I beni culturali e il paesaggio dopo le ultime riforme / I beni
Le cose di interesse numismatico
Non è facile capire (forse intuire sì) cosa abbia spinto il legislatore ad accanirsi contro una disciplina consolidata da decenni, sostanzialmente recepita nell'ultima codificazione del 2004 e, probabilmente, non bisognosa di grandi interventi.
Fatto sta che l'art. 10 - comma 3, lett. e) e comma 4, lett. b) - e l'allegato A - punto A, n. 13, lett. b) - del nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42) sono stati freneticamente ritoccati dai nostri parlamentari e dal governo che, alla luce dell'ultimo intervento legislativo (decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156), hanno poi modificato ben poco rispetto a quanto si era profilato con le modifiche apportate dal decreto legge 26 aprile 2005, n. 63 (convertito con la legge 25 giugno 2005, n. 109) e dal decreto legge 17 agosto 2005, n. 164, non convertito.
Non che le modifiche intervenute siano prive di rilievo giuridico, ma l'assetto della tutela numismatica, ad un certo momento (estate 2005), pareva irrimediabilmente stravolto, tanto da ridimensionare le pur significative novità della disciplina.
Ma andiamo con ordine.
In questo breve intervento, è mia intenzione mantenere il discorso su un piano prettamente pratico, poiché, a mio avviso, è questo che il concetto di tutela richiede. La tutela di un bene è cosa urgente. Non ha il tempo di aspettare le astrazioni dogmatiche e giuridiche, poiché così facendo la tutela stessa viene a mancare. Ed i beni che nel frattempo sono andati perduti? Della cui bellezza o storia nessuno potrà più fare tesoro? Di essi ne godranno solo in pochi, sempre che non vadano distrutti.
Il primo riferimento al concetto di interesse numismatico, come specificazione del più generale interesse storico-artistico, è contenuto nell'art. 1, comma 3, della legge 20 giugno 1909, n. 364. L'esigenza di una espressa menzione, come afferma autorevole dottrina [1], deriva dalla necessità di ovviare alla mancata indicazione di tali beni nella legge 12 giugno 1902, n. 185, prima vera iniziativa legislativa per la realizzazione di un sistema di protezione delle cose di antichità e d'arte.
Successivamente, la tutela è stata cristallizzata nella fondamentale legge 1° giugno 1939, n. 1089 ed è andata consolidandosi nel corso del tempo, prima con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo Unico dei beni culturali e ambientali) ed infine con il d.lg. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Con gli interventi normativi del 2005, però, la tutela pubblicistica delle monete antiche ha subito un duro contraccolpo, tanto da indurre gli studiosi italiani di numismatica ad insorgere duramente contro le scelte del governo e (soprattutto) del parlamento che, con l'art. 2-decies del d.l. 63/2005 (inserito solo in sede di conversione dalla legge 109/2005), avevano introdotto una distinzione tra monete di pregio - rientranti nel concetto di bene culturale, quindi sottoposte alla tutela del Codice - e monete di modesto valore o ripetitive, ovvero di cui esiste un notevole numero di esemplari tutti uguali, escludendo, per queste ultime, non solo l'obbligo di denuncia al ministero per i Beni e le Attività culturali (art. 59 del Codice), ma ogni altro obbligo di notificazione alle competenti autorità. Così stabilendo, tra il 26 giugno 2005 (entrata in vigore dell'art. 2-decies) e il 12 maggio 2006 (entrata in vigore del d.lg. 156/2006) si è materialmente impedito ogni controllo sulle monete ritrovate e si è largamente favorito il loro commercio selvaggio.
Molto significativa, nel primo intervento normativo del 2005, è stata la sostituzione della lett. b), numero 13, dell'allegato A al Codice, poiché ha escluso la sottoposizione delle monete antiche e moderne di modesto valore o ripetitive, o conosciute in molti esemplari o non considerate rarissime, ovvero di cui esiste un notevole numero di esemplari tutti uguali, ad alcuni istituti fondamentali di protezione quali: la dichiarazione preventiva di esercizio del commercio di cose antiche o usate (art. 63, comma 1); la disciplina prevista dalla normativa comunitaria per l'esportazione, anche temporanea, al di fuori del territorio dell'Unione europea (art. 74, commi 1 e 3); la disciplina delle restituzioni dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro dell'Unione europea (art. 75, comma 3, lett. a).
