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La elaborazione del "diritto dei beni culturali" nella giurisprudenza costituzionale [*]

Parte prima - Premessa

di Guido Clemente di San Luca

Sommario: 1. Premessa. - 2. Come valutare il ruolo svolto dalla Corte costituzionale nella cruciale e complessa materia dei beni culturali.

1. Premessa

L'obiettivo di questo studio - come si evince facilmente dal titolo - è di verificare l'apporto che la Corte costituzionale ha dato alla elaborazione di quella branca del 'diritto amministrativo' (in parte coincidente, e perciò intersecantesi, con il 'diritto urbanistico') che, ormai pacificamente, viene identificato come 'diritto dei beni culturali'.

Esso, in altre parole, si propone di far luce sul ruolo svolto dalla giurisprudenza costituzionale nella 'evoluzione' della disciplina Diritto dei beni culturali, e non semplicemente di esaminare le pronunce della Corte aventi ad oggetto la disciplina di tali beni.

Allo scopo di definire i confini dell'indagine è bene precisare che essa è limitata ai beni culturali in senso stretto - per intendersi: quelli che sino a poco tempo fa erano chiamati beni di interesse storico-artistico - e non tratta i beni paesaggistici, nonostante la disciplina di questi ultimi sia stata di recente unita a quella dei primi in un solo corpus normativo, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, emanato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (da poco modificato ad opera dei decreti legislativi 24 marzo 2006, nn. 156 e 157).

2. Come valutare il ruolo svolto dalla Corte costituzionale nella cruciale e complessa materia dei beni culturali

Al fine di valutare il ruolo svolto dalla Corte costituzionale con riguardo alla disciplina Diritto dei beni culturali occorre preliminarmente scegliere il criterio per classificare la copiosa mole di sentenze che essa ha avuto modo di emanare lungo il corso del suo operato cinquantennale.

Anche un esame superficiale delle numerose pronunce della Consulta in subiecta materia suggerisce - ed anzi forse impone - di operare una summa divisio fra quelle che entrano nel merito della disciplina (ora verificandone la legittimità costituzionale, ora, in qualche modo, contribuendo ad 'integrarla') e quelle che, invece, risolvono conflitti di attribuzione, o comunque si esprimono sui confini delle reciproche competenze di Stato, regioni ed autonomie locali.

Nella prospettiva segnata da questo criterio generale, l'esposizione che segue viene articolata, in ciascuna delle due parti in cui si svolge, provando a seguire - nei limiti in cui ciò è reso possibile dal dictum delle sentenze esaminate - il modello 'per sistemi' in cui, altrove, abbiamo di recente suddiviso la lettura del «Codice dei beni culturali» [1].

Secondo tale modello, «nell'impianto della legge sono riconoscibili le tre diverse coordinate della conservazione, del godimento e della valorizzazione», ai sistemi rispettivamente relativi alle quali va aggiunto quello, in qualche modo preliminare, della identificazione dei beni culturali, tutti e quattro nitidamente «riconducibili ai compiti, che l'art. 9 Cost. assegna alla Repubblica, di tutelare il patrimonio storico-artistico e di promuovere la cultura» [2].

Invero - come in quella sede si è avuto modo di esplicitare - lo schema adottato, prima dal Testo Unico 1999, e poi dal Codice del 2004, riproduce quello risalente alla legge del 1939, disegnando «il sistema pubblico di tutela dei beni culturali su due coordinate fondamentali, rappresentate dalla conservazione e dal godimento, termini con i quali si è soliti identificare, rispettivamente, l'attività volta ad assicurare la salvaguardia fisica del bene e la permanenza nel tempo dei suoi valori; e quella volta a garantirne la fruizione e, per il suo tramite, l'assolvimento della funzione culturale di arricchimento ed elevazione spirituale che detto bene, in virtù delle sue caratteristiche, è chiamato ad assolvere. I due obiettivi sono, chiaramente, intimamente correlati: è di tutta evidenza, infatti, che, così come il godimento necessita strumentalmente della conservazione del bene, lo scopo di preservare le "cose d'arte" e garantirne l'integrità appare direttamente finalizzato a quello di poterle conoscere e goderne» [3].

