Sommario: 1. Introduzione. - 2. Parte prima: la Convenzione europea del paesaggio. - 2.1. La natura giuridica e le origini. - 2.2. La struttura, l'impostazione concettuale e i principali effetti. - 2.3. I principi operativi. - 2.4. La cooperazione europea. - 2.5. Le attività di controllo dell'applicazione della Convenzione a livello europeo. - 2.6. Le disposizioni finali. - 3. Parte seconda: l'evoluzione della normativa nazionale italiana in materia di paesaggio a seguito della sottoscrizione della Convenzione. - 3.1. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. - 3.2. L'Accordo Stato-regioni sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio. - 4. Conclusioni.
Questo testo si propone di presentare la Convenzione europea del paesaggio [1] (di seguito: la Convenzione) - trattato internazionale interamente dedicato al tema del paesaggio, conosciuto anche sotto il nome di Convenzione di Firenze - cercando di mettere in luce non solo gli aspetti propriamente giuridici, ma anche le motivazioni e gli obiettivi politici che la Convenzione sottende e ricerca. A tal fine, vengono esaminate la natura giuridica della Convenzione, le origini, la struttura e l'impostazione concettuale, le principali disposizioni, nonché le attività europee previste per il controllo della sua applicazione.
Anche se non è stata ancora recepita dall'ordinamento giuridico nazionale, in Italia la Convenzione ha già avuto degli effetti importanti sul piano sia culturale che normativo. In questa prospettiva, vengono qui esaminati i più recenti documenti giuridici di riferimento allo scopo di verificare se la normativa italiana - soprattutto per quanto riguarda le definizioni, il campo di applicazione, gli obiettivi generali e le competenze istituzionali - sia già in linea con lo spirito e la lettera della Convenzione.
2. Parte prima: la Convenzione europea del paesaggio
2.1. La natura giuridica e le origini
Nella sua qualità di trattato internazionale di natura vincolante per gli Stati che vi aderiscono, la Convenzione è stata adottata il 19 luglio del 2000 dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa [2] sulla base di un progetto elaborato dal Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa [3] (di seguito: il Congresso). Interessanti informazioni sulle origini della Convenzione possono essere reperite nella Relazione esplicativa ad essa collegata [4]. A seguito della sua sottoscrizione e ratifica da parte di dieci Stati, la Convenzione è entrata in vigore, in questi Stati, il 1° marzo 2004. Sottoscritta e ratificata fino ad oggi da 19 Stati europei, la Convenzione è stata sottoscritta da altri 13, tra cui l'Italia [5].
2.2. La struttura, l'impostazione concettuale e i principali effetti
Oltre al Preambolo, la Convenzione si compone di 18 articoli ed è suddivisa in 4 capitoli. Questi capitoli comprendono le Disposizioni generali (I), i Provvedimenti nazionali (II), la Cooperazione europea (III) e le Clausole finali (IV). Il capitolo relativo alle Disposizioni generali riguarda le definizioni, il campo di applicazione e gli obiettivi; quello riguardante i Provvedimenti nazionali si riferisce alla ripartizione delle competenze, ai provvedimenti generali e alle misure specifiche. Il capitolo concernente la cooperazione europea comprende le politiche ed i programmi internazionali, l'assistenza reciproca e lo scambio di informazioni, i paesaggi transfrontalieri, il Premio del paesaggio del Consiglio d'Europa e il controllo dell'applicazione della Convenzione. L'ultimo capitolo contiene le clausole finali relative ai rapporti della Convenzione con altri strumenti giuridici, la firma, la ratifica, l'entrata in vigore, l'adesione, l'applicazione territoriale, la denuncia, gli emendamenti e le notifiche.
La Convenzione fonda il proprio dettato normativo su due principi basilari:
a) il paesaggio deve essere giuridicamente riconosciuto e tutelato indipendentemente dal valore concretamente attribuitogli. La tesi secondo la quale il paesaggio è tutelabile sotto il profilo legale soltanto quando assume un valore particolare (che esclude la tutela quando questo valore non è riscontrato) è superata dalla Convenzione. La conseguenza più importante di questo principio è che nel momento in cui uno Stato recepisce i principi della Convenzione dovrà riconoscere una rilevanza paesaggistica all’intero territorio posto sotto la sua sovranità.
b) tenuto conto della imprescindibile dimensione soggettiva del paesaggio, le popolazioni devono essere attivamente e costantemente coinvolte nei processi decisionali pubblici relativi che lo riguardano. In funzione di esigenze democratiche, economiche e di efficacia amministrativa, il paesaggio, salvo nei casi in cui viene rilevato un interesse superiore, deve essere salvaguardato, gestito e/o assettato attraverso decisioni pubbliche prese vicino ai cittadini. Nel fare esplicitamente riferimento ai principi di sussidiarietà e di autonomia, la Convenzione indica chiaramente che le responsabilità pubbliche in materia di paesaggio devono quindi, di preferenza, essere decentrate a livello territoriale.
Coerentemente a questi principi, l'articolo 5.a della Convenzione impegna le Parti contraenti a "(...) riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità".
Il confronto tra la disciplina giuridica relativa al paesaggio e quella relativa ad un altro importante elemento dell'ambiente può aiutare ad apprezzare la portata innovativa di questa impostazione: l'idea che l'aria debba essere tutelata o che occorra preoccuparsi della qualità dell'aria solo in funzione del suo valore specifico è difficilmente difendibile. Le misure giuridiche a tutela dell'aria sono infatti adottate sia quando l'aria è inquinata o minacciata sia quando è pura e incontaminata. In materia di paesaggio, purtroppo, per lunghi anni l'approccio è stato molto diverso. Si è infatti detto e ripetuto (e c'è ancora chi si ostina a sostenere) che il paesaggio è giuridicamente tutelabile soltanto quando presenta un valore eccezionale - altrimenti non è paesaggio; e se non è paesaggio, non può essere tutelato o valorizzato come tale.
La Convenzione ribalta questa concezione elitista fondando i principi che contiene sull'idea che il paesaggio, quale bene della collettività, merita di essere tutelato e/o valorizzato in ogni caso e luogo, anche se degradato o sprovvisto di qualità particolari. Secondo questa impostazione, l'interesse paesaggistico non può mai essere escluso a priori.
Sul piano pratico, questo ribaltamento concettuale ha avuto una conseguenza importante. Grazie alla Convenzione è stato infatti generalmente accettato (dagli Stati membri del Consiglio d'Europa che nel 2000 hanno adottato la Convenzione) che, dato che il paesaggio rappresenta un bene indipendentemente dal suo valore intrinseco, tutto il territorio è paesaggio; in questo senso, come messo in evidenza, nel momento in cui uno Stato decide di aderire alla Convenzione, è obbligato ad attribuire una rilevanza paesaggistica all'intera dimensione paesaggistica del suo territorio. L'articolo 2 della Convenzione stabilisce per questo che "(...) la convenzione si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e peri-urbani. Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana, sia i paesaggi degradati".
Conformemente a questa concezione, allo scopo di farsi carico dell'intera dimensione paesaggistica nazionale, le responsabilità pubbliche devono essere largamente condivise, e questo, sulla base di procedure democratiche, a partire dalle popolazioni direttamente interessate. La Convenzione promuove infatti la relazione sensibile che le popolazioni stabiliscono con il territorio, sottolineando fin dal suo preambolo che "Gli Stati membri del Consiglio d'Europa, firmatari della presente Convenzione (...) [desiderano] soddisfare gli auspici delle popolazioni di godere di un paesaggio di qualità e di svolgere un ruolo attivo nella sua trasformazione" ma anche che "Il paesaggio rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale, e che la sua salvaguardia, la sua gestione e il suo assetto [6] comportano diritti e responsabilità per ciascun individuo". La centralità della componente soggettiva del paesaggio è affermata anche dalle disposizioni della Convenzione relative ai processi di sensibilizzazione delle popolazioni ed alla loro partecipazione alle decisioni pubbliche che riguardano il paesaggio (dei commenti specifici su questo punto sono forniti nel terzo capitolo) ed è suggellata dall'articolo 1, dedicato alle definizioni, dove è stabilito che "Il paesaggio designa una parte [7] di territorio così come è percepita dalle popolazioni (...)". Tenuto conto di queste disposizioni, è forse possibile riferirsi oggi allo sviluppo di processi di democratizzazione del paesaggio e all'emergenza di un vero e proprio diritto al paesaggio.