Il problema, a mio avviso, era aggravato dal fatto che la valutazione sulla ripetitività e sul pregio delle monete veniva lasciata esclusivamente alla discrezionalità del privato detentore, senza l'intervento dell'autorità competente. Le conseguenze di tale scelta si intuiscono e si scrivono da sole... monete particolarmente importanti, considerate in qualche modo ripetitive, venivano unilateralmente escluse dalla tutela ed immesse nel libero mercato.
Il legislatore, però, ha mal considerato (forse) alcuni elementi che caratterizzano la storia della numismatica e che gli studiosi della materia hanno subito portato all'attenzione dell'opinione pubblica e degli addetti ai lavori.
La moneta è di per sé un prodotto ripetitivo e seriale. La sua funzione economica, politica e rappresentativa richiedeva in passato e richiede, tuttora, ripetitività. Essa, soprattutto nell'antichità, rappresentava la capacità dell'Imperatore di procurarsi metallo prezioso da coniare, esteriorizzando il proprio potere e diffondendo ricchezza.
Inoltre in età classica, e fino a quasi tutto il XVIII sec., era sconosciuta la libertà di coniazione dei nostri giorni. Il principe coniava metallo acquistandolo ad un prezzo autoritativamente fissato, trattenendo le spese di coniazione ( i c.d. diritti di brassage) e i diritti dovutigli come signore della moneta (c.d. diritti di seigneuriage). Egli, quindi, aveva interesse a coniare la maggior quantità possibile di metallo e ad impedire che il metallo stesso potesse valorizzarsi differentemente. Da ciò l'emanazione di una corposa legislazione relativa al commercio dei metalli preziosi, che ne vietava l'esportazione ed il libero commercio, imponendone, invece, la presentazione alla zecca [2].
Se le monete, per essere sottoposte al regime di tutela, dovessero essere valutate come "pezzi unici", si rischierebbe di limitare la protezione ad oggetti meramente celebrativi di grandi figure della storia, privi in maniera assoluta di potere economico e di significato storico in senso lato. Ma allora non si parlerebbe più di numismatica.
La ripetizione (tra l'altro ben diversa dall'identicità [3]) non diminuisce il valore estetico e storico delle monete. Anzi, essendo la moneta un documento storico, la sua ripetitività informa oggi della floridezza economica, politica e militare di un popolo in un preciso momento storico. Essa, quindi, riprendendo la definizione che la commissione Franceschini diede dei beni culturali, diventa vera testimonianza materiale di civiltà [4]. Questa grande capacità di rappresentazione e di documentazione rientra a pieno titolo nel concetto di interesse storico che la disciplina del Codice assume come parametro per l'individuazione del carattere culturale dei beni da sottoporre a tutela.
Ciò senza tralasciare il pregio artistico e tecnico che valorizza il bene numismatico non solo come rappresentazione estetica di rilievo, ma come vera e propria opera d'arte [5].
E' vero, infatti, che l'interesse numismatico è sostanzialmente un interesse storico ed artistico ad un tempo, poiché riferito ad oggetti che rappresentano interessanti documenti della storia dei popoli, rivelando, al contempo, le capacità tecniche ed artistiche dei loro autori [6].
Sulla spinta di un disagio diffuso e manifesto, il governo ha tentato (infruttuosamente) di modificare la nuova normativa con l'emanazione del d.l. 164/2005, "Disposizioni urgenti in materia di attività cinematografica" (!).
L'art. 4 del decreto, infatti, abroga l'art. 2-decies del d.l. 63/2005 e modifica due importanti disposizioni dell'art. 10 del Codice, norma di importanza fondamentale per l'individuazione dei beni culturali da assoggettare a tutela.
Con la modifica della lett. e), terzo comma, dell'art. 10, la rilevanza numismatica assurge per la prima volta a parametro di riferimento per l'individuazione delle collezioni o serie di oggetti a chiunque appartenenti che, rivestendo, come complesso, un eccezionale interesse, sono assoggettate a tutela. Tali collezioni e raccolte diventano beni culturali in forza dell'apposito provvedimento di dichiarazione (art. 13 del Codice), indipendentemente dal soggetto che esercita potere su di esse, sia esso pubblico o privato. Inoltre, ai fini della dichiarazione la norma richiede l'esistenza di un interesse artistico o storico sui generis, cioè eccezionale. Una contraddittorietà, quest'ultima, se pensata in riferimento alle collezioni di interesse numismatico appartenenti a soggetti pubblici, poiché da sempre, per i beni di appartenenza pubblica, si deve accertare la presenza di un interesse culturale c.d. "semplice". Appare dubbia, quindi, l'intensità dell'interesse richiesto per sottoporre a tutela le collezioni e le raccolte numismatiche pubbliche.
