Corte costituzionale
Sentenza 11-14 ottobre 2005, n. 388
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Piero Alberto Capotosti (Presidente); Giudici: Fernanda Contri; Guido Neppi Modona; Annibale Marini; Franco Bile; Giovanni Maria Flick; Francesco Amirante; Ugo De Siervo; Romano Vaccarella; Paolo Maddalena; Alfio Finocchiaro; Alfonso Quaranta; Franco Gallo; Luigi Mazzella; Gaetano Silvestri;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 2 e 8; 3, commi 2 e 3; 4, comma 1, lettera b), della legge della regione Puglia 23 dicembre 2003, n. 29 (Disciplina delle funzioni amministrative in materia di tratturi), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 26 febbraio 2004, depositato in cancelleria il 5 marzo 2004 ed iscritto al n. 38 del registro ricorsi 2004.
Visto l'atto di costituzione della regione Puglia;
udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 2005 il giudice relatore Francesco Amirante;
uditi l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Francesco Paparella per la regione Puglia.
Ritenuto in fatto
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 26 febbraio 2004 e depositato il 5 marzo 2004, ha impugnato gli artt. 2, commi 2 e 8; 3, commi 2 e 3, ed infine 4, comma 1, lettera b), della legge della regione Puglia 23 dicembre 2003, n. 29 (disciplina delle funzioni amministrative in materia di tratturi), in relazione agli artt. 9, 117, secondo comma, lettere s) e l), e terzo comma, e 118 Cost., nonché all'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2000, n. 283 (regolamento recante disciplina delle alienazioni di beni immobili del demanio storico e artistico). Il ricorrente premette che la conservazione e la tutela dei tratturi rivestono notevolissima importanza storico-culturale, in quanto essi costituiscono la preziosa testimonianza di percorsi formatisi in epoca protostorica in relazione a forme di produzione economica e di conseguente assetto sociale basate sulla pastorizia e perdurati nel tempo così da rappresentare un frammento di preistoria conservatosi pressoché intatto nel tempo ed arrichitosi delle ulteriori stratificazioni storiche, tanto da renderlo il più imponente monumento della storia economica e sociale dei territori dell'appennino abruzzese-molisano e delle pianure apule.
I tratturi sono stati dichiarati di interesse archeologico, sulla base della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (poi decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 - Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352) e con i decreti ministeriali 15 giugno 1976, 20 marzo 1980 e 22 dicembre 1983. In quanto beni archeologici, le aree tratturali costituiscono beni demaniali, ai sensi degli artt. 822 e 824 codice civile e sono inalienabili per effetto del disposto dell'art. 2 del d.p.r. 283/2000.
Sotto un primo profilo, rileva il ricorrente, la disciplina dei tratturi, in quanto qualificati come beni archeologici e soggetti alla tutela propria dei beni culturali, rientra nella competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sicché la legge impugnata sarebbe invasiva di tale competenza.
In particolare, l'art. 2 della medesima prevede che sul piano comunale dei tratturi, da redigersi obbligatoriamente al fine di regolare (con disposizioni aventi valenza urbanistica e carattere di variante rispetto allo strumento urbanistico vigente) l'utilizzazione delle aree tratturali, la soprintendenza archeologica, competente per territorio e preposta alla tutela del vincolo archeologico insistente sulle medesime aree, sia chiamata ad esprimere un mero parere in merito alla loro utilizzazione (commi 2 e 8). Quest'ultima - argomenta il ricorrente - potrebbe spingersi fino alla sottrazione di parte delle stesse aree al regime di tutela loro imposto e alla successiva alienazione o destinazione ad altri fini pubblici non meglio precisati, a parte la destinazione a strade.