La questione della definizione del concetto di paesaggio merita un commento specifico. Si sente spesso parlare "paesaggio culturale"; questa definizione non è a nostro modo di vedere compatibile con il concetto di paesaggio espresso dalla Convenzione; e questo non perché sia sbagliato parlare di "paesaggio culturale" - il paesaggio, infatti, come esperienza umana è sempre un fatto culturale - ma perché l'aggettivo "culturale" si presta ad interpretazioni fuorvianti. Se non correttamente interpretato, questo aggettivo rischia infatti di far attribuire un valore specifico aggiuntivo al sostantivo "paesaggio", e questo indipendentemente dal dato reale; siffatta interpretazione potrebbe spingere a ritenere che se il paesaggio non è culturale, non è paesaggio. Nell'articolo della Convenzione relativo alle definizioni, l'aggettivo "culturale" è stato quindi volutamente evitato. A livello mondiale, il Comitato del patrimonio mondiale culturale e naturale dell'Unesco, nel 1992, nel riferirsi al paesaggio, ha scelto l'espressione "paesaggio culturale". La concezione di paesaggio introdotta nella Convenzione dell'Unesco appare così antitetica rispetto a quella introdotta nella Convenzione del Consiglio d'Europa. A questo riguardo, la Relazione esplicativa della Convenzione europea - paragrafo 78 - riferendosi alla relazione della Convenzione con altri strumenti giuridici, spiega le ragioni di questa apparente contraddizione mettendo in luce che i due trattati hanno vocazioni ben distinte, al pari delle due Organizzazioni internazionali sotto i cui auspici sono stati elaborati. Uno è a vocazione regionale, l'altro mondiale. La Convenzione dell'Unesco non si riferisce infatti a tutti i paesaggi, ma solo a quelli che hanno un valore universale eccezionale. Il suo principale obiettivo è quindi quello di stabilire un elenco di beni che presentano un interesse straordinario. Gli obiettivi della Convenzione europea, come visto, sono diversi. Da questo punto di vista, non è scorretto affermare che i due trattati sono complementari.
L'applicazione del nuovo concetto di paesaggio su cui si fonda la Convenzione alla realtà istituzionale ed amministrativa degli Stati impone modelli particolari di ripartizione delle competenze. L'articolo 4 della Convenzione afferma che "Ogni Parte applica la presente Convenzione (...) nel rispetto del principio di sussidiarietà, tenendo conto della Carta europea dell'autonomia locale (...)". Questo significa che nell'estendere il suo campo di applicazione all'intero territorio nazionale, la Convenzione obbliga gli Stati contraenti ad una ripartizione delle competenze istituzionali, in materia di paesaggio, che avvicini il più possibile le decisioni pubbliche ai cittadini, rispettandone la loro volontà, così come espressa a livello locale. La Carta europea dell'autonomia locale [8], riferendosi alla sussidiarietà, stabilisce che "L'esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in maniera generale, incombere, di preferenza, alle autorità più vicine ai cittadini. L'attribuzione di una responsabilità ad un'altra autorità deve tener conto dell'ampiezza e della natura del compito e delle esigenze d'efficacia e d'economia" [9] e che "Per autonomia locale, si intende il diritto e la capacità effettiva per gli enti locali di regolare e gestire, nell'ambito della legge, sotto la propria responsabilità e a vantaggio delle proprie popolazioni, una parte importante degli affari pubblici" [10].
Facendo riferimento ai principi di sussidiarietà e di autonomia locale, la Convenzione mira così a fare in modo che la sua applicazione avvenga tenendo conto delle esigenze legate alla diversità ed al valore che i paesaggi esprimono nelle variegate realtà territoriali che ne sono il supporto oggettivo, e questo, nel rispetto dei principi costituzionali e dell'organizzazione amministrativa di ciascuno Stato. Allo scopo di determinare il livello istituzionale competente in seno a ciascun ordinamento è necessario riferirsi al livello di pubblico interesse riconosciuto al paesaggio concretamente considerato. In altre parole, prima di intervenire su un paesaggio in funzione dei valori che gli sono concretamente attribuiti, occorre stabilire qual è il suo grado di interesse collettivo; su questa base si potrà decidere qual è l'autorità istituzionalmente competente per agire.
Il confronto tra due paesaggi molto diversi tra di loro, per non dire agli antipodi, può aiutare a capire come questo principio possa essere concretamente applicato: nel caso di un'area di industrie abbandonate, data la probabile rilevanza esclusivamente locale della sua dimensione paesaggistica, l'autorità competente sarà il comune nel cui territorio si trova l'area in questione. Nel caso invece di un paesaggio composto essenzialmente da scavi archeologici, o monumenti naturali, rappresentativi di una cultura o di un'identità di rilevanza nazionale, europea, se non addirittura mondiale, le autorità competenti saranno probabilmente quelle dello Stato (eventualmente in cooperazione con le autorità delle organizzazioni internazionali interessate).
Considerato il fatto che i paesaggi di rilevanza nazionale, europea o mondiale sono, in termini assoluti, abbastanza limitati, in pratica, nella stragrande maggioranza dei casi, saranno i poteri locali ad essere istituzionalmente chiamati ad occuparsi di paesaggio nel rispetto dei principi fissati, a livello europeo, dalla Convenzione e, a livello nazionale, dalle politiche, dalle leggi dello Stato e, se del caso, dalle politiche e dai piani adottati dai singoli enti regionali nel quadro della propria legislazione territoriale.
L'apparente linearità di questo ragionamento non deve far dimenticare che, in realtà, in molti Stati europei le esigenze pubbliche legate alla soddisfazione degli interessi paesaggistici entrano in conflitto con altri interessi legati al territorio. Gli enti autonomi, infatti, dato il loro forte legame con il territorio, soprattutto a livello locale, sono particolarmente esposti alle pressioni degli amministrati - ma anche di entità economiche esterne (spesso di carattere multinazionale) - e spesso non dispongono ancora di una sensibilità civica sufficiente per rigettare tali pressioni in nome dell'importanza sociale, politica ed economica di una risorsa delicata quale il paesaggio. Le conseguenze di questa insensibilità, almeno in Italia, sono sotto gli occhi di tutti.
Malgrado queste innegabili difficoltà, – che in Italia sono forse anche dovute ad alcune incertezze da parte del legislatore nazionale e della giurisprudenza nell’interpretare e dare concreta attuazione all’Articolo 9 della Costituzione - questa situazione non dovrebbe spingere le autorità centrali dello Stato ad accentrare permanentemente le competenze istituzionali relative al paesaggio e, tanto meno, a farlo unicamente o soprattutto attraverso misure a carattere vincolistico. Le autorità centrali non dovrebbero infatti mai mettere in discussione la circostanza che gli enti locali e regionali, anche se sottomessi a forti pressioni territoriali, rimangono le autorità più vicine a coloro che vivono ed animano il paesaggio, e che conseguentemente, almeno in linea di principio, sono quelle che possono meglio rispondere alle aspettative dei cittadini in questo ambito.
