non su base provvedimentale, ma contrattuale.
In via generale, la delegazione è istituto presente sia nel diritto civile, sia nel diritto amministrativo. Nel primo caso, il fenomeno ha alla base un contratto avente l'effetto di sostituire al primo soggetto obbligato, nei confronti del creditore, un terzo. Nel secondo caso, un atto amministrativo legittimato da una specifica norma, permette ad un organo o ente, investito in via originaria della competenza a provvedere, di trasferire tale competenza a terzi, in genere altro soggetto pubblico.
Ebbene, la normativa in materia di approvvigionamenti pubblici di lavori conosce un principio generale di divieto di trasferimento a terzi su base provvedimentale di quella particolare funzione amministrativa rappresentata dall'assolvimento dei compiti di stazione appaltante e, contemporaneamente, consente alcune deroghe a tale principio, il quale si manifestano tramite forme di contratto tra un soggetto pubblico ed un soggetto privato che, di fatto, comprendono nel proprio oggetto anche la delegazione della funzione di stazione appaltante.
Di questa eccezione si dirà nelle righe che seguono, con particolare riferimento agli affidamenti di lavori aventi ad oggetto beni culturali.
2. La regolamentazione in materia di appalti pubblici: i fini pubblici della gara e della corretta esecuzione del contratto
Da sabato 1 luglio 2006, giorno di entrata in vigore, il d.lg. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (di seguito "Codice dei contratti pubblici") rappresenta in ordine temporale l'ultimo intervento del legislatore nazionale in materia di appalti e concessioni.
Il Codice dei contratti pubblici è il frutto di una repentina ed anticipata attuazione da parte del governo della legge delega 18 aprile 2005, n. 62, normativa che prevedeva il mese di novembre del 2006 come termine per la propria attuazione [1].
Il Codice dei contratti pubblici, nella sua originaria lettera, è rimasto vigente per soli quatto giorni, in quanto il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con legge 4 agosto 2006, n. 248, prima, e la legge 12 luglio 2006, n. 228, poi, ne hanno modificato, integrato e sostituito alcuni articoli, recentemente ancora oggetto di intervento normativo con il decreto legislativo 2007, n. 6 [2].
La repentina nascita nonché le immediate modificazioni del Codice hanno, ancora una volta, dimostrato come la materia degli approvvigionamenti pubblici sia oggetto di contrastanti tensioni.
Il motivo di questo sta nel fatto che, tutta la materia, null'altro è che il punto di incontro di più fini, sia amministrativi, sia di politica economica: le norme e le regole sui pubblici affari sono il frutto del bilanciamento tra diversi principi generali dell'ordinamento, tra diverse logiche e fini pubblici, elementi spesso tra loro disallineati o addirittura contrastanti. Il risultato visibile sta nella rapidità e ripetitività della penna del legislatore nello scrivere le norme in materia.
La materia degli appalti aventi ad oggetto beni culturali, che aveva trovato sede nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30, oggi si ritrova nel titolo IV della Parte II del Codice dei contratti pubblici, il quale racchiude sotto la rubrica "Contratti in taluni settori", i contratti nel settore della difesa ed i contratti relativi a beni culturali i quali, proprio per le loro intrinseche caratteristiche, mostrano in modo ancora più evidente, rispetto ad altri ambiti, come i diversi fini pubblici possano tra loro trovare composizione ad assetto instabile nel tempo.
In via generale, la regolamentazione in materia di approvvigionamenti pubblici ha due principali ambiti: la fase di gara, ossia la scelta del contraente, e la fase di esecuzione del contratto, ossia la realizzazione del lavoro, del servizio e della fornitura.
La gara ha, principalmente, tre fini: la buona spendita del denaro pubblico, l'imparzialità e la creazione di una concorrenza per il mercato.
Buona spendita del denaro pubblico significa congrua allocazione di risorse pubbliche in modo efficace, ossia nei confronti di operatori economici capaci, in assenza di cause ostative di ordine pubblico; imparzialità significa scelta del contraente in base a criteri diversi dall'arbitrio e dalla sola fiducia del committente; la concorrenza ha il fine di incentivare la leale competizione tra gli operatori economici, ed è vista come il principale mezzo per creare un mercato non distorto da influenze ad esso esterne.