Ne consegue che, sempre secondo il ricorrente, la norma delinea un piano comunale dei tratturi il quale può prevedere la destinazione "a soddisfare riconosciute esigenze di carattere pubblico" di aree tratturali anche non contigue a centri abitati o già manomesse dall'intervento dell'uomo, in cui il potere autorizzatorio della soprintendenza viene ridotto a mero potere consultivo. Inoltre, il piano può prevedere anche la vendita a privati di tali beni demaniali, riconoscendo in tal caso alla soprintendenza la sola possibilità di esprimere un parere. Così disponendo, la norma si pone in contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto può determinare una utilizzazione delle aree tratturali in deroga al regime di tutela loro imposto ed una conseguente, successiva alienazione o destinazione ad altri fini pubblici non precisati. Infine, l'esercizio della tutela è prerogativa dello Stato e può essere oggetto di intesa e coordinamento con le regioni solo entro i limiti fissati dalla legge statale, che nel caso è stata violata, in contrasto anche con l'art. 118, comma 3 della Costituzione.
L'art. 3, comma 2, dispone che la "giunta regionale, acquisito il parere favorevole della soprintendenza archeologica, può autorizzare la realizzazione da parte di enti pubblici di opere pubbliche e di pubblico interesse" nelle aree tratturali indicate all'art. 2, comma 2, lettera a), e definite "di interesse archeologico", in tal modo violando gli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), e 118 della Costituzione.
Infatti, l'assetto vigente in materia di tutela di beni archeologici è di diretta derivazione costituzionale, ed esso prevede che la soprintendenza archeologica abbia un potere di approvazione dei progetti "delle opere di qualunque genere" da eseguire in area vincolata e non rientranti nei casi sottoposti ad autorizzazione del ministero (artt. 21 e 23 del citato d.lg. 490/1999).
Il predetto assetto di tutela comporta, inoltre, che le aree tratturali siano sottoposte, in quanto zone di interesse archeologico, anche a vincolo paesaggistico ope legis, ai sensi dell'art. 146, comma 1, lettera m), del più volte richiamato Testo Unico. Pure tale vincolo impone l'obbligo di acquisire una preventiva autorizzazione per la manomissione del bene vincolato, ai sensi dell'art. 151 T.U. e secondo la procedura ivi indicata.
L'art. 3, comma 3, consente poi la sanatoria delle opere abusivamente eseguite successivamente all'imposizione del vincolo archeologico, previo parere della soprintendenza archeologica.
In base alla normativa vigente la sottoposizione dell'area tratturale anche al vincolo paesaggistico ex art. 146, comma 1, lettera m), impone l'applicazione dell'art. 151 del T.U. e, dunque, il rilascio dell'autorizzazione sottoposta a successivo controllo di legittimità da parte della competente soprintendenza. Inoltre, la sanatoria di abusi edilizi comporta il venir meno delle sanzioni collegate all'abuso e, dunque, coinvolge anche la materia penale, di esclusiva competenza statale, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere s) e l), della Costituzione.
Infine l'art. 4, comma 1, lettera b), prevede la possibilità che i tronchi tratturali possano essere alienati "a favore del soggetto utilizzatore, comunque possessore alla data di entrata in vigore della presente legge", in contrasto con l'art. 2 del d.p.r. 283/2000, da ritenere norma interposta, che dispone l'inalienabilità dei beni archeologici, consentendone solo il trasferimento da uno ad altro soggetto titolare di demanio.
Il ricorrente conclude affermando che, se le norme impugnate fossero interpretate come norme di valorizzazione, rientranti cioè in materia di competenza concorrente, dovrebbero ritenersi, in ogni caso, illegittime in quanto in contrasto con l'art. 97 del T.U., secondo il quale gli interventi di valorizzazione dei beni culturali sono comunque soggetti alle disposizioni di tutela, e tale norma è da considerare principio fondamentale.
2. Si è costituita la regione Puglia, osservando anzitutto che il comma 2 dell'art. 2 della legge censurata prevede il contenuto (da individuare e perimetrare) di ciascun piano comunale, in assonanza con le categorie dei tratturi previste dall'art. l della precedente legge della regione Puglia 15 febbraio 1985, n. 5 e fa espresso riferimento ai "tronchi armentizi che conservano l'originaria consistenza o che possono essere alla stessa reintegrati"; ai "tronchi armentizi" che, privi delle caratteristiche appena indicate, possono tuttavia corrispondere a esigenze pubbliche; ai "tronchi armentizi" che hanno subito permanenti alterazioni anche di natura edilizia. Quindi, secondo la regione, la riproduzione delle categorie di tratturi già indicate dalla legge regionale precedente peccherebbe per eccesso e non certo per difetto o per sviamento.