In questa prospettiva, pur riconoscendo che numerosi paesaggi italiani devono essere salvaguardati, gestiti e/o assettati sotto la diretta responsabilità delle autorità centrali dello Stato, sarebbe tuttavia irrealistico voler attribuire in maniera permanente la competenza in materia di paesaggio, esclusivamente o principalmente, a queste autorità. Ci sembra infatti che, come in molte altre zone del Continente europeo, un gran numero di paesaggi italiani rappresenti un valore soprattutto (o unicamente) per le popolazioni locali che ci vivono e che li frequentano; questi paesaggi – che la Convenzione denomina “della vita quotidiana”, esprimono un interesse pubblico puramente locale. Se si accetta questa impostazione, nel riferirsi a questi paesaggi, l’intervento delle autorità dello Stato, siano queste centrali o periferiche, dovrebbe rivestire, di preferenza, un carattere di sostegno amministrativo o di controllo giurisdizionale ex post.
Coerentemente a questa visione, la Convenzione spinge le autorità dello Stato a responsabilizzare gli enti territoriali sul valore del paesaggio e, parallelamente, a sviluppare delle approfondite e sistematiche attività di sensibilizzazione delle popolazioni su questi stessi temi. Queste attività devono provocare una vera e propria domanda sociale di paesaggio (di qualità) di cui le autorità elette a livello locale e regionale dovranno necessariamente farsi direttamente carico (se vorranno essere rielette). Questo processo può innescare un circolo virtuoso atto a determinare l’insorgenza di una vera e propria coscienza paesaggistica diffusa, fondamento culturale essenziale, secondo la Convenzione, di tutte le decisioni pubbliche relative al territorio.
Sarebbe auspicabile di uscire il più presto possibile da situazioni, per così dire, di emergenza paesaggistica permanente che, seppure il più delle volte, in paesi come l’Italia, sono totalmente comprensibili e giustificabili, tendono a radicare la generica convinzione che la maggioranza degli enti autonomi, siano questi locali o regionali, per definizione, non siano per definizione all’altezza dei compiti di tutela o valorizzazione loro affidati in materia di paesaggio. Per questo, accettando l’impostazione concettuale della Convenzione, le autorità competenti dello Stato dovrebbero sforzarsi di far nascere - e laddove già esista, di stimolare ed incoraggiare - quella coscienza paesaggistica base e fondamento di qualsiasi azione territoriale pubblica che desideri mettere il paesaggio ai primi posti nella lista delle risorse nazionali sulle quali investire in vista del benessere e dello sviluppo generale del Paese.
Va detto per inciso che spesso la coscienza paesaggistica è frutto di interessi economici ben precisi, nel senso che molti imprenditori (che hanno nel territorio il loro punto di riferimento qualificante) hanno compreso da tempo che, in molti luoghi, il paesaggio – oltre ai guadagni derivanti direttamente dalle rendite fondiarie e dalle attività turistiche ad esse collegate – costituisce una risorsa territoriale preziosa anche in vista della produzione di beni economici ad alto valore aggiunto (di tipo agricolo-alimentare, artigianale ed industriale e nel settore dei servizi) di cui altri (potenziali competitori) non dispongono e che non potranno mai copiare o ricreare artificialmente. E’ proprio per questo che forse in Italia più che altrove, il paesaggio può permettere degli straordinari vantaggi competitivi a coloro che, in maniera oculata e lungimirante, sapranno tutelarlo e valorizzarlo quale risorsa territoriale propria [11].
Come si vedrà meglio in seguito, allo scopo di estendere la coscienza paesaggistica a tutti gli enti e comunità locali dei paesi interessati su scala continentale, la Convenzione obbliga gli Stati che la ratificano ad elaborare una politica del paesaggio che fornisca degli orientamenti precisi sui metodi, le competenze e le priorità in materia. Tale politica deve comprendere dei programmi di informazione, sensibilizzazione, formazione ed educazione, destinati a responsabilizzare, nel lungo periodo, gli attori, siano questi pubblici o privati, che vivono e interagiscono nel paesaggio, indipendentemente dalla sua qualità intrinseca. A livello amministrativo, l’estensione e l’approfondimento della coscienza paesaggistica dovrebbe permettere di passare gradualmente dalla logica dei vincoli imposti oggi soprattutto attraverso atti normativi o amministrativi dello Stato a quella della collaborazione/partecipazione tra enti competenti. Questa evoluzione dovrebbe realizzarsi in nel quadro di un clima di fiducia inter-istituzionale ingrediente indispensabile, quest’ultimo, per resistere alle pressioni locali (o globali) e superare le divergenze politiche in materia di assetto del territorio nell’interesse della collettività.
Si ritiene inoltre che la distinzione tra poteri di tutela e poteri di valorizzazione (termine quest’ultimo forse da chiarire ulteriormente) non dovrebbe più necessariamente coincidere con la distinzione tra competenze dello Stato e competenze delle Regioni. Ci si aspetta infatti che, ad un momento dato, a seguito di un vasto processo di responsabilizzazione, si possa considerare che la totalità degli enti territoriali sia finalmente in grado di amministrare i propri paesaggi, se del caso, anche attraverso vincoli spontaneamente decisi, indipendentemente dalle indicazioni provenienti dalle autorità competenti dello Stato. In altre parole, una volta stabilito il livello di competenza per i vari paesaggi di cui si compone il territorio nazionale, gli atti di tutela e gli atti di valorizzazione dovrebbero poter essere decisi da tutti gli enti di cui si compone la Repubblica in funzione del valore dei singoli paesaggi di competenza e non più in funzione della posizione che questi enti occupano nell’ordinamento costituzionale. In questa stessa prospettiva, si ritiene anche che, in paesi come l’Italia, una politica nazionale del paesaggio dovrebbe favorire l’applicazione dei principi della Convenzione a livello territoriale in maniera graduale. In effetti, dal momento che non tutti gli enti territoriali del Paese sono ancora sufficientemente preparati (in senso tecnico, ma non solo) per ricevere e gestire le competenze che la Convenzione gli riconosce in linea di principio, un’attuazione immediata e totale dei principi della Convenzione su scala nazionale rischierebbe di provocare dei guasti peggiori dei mali che ci si propone di risolvere. Per questa ragione, sarebbe forse indicato che la politica nazionale del paesaggio prendesse in considerazione un processo attuativo di tipo progressivo, eventualmente organizzato attraverso esperienze e casi pilota oppure attraverso schemi di cooperazione tra le autorità competenti dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni interessati, secondo il ben noto principio giurisprudenziale della leale collaborazione tra enti.
In questa prospettiva, il Consiglio d'Europa, ed in particolare, il suo Congresso - organismo, lo si ricorda, all'origine della Convenzione - ha considerato che, negli Stati interessati alla corretta applicazione della Convenzione è essenziale sviluppare fin d'ora una forte comunicazione tra le autorità centrali e le autorità territoriali competenti. Allo scopo di facilitare questa comunicazione, il Congresso ha recentemente proposto la creazione di una Rete europea di enti locali e regionali per l'applicazione della Convenzione [12]. Tale organismo che, in Italia, a seguito dell'iniziativa della regione Campania, ha già ricevuto l'avallo della Conferenza dei Presidenti delle regioni e province autonome italiane [13], dovrebbe servire a motivare e sostenere, tecnicamente e politicamente, gli enti locali e regionali chiamati ad applicare i principi della Convenzione a livello territoriale nei rispettivi Stati. Sarebbe auspicabile che anche le principali associazioni di poteri locali aderissero a questa iniziativa per fare in modo che anche i comuni e le province siano pienamente coinvolte nel processo applicativo della Convenzione.
2.3. I principi operativi
L'articolo 5.b della Convenzione obbliga gli Stati contraenti a "(...) stabilire ed attuare delle politiche del paesaggio (...) tramite l'adozione di misure specifiche (...)" (articolo 5.b). L'articolo 1 spiega che "le politiche paesaggistiche [14] designano la formulazione da parte delle autorità pubbliche competenti, dei principi generali, delle strategie e degli orientamenti che consentono l'adozione di misure specifiche finalizzate a salvaguardare, gestire e/o progettare il paesaggio". L'obbligo relativo alla formulazione delle politiche del paesaggio è corroborato dalle disposizioni dell'articolo 3 che, nel fissare gli obiettivi generali della Convenzione, impegna gli Stati contraenti a promuovere la salvaguardia, la gestione e l'assetto dei paesaggi e a organizzare la cooperazione in questo campo. In questa stessa prospettiva, l'articolo 5.d spinge gli Stati a "(...) integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un'incidenza diretta o indiretta sul paesaggio". L'articolo 1 fornisce infine una definizione precisa dei termini di salvaguardia, gestione e assetto enunciati all'articolo 3 [15].