Il perseguimento di questi fini, oggi congiunto e concomitante, è il frutto di diverse logiche rinvenibili nella successione delle normative in materia.
Negli anni venti del secolo scorso, per la prima volta in modo organico, lo Stato ha definito lo strumento della gara come mezzo: il regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 ed il regolamento di attuazione, regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 [3], sono stati la base della amministrazione del patrimonio e della contabilità pubblica. In questo alveo, la gara pubblica ha trovato una regolamentazione organica. Il contratto era visto non come fonte di rapporti giuridici con i privati, ma come fonte di entrate o di uscite, e lo Stato diveniva "banditore" a fini di bilancio. L'assenza di gara era vista come un'eccezione.
Nella Costituzione del 1948 sono stati fissati due precetti per l'agire amministrativo, in ogni ambito in cui esso si esplichi: l'imparzialità e il buon andamento. E' stato compito del legislatore declinare il dettato costituzionale nei vari ambiti, tra cui anche la contrattazione. Le gare, allora, divengono procedimenti amministrativi atti a garantire l'imparzialità nella scelta del terzo contraente. I concorrenti alla gara, portatori di interessi legittimi, possono contestare l'agire pubblico, se connotato da eccesso di potere o violazione di legge.
Ma è il 25 marzo del 1957, con la firma di Roma del Trattato ad istituzione della Comunità economica europea, che la materia trova connotazioni del tutto nuove. Con la nascita della Cee, la stessa inizia ad agire nel tentativo di perseguire il proprio fine ultimo, ossia la creazione di un mercato unico, senza barriere, dazi e limiti. Nel suo agire, la Comunità regola vari ambiti e mercati, arrivando a riflettere su quei mercati connotati da una particolarità: la domanda pubblica. La contrattazione pubblica non è più modo di agire dello Stato, ma diviene un mercato come gli altri, seppur connotato dal fatto che, in esso, chi chiede beni, lavori o servizi è un soggetto pubblico. Si comprendono allora i motivi, i metodi e gli ambiti di regolazione comunitaria. La Comunità ha interesse esclusivo nella creazione di un mercato unico efficiente e non distorto. Ciò è perseguibile, sopra determinate soglie di importo dell'affidamento, mediante la creazione di una concorrenza per il mercato, portato di un allineamento delle normative nazionali in materia sulla base di direttive a ciò dedicate. Sotto tali soglie di importo, gli Stati membri non sono tenuti ad incentivare la concorrenza sopranazionale, difficilmente raggiungibile anche se incentivata per mancanza di attrattività economica, ma, al contempo, non possono nemmeno ostacolare la stessa se naturalmente presente: gli stessi Stati sono, infatti, tenuti al rispetto del Trattato Ce, che impone la non discriminazione degli operatori in base alla nazionalità e la parità di trattamento tra gli stessi. Infine, l'ambito di regolazione comunitario non può che risiedere nelle procedure di gara, unica fase ove si gioca la concorrenzialità, nulla statuendo sulla esecuzione dei contratti.
Proprio la fase di esecuzione deve, invece, essere di profondo interesse da parte dei legislatori dei diversi Stati membri, in quanto qui risiede la tutela della qualità delle opere e dei servizi.
Non a caso il Codice dei contratti pubblici indica, all'art. 2, come principi ispiratori la qualità delle prestazioni del privato, la tempesitività e la correttezza [4].
Quanto detto assume connotati e caratteristiche peculiari se si entra nello specifico ambito dei beni culturali. I beni mobili e immobili, gli elementi architettonici e le superfici decorate di beni del patrimonio culturale, rientranti nell'ambito di applicazione del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sono oggetti di intervento che portano il legislatore a derogare alle comuni logiche ed alla normativa generale in materia.