Infatti, il piano comunale dei tratturi avrebbe potuto essere limitato, nel suo contenuto, alla rilevazione dei tratturi veri e propri o a questi riconvertibili, essendo estraneo a questo contenuto ciò che tratturo più non è (parzialmente o totalmente). Viceversa la legge regionale impugnata mostra attenzione alla più completa ricostruzione del contesto storico-sociale precedente e, per quanto sia possibile, alla sua conservazione e alla sua riutilizzazione funzionale.
Questa ricostruzione appare tanto più significativa in quanto essa opera come variante al piano regolatore generale del comune ed a modificazione e integrazione del piano territoriale tematico dell'ambiente della regione Puglia.
Osserva la regione che il comma 7 dell'art. 2, recita: "Il verbale recante le determinazioni assunte dalla conferenza dei servizi, con i vincolanti pareri della regione Puglia, della archeologica e della soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, costituisce proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale". Tuttavia il parere di un organo della pubblica amministrazione è vincolante perché questa è obbligata a tenere il comportamento previsto nel parere oppure (a salvaguardia della discrezionalità nell'an) a non tenere alcun comportamento. Ne consegue che l'attività di tutela in titolarità dello Stato, e cioè "ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere, i beni culturali e ambientali" (art. 148 del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1998, n. 112), è assai più ed assai meglio assicurata dal parere vincolante di due organi dello Stato piuttosto che dall'esercizio del potere autorizzatorio.
Inoltre l'art. 2, comma 8, prevede il potere di alienare o di non alienare (i tratturi che, pur segnando un percorso ideale, non siano morfologicamente, in toto o in gran parte, idonei ad identificarlo), il quale, per il tramite del parere vincolante della soprintendenza archeologica, resta in capo allo Stato.
Quanto poi alla possibilità, prevista dall'impugnato art. 3, comma 2, che la giunta regionale autorizzi un ente pubblico a edificare, in deroga al comma 1 dell'art. 3, opere pubbliche o di pubblico interesse, la regione rileva che l'autorizzazione regionale, secondo il comma 2, è subordinata al parere favorevole della soprintendenza archeologica, in difetto del quale la giunta regionale non potrebbe legittimamente deliberare alcunché. Ne consegue che non può dirsi violato il potere di "approvazione" delle opere che spetta, per il tramite della soprintendenza archeologica, allo Stato.
La regione ritiene inoltre che la censura relativa al comma 3 dell'art. 3, scaturirebbe da una incompleta lettura del testo normativo. Infatti, il comma 3 andrebbe letto congiuntamente al comma 4. Mentre il comma 3 prevede che, fermi restando tutti gli altri vincoli territoriali, la regolarizzazione di costruzioni già esistenti debba avvenire "secondo la normativa vigente" e con l'aggiunta di ulteriori e scrupolose prescrizioni (fra le quali, la richiesta di parere della soprintendenza archeologica), il comma successivo aggiunge che: "le opere non regolarizzabili sono sottoposte alla specifica disciplina di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (...) e successive modifiche e integrazioni". Non si vede quindi, come la normativa statale e i previsti poteri di tutela possano essere stati ignorati o pretermessi.
Infine, con riguardo all'art. 4, comma l, lettera b), impugnato per contrasto con il disposto dell'art. 2 del d.p.r. 283/2000, la regione osserva che la censura è motivata con l'argomento secondo cui la norma appena citata dispone che "i tronchi tratturali possano essere alienati a favore del soggetto utilizzatore, comunque possessore alla data di entrata in vigore della presente legge".