L'articolo 6 (Misure specifiche) è una delle disposizioni più importanti della Convenzione. Questa norma dà infatti delle indicazioni precise in merito all'attuazione delle politiche del paesaggio. E' suddiviso in cinque parti, da applicarsi in maniera consecutiva e concomitante, tenendo conto della sequenza letterale che lo compone:
A - Sensibilizzazione
B - Formazione ed educazione
C - Identificazione e caratterizzazione [16]
D - Obiettivi di qualità paesaggistica
E - Applicazione
Per quanto riguarda il tema della sensibilizzazione (A), la Convenzione si preoccupa di far precedere qualsiasi attività pubblica relativa al paesaggio, sia questa di carattere conoscitivo o operativo, da delle attività di sensibilizzazione della società civile, delle organizzazioni private e delle autorità pubbliche al valore dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasformazione. Una volta informate sui rischi, i limiti, i contrasti, i vantaggi e i valori dei paesaggi, queste categorie sociali saranno probabilmente meglio in grado, nel momento in cui verranno sollecitate, di comunicare alle autorità competenti le loro aspirazioni in materia. Tenendo conto di queste aspirazioni, le autorità dovranno prendere le decisioni che si impongono.
In materia di formazione e educazione (B), la Convenzione obbliga gli Stati contraenti ad impegnarsi a promuovere la formazione di specialisti, programmi interdisciplinari di formazione destinati ai professionisti del settore pubblico e privato e alle associazioni di categoria interessate, nonché insegnamenti scolastici e universitari specifici. Queste attività, come del resto quelle di sensibilizzazione dovrebbero essere previste dalla politica del paesaggio formulata in applicazione dell'articolo 5.b; tanto più forte sarà il riconoscimento e l'impegno diretto dello Stato contraente per il paesaggio, tanto più si potrà investire in attività di questo tipo.
Considerata l'importanza della "risorsa paesaggio" in Italia, sarebbe auspicabile che, allo scopo di dare piena attuazione all'articolo 6.B, le autorità competenti sostengano fin d'ora lo sviluppo di corsi e facoltà universitarie specificamente dedicate al tema del paesaggio. Questa organizzazione didattica dovrebbe permettere la formazione di specialisti capaci di comprendere, sulla base di una preparazione interdisciplinare, l'insieme delle caratteristiche, valori e problemi del paesaggio, in vista della sua salvaguardia, gestione e del suo assetto. Una volta formati, questi specialisti potrebbero procedere direttamente alle attività di identificazione e caratterizzazione dei paesaggi o, nei casi più complessi, di individuare il tipo di approfondimento necessario per procedere alle dette attività. Questo approfondimento dovrebbe essere compiuto da esperti di aree disciplinari determinate chiamati, materia per materia, in funzione dei caratteri delle unità / tipologie di paesaggio considerate. Rispetto a questi esperti, gli specialisti del paesaggio svolgerebbero quindi una funzione di inquadramento e coordinamento.
L'articolo 6.C riguarda le attività di identificazione e caratterizzazione. Prima di intervenire sul paesaggio, le autorità competenti devono innanzitutto predisporre un quadro conoscitivo completo ed obiettivo. Per far questo, devono rivolgersi agli specialisti del paesaggio, i quali, dopo aver identificato i paesaggi, averne analizzato i tratti e gli elementi qualificanti, le dinamiche e le pressioni che li modificano, saranno invitati a presentare ai propri committenti i risultati delle proprie indagini, astenendosi da qualsiasi giudizio atto ad imporre una gerarchia di valori fondata sul loro convincimento. E' in questa stessa ottica che la Convenzione, sempre all'articolo 6, invita gli esperti a tener conto nel loro lavoro dei valori specifici che sono attribuiti dalle popolazioni interessate ai paesaggi presi in esame.
Sulla base delle aspirazioni espresse dalle popolazioni, per ciascuna delle unità territoriali specificamente identificata e caratterizzata dagli esperti, le autorità competenti dovranno fissare i cosiddetti Obiettivi di qualità paesaggistica (D) [17] e, conseguentemente, decidere il tipo di intervento, la sua intensità ed estensione, nonché gli strumenti volti alla salvaguardia, alla gestione e/o all'assetto dei paesaggi considerati (Applicazione, E).
In tale ambito, sarebbe impensabile di intervenire in maniera uniforme e utilizzando gli stessi strumenti di intervento per tutti i paesaggi considerati. La varietà dei paesaggi in Europa obbliga infatti ad una grande diversificazione delle attività e degli strumenti di intervento. A questo riguardo la Convenzione attribuisce un'importanza particolare all'opportunità, in molti casi, di integrare tipologie di intervento diverse. Per esempio, non è raro constatare che attività di riqualificazione e assetto paesaggistico integrate a misure protettive permettono un miglior recupero economico, oltre che estetico, di aree di pregio paesaggistico fortemente degradate. E' inoltre probabile che queste aree, se trattate soltanto con misure di vincolo destinate alla loro pura e semplice conservazione, rischiano, malgrado le buone intenzioni, di degradarsi ulteriormente, diventando preda di attività abusive sempre più invadenti.
2.4. La cooperazione europea
Prima di concludere l'esame dei singoli capitoli della Convenzione pare opportuno dare uno sguardo alle disposizioni relative alla Cooperazione europea. Questa riguarda, da un lato, la cooperazione bilaterale, vale a dire quella che può verificarsi tra due Stati contraenti determinati e, dall'altro, la cooperazione multilaterale o intergovernativa, vale a dire quella che può prendere corpo tra più Stati contraenti, normalmente in seno alle organizzazioni internazionali. In seno al Consiglio d'Europa, questa cooperazione ha come obiettivo principale il controllo dell'applicazione della Convenzione (art. 10).
La preoccupazione dell'articolo 7, dedicato alle Politiche e programmi internazionali, è quella di fare in modo che nel momento in cui agiscono nel quadro delle organizzazioni internazionali di cui fanno parte - per esempio, le Nazioni Unite, l'Unione Europea, o lo stesso Consiglio d'Europa - gli Stati contraenti, nelle loro decisioni collegiali relative al territorio, anche quando queste non si riferiscono al paesaggio, tengano conto della dimensione paesaggistica. L'articolo 8 riguarda le attività di Assistenza reciproca e lo scambio di informazioni tra Stati contraenti e questo soprattutto da un punto di vista tecnico, scientifico e nel campo della ricerca e della formazione.
Attraverso l'articolo 9, gli Stati contraenti "si impegnano ad incoraggiare la cooperazione transfrontaliera a livello locale e regionale, ricorrendo, se necessario, all'elaborazione ed alla realizzazione di programmi comuni di valorizzazione del paesaggio". Questa norma è giustificata dal fatto che il paesaggio non conosce frontiere; da un punto di vista amministrativo, le autorità pubbliche competenti, anche quando facenti parte di Stati diversi, dovrebbero cercare di collaborare in vista del miglioramento della qualità dei paesaggi interessati.
L'articolo 11 della Convezione propone l'istituzione del Premio del paesaggio del Consiglio d'Europa. L'assegnazione di questo riconoscimento europeo mira a stimolare i soggetti che lo ricevono a vigilare affinché i paesaggi interessati vengano salvaguardati, gestiti e/o progettati in modo sostenibile. Il premio può essere infatti assegnato agli enti locali e regionali e ai loro consorzi che, nell'ambito della politica paesaggistica di uno Stato, Parte contraente della Convenzione, hanno attuato una politica o preso dei provvedimenti volti alla salvaguardia, alla gestione e/o all'assetto sostenibile dei loro paesaggi che dimostrino una efficacia durevole e possano in tal modo servire da modello per altri enti territoriali europei. Tale riconoscimento potrà ugualmente venir assegnato alle organizzazioni non governative (Onlus) che abbiano dimostrato di fornire un apporto particolarmente rilevante alla salvaguardia, alla gestione o all'assetto del paesaggio.