Con la modifica della lett. b), quarto comma, dell'art. 10, poi, le cose di interesse numismatico (monete e medaglie) che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico appartenenti a soggetti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro (art. 10, comma 1), e quelle appartenenti a privati che rivestono interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante (art. 10, comma 3, lett. a), ricevono una specificazione che è figlia del famigerato art. 2-decies del d.l. 63/2005. Infatti, nella sua nuova formulazione la norma dispone che le cose di interesse numismatico, per essere assoggettate a tutela, non devono essere prodotte in serie o in modo ripetitivo. La ripetitività, secondo il dettato normativo, deve essere valutata in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione.
Rispetto alla versione precedente, l'accertamento della tutelabilità delle monete è nuovamente attribuita alle competenti amministrazioni, ma la protezione rimane circoscritta alle monete ritenute non seriali o ripetitive, sulla base di incerte caratteristiche produttive legate all'epoca, alle tecniche e ai materiali utilizzati.
Soprattutto, è fortemente contestabile la conservazione del concetto di ripetitività, che racchiude in sé aspetti particolarmente pericolosi per un settore dove, come ho già avuto modo di spiegare, le differenze tra monete della stessa tipologia sono riscontrabili unicamente da esperti osservatori.
La mancata conversione in legge del d.l. 164/2005, però, ha impedito la permanenza nell'ordinamento delle, sia pur lievi, correzioni alla disciplina. Anche gli effetti medio tempore prodotti dal decreto, infatti, decadono per effetto dello stop parlamentare.
Tuttavia, a distanza di qualche mese, un nuovo intervento legislativo richiama l'attenzione sulla tutela delle monete.
In materia di collezioni e raccolte numismatiche, l'art. 2 del d.lg. 156/2006 reintroduce, nell'art. 10 del Codice, la lett. e) del terzo comma, così come era stata momentaneamente modificata dall'art. 4 del d.l. 164/2005. Il commento, pertanto, non può che ripetere quanto detto in precedenza sulla neo-introduzione della rilevanza numismatica come parametro di riferimento per l'individuazione delle collezioni da sottoporre a tutela per l'eccezionale interesse rivestito dall'insieme dei singoli beni che le compongono.
Anche l'abrogazione dell'art. 2-decies del d.l. 63/2005, contenuta nell'art. 6 del d.lg. 156/2006, riproduce il contenuto del decreto non convertito, espungendo dall'ordinamento la norma che più di ogni altra era stata oggetto di contestazione.
Le novità di rilievo, però, giungono dalla modifica della lett. b), quarto comma, dell'art. 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Attualmente, rientrano nella tutela predisposta dal Codice quelle monete che possiedono, secondo il giudizio dei competenti uffici, il carattere della rarità o del pregio (anche storico), avuto riguardo all'epoca, al contesto di riferimento, alle tecniche e ai materiali di produzione.
Una enunciazione di questa portata è ben lontana dal predeterminare precisi criteri di valutazione, ma ha il merito, se non altro, di collegare la rarità o il pregio di una moneta antica a valori e caratteristiche obbiettive, soprattutto laddove individua la storicità come elemento di per sé sufficiente ad attribuire pregio ad una moneta.
Per ovvie ragioni, l'intensità dell'interesse storico-artistico di una moneta, necessario per l'assoggettamento a tutela, è differente secondo l'appartenenza della stessa alla mano pubblica o al privato cittadino. Mentre per le monete appartenenti a soggetti pubblici è sufficiente un interesse numismatico semplice (forse sarebbe più corretto dire che è sufficiente la semplice appartenenza della moneta al soggetto pubblico), per quelle di proprietà privata è necessario un interesse qualificato, particolarmente importante.
Pare rilevante sottolineare che la nuova disposizione individua la rarità e il pregio di una moneta come caratteristiche alternative, in presenza delle quali la disciplina del Codice si attiva. Ciò significa che una moneta priva del carattere della rarità, poiché presente in diversi esemplari uguali o, per lo meno, simili, può essere sottoposta a tutela per il fatto di rivestire un rilevante interesse storico. A sua volta, l'interesse storico può scaturire da una moltitudine di elementi e caratteristiche, facendo assumere alla valutazione dei pubblici uffici un ruolo preponderante nel procedimento di tutela. In quest'ottica, l'importanza che i vertici delle amministrazioni competenti, cui spetta la valutazione finale, sia attribuito a soggetti seriamente preparati, è circostanza sine qua non per una efficace e mirata opera di tutela. Solo in questo modo, d'altronde, rimane anche assicurato un commercio numismatico sano, che non si scontri con la strada obbligata del sotterfugio.