Ma l'art. 4 è intitolato "aree tratturali prive di interesse archeologico", con riferimento alle sopravvenienze previste all'art. 2, comma 2, lettere b) e c) della legge impugnata. Ciò permette di escludere che i cosiddetti tratturi previsti dall'art. 4 siano ricompresi nel disposto dell'art. 2 del d.p.r. 283/2000. Inoltre il primo comma dell'art. 4 prevede la subordinazione della alienazione delle "aree tratturali prive di interesse archeologico" alla autorizzazione della giunta regionale ed alla sdemanializzazione di un bene che appartiene al demanio pubblico della regione. E ciò escluderebbe ulteriormente la possibilità di richiamare in subiecta materia le disposizioni del d.p.r. 283/2000.
Considerato in diritto
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in riferimento agli articoli 9, 117, secondo comma, lettere s) e l), e terzo comma, e 118 della Costituzione nonché all'art. 2 del d.p.r. 283/2000, all'articolo 97 del T.U. 490/1999, gli articoli 2, commi 2 e 8, 3, commi 2 e 3, 4, comma 1, lettera b), della legge della regione Puglia 29/2003 (disciplina delle funzioni amministrative in materia di tratturi).
Il ricorrente premette che i tratturi sono beni di interesse archeologico ai sensi delle disposizioni della legge 1089/1939, poi trasfuse nel T.U. 490/1999, giusta decreti ministeriali del 15 giugno 1976, del 20 marzo 1980 e del 22 dicembre 1983; che sono beni demaniali e come tali inalienabili; che la tutela dei beni culturali rientra nella sfera di competenza dello Stato. Il ricorrente sostiene che le norme censurate della legge regionale suindicata ledono le competenze statali in quanto stabiliscono una disciplina dei tratturi la quale non ne garantisce la conservazione, limitando gli interventi degli organi statali ed in particolare della soprintendenza ad una funzione meramente consultiva.
2. In via preliminare deve ritenersi non influente l'abrogazione dell'art. 2 del d.p.r. 283/2000 e dell'art. 97 del T.U. 490/1999, invocati rispettivamente come norma interposta e come disposizione determinante un principio fondamentale, in quanto la norma abrogatrice - art. 184 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 - è entrata in vigore nel maggio 2004 e quindi successivamente alla proposizione del ricorso.
3. Prima di procedere all'esame delle censure è necessaria una sintetica ricognizione delle norme che, in materia di tratturi, si sono susseguite nel tempo.
Limitandosi alla normativa meno risalente, vanno ricordate le norme del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3244 (passaggio dei tratturi di Puglia e delle trazzere di Sicilia dalla dipendenza del ministero delle Finanze a quella del ministero dell'Economia nazionale), con le quali fu data una sistemazione organica alla materia, ed in particolare gli artt. da 3 a 7 e 9, contenenti previsioni di sclassificazione, di alienazione e di legittimazione di possessi abusivi.
Va altresì menzionato il regolamento di esecuzione del suindicato provvedimento legislativo, emanato con regio decreto 29 dicembre 1927, n. 2801, il quale contiene l'espressione "demanio armentizio"; demanio nel quale rientrano i tratturi.
Con l'art. 66 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), sono state trasferite alle regioni le funzioni amministrative concernenti il demanio armentizio.
Non è controverso che il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative abbia comportato anche il trasferimento dello stesso demanio armentizio.
Infatti, mentre lo Stato non ha più legiferato in materia, sono state emanate leggi regionali ed in particolare, per limitarsi soltanto a quelle della regione Puglia, le leggi 9 giugno 1980, n. 67 (norme per l'esercizio delle funzioni amministrative relative al demanio armentizio e ai beni della soppressa opera nazionale per i combattenti), e 15 febbraio 1985, n. 5 (modifiche e integrazioni alla legge regionale 9 giugno 1980, n. 67 - alienazione terreni demanio armentizio regionale), che non hanno dato luogo a contenzioso tra Stato e regione, ed infine la legge oggetto del presente scrutinio.
L'art. 1 della l. r. 67/1980 stabilisce che "i tratturi di Puglia, in quanto direttamente strumentali alle funzioni amministrative concernenti il demanio armentizio trasferite alla regione, costituiscono demanio pubblico della regione".