2.5. Le attività di controllo dell'applicazione della Convenzione a livello europeo
Questo tema è trattato dall'articolo 10 della Convenzione. Malgrado la sua apparente semplicità, la redazione di questo articolo, ed oggi, ormai, la sua concreta applicazione, hanno occupato intere giornate di discussione. Il comma 1. di quest'articolo stabilisce che "i comitati di esperti già istituiti ai sensi dell'articolo 17 dello Statuto del Consiglio d'Europa sono incaricati dal Comitato dei ministri di controllare l'applicazione della Convenzione". Allo scopo di comprendere a fondo lo spirito di questa disposizione, la lettura dei paragrafi 66, 67, 68, 69 e 70 della Relazione esplicativa della Convenzione può essere d'aiuto [18]. Tenuto conto dell'articolo 10 e dei paragrafi sopraccitati, su proposta dei comitati di esperti competenti [19], il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa potrebbe comunque decidere di istituire un Comitato ad hoc per l'attuazione della Convenzione europea del paesaggio. Tale comitato, composto dai rappresentanti delle Parti contraenti e collegato con i comitati sopraccitati, potrebbe essere incaricato di promuovere direttamente l'applicazione della Convenzione a livello europeo.
2.6. Le disposizioni finali
Le Clausole finali della Convenzione sono state redatte, salvo poche eccezioni, sul modello delle clausole finali delle convenzioni stipulate sotto gli auspici del Consiglio d'Europa. A questo riguardo, ci si limita qui a qualche osservazione di carattere generale, con l'obiettivo di mettere in luce le specificità della Convenzione europea del paesaggio rispetto ad altre convenzioni del Consiglio d'Europa. Gli articoli 13 e 14 stabiliscono che la Convenzione è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa. Il Comitato dei ministri potrà invitare la Comunità europea e ogni Stato europeo non membro del Consiglio d'Europa (oggi soltanto la Bielorussia) ad aderire alla Convenzione. E' stabilito che quest'ultima entrerà in vigore tre mesi dopo la ratifica da parte di dieci Stati membri del Consiglio d'Europa. Come già messo in evidenza, tale situazione si è realizzata il 1° marzo 2004.
L'articolo 15 prevede che ogni Stato, o la Comunità europea, può designare (al momento della firma o al momento del deposito dello strumento di ratifica) i territori in cui si applicherà la Convenzione o, successivamente, estendere l'applicazione della Convenzione ad altri territori. Questa disposizione interessa unicamente territori con statuto particolare, come, per esempio, i territori d'oltremare per la Francia, le isole Ferøe e la Groenlandia per la Danimarca, Gibilterra, le isole di Man, Jersey e di Guernesey per il Regno Unito. Come spiega la Relazione esplicativa della Convenzione, sarebbe in ogni caso contrario allo spirito, all'oggetto ed allo scopo della Convenzione il fatto che uno Stato contraente escluda dal campo di applicazione della Convenzione (articolo 2) alcune zone del proprio territorio.
Gli articoli 16, 17 e 18 riguardano rispettivamente la denuncia (atto di una Parte contraente mirante a disimpegnarsi dalla Convenzione), gli eventuali emendamenti che le Parti possono proporre in relazione ai suoi contenuti ed agli obblighi di notifica e pubblicità incombenti al Segretario generale del Consiglio d'Europa.
3. Parte seconda: L'evoluzione della normativa nazionale italiana in materia di paesaggio a seguito della sottoscrizione della Convenzione
3.1. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (di seguito: il Codice) rappresenta lo strumento legislativo più significativo nell'ambito dell'evoluzione della normativa italiana a seguito della sottoscrizione della Convenzione. Elaborato nel corso degli ultimi anni sotto la responsabilità del ministro per i Beni e le Attività culturali ai sensi dell'articolo 10 della legge di delegazione del 6 luglio 2002, n. 137 [20], il Codice è stato emanato dal Presidente della Repubblica italiana con decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42 [21]. Il Codice "sottopone a revisione i poteri pubblici previsti dalla disciplina previgente, derivante dalla sovrapposizione della legge Galasso alla legge 1497/1939 (disciplina recepita dal Testo Unico [22], attraverso il debole filtro del coordinamento formale e sostanziale imposto dalla delega)" [23]. "Dopo oltre sessanta anni dalle leggi del 1939 sui beni storici artistici e le bellezze naturali, con il Codice, per la prima volta è stata tentata una sistemazione aggiornata (e non solo compilativa come è invece avvenuto per il testo unico del 1999) del corpus normativo sui beni culturali" [24].
La portata innovativa del Codice ed il suo legame (per il momento non giuridicamente dichiarato) con principi della Convenzione [25] è fuori discussione. Da un punto di vista generale, questa innovazione e questo legame sono riflessi nello stesso titolo del Codice che si riferisce direttamente e specificamente al paesaggio, ma anche nella sua impostazione concettuale; anche se non proprio in maniera diretta e lineare, quest'ultima lascia infatti intendere, come vedremo, che le attività di tutela e valorizzazione del paesaggio devono riferirsi all'intero territorio nazionale. In questa stessa prospettiva interpretativa, e tenendo sempre a mente i principi essenziali della Convenzione, è positivo notare che il Codice:
a) all'articolo 131, dà una definizione univoca al concetto di paesaggio. Questa definizione costituisce un progresso importante giacché, oltre ad essere in sé, almeno in Italia, una grande novità, ha aperto la strada al riconoscimento formale del paesaggio come bene meritevole di tutela giuridica specifica in ogni parte del territorio nazionale;
b) all'articolo 135, relativo alla Pianificazione paesaggistica delle regioni, stabilisce che tale pianificazione deve riguardare l'intero territorio regionale, estendendo così implicitamente il suo campo di applicazione all'intero territorio nazionale;
c) all'articolo 132, riservato alla Cooperazione tra amministrazioni pubbliche, si riferisce alla formulazione di politiche paesaggistiche generali da parte del ministero competente e delle regioni e riserva un comma particolare alle attività di formazione e di educazione;
d) all'articolo 143, relativo ai Piani paesaggistici delle regioni, afferma l'importanza degli obiettivi di qualità paesaggistica in vista della tutela o valorizzazione dei paesaggi considerati;
e) all'articolo 144, relativo alla Pubblicità e alla partecipazione, dispone che nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici siano assicurate la concertazione istituzionale e la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi;
f) all'articolo 145, relativo al Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione, prevede che le previsioni dei piani paesaggistici siano cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province.
La portata innovativa di queste disposizioni e la loro aderenza ai principi generali della Convenzione è adombrata da altre disposizioni del Codice in apparente contrasto con i principi della stessa Convenzione. I paragrafi seguenti cercano di far luce su questi contrasti.
All'articolo 1 - Principi, il Codice stabilisce che, "In attuazione dell'articolo 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale [...]". L'articolo 9 della Costituzione dispone che: "La Repubblica [...] tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Sillogisticamente, dal confronto tra queste due norme, si potrebbe desumere che il patrimonio culturale della Nazione è rappresentato dal paesaggio e dal patrimonio storico e artistico. Tuttavia, all'articolo 2, il Codice ci ricorda che "Il Patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici". La domanda sorge allora spontanea: il paesaggio a cui fa riferimento la Costituzione (art. 9), e i beni paesaggistici a cui fa riferimento il Codice (art. 2), sono la stessa cosa?
Per rispondere, almeno parzialmente, a questa domanda, la lettura dell'art. 2, comma 3, del Codice può essere d'aiuto: "Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all'articolo 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge".