Al soggetto che esplica le funzioni di stazione appaltante è lasciato qui maggior margine decisionale, vista la peculiarità tecnica degli interventi. E' così che il legislatore sacrifica in parte la concorrenzialità al fine di tutelare l'interesse culturale sottostante prevedendo, all'art. 204 del Codice dei contratti pubblici, forme di negoziazione fino ad importi di cinquecentomila euro e non solo per i generali centomila euro; inoltre la qualificazione degli operatore diviene, a norma dell'art. 201, fase di centrale importanza e di necessaria verifica specifica del committente pubblico [5].
Anche la fase di esecuzione del contratto si basa non solo sul generale principio di qualità delle opere, ma sullo specifico obbligo di assicurare l'interesse pubblico alla conservazione e protezione dei beni culturali, come enunciato dall'art. 198 [6] del Codice dei contratti pubblici, ed i ruoli del progettista e del direttore dei lavori assumono caratteristiche peculiari a norma dell'art. 202.
3. La "delegazione contrattuale" della funzione amministrativa di stazione appaltante
La mano operativa pubblica ha, quindi, un ruolo decisivo nel rendere realtà i fini che l'ordinamento si pone in termini generali ed astratti in materia di approvvigionamenti pubblici ed, in particolar modo, in materia di beni culturali.
In questo alveo, si colloca il concetto di stazione appaltante, spesso frainteso con quello di committente. Quest'ultimo è la controparte contrattuale di un operatore economico, senza che vi siano connotazioni o fini di natura pubblica. Stazione appaltante, di converso, è una funzione pubblica, che si risolve nei compiti di scelta del contraente, nell'osservanza dei principi di buona spendita del denaro pubblico, di imparzialità e di concorrenzialità, nonché nel compito di vigilanza dell'operato dell'appaltatore, nell'osservanza dei principi di buona esecuzione delle opere, in generale, e di tutela e valorizzazione dei beni culturali, nello specifico.
Non a caso, l'art. 33, comma 3 del Codice dei contratti pubblici vieta alle amministrazioni di affidare a soggetti terzi, pubblici o privati, l'espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici, a sottolineare la centralità delle attività pubblicistiche quando l'oggetto del contratto non è una fornitura di un bene o l'erogazione di un servizio, attività rivolte all'ente stesso, ma lo svolgimento di una attività di utilità per tutta la collettività, come sono i lavori.
Ciò nonostante, l'ordinamento affianca a questo generale divieto, alcune deroghe allo stesso, basate su istituti che, di fatto, arrivano a concretizzare ipotesi di "delegazione contrattuale" della funzione di stazione appaltante. La delegazione della funzione di stazione appaltante non è qui oggetto di un provvedimento amministrativo, ma di un accordo. Tra questi rientrano, oltre alle ipotesi di concessione di lavori pubblici (di cui all'art. 143 del Codice dei contratti pubblici), per quanto concerne i beni culturali, il contratto di sponsorizzazione (o accordi affini), previsto dall'art. 26 del Codice dei contratti pubblici, nonché le persone giuridiche pubblico-private dell'art. 112 del Codice dei beni culturali e del paesaggio [7].
Nel caso in cui l'amministrazione scelga uno sponsor, si individua un soggetto in grado di pagare l'intervento, senza necessariamente doverlo eseguire in prima persona. L'art. 26 del Codice dei contratti pubblici fa espresso riferimento alle ipotesi in cui il contratto di sponsorizzazione ha per oggetto un intervento di restauro e di manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici sottoposti a tutela ai sensi del d.lg. 42/2004 ss.mm.ii., sancendo che lo sponsor debba realizzare i lavori a proprie spese e cure [8]. Questo legittima lo sponsor a scegliere un contraente che ponga in essere l'intervento, con il quale conclude un contratto estraneo alla normativa pubblicistica in materia. Può, pertanto, accadere che lo sponsor sia una fondazione bancaria che sceglie il proprio contraente e conclude con lo stesso un contratto avente un oggetto "pubblico".
L'art. 120 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel prevedere la sponsorizzazione di beni culturali, si pone come norma speciale e settoriale sul punto [9].