A sua volta l'art. 1 della l. r. 29/2003 prescrive che "i tratturi in quanto monumento della storia economica e sociale del territorio pugliese interessato dalle migrazioni stagionali degli armenti e in quanto testimonianza archeologica di insediamenti di varia epoca, vengono conservati al demanio armentizio regionale di cui all'art. 1 della legge regionale 9 giugno 1980, n. 67 e costituiscono "il parco dei tratturi della Puglia".
Sulla base di siffatti dati normativi, il ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri si riferisce alla competenza dello Stato riguardo alla tutela dei beni culturali evocando il secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Cost., ma non contesta in radice la legittimazione della regione Puglia a stabilire la disciplina dei tratturi, quanto piuttosto si duole del modo in cui la regione ha esercitato i propri poteri. In particolare, il ricorrente censura anzitutto la disposizione principale che disciplina la formazione del piano dei tratturi.
L'art. 2 della l. r. 29/2003 al comma 1, non impugnato, stabilisce che "è fatto obbligo ai comuni nel cui ambito territoriale ricadono tratturi, tratturelli, bracci e riposi, di redigere il piano comunale dei tratturi, anche ai fini del piano quadro di cui al d.m. 23 dicembre 1983, entro e non oltre il 31 dicembre 2006".
Il comma 2, specificamente censurato dal ricorrente, determina il contenuto del piano nel modo seguente: "Il piano, nel rispetto della continuità comunale e intercomunale dei percorsi tratturali, deve individuare e perimetrare: a) i tronchi armentizi che conservano l'originaria consistenza o che possono alla stessa essere reintegrati, nonché la loro destinazione in ordine alle possibilità di fruizione turistico-culturale (...); b) i tronchi armentizi idonei a soddisfare riconosciute esigenze di carattere pubblico, con particolare riguardo a quella di strada ordinaria; c) i tronchi armentizi che hanno subìto permanenti alterazioni anche di natura edilizia".
Oggetto di censura è anche il comma 8, il quale è così formulato: "Il parere definitivo della soprintendenza archeologica è espresso anche ai fini dell'art. 55 del T.U. 490/1999, limitatamente alle fattispecie delle lettere b) e c) del comma 2 del presente articolo".
Il ricorrente assume che la normativa "si pone in contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto può determinare una utilizzazione delle aree tratturali in deroga al regime di tutela loro imposto ed una conseguente successiva alienazione o destinazione ad altri fini pubblici non precisati". Il ricorrente prosegue osservando che "l'esercizio della tutela è prerogativa dello Stato e può essere oggetto di intesa e coordinamento con le regioni solo entro i limiti fissati dalla legge statale, che nel caso è stata violata con l'effetto che la disposizione risulta in contrasto anche con l'art. 118, terzo comma, Cost.".
L'art. 3 della legge, del quale sono oggetto di censure i commi 2 e 3 - dopo aver previsto al comma 1 che i tronchi tratturali di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a), sottoposti a vincoli di inedificabilità assoluta, sono conservati e tutelati dalla regione Puglia che ne promuove la valorizzazione anche per mezzo di forme indirette di gestione - così prosegue:
"2. La giunta regionale, acquisito il parere favorevole della soprintendenza archeologica, può autorizzare la realizzazione da parte di enti pubblici di opere pubbliche e di pubblico interesse in deroga al comma 1.
3. Fermi restando tutti gli altri vincoli territoriali, sono regolarizzabili secondo la vigente normativa le costruzioni già esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, alle seguenti condizioni:
a) parere della soprintendenza archeologica per le sole opere eseguite successivamente al vincolo storico introdotto con d.m. 23 dicembre 1983;
b) acquisto del suolo pertinenziale, nella misura strettamente necessaria alla costruzione, al prezzo di cui all'art. 4".
Infine, dell'art. 4 viene censurato il comma 1, lettera b), il quale prevede l'alienabilità dei tratturi di cui alla lettera b) e lettera c) del comma 2 dell'art. 2 della legge a favore del soggetto utilizzatore, comunque possessore alla data di entrata in vigore della legge stessa.