Il Codice, peraltro, arricchisce in modo significativo l'impianto della legge del 1939 (e da questa trasfuso nel T.U.). «Esso, infatti, funzionalizza, sì, al pari di quella, l'azione amministrativa nel settore alle due teleologie consolidate della conservazione e del godimento, ma affianca ad esse, con pari dignità concettuale, la valorizzazione», il cui concetto «– opportunamente tenuto distinto da quelli di fruizione e di gestione - è più chiaro e rigoroso del suo corrispettivo contenuto nel decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112: nel formularlo, il legislatore ha avuto cura di eliminare ogni riferimento a scopi di tipo conservativo, esplicitando, in maniera inequivoca, la finalizzazione delle attività di valorizzazione ad obiettivi di promozione della conoscenza dei beni culturali» [4].

Prima di procedere alla esposizione, però, non pare inutile riferire alcune significative cifre derivanti dalla ricerca effettuata, perché esse danno la misura del 'lavoro' svolto dalla Corte in questa materia nel corso dei suoi cinquant'anni di attività.

Digitando la espressione 'beni culturali' nella banca-dati del sito della Corte costituzionale si selezionano ben 350 sentenze. All'esito di successive interrogazioni con ulteriori e più specifiche parole chiave, si è giunti ad un numero di 39 sentenze, sulle quali è costruita la presente riflessione.

Catalogando le sentenze in parola in base alla summa divisio richiamata poco sopra si ricava che: 11 si occupano esclusivamente del merito della disciplina; 14 solo di definizione dei confini della competenza fra Stato e regioni; 13 si occupano di entrambi i profili; 1, infine, concerne aspetti peculiari (sent. 237/1997).

In definitiva, 24 di esse hanno ad oggetto il merito della disciplina e 27 hanno ad oggetto questioni di definizione dei confini della competenza fra Stato e regioni (solo 10 delle quali, peraltro, decidono un conflitto di attribuzioni).

Più in particolare, del primo gruppo, quello sulla disciplina, le sentenze hanno ad oggetto: 4, questioni relative alla identificazione [5]; 11, questioni concernenti la conservazione [6]; 1, questioni attinenti al godimento [7]; 6, questioni riguardanti la valorizzazione [8]; 1, questioni tanto di identificazione che di valorizzazione [9]; 1, questioni tanto di conservazione che di valorizzazione [10].

Invece, del secondo gruppo, quello sulla competenza, le sentenze hanno ad oggetto: 3, questioni relative alla identificazione [11]; 11, questioni concernenti la conservazione [12]; nessuna questione attinente al godimento; 11, questioni riguardanti la valorizzazione [13]; 1, questioni tanto di identificazione che di valorizzazione [14]; 1, questioni tanto di conservazione che di valorizzazione [15]. Di queste, 10 sono successive alla riforma del Titolo V della Costituzione e 17 sono antecedenti ad essa. E' significativo sottolineare che le 10 successive coprono un arco temporale di soli 3 anni, a fronte delle restanti 17 che, a far data dalla prima (74/1969), coprono invece un ben più lungo arco temporale: 33 anni.

Infine, va precisato che l'analisi è stata effettuata attraverso una periodizzazione del lavoro svolto dalla Corte, determinata dai momenti istituzionali che segnano il diverso paradigma giuridico di riferimento che il giudice delle leggi ha, di volta in volta, interpretato e/o giudicato costituzionalmente legittimo.

Il primo periodo può sicuramente individuarsi nell'arco che va dall'inizio dell'opera della Corte sino al biennio 1997/1998, nel corso del quale, come è noto, si è inaugurata la stagione della c.d. 'riforma federale a Costituzione invariata', attraverso le ben note 'leggi Bassanini' (leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127 e il d.lg. 112/1998. L'archetipo normativo di settore di questo primo periodo è costituito dalla famosa e longeva 'legge Bottai' (legge 1 giugno 1939, n. 1089), nonché dai decreti di trasferimento alle autonomie territoriali delle funzioni amministrative in materia di «musei e biblioteche di ente locale e di interesse locale» (d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 3, e d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616).

Il secondo periodo andrebbe, invece, delimitato a far data dalla fine del primo sino a tutto il 2001, anno in cui, con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, entra in vigore (l'8 novembre) la riforma del Titolo V della Costituzione.