Per questo motivo l'art. 26 del Codice dei contratti pubblici detta tre regole di base, che possono essere le linee di fondo di ogni "delegazione contrattuale":
a) il contraente (nel caso specifico lo sponsor) deve essere scelto applicando i principi del Trattato Ce;
b) i progettisti e gli esecutori devono avere i requisiti soggettivi previsti dalla normativa pubblicistica;
c) il soggetto pubblico beneficiario dei lavori deve impartire le prescrizioni opportune in ordine alla progettazione, direzione lavori ed esecuzione del contratto.
Se tutto questo viene letto e applicato nell'ambito dei beni culturali, in base a quanto si è detto, si può notare come il ruolo pubblico, anche nei casi di "delegazione contrattuale" della funzione di stazione appaltante non possa perdere il proprio compito di tutela e valorizzazione.
La totale privatizzazione della gara porterebbe ad una inevitabile distorsione del mercato con minor tutela della imparzialità e dell'incentivo alla leale concorrenza. Egualmente, la mancanza di controllo e vigilanza pubblica in sede di esecuzione porterebbe ad un minor tutela dei beni pubblici.
Per questi motivi in caso di legittimo e possibile trasferimento di compiti dal pubblico al privato su base contrattuale, sarebbe necessario ed utile che le parti disciplinassero i reciproci compiti ed attività in via preventiva, in base ad un accordo in grado di consentire l'inserimento di un privato nelle logiche pubbliche di scelta ed esecuzione, senza dimettere una funzione amministrativa di centrale importanza come quella di stazione appaltante.
Qui dovrebbero trovare sede le linee di fondo della scelta dell'appaltatore, anche mediante un confronto tra più offerenti, con una particolare attenzione all'applicazione dell'art. 38, comma 1 lett. f) del Codice sui contratti pubblici, norma che impone il divieto per una amministrazione di concludere accordi con i soggetti che, su prestazioni precedentemente affidate "hanno commesso grave negligenza o mala fede nell'esecuzione" nei confronti della stazione appaltante che bandisce la gara o di altre. Solo l'applicazione d questa norma anche da parte di committenti privati che affidano "oggetti pubblici" può evitare che l'operatore economico non legittimato a contrarre direttamente con l'amministrazione possa aggirare il divieto, consentendo altresì maggior certezza di buona esecuzione del contratto.
In aggiunta, sarebbe necessario che l'ente pubblico ed il privato "delegato contrattualmente" ad essere committente, trovassero accordo sulla allocazione di responsabilità, anche economiche, per le varie ipotesi che possono verificarsi in corso di esecuzione, come la revisione dei prezzi contrattuali, le varianti in corso d'opera, la custodia delle opere, la verifica e il collaudo.
Note
[1] In particolare, l'art. 25 della citata legge 62/2005 dispone, al comma 1: "Il governo è delegato ad adottare, con le modalità di cui all'articolo 1, uno o più decreti legislativi volti a definire un quadro normativo finalizzato al recepimento della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, e della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) compilazione di un unico testo normativo recante le disposizioni legislative in materia di procedure di appalto disciplinate dalle due direttive coordinando anche le altre disposizioni in vigore nel rispetto dei princìpi del Trattato istitutivo dell'Unione europea; b) semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici; c) conferimento all'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, in attuazione della normativa comunitaria, dei compiti di vigilanza nei settori oggetto della presente disciplina; l'Autorità, caratterizzata da indipendenza funzionale e autonomia organizzativa, si dota, nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di organizzazione e di analisi dell'impatto della normazione per l'emanazione di atti di competenza e, in particolare, di atti amministrativi generali, di programmazione o pianificazione. I compiti di cui alla presente lettera sono svolti nell'ambito delle competenze istituzionali dell'Autorità, che vi provvede con le strutture umane e strumentali disponibili sulla base delle disposizioni normative vigenti e senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato; d) adeguare la normativa alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 7 ottobre 2004 nella causa C-247/02".