L'articolo 134 sancisce: "Sono beni paesaggistici:
a) gli immobili e le aree indicati all'articolo 136 (...);
b) le aree indicate all'articolo 142;
c) gli immobili e le aree comunque sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articolo 143 e 156".
L'articolo 136 (Immobili ed aree di notevole interesse pubblico) stabilisce: "Sono soggetti alle disposizioni di questo titolo per il loro notevole interesse pubblico:
a) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica;
b) le ville, i giardini, i parchi, non tutelate dalle disposizioni delle Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro comune bellezza;
c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale;
d) le bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze".
L'articolo 142 individua una serie di aree tutelate per legge fino all'approvazione del piano paesaggistico da parte delle regioni. L'articolo 143, lettera h), si riferisce a "l'individuazione da parte delle regioni, di eventuali categorie di immobili o di aree, diverse da quelle individuate agli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione".
Tenuto conto delle indicazioni fornite dall'articolo 134, in collegamento con gli articoli 136, 142 e 143, si potrebbe essere tentati di concludere che, malgrado i buoni propositi, in realtà il Codice non dia piena attuazione all'articolo 9 della Costituzione nel senso che, ai sensi del suo articolo 1, la Repubblica tutela e valorizza, oltre ai beni culturali, "solo" gli immobili e le aree (indicati agli articoli 136, 142 e 143, sulla base dell'articolo 134) considerati come beni paesaggistici, ma non il paesaggio in quanto tale. Qualcuno potrebbe allora essere tentato di rispondere dicendo che gli immobili e le aree in questione, quali beni paesaggistici, costituiscono proprio il paesaggio a cui si riferisce la Costituzione. Il discorso potrebbe allora chiudersi qui ma nel senso, assai limitativo, che una larga parte di territorio nazionale sarebbe esclusa dalla tutela/valorizzazione paesaggistica.
Fortunatamente, è il Codice stesso che permette di superare questi limiti. In effetti, il fatto che, come visto, il Codice dia una definizione al termine di paesaggio fa pensare che, oltre ai beni paesaggistici, esista anche un quid pluris. Senza, per il momento, entrare nel merito di questa definizione, come visto, quest'orientamento interpretativo sembra trovare conferma all'articolo 135 (Pianificazione paesaggistica) che stabilisce che "Le regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato. A tal fine sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio, approvando piani paesaggistici (...) concernenti l'intero territorio regionale [...]". Questa interpretazione pare anche confermata dall'articolo 143, comma 3 che, alla lettera a), stabilisce che il piano paesaggistico [delle regioni] obbliga ad una ricognizione dell'intero territorio.
Per riassumere, il Codice opera un percorso normativo formalmente tortuoso, ma, in sostanza, arriva a stabilire che sia i beni paesaggistici che il paesaggio devono essere tutelati e/o valorizzati. Per beni paesaggistici, il Codice sembra intendere la dimensione paesaggistica di aree ed immobili determinati; per paesaggio, la dimensione paesaggistica del territorio che non è compreso nelle categorie di beni individuate quali beni paesaggistici, ovvero la parte restante del territorio nazionale. Se si accetta questa interpretazione, può essere allora confermato che il Codice, come il suo titolo fa supporre, si riferisce all'intera dimensione paesaggistica del territorio italiano e che quindi sia conforme alla Costituzione ed in linea con la Convenzione.
Considerato questo risultato, sarebbe auspicabile che, allo scopo di fare coincidere forma e contenuto, l'articolo 1 del Codice venga modificato. Coerentemente alla Costituzione, questa modifica dovrebbe permettere di stabilire che il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dal paesaggio, precisando che quest'ultimo, quando di notevole e superiore interesse pubblico, forma dei beni paesaggistici, da tutelare in maniera specifica sotto la responsabilità specifica e diretta delle autorità centrali dello Stato. In linea con questa interpretazione, la parte terza del Codice, coerentemente con il titolo dello Codice stesso (chiamato appunto "dei beni culturali e del paesaggio"), dovrebbe essere denominata "Paesaggio" e non "Beni paesaggistici". L'insieme di questi cambiamenti aiuterebbero a comprendere che i beni paesaggistici sono una categoria particolare del bene paesaggio e che la Repubblica tutela e valorizza questi beni, in linea di principio, al pari di tutto il paesaggio restante.
Anche se, in apparenza, queste proposte rischiano di apparire fondate su preoccupazioni puramente formali, ci pare che esse, almeno per quanto riguarda il campo d'applicazione, potrebbero permettere al Codice di evitare malintesi ed essere giuridicamente in linea con la Convenzione nel momento in cui quest'ultima dovesse entrare in vigore in Italia.
Aldilà dei dubbi interpretativi relativi al campo d'applicazione, altre perplessità sussistono in riferimento ad altre disposizioni del Codice, ugualmente difficilmente compatibili con i principi della Convenzione. Dopo avere positivamente apprezzato il fatto che il Codice dà una definizione univoca di paesaggio, non ci si può infatti esimere dal rilevare che questa stessa definizione presenta, a nostro modo di vedere, alcuni difetti essenziali.
L'articolo 131, comma 1, del Codice definisce il paesaggio come "(...) una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni (...)". Tenuto conto della definizione data dalla Convenzione, questa definizione ci pare criticabile sotto almeno due punti di vista:
a) l'aggettivo "omogeneo" fa supporre che se una parte di territorio, i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni, non presenta un aspetto omogeneo, quel territorio non può essere considerato un "paesaggio". Ciò comporterebbe che le disposizioni di tutela o valorizzazione previste dallo stesso Codice non sarebbero in questo caso applicabili. Questa interpretazione è in contraddizione con l'elemento innovativo essenziale del Codice (ed il suo legame con la Convenzione) relativo al fatto che - come già messo in evidenza - quest'ultimo arriva, seppure attraverso un percorso non proprio diretto e lineare, a far riferimento all'intera dimensione paesaggistica nazionale;
b) dalla definizione di paesaggio è completamente assente la componente soggettiva del paesaggio, sulla quale invece così fortemente insiste la definizione fornita dalla Convenzione. Quest'ultima infatti stabilisce chiaramente che "Il paesaggio designa una parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni (...)". A questo riguardo, il comma secondo dell'articolo 131 del Codice - che non ha niente a che vedere con la definizione di paesaggio - si limita invece a disporre che "la tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili". Anche qui non ci si può esimere dal rilevare che - aldilà della difficoltà per il cittadino di comprendere cosa siano le "manifestazioni identitarie percepibili" e come queste siano espresse dal paesaggio - introducendo questo tipo di norme, il Codice rischia di assumere un carattere indebitamente restrittivo. Dopo avere letto il comma in questione, ci si può infatti domandare se la tutela e la valorizzazione del paesaggio mirino a salvaguardare i valori del paesaggio solo quando questi esprimono delle "manifestazioni identitarie percepibili", come anche quali siano i soggetti suscettibili di percepire "le manifestazioni identitarie" in vista delle suddette attività di tutela e valorizzazione.
Al fine di evitare problemi in sede applicativa, anche questi punti meriterebbero, un riesame. La ratifica della Convenzione potrebbe rappresentare l'occasione legislativa appropriata per dissipare l'insieme delle perplessità fin qui esposte.
Dopo aver sottoscritto la Convenzione a Firenze il 20 ottobre del 2000 in occasione della Conferenza ministeriale organizzata per la sua apertura alla firma, quattro anni più tardi, il governo italiano ha depositato in Parlamento un disegno di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione [26]. Assegnato l'11 novembre 2004 alle Commissioni riunite III Affari esteri e VIII Ambiente della Camera dei deputati, il 9 marzo 2005 il disegno ha concluso positivamente l'esame di queste commissioni (referenti) [27] ed è stato così approvato, all'unanimità, dalla Camera dei Deputati il 16-17 maggio 2005 [28]. Ci si augura che il disegno di legge sia ora rapidamente esaminato e approvato dal Senato e divenga finalmente legge dello Stato, conformemente ai principi costituzionali in materia di diritto internazionale.