Il condizionale è d'obbligo, giacché il d.lg. 112/1998, limitatamente al campo dei beni culturali, di fatto, non ha trovato applicazione, ciò determinando una sostanziale assenza di contenzioso dinanzi alla Corte. Del resto, sebbene nel mezzo di tale periodo muti il quadro di riferimento normativo di settore, per effetto dell'emanazione del T.U. (decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, con il quale vengono riuniti in un unico corpus normativo i numerosi testi legislativi in materia), ciò nondimeno l'apporto prettamente ricognitivo che esso offre non colma il vuoto di applicazione legislativa di cui si è appena detto.

Il terzo periodo, infine, va dalla riforma costituzionale ai giorni nostri. Il paradigma legislativo di settore, in questo periodo, muta nuovamente a seguito dell'emanazione del Codice dei beni culturali il quale, per quanto ad esso compete, dà attuazione al disegno istituzionale contenuto nella riforma della Carta.

Pertanto, la triplice periodizzazione, che sarebbe stata razionalmente suggerita da elementi di cronologia legislativa, va corretta, per la effettività delle vicende testé menzionate, in modo da tener distinti due soli intervalli temporali: quello che precede e quello che segue la riforma del Titolo V della Costituzione.

Sulla base dei due periodi così individuati, l'indagine si propone di conseguire due obiettivi fondamentali: a) verificare in che modo e misura la giurisprudenza costituzionale abbia contribuito alla integrazione della disciplina giuridica dei beni culturali; b) verificare se e come la giurisprudenza costituzionale abbia influenzato l'opera del successivo legislatore, costituzionale e ordinario, nella materia de qua.

Ciascuna delle due direttrici di ricerca, naturalmente, viene a sua volta articolata secondo due diverse profilature, derivanti dalla summa divisio riferita in precedenza, a seconda che l'attività della Corte abbia operato con riguardo alla disciplina del regime giuridico dei beni, ovvero alla titolarità delle competenze legislative ed amministrative in materia.

 

Note

[*] Il presente studio corrisponde quasi integralmente al testo scritto della relazione svolta al Convegno "Il diritto urbanistico in 50 anni di giurisprudenza della Corte costituzionale" (organizzato dall'Associazione Italiana di Diritto urbanistico e tenutosi a Napoli nei giorni 12 e 13 maggio 2006, presso l'Aula Magna del Rettorato della Seconda Università di Napoli), che è in corso di pubblicazione negli Atti relativi.

Devo ringraziare la dott.ssa Daniela Faggella per aver collaborato nell'attività di ricerca e classificazione della giurisprudenza della Corte, e, in modo speciale, la collega Rita Savoia, con la quale ho discusso ogni passaggio del testo, condividendo ragionamenti e riflessioni: ciò che, in materia di beni culturali, è, ormai da qualche lustro, una nostra consolidata, piacevole e proficua consuetudine.

[1] Sia consentito rinviare a G. Clemente di San Luca, R. Savoia, Manuale di diritto dei beni culturali, Jovene, Napoli, 2005.

[2] G. Clemente di San Luca, R. Savoia, op. ult. cit., p. 210.

[3] Così G. Clemente di San Luca, R. Savoia, Manuale di diritto dei beni culturali cit., p. 207.

[4] G. Clemente di San Luca, R. Savoia, op. ult. cit., pp. 208-209.

[5] Cfr. sentt. 118/1990; 173/2002; 345/2003; 232/2005.

[6] Cfr. sentt. 202/1974; 245/1976; 309/1984; 2/1987; 278/1991; 388/1992; 277/1993; 135/1994; 185/2003; 346/2003; 281/2005.

[7] Cfr. sent. 269/1995.

[8] Cfr. sentt. 149/1985; 64/1987; 462/1994; 26/2004; 272/2004; 160/2005.

[9] Cfr. sent. 94/2003.

[10] Cfr. sent. 9/2004.

[11] Cfr. sentt. 178/1971; 1034/1988; 232/2005.

[12] Cfr. sentt. 74/1969; 169/1976; 278/1991; 388/1992; 277/1993; 339/1994; 70/1995; 136/1996; 281/2003, 9/2004, 388/2005.

[13] Cfr. sentt. 149/1985; 64/1987; 479/1988; 921/1988; 264/1991; 462/1994; 306/1995; 26/2004; 272/2004; 160/2005; 205/2005.

[14] Cfr. sent. 94/2003.

[15] Cfr. sent. 372/2004.



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