Le disposizioni suindicate vengono censurate perché consentono la realizzazione di opere in zone di interesse archeologico e sottoposte a vincolo paesaggistico senza le prescritte autorizzazioni, mediante il solo parere della soprintendenza e inoltre perché prevedono la regolarizzazione di opere edilizie abusive, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere l) e s), Cost., "potendo la sanatoria comportare il venir meno delle sanzioni penali collegate all'abuso".
Infine, secondo il ricorrente, la previsione dell'art. 4, comma 1, lettera b), viola l'art. 2 del d.p.r. 283/2000, da considerare norma interposta.
Tutto ciò, conclude il ricorrente, sul presupposto che la normativa attenga alla tutela dei beni culturali in questione, ma se si volesse far riferimento alla materia di competenza ripartita della valorizzazione dei detti beni, le disposizioni sarebbero egualmente illegittime perché in contrasto con il principio fondamentale fissato nell'art. 97 del T.U. 490/1999, secondo il quale le norme sulla valorizzazione dei beni culturali devono essere in armonia con quelle sulla loro tutela.
4. Le censure sono tutte non fondate.
L'oggetto dello scrutinio affidato a questa Corte è limitato alle singole norme specificamente censurate e alle ragioni delle censure e cioè ai parametri costituzionali evocati e più particolarmente ai profili fatti valere rispetto ai quali si assume che contrastino le disposizioni della legge regionale.
Nel caso in esame, il ricorrente evoca il secondo comma, lettera s), dell'art. 117 Cost., ma non solo non contesta la competenza legislativa in materia della regione, ma neppure ha impugnato il comma 1 dell'art. 3 della legge regionale in scrutinio, il quale stabilisce che i tronchi tratturali di cui all'art. 2, comma 2, lettera a), sono conservati e tutelati dalla regione Puglia, che ne promuove la valorizzazione anche per mezzo di forme indirette di gestione.
Se dunque ciò di cui il ricorrente si duole non è il fatto in sé che la regione abbia legiferato sui tratturi e sulla loro valorizzazione quali testimonianze del passato (del resto si tratta in ordine di tempo della terza legge della regione Puglia), resta anzitutto privo di fondamento il richiamo agli artt. 9 e 118 Cost.
5. Vanno quindi esaminate le censure relative al contenuto specifico delle disposizioni: ritiene la Corte che la piana, sistematica e corretta lettura di queste escluda il contrasto con i parametri evocati sotto i profili fatti valere.
Per quanto concerne le disposizioni censurate dell'art. 2, si rileva che il piano dei tratturi, proposto dal comune, viene discusso in una conferenza di servizi nel cui ambito non soltanto la soprintendenza archeologica ma anche quella per i beni architettonici e per il paesaggio esprimono parere vincolante. Alle soprintendenze spetta quindi un potere che va molto al di là di una funzione meramente consultiva, in quanto i loro pareri non possono essere disattesi. Gli atti degli organi statali, ancorché assumano la forma del parere, svolgono una funzione determinante il contenuto del piano dei tratturi. Se, letteralmente, il vincolo derivante dai pareri delle soprintendenze concerne solo i percorsi tratturali da ricomprendere sotto le lettere b) e c), è evidente che, essendo prevista una tripartizione, la mancata inclusione di un tratturo sotto le suindicate lettere b) e c) ne comporta inevitabilmente la ricomprensione tra quelli indicati sub a).
Spetta quindi alle soprintendenze esprimersi in modo vincolante per gli altri enti sulla individuazione e perimetrazione dei tratturi che conservano l'originaria consistenza o possono in questa essere reintegrati. Quelli da ricomprendere sotto la lettera a) sono pertanto i tratturi che, per le loro caratteristiche, hanno natura di beni culturali e riguardo ai quali devono essere utilizzati gli opportuni strumenti di tutela. Il fatto che la legge indichi tra i tratturi da includere tra quelli sub a) non soltanto i tratturi che conservano l'originaria consistenza, ma anche quelli che possono alla stessa "essere reintegrati" comporta che i tratturi da includere sotto le lettere b) e c) sono beni che hanno subito nel corso dei tempi trasformazioni irreversibili tali da escluderne la reintegrazione nella originaria consistenza.
Il piano dei tratturi, nella cui formazione lo Stato, mediante il giudizio vincolante dei suoi organi a ciò deputati per la loro competenza, ha una parte decisiva, costituisce la base dell'ulteriore disciplina dei tratturi, distinti nel modo che si è detto.
La previsione della costruzione di opere pubbliche e di pubblico interesse da parte di enti pubblici, disciplinata dall'art. 3, comma 2, della l. r. 29/2003, per quanto riguarda i tronchi tratturali inclusi sub a) del comma 2 dell'art. 2, va messa in relazione con quanto disposto dal comma 1 dello stesso articolo, nella parte in cui attribuisce alla regione la valorizzazione dei detti beni anche mediante forme di gestione indiretta; disposizione questa non impugnata.
Ma ciò che più conta è che la costruzione delle suindicate opere è subordinata al parere favorevole della soprintendenza, alla quale perciò spetta il potere di impedirla qualora ne possa venir compromessa la consistenza originaria del tratturo.
A conclusioni simili si deve pervenire riguardo alla regolarizzazione delle opere già esistenti ma successive alla imposizione del vincolo di cui al comma 3 dell'art. 3.
E' vero che in questo caso il parere della soprintendenza non è definito né vincolante né favorevole, ma la lettura corretta della disposizione nel contesto della complessa normativa in cui è inserita e nella quale i pareri finora esaminati sono tutti da considerare "vincolanti" (il termine "favorevole" assume lo stesso significato) comporta che anche per la regolarizzazione delle opere già edificate, come per quelle da costruire, il parere della soprintendenza deve ritenersi vincolante. Sarebbe illogico ritenere che la soprintendenza sia competente a giudicare se una nuova opera sia compatibile con la natura del bene da tutelare e non lo sia invece - dovendosi limitare in ipotesi a manifestare una mera opinione riguardo ad una costruzione già esistente - quando anche da questa possa derivare una compromissione della peculiare natura del bene. Si deve ribadire, con riguardo alla disposizione in esame, il principio secondo il quale, tra diverse, possibili interpretazioni è necessario scegliere quella che non dà luogo a contrasti con principi costituzionali.
A quanto detto si aggiunga che il comma 3 in esame si apre con l'espressione "fermi restando tutti gli altri vincoli territoriali", e condiziona inoltre espressamente la regolarizzazione alla conformità "alla vigente normativa". Ciò significa che le particolarità della disposizione, con l'espressa previsione del parere della soprintendenza, da intendere vincolante, si aggiungono alla disciplina generale sulle sanatorie (come dimostra il rinvio finale alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, di cui al comma 4 dello stesso articolo) e la sostituiscono soltanto per quanto concerne il prezzo (v. art. 3, comma 3, lettera b, e art. 4). E tanto esclude in radice la lamentata interferenza con "la materia penale", prospettata dal ricorrente evocando l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
Non fondata, infine, è anche la censura che si appunta sul comma l, lettera b), dell'art. 4 della stessa legge regionale che disciplina l'alienazione all'utilizzatore possessore di tronchi tratturali inclusi sotto le lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 2.
Si è visto, infatti, che si tratta di tronchi dei quali, con il parere vincolante delle soprintendenze, è stata già accertata la perdita irreversibile della originaria consistenza, cioè della loro caratteristica di tratturo e, come tale, di bene di interesse archeologico, e per i quali l'alienazione è subordinata alla sdemanializzazione.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 2 e 8; 3, commi 2 e 3; 4, comma 1, lettera b), della legge della regione Puglia 23 dicembre 2003, n. 29 (disciplina delle funzioni amministrative in materia di tratturi), sollevate, in riferimento agli artt. 9, 117, secondo comma, lettere s) e l), terzo comma, e 118 della Costituzione nonché agli artt. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2000, n. 283 (regolamento recante disciplina delle alienazioni di beni immobili del demanio storico e artistico) e 97 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della l. 8 ottobre 1997, n. 352) dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.