3.2. l'Accordo Stato-regioni sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio
Prima di chiudere la disamina dei documenti normativi relativi alla Convenzione, è importante rilevare che prima dell'adozione del Codice, il primo documento ufficiale che ha attuato i principi della Convenzione in Italia è stato l'Accordo tra il ministro per i Beni e le Attività culturali e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio. Questo documento è stato adottato il 19 aprile 2001 ed è fondato su uno schema predisposto dalla Commissione di riforma della normativa in materia di tutela paesaggistico-ambientale costituita con decreto ministeriale del 6 giugno 2000.
Attraverso l'Accordo, in attesa della ratifica della Convenzione, sono state concordate le forme di attività del ministero per i Beni e le Attività culturali e le regioni perché queste siano conformi alla Convenzione. L'Accordo rappresenta una tappa fondamentale dell'evoluzione della normativa italiana in materia perché, per la prima volta, è stato specificamente stabilito che conformemente ai principi espressi dalla Convenzione:
a) il paesaggio ha un importante ruolo di pubblico interesse nei settori culturali, ecologici ambientali e sociali e può costituire una risorsa favorevole all'attività economica contribuendo anche alla creazione di opportunità occupazionali;
b) la tutela del paesaggio comporta il perseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile sulla base di equilibrate e armoniose relazioni tra bisogni sociali, attività economiche e ambiente;
c) occorre identificare le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento, tra l'altro, ai valori paesaggistici;
d) la tutela, la buona conservazione, la riqualificazione, la valorizzazione del paesaggio costituiscono un obiettivo prioritario di interesse nazionale;
e) gli interventi di trasformazione del paesaggio possono essere realizzati solo se coerenti con le disposizioni dettate dalla pianificazione paesistica nella quale devono essere individuati i valori paesistici del territorio, definiti gli ambiti di tutela e valorizzazione, esplicitati per ciascun ambito gli obiettivi di qualità paesaggistica, nonché le concrete azioni di tutela e valorizzazione.
Questi riconoscimenti hanno aperto la strada - nel segno della continuità e malgrado i cambiamenti politici avvenuti nel paese dal 2000 fino ad oggi - all'approvazione del Codice ed al disegno di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione recentemente approvati [29].
In particolare, l'Accordo stabilisce che:
a) "Le pubbliche amministrazioni che hanno competenza in materia di paesaggio provvedono, sino all'approvazione della legge di ratifica della Convenzione europea del paesaggio, all'esercizio delle loro attribuzioni attenendosi ai principi della convenzione stessa";
b) "Le regioni vigilano sulla puntuale osservanza dell'accordo e sull'esercizio delle competenze in materia paesistica da parte degli enti eventualmente da loro sub-delegati";
c) "E' necessario attivare processi di collaborazione costruttiva fra le pubbliche amministrazioni di ogni livello aventi competenza istituzionale in materia di tutela e valorizzazione paesistica".
Allo scopo di verificare la sua concreta applicazione, l'Accordo prevede che entro due anni dalla data della sua entrata in vigore, le regioni che hanno redatto i piani verifichino con apposito atto la compatibilità tra le disposizioni di detti piani e le previsioni dell'accordo. Le regioni nei due anni successivi provvedono, ove necessario, per l'adeguamento della pianificazione paesistica, attraverso l'adozione di apposito atto.
Questa misura andrà probabilmente rivista in funzione dei nuovi termini stabiliti dal Codice per quanto riguarda l'aggiornamento dei piani paesistici, in funzione dei nuovi principi europei. Tuttavia, essa indica chiaramente la volontà politica degli enti pubblici interessati per una rapida e concreta attuazione alla Convenzione. L'Accordo si conclude prevedendo che la sua inottemperanza o la persistente inerzia nell'esercizio delle competenze in materia paesistica è motivo di revoca della sub-delega.
Pare opportuno infine rilevare che l'approvazione da parte della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome della proposta relativa alla costituzione di una Rete europea di enti territoriali per l'applicazione della Convenzione [30] oltre a dare immediata attuazione al nuovo dettato normativo dell'articolo 117 della Costituzione (così come emendato dalla legge costituzionale 3 del 18 ottobre 2001 [31]), è stata facilitata dall'esistenza dell'Accordo.
L'impatto sociale e politico (ma anche giuridico) che la Convenzione ha avuto in Italia, come in molti altri paesi europei, già prima della sua formale ratifica da parte delle autorità competenti, nonché l'entusiasmo, pressoché unanime, con la quale è stata accolta dai governi e le loro amministrazioni, dalla società civile, dal mondo universitario e da gran parte degli enti territoriali europei, costituisce una conferma, qualora ve ne fosse il bisogno, del fatto che la Convenzione ha riempito, soprattutto in termini di principi e di obiettivi, non soltanto un vacuum legis, ma anche un vuoto culturale.
L'attualità sembra indicare che cittadini europei sono alla ricerca di modelli di culturali capaci di mettere in valore le loro identità locali e, allo stesso tempo, qualificare il loro ambiente di vita quotidiana attraverso un progetto politico di portata continentale. Probabilmente, per questi cittadini, la Convenzione costituisce una proposta da condividere proprio perché non cerca di costruire l'Europa fondandosi soltanto su questioni istituzionali, giuridiche o finanziarie.
La Convenzione propone nuovi modelli di comportamento che hanno il territorio come punto di riferimento e che fanno perno, da un lato, su una chiara condivisione di principi - il riconoscimento del bene-risorsa paesaggio - e dall'altro, sul valore dei paesaggi espressi dal mosaico di identità territoriali che formano l'essenza del nostro Continente. In Europa, la qualità del paesaggio è forse più che altrove fondamento di identità, benessere, volontà di intraprendere ed accogliere e di questo l'Europa ha più che mai bisogno.
In questa prospettiva, la Convenzione può contribuire ad uno sviluppo economico sostenibile, fondato sulla percezione della ricchezza, della specificità e della diversità di un patrimonio naturale e culturale unico al mondo. La Convenzione appare in definitiva ben più di un semplice strumento giuridico. Essa è ormai riconosciuta come un vero e proprio progetto politico europeo capace di rimodellare ed arricchire in maniera durevole ed approfondita, se correttamente applicata, la complessa relazione tra popolazioni e territorio a livello continentale.
Siamo forse entrati nell'era del paesaggio.
Questo articolo rappresenta la versione aggiornata e rivista del testo presentato in occasione della Conferenza pubblica sul tema “La Convenzione europea del paesaggio: un cambiamento concreto di idee e di norme”, tenuta presso la Fondazione Benetton Studi Ricerche l’11 novembre 2004. Il presente documento contiene opinioni personali dell’autore che non impegnano in alcun modo né il Consiglio d’Europa, né il Politecnico di Torino.
[1] Il testo della Convenzione e la sua Relazione esplicativa qui presi in considerazione sono tratti dalla traduzione italiana della versione ufficiale della Convenzione (in inglese e francese) predisposta dal ministero per i Beni e le Attività culturali, Ufficio centrale per i Beni paesaggistici, in occasione della Conferenza ministeriale di apertura alla firma della Convenzione (Firenze, 20 ottobre 2000). Questa traduzione lascia, in riferimento a talune disposizioni, alquanto perplessi. Dei riferimenti puntuali a tali disposizioni sono fatti nel prosieguo di questo testo.
[2] Il Comitato dei ministri è l'organo decisionale del Consiglio d'Europa, organizzazione internazionale composta da 46 Stati membri.
[3] Organo del Consiglio d'Europa creato nel 1994 in sostituzione della Conferenza permanente dei poteri locali e regionali d'Europa (Cplre). Il Congresso, oggi composto da 315 membri titolari e 315 membri supplenti, rappresenta gli enti locali e regionali degli Stati membri del Consiglio d'Europa.
[4] Cfr. nota 3.
[5] Dati aggiornati al 1° ottobre 2005.