[2] Il d.l. 4 luglio 2006 (c.d. decreto Bersani), convertito con legge 248/2006, tramite la disposizione di cui all'art. 2 ha operato una abrogazione implicita delle disposizioni del Codice che facevano riferimento a tariffe obbligatorie fisse o minime con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali; la legge 228/2006, invece, ha parzialmente abrogato l'art. 177 e sospeso sino al 1 febbraio 2007 l'applicabilità di alcune norme del Codice dei contratti pubblici; il d.lg. 6/2007 ha posticipato la sospensione sino al 1 agosto 2007 e modificato alcune norme.
[3] Si tratta, rispettivamente, del provvedimento relativo alle "Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato" e del "Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato".
[4] Il testo del comma 1, art. 2 del Codice recita: "L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice".
[5] L'art. 201 del Codice rimanda al regolamento attuativo per la puntuale definizione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori di lavori riguardanti beni culturali, ad integrazione di quelli generali definiti dal medesimo regolamento.
[6] In particolare, a norma del comma 1 dell'art. 198, le disposizioni del Capo II, Titolo IV, Parte II del Codice "dettano la disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni mobili e immobili e gli interventi sugli elementi architettonici e sulle superfici decorate di beni del patrimonio culturale, sottoposti alle disposizioni di tutela di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, al fine di assicurare l'interesse pubblico alla conservazione e protezione di detti beni e in considerazione delle loro caratteristiche oggettive".
[7] Nel caso della concessione, l'amministrazione sceglie un soggetto dotato di capacità economiche e finanziarie, a norma dell'art. 98 del d.p.r. 554/1999 e ss.mm.ii e, se quest'ultimo è privo di qualificazione per la realizzazione dell'intervento, gli consente, a norma dell'art. 149 del Codice, di scegliere mediante gara l'esecutore. Nel caso di creazione di un soggetto terzo rispetto all'ente pubblico, nel quale sono partecipi anche capitali privati, si ha un trasferimento di attività anche se, in questo caso, verso un soggetto pensato e strutturato per svolgere le stesse.
[8] Si
riporta il testo dell'art. 26 del Codice: "1. Ai contratti di sponsorizzazione
e ai contratti a questi assimilabili, di cui siano parte un'amministrazione
aggiudicatrice o altro ente aggiudicatore e uno sponsor che non sia un'amministrazione
aggiudicatrice o altro ente aggiudicatore, aventi ad oggetto i lavori di cui
all'allegato I, nonché gli interventi di restauro e manutenzione di
beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici sottoposti a
tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ovvero i servizi
di cui all'allegato II, ovvero le forniture disciplinate dal presente codice,
quando i lavori, i servizi, le forniture sono acquisiti o realizzati a cura
e a spese dello sponsor, si applicano i principi del Trattato per la scelta
dello sponsor nonché le disposizioni in materia di requisiti soggettivi
dei progettisti e degli esecutori del contratto.
2. L'amministrazione aggiudicatrice o altro ente aggiudicatore beneficiario
delle opere, dei lavori, dei servizi, delle forniture, impartisce le prescrizioni
opportune in ordine alla progettazione, nonché alla direzione ed esecuzione
del contratto".
[9] L'art.
120 del d.lg. 42/2004 ss.mm.ii. sancisce: "1. E' sponsorizzazione di
beni culturali ogni forma di contributo in beni o servizi da parte di soggetti
privati alla progettazione o all'attuazione di iniziative del Ministero, delle
regioni e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero di soggetti privati,
nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo
di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto
dell'attività dei soggetti medesimi.
2. La promozione di cui al comma 1 avviene attraverso l'associazione del nome,
del marchio, dell'immagine, dell'attività o del prodotto all'iniziativa
oggetto del contributo, in forme compatibili con il carattere artistico o
storico, l'aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare,
da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione.
3. Con il contratto di sponsorizzazione sono altresì definite le modalità
di erogazione del contributo nonché le forme del controllo, da parte
del soggetto erogante, sulla realizzazione dell'iniziativa cui il contributo
si riferisce".