Questa, in definitiva, sembra la reale importanza dell'intervento legislativo che (forse una volte per tutte) concluderà le polemiche sollevate dallo slancio eccessivamente esuberante di qualche politico.
Tuttavia, non c'è chi non veda come il richiamo alla "rarità" della moneta, contenuta nell'art. 10, quarto comma, lett. b) del Codice, quale elemento determinante per l'applicazione della disciplina di garanzia, abbia tutto il sapore della passata esuberanza.
Note
[1] T. Alibrandi - P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, 185 s.
[2] T. Ascarelli, La moneta, Padova, 1928, 9.
[3] Si deve avere ben presente, oggi, che le tecniche di conio utilizzate nell'antichità non consentivano una ripetizione perfetta tra le singole monete. Spesso, quella che può apparire ripetizione è in realtà semplice somiglianza. Basta ripercorrere brevemente la procedura di coniazione per confermare l'assunto.
Per coniare una moneta erano necessari due coni precedentemente incisi, fra i quali veniva posto un pezzetto di metallo incandescente (c.d. "tondello"). Per imprimere la forma alla moneta e far sì che l'incisione contenuta all'interno dei coni si trasferisse sul metallo, i malleatores sferravano un deciso colpo di martello sul conio superiore. Per ovvie ragioni, l'operazione (completamente manuale) dava risultati continuamente differenti, sia per l'impossibilità di colpire il conio superiore con la stessa forza e nella medesima posizione, sia per la sempre diversa fusione dei metalli e preparazione dei "tondelli" ad opera dei flaturari.
Non solo. Dopo cinque o sei "battiture" i coni perdevano la loro freschezza originaria e, pertanto, venivano eliminati e sostituiti con nuovi coni, incisi (manualmente) con le medesime raffigurazioni, mai perfettamente identiche alle precedenti. La prima moneta della breve serie viene definita fior di conio ed è caratterizzata da una perfezione stilistica che non ha eguali nelle monete forgiate con i medesimi coni.
Esistevano, per ovvie ragioni, migliaia di maestri incisori che lavoravano instancabilmente nelle zecche imperiali per incidere migliaia di coni. Come già accennato, le incisioni manuali, nonostante l'identità del soggetto rappresentato, erano inevitabilmente diverse le une dalle altre.
Altre volte, piccole differenze di peso o di lega erano determinate dalla possibilità di utilizzare un quantitativo minore di metallo prezioso, a causa delle difficoltà di reperimento, oltre che dalla capacità dell'Imperatore di dare regolarità e stabilità al sistema monetario.
Tutte queste lievi differenze, in grado sì di rendere unica una moneta, non possono trovare spazio nel concetto di "ripetitività", dove tutto si appiattisce in uno sguardo superficiale. Solo l'occhio attento dell'esperto, infatti, è in grado di cogliere le finezze di un profilo romano, individuandone nuovi aspetti e nuovi significati.
[4] A norma dell'art. 2, comma 2, d.lg. 42/2004 "sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà". La caratteristica generale dei beni culturali, così inserita nel nuovo Codice, riprende in modo particolarmente fedele la definizione elaborata nel 1966 dalla commissione Franceschini che, appunto, individua i beni culturali come "testimonianza materiale avente valore di civiltà". Dalla "definizione Franceschini" il nostro legislatore ha espunto il riferimento alla materialità dei beni, come sottolinea giustamente G. Leone - A.L. Tarasco, Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2004, 47. Un'espunzione che, però, non consente di comprendere tra i beni culturali quelli c.d. immateriali, poiché la disposizione normativa fa unicamente riferimento al concetto di "cose".
[5] L'aspetto artistico è di fondamentale importanza nella valutazione di una moneta, soprattutto se antica (ad es. greca o romana). Ogni moneta, infatti, richiedeva che un maestro incisore (scalptor) incidesse sui coni, da un lato, il ritratto di un imperatore e, dall'altro, una figura allegorica o un evento storico o un monumento significativo. Ovviamente, l'incisore doveva realizzare questa piccola e raffinatissima opera d'arte incidendo a rovescio, al fine di ottenere il soggetto sul metallo battuto nella posizione corretta. Lo stile d'incisione rappresenta ancora oggi uno dei più importanti parametri per stimare il valore di una moneta antica.
[6] T. Alibrandi - P. Ferri, op. cit., 186; M. Cantucci, La tutela giuridica delle cose di interesse artistico e storico, Padova, 1953, 110; Volpe, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Leone - A.L. Tarasco, cit., 130.