[6] Il termine “pianificazione”, adottato nella traduzione predisposta dal ministero per i Beni e le Attività culturali per tradurre il termine aménagement (in francese) e planning (in inglese) del testo ufficiale della Convenzione, è stato volontariamente sostituito con il termine “assetto”. Tenuto conto dei documenti preparatori del testo della Convenzione, si ritiene infatti che questa parola meglio si attagli alla definizione contenuta in proposito all’articolo 1 (cfr. nota 17). Un’ alternativa ufficiale ai termini sopraccitati è reperibile nel testo di Accordo Stato-Regioni del 19 aprile 2001 relativo all’attuazione della Convenzione in Italia, che utilizza il termine sistemazione. (Cfr. Parte II, capitolo 2, paragrafi 53-58 del presente testo). Altre soluzioni terminologiche, come per esempio “progettazione” o “trasformazione programmata” sono anche proponibili in vista di una decisione finale.
[7] E' sorprendente rilevare che nella traduzione italiana della Convenzione predisposta dal ministero dei Beni e delle Attività culturali, al termine "parte" è stato arbitrariamente aggiunto il termine "determinata".
[8] Approvata dal Consiglio d'Europa, è in vigore in Italia dal 1988.
[9] Articolo 4.3 della Carta europea dell'autonomia locale.
[10] Articolo 3.1 della Carta europea dell'autonomia locale.
[11] In questo campo, è significativo notare che nella legge 3 gennaio 2005, n. 1, sulle Norme per il governo del territorio, (Bollettino ufficiale n. 2, del 12 gennaio 2005), articolo 2, comma 2, la regione Toscana ha specificamente stabilito che il paesaggio costituisce una delle risorse essenziali del suo territorio.
[12] Risoluzione del Congresso 178 (2004), adottata in occasione della sua 11ma Sessione plenaria, Strasburgo, 27 maggio 2004.
[13] Decisione dell'11 novembre 2004.
[14] Per ragioni di coerenza linguistica con l'articolo 5.b, nella traduzione italiana elaborata dal ministero (cfr. nota 3), si sarebbe preferita la traduzione "politiche del paesaggio".
[15] a) "Salvaguardia dei paesaggi indica le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d'intervento umano"; b) "Gestione dei paesaggi indica le azioni volte, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, a garantire il governo del paesaggio al fine di orientare e di armonizzare le sue trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali"; c) "Assetto dei paesaggi indica le azioni fortemente lungimiranti, volte alla valorizzazione, al ripristino o alla creazione di paesaggi".
[16] Il termine "caratterizzazione" è stato preferito al termine proposto nella traduzione del ministero dei Beni e delle Attività culturali "valutazione". Quest'ultimo termine infatti può far pensare che, contrariamente allo spirito della Convenzione, nel compiere l'operazione in questione sia possibile/necessario esprimere un giudizio di valore. Il termine "caratterizzazione" appare inoltre meglio tradurre i termini francese qualification e inglese assessment contenuti nella versione ufficiale della Convenzione. Altre soluzioni linguistiche sono proponibili.
[17] Ai termini dell'articolo 1 della Convenzione, gli "Obiettivi di qualità paesaggistica designano la formulazione da parte delle pubbliche autorità competenti, per un determinato paesaggio, delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro contesto di vita".
[18] Relazione esplicativa della Convenzione: paragrafo 66: "E' emerso che gli obiettivi della convenzione sarebbero raggiunti più facilmente se i rappresentanti delle Parti avessero la possibilità di incontrarsi regolarmente per mettere a punto dei programmi comuni e coordinati e garantire in modo congiunto il controllo dell'applicazione della convenzione". Paragrafo 67: "A tal proposito, è stato considerato che il Consiglio d'Europa rappresenta il quadro ideale, poiché dispone di strutture competenti nell'ambito delle quali tutte le Parti contraenti della convenzione possono farsi rappresentare". Paragrafo 68: "Visto il carattere pluridisciplinare della nozione e delle attività legate al paesaggio, il controllo dell'applicazione della convenzione potrà quindi essere affidato al Comitato per le attività del Consiglio d'Europa in materia di diversità biologica e paesaggistica (Co-Dbp) e al Comitato del patrimonio culturale (Cc-Pat) che, nell'ambito del Consiglio d'Europa, operano nel campo di attività trattate nelle disposizioni della convenzione e hanno un accesso diretto al Comitato dei ministri. Per svolgere tale compito, questi comitati potranno riunirsi congiuntamente in modo che la convenzione possa avvalersi di un forum di discussione appropriato. L'Assemblea parlamentare e il Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa (Cplre) saranno associati ai lavori dei suddetti comitati sul tema della convenzione". Paragrafo 69: "Considerando le crescenti responsabilità delle autorità locali e regionali nel campo della salvaguardia, della gestione e della pianificazione dei paesaggi, il Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa (Cplre), l'organo rappresentativo di tali autorità in seno al Consiglio d'Europa, potrà indirizzare dei pareri al Comitato dei ministri circa i rapporti predisposti dall'istanza del Consiglio d'Europa incaricata del controllo dell'applicazione della convenzione, in base all'articolo 2, capoverso 2 della Risoluzione statutaria (2000) 1". Paragrafo 70: "Nello stesso spirito, il Cplre è chiamato a partecipare attivamente alle iniziative intraprese nell'ambito del controllo (...)".
[19] Comitato del patrimonio culturale (Cd-Pa), Comitato per le attività del Consiglio d'Europa in materia di diversità biologica e paesaggistica (Co-Dbp) e Comitato degli alti funzionari della Conferenza europea dei ministri dell'assetto del territorio (Chf-Cemat).
[20] Delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali, spettacoli, sport, proprietà letteraria e diritto d'autore.
[21] Decreto pubblicato sul supplemento ordinario n. 28/L alla Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 2004, n. 45.
[22] Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, recante il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali.
[23] Da P. Ungari, Il Codice del paesaggio tra innovazione e continuità. Riflessi sul regime dei suoli, in Giustizia amministrativa, Rivista di diritto pubblico, 07-2004.
[24] Da Dossier speciale del Sole 24 Ore (Norme e documenti) interamente dedicato al Codice dei beni culturali e del paesaggio redatta da M. Torsello, Capo dell'Ufficio legislativo del ministero dei Beni e delle Attività culturali. Supplemento al n. 9 di Edilizia e territorio del Sole 24 Ore, 2004.
[25] Perché vi fosse un riferimento formale alla Convenzione, quest'ultima avrebbe dovuto essere già stata ratificata al momento dell'adozione del Codice. E' comunque interessante notare che l'articolo 133 del Codice stabilisce che "le attività di tutela e di valorizzazione del paesaggio si conformano agli obblighi e ai principi di cooperazione tra Stati derivanti dalle Convenzioni internazionali". Quest'idea è ripresa nelle Note dove, nel riferirsi alla legge delegazione che lo giustifica, il Codice precisa che nell'aggiornare gli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali ed ambientali è necessario conformarsi al puntuale rispetto degli accordi internazionali.
[26] N. 5373 approvato il 22 ottobre 2004 e relativo alla Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sul paesaggio. Considerato il suo carattere interdisciplinare, il disegno di legge è stato presentato al Parlamento dal ministro degli Affari esteri e dal ministro per i Beni e le Attività culturali di concerto con il ministro per gli Affari regionali, con il ministro dell'Economia e delle Finanze, con il ministro dell'Ambiente e della Tutela del territorio e con il ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.
[27] A seguito della fase consultiva presso le Commissioni affari istituzionali, politiche Ue, cultura, lavoro, agricoltura, bilancio e tesoro, conclusasi con esito pienamente favorevole.
[28] Seduta pomeridiana n. 627 - Risultato votazione finale: 418 favorevoli su 418 votanti.
[29] Cfr. nota 28.
[30] Cfr. ultimo capoverso della Parte prima, paragrafo 2.2., del presente testo.
[31] L'articolo 117 stabilisce infatti che "Nelle materie di sua competenza la regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato".