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La cultura e i beni culturali nell'ordinamento comunitario
dopo la Costituzione europea

di Andrea Fantin


Sommario: 1. Premessa. - 2. L'aspetto della "cultura" nell'ordinamento comunitario fino al Trattato di Nizza. - 3. Dal programma Raffaello a Cultura 2000: il contributo concreto dell'Unione allo sviluppo delle culture degli Stati membri. - 4. La "cultura" nella nuova Costituzione europea. - 5. Conclusioni.



1. Premessa

La recente pubblicazione della Costituzione europea sulla Gazzetta della Comunità in data 16 dicembre 2004 [1], induce a domandarsi quale incidenza avrà, alla luce delle nuove disposizioni, il diritto comunitario sulle norme dettate dagli Stati membri al fine di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale.

 

2. L'aspetto della "cultura" nell'ordinamento comunitario fino al Trattato di Nizza

Iniziando l'analisi dal Trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità, emerge che, a causa del carattere essenzialmente economico che distingueva le origini comunitarie, "cultura" e "tutela del patrimonio culturale" degli Stati membri rivestivano, in principio, un ruolo marginale: non esistevano infatti norme che delineassero specificamente il ruolo della Comunità rispetto agli Stati membri, né tanto meno le modalità di azione della stessa in ambito culturale. Si può, infatti, rilevare come l'aspetto della "cultura" sia considerato dal legislatore esclusivamente in due sole disposizioni e più precisamente [2]:

nell'art. 3, lett. p), relativamente ai principii generali, in cui si indicava tra le diverse azioni della Comunità finalizzate alla promozione dello sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche dei diversi Stati membri, anche quella "del pieno sviluppo delle culture degli Stati membri";

nell'art. 36, che, relativamente all'abolizione delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri, lasciava "impregiudicati i divieti o le restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale".

E' solo con le modifiche apportate al Trattato dalla Convenzione di Maastricht del 1993, che, per la prima volta nella normativa europea, l'aspetto della cultura "assurge ad interesse pubblico comunitario di rango primario" [3], divenendo la cooperazione culturale tra gli Stati membri un obiettivo ufficialmente riconosciuto dell'azione comunitaria.

A differenza di quanto previsto nella versione originaria del Trattato, infatti, vengono delineati espressamente in un'apposita norma (l'art. 128) [4] gli obiettivi dell'azione comunitaria in materia di "cultura": compito dell'Unione deve essere quello di contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità culturali, (comma 1), di incoraggiare la conoscenza e la diffusione delle culture e della storia dei popoli, di conservare il patrimonio europeo (comma 2) ed infine di favorire la cooperazione tra gli Stati, con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali (comma 3).

Il ruolo dell'Unione in tale ambito viene dunque delimitato e circoscritto ad un'opera prevalentemente di incentivazione alla cooperazione culturale tra i diversi Stati membri e solo eccezionalmente di integrazione delle politiche nazionali, nella misura in cui gli obiettivi prefissati possano essere raggiunti meglio a livello comunitario che a livello nazionale.

Passando infine ad analizzare l'ultima versione del Trattato, come risulta dalle modifiche apportate dalla Convenzione di Amsterdam e dalla Convenzione di Nizza, si rileva che il contenuto dell'art. 128 è stato ora interamente trasfuso nell'art. 151 [5].

Viene infatti confermato che obiettivo principale dell'Unione è il pieno sviluppo delle culture degli Stati membri (comma 1) attraverso la valorizzazione del retaggio culturale comune nel rispetto delle diversità nazionali e regionali (comma 4).

Al fine di realizzare dette finalità, l'articolo in commento ribadisce, al pari del precedente, che l'azione dell'Unione deve essere indirizzata: non solo ad incentivare la cooperazione tra gli Stati membri ma - qualora necessario - anche ad appoggiare ed integrare l'azione degli stessi al fine di migliorare la conoscenza e la diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, conservare e salvaguardare il patrimonio culturale di importanza europea, facilitare scambi culturali non commerciali, incentivare la creazione artistica e letteraria, compreso anche il settore audiovisivo (comma 2), nonché favorire la cooperazione nei confronti dei paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura (comma 3).

Unica differenza, rispetto alla versione originaria del Trattato, è rappresentata dalla scelta di dedicare un intero Titolo, il XII, alla "Cultura", a riprova della crescente importanza dell'aspetto culturale nella vita dell'Unione.

 

3. Dal programma Raffaello a Cultura 2000: il contributo concreto dell'Unione allo sviluppo delle culture degli Stati membri

Passando quindi ad analizzare in quale direzione si sia mossa prima d'ora l'Unione al fine di realizzare gli obiettivi previsti nel Trattato, si può constatare che l'azione di incentivazione nei confronti degli Stati membri si è concretizzata quasi esclusivamente attraverso interventi di sostegno a carattere finanziario contenuti in specifici progetti, adottati in codecisione tra il Consiglio e il Parlamento europeo, previa decisione del Comitato delle regioni.

Al riguardo si può sottolineare che a partire dal 1993 le iniziative culturali dell'Unione, che in precedenza avevano avuto un carattere "episodico e frammentario" [6], si traducono in precise azioni di incentivazioni a carattere economico, concretizzantesi in specifici programmi culturali pluriennali volti a valorizzare, sostenere e tutelare il patrimonio culturale europeo.

In particolare gli interventi dell'Unione in materia di cultura possono essere divisi in due differenti periodi: il primo anteriore all'anno 2000 con i programmi Caleidoscopio (1996-1999) [7], mirante a sostenere le attività di creazione e di cooperazione artistica e culturale di dimensione europea, Arianna (1997-1999) [8], per il sostegno del settore del libro e della letteratura, e Raffaello (1997-2000) [9], diretto a completare le politiche degli Stati membri nel settore del patrimonio culturale; il secondo successivo all'anno 2000, che vede la nascita di "Cultura 2000", che raggruppa in un unico strumento di programmazione e finanziamento i precedenti tre programmi, avente durata fino all'anno 2006 [10].

In relazione al primo dei due periodi sopra ricordati, sicuramente di maggior interesse in relazione all'analisi qui condotta è il Programma Raffaello, confluito poi nel Programma "Cultura 2000".

Con tale iniziativa l'Unione europea si prefigge quale finalità primaria l'incentivazione e la cooperazione mirante alla protezione, alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio culturale europeo, sensibilizzando, da un lato, i cittadini al patrimonio culturale e, dall'altro, cercando di migliorare le loro possibilità di accesso a tale patrimonio: obiettivi questi che trovano una speculare previsione nelle finalità "di tutela, valorizzazione e fruizione" enunciate anche nelle normative che si sono succedute nel nostro ordinamento a partire dalla legge 1 giugno 1939, n. 1089 fino ad arrivare al nuovo Codice dei beni culturali approvato con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

Attraverso lo stanziamento di circa 30 milioni di Ecu, è stato pertanto possibile, nel periodo intercorso tra il 1997 e il 1999, finanziare in Europa 222 progetti e 18 "laboratori europei del Patrimonio", intendendosi con tale espressione interventi tecnicamente complessi su monumenti o siti d'interesse eccezionale.

In particolare i progetti finanziati si sono articolati in quattro diverse direzioni e precisamente:

la conservazione, la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali;

la cooperazione finalizzata allo scambio di esperienze e lo sviluppo di tecniche applicate al settore dei beni culturali (innovazione e nuove tecnologie, mobilità e perfezionamento dei professionisti, scambi di esperienze ed informazioni);

l'accesso, la partecipazione e la sensibilizzazione dei cittadini ai beni culturali;

la cooperazione con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali in adempimento del comma 3 dell'art. 151 del Trattato.

Nella relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato delle regioni inerente l'attuazione dei programmi Caleidoscopio, Arianna e Raffaello [11], nonostante si valutasse positivamente l'enorme sforzo fatto dalla Comunità nel settore della cultura, venivano sottolineati alcuni "punti deboli o difetti costanti" nella gestione degli stessi da parte degli organi comunitari preposti, quali:

l'eccessiva tipizzazione dei settori a discapito di altri,

la complessità delle procedure volte all'assegnazione dei finanziamenti,

una scarsa promozione e informazione dovute alla frammentazione in tre diversi programmi, per l'assenza principalmente di un progetto unico che avrebbe garantito maggiore efficacia e visibilità.

Le perplessità sopra evidenziate dalla Commissione non sono rimaste inascoltate dal momento che il primo gennaio 2000 è stato istituito un unico atto programmatico in materia culturale detto "Cultura 2000", avente quale finalità il supporto delle azioni comunitarie in materia culturale dal primo gennaio 2000 al 31 dicembre 2006.

Rimangono pressoché invariati rispetto ai programmi precedenti gli obiettivi previsti che si possono riassumere nella valorizzazione e nella tutela di uno spazio culturale comune agli Stati membri, attraverso la cooperazione fra gli operatori culturali, nella promozione della diffusione transnazionale della cultura e della mobilità dei creatori e dei professionisti della cultura, nonché nella promozione della cultura come fattore di sviluppo economico e di integrazione sociale da attuarsi attraverso: A) azioni specifiche, innovative e sperimentali; B) azioni integrate nel quadro di accordi di cooperazione culturale pluriennali; C) avvenimenti culturali speciali aventi dimensione europea e/o internazionale.

Emerge dalla risoluzione del Parlamento europeo sull'attuazione del programma "Cultura 2000" per gli anni 2000 e 2001 [12] che l'unificazione dei diversi programmi abbia portato, rispetto al passato, non solo all'eliminazione dei problemi relativi alla frammentazione e alla visibilità dei programmi, ma anche contribuito a rafforzare gli ambiti di intervento nel settore culturale: ciò sia sotto l'aspetto della copertura di settori prima esclusi sia sotto il profilo economico, essendo aumentato considerevolmente lo stanziamento finanziario da parte dell'Unione, portato a 236, 5 milioni di euro [13] per la realizzazione di diversi progetti annuali e pluriennali [14].

Nonostante tali aspetti positivi, ad avviso della Commissione rimangono ancora di grande ostacolo alla completa realizzazione degli obiettivi prefissati: "...la pletora burocratica nelle procedure di assegnazione dei fondi, una sconcertante vaghezza dei criteri nella scelta dei progetti, la preferenza per le grandi reti e le grandi operazioni a discapito di quelle di minor ampiezza ma spesso più utili, il costante ritardo nell'erogazione dei fondi assegnati, la mancanza di cooperazione tra i candidati che spesso porta alla duplicazione dei progetti o alla scarsa completezza degli stessi...".

Non va infine dimenticato - parallelamente e a supporto degli interventi realizzati attraverso il Programma Cultura 2000 - lo sforzo profuso da parte dell'Unione al fine di incentivare la costruzione di infrastrutture culturali nell'ambito della politica di sviluppo regionale.

Al riguardo l'attenzione deve essere rivolta innanzitutto al "Fondo europeo per lo sviluppo regionale" (Fesr). Tale fondo istituito il 18 marzo 1975 con il regolamento del Consiglio n. 724, e modificato recentemente con regolamento n. 1783/1999 [15] del Parlamento europeo in data 12 luglio 1999 [16], si prefigge quale finalità principale la promozione della coesione economica, sociale e culturale attraverso la correzione degli squilibri regionali.

In particolare i finanziamenti erogati vengono rivolti al sostegno di specifiche iniziative mirate:

- allo sviluppo di investimenti produttivi che permettano di creare o mantenere posti di lavoro durevoli;

-alla creazione, all'ammodernamento e alla conservazione di infrastrutture che contribuiscono allo sviluppo e alla riconversione delle regioni interessate;

- allo sviluppo del potenziale endogeno delle regioni interessate, attraverso misure d'animazione e di sostegno alle iniziative di sviluppo locale e alle attività delle piccole e medie imprese, con particolare attenzione all'attività di ricerca e sviluppo e cultura;

- agli investimenti nel settore dell'istruzione e in quello della sanità, per quanto riguarda le sole regioni in ritardo di sviluppo;

- al finanziamento di studi intrapresi su iniziativa della Commissione e progetti pilota, entro il limite dell'1% della dotazione del fondo.

E' proprio attraverso l'utilizzo del Fesr, che annualmente vengono finanziati nei diversi Stati membri, al fine di realizzare gli obiettivi sopra esposti, progetti per la costruzione di spazi destinati anche ad attività culturali o per il risanamento di edifici storici con l'intento di trasformarli in musei, biblioteche auditorium, centri multimediali. Gli esempi più significativi di interventi, già portati a compimento, sono rappresentati dal "Pole de l'image" ad Angouleme, in Francia, dal quartiere di Temple Bar a Dublino, ed infine dal Lowry Centre in Gran Bretagna.

 

4. La "cultura" nella nuova Costituzione Europea

Una volta delineati brevemente sia il ruolo dell'Unione in ambito culturale, attraverso l'esame dei diversi Trattati succedutisi nel tempo, sia gli strumenti utilizzati al fine di raggiungere gli obiettivi stabiliti, occorre domandarsi se la Costituzione introduca variazioni al quadro descritto.

Al riguardo può fin d'ora anticiparsi che il costituente benché non abbia apportato modifiche sostanziali a quanto già previsto in precedenza, ha introdotto alcune significative precisazioni che confermano ancora una volta, come gli interventi dell'Unione, relativamente al settore culturale, debbano limitarsi esclusivamente ad azioni di appoggio ed integrazione delle iniziative dei singoli Stati.

Quanto al ruolo attribuito all'Unione in ambito culturale va infatti innanzitutto messa in luce la nuova formulazione dell'art. I-17 della Costituzione.

La disposizione chiarisce definitivamente - a differenza di quanto avveniva nel Trattato - quali siano i settori nei quali l'Unione gode di una competenza limitata solamente al sostegno, coordinamento o completamento, inserendo espressamente tra questi - unitamente alla tutela e al miglioramento della salute umana, dell'industria, del turismo, dell'istruzione, della gioventù, dello sport, della formazione professionale, della protezione civile e della cooperazione amministrativa - anche "la cultura".

A questa previsione si aggiunge - al pari di ciò che già era accaduto nel Trattato - uno specifico articolo (l'art. III-280) dedicato alla "cultura", con il quale vengono specificati, in attuazione dell'art. I-17 lett. c), i termini e le modalità di azione dell'Unione nei confronti dei diversi Stati.

Il primo comma dell'art. III-280, infatti, affermando che "...l'Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il patrimonio culturale comune...", ribadisce quanto già programmaticamente anticipato anche art. alI'I-3, comma 3 della Costituzione [17] stessa, in cui il rispetto e la salvaguardia delle diversità culturali dei vari Stati membri figurano tra gli obiettivi principali dell'Unione [18].

L'utilizzo delle espressioni "contribuisce", "sviluppo delle culture degli Stati membri", "rispetto delle diversità nazionali e regionali", evidenzia la volontà di escludere da parte del legislatore comunitario nel campo della cultura una omogeneizzazione della normativa dei diversi Stati membri, dal momento che proprio la salvaguardia delle diversità e la consapevolezza delle differenti esigenze sono considerate necessarie ed imprescindibili per garantire il raggiungimento della migliore tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale comune.

La stessa volontà da parte del Costituente europeo di mantenere, al pari di quanto accadeva nel Trattato, l'utilizzo al plurale della locuzione "culture" anziché "cultura", non può e non deve considerarsi casuale.

Come infatti già fatto rilevare in precedenza da attenta dottrina nel commento dell'art. 151 del Trattato nella sua ultima versione, tale scelta racchiude in sé il fine ultimo che l'azione comunitaria intende perseguire nei confronti degli Stati membri e, più precisamente, non tanto "la promozione di una cultura immaginabile come unica, alla stregua della moneta, dei paesi europei, ma piuttosto la promozione delle diverse culture in essi presenti... in quella formulazione al plurale... può considerarsi implicita la tendenza ad accogliere una idea di multiculturalità piuttosto che quella di un'unica cultura europea ovvero anche una concezione di quest'ultima come sommatoria delle diverse culture degli Stati membri..." [19].

Se con il primo comma vengono fissati i principi che devono regolare i rapporti tra Unione e Stati membri, il secondo comma dell'art. III-280, si preoccupa di specificare gli ambiti in cui può avvenire l'intervento dell'Unione all'interno degli ordinamenti dei diversi Stati membri.

Vengono individuate due diverse modalità di esercizio dell'azione dell'Unione europea.

La prima, di carattere esclusivamente "indiretto", attribuisce alle istituzioni comunitarie un ruolo ristretto che si concretizza "nell'incoraggiare la cooperazione degli Stati" nel settore culturale, lasciando spazio all'iniziativa dei diversi ordinamenti interni.

Tale previsione rappresenta l'ipotesi ordinaria e più frequente di intervento e si concretizza essenzialmente da un lato in un'opera di monitoraggio e coordinamento da parte dell'Unione delle diverse iniziative degli Stati in ambito culturale e dall'altro in un sostegno di natura finanziaria al fine di rendere realizzabili i diversi interventi proposti dagli Stati.

A differenza di ciò che si vedrà di seguito, nessun particolare presupposto viene previsto per l'esercizio di tale tipo di azione, che pertanto potrà aver luogo tutte le volte che l'Unione lo ritenga anche solo opportuno.

A completamento di quanto appena detto, il comma 3 dell'art. III-280, estende l'intervento dell'Unione, al fine di favorire la cooperazione in ambito culturale non solo nei confronti degli Stati membri ma anche nei confronti di paesi terzi e delle organizzazioni internazionali che operano in tale settore.

In tale caso è prevista una competenza concorrente anche da parte degli Stati membri, che pertanto avranno la possibilità di operare in tal senso anche direttamente, senza la mediazione dell'Unione europea.

Parallelamente viene indicata, al comma 2, dell'art III-280, la seconda modalità di azione, che prevede "un intervento diretto" dell'Unione nelle politiche culturali dei diversi Stati membri; intervento che, a differenza del precedente, deve però considerarsi eccezionale ed esercitabile esclusivamente secondo le modalità e i limiti espressamente indicati.

Proprio per tale motivo la Costituzione, al pari di ciò che era già avvenuto nel Trattato, si premura di individuare i limiti di ingerenza da parte dell'Unione, specificando: a) quando sia ammissibile un intervento diretto; b) quale debba essere l'ampiezza di tale intervento.

Quanto al limite sub a), il comma 2, dell'art. III-280 esclude la possibilità di un intervento diretto nel settore culturale dei diversi Stati membri tutte le volte in cui non risulti assolutamente "necessario" [20] e comunque circoscritto a specifici settori e più precisamente:

a) miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei;

b) conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea;

c) scambi culturali non commerciali;

d) creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo.

Passando quindi al limite sub b) si può poi rilevare che in tali ipotesi l'intervento dell'Unione, dovrà limitarsi a "sostenere" e a "completare" [21] l'azione già intrapresa dagli Stati.

L'attività dell'Unione, qualora possibile, è dunque di carattere sussidiario [22] e di supporto rispetto a quella degli Stati membri: "all'Unione è riconosciuta dunque solo una funzione... aggiuntiva ed eventualmente integrativa rispetto a quella nazionale, in sostanza l'Unione interviene nel settore culturale solo se la sua azione è tale da portare un valore aggiunto" [23].

Tale principio di salvaguardia dell'autonomia degli Stati membri in materia di cultura trova ulteriore conferma nel quarto comma dell'art. III-280, nel quale il legislatore "al fine di rispettare e promuovere la diversità delle culture" presenti all'interno dell'Unione si preoccupa di precisare che, anche nell'esercizio di competenze comunitarie fondate su altre norme del Trattato che permettono intervento diretto dell'Unione negli stati membri, non si potrà "non tener conto degli aspetti culturali" specifici dei diversi Stati membri [24].

Delineati i principii generali che regolano i rapporti tra Unione e Stati membri in materia di cultura dettati dalla Costituzione, appare opportuno verificare anche quali siano in concreto i poteri esercitabili dall'Unione nei confronti degli Stati membri in tale settore.

Ancora una volta è l'art. III-280 che risponde a tale interrogativo precisando, al comma 5, che la realizzazione degli obiettivi previsti dalla Costituzione europea in materia di cultura deve limitarsi ad azioni di incentivazione da assumersi:

a) con legge o legge quadro europea, con esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri;

b) con raccomandazioni adottate dal Consiglio su proposta della Commissione.

Viene dunque ribadito e mantenuto fermo dalla Costituzione, al pari di quanto prevedeva il comma 5, dell'art 151 del Trattato, il divieto per l'Unione di omogeneizzare leggi o regolamenti statali nell'esercizio delle azioni di incentivazione in ambito culturale.

Se dunque il comma 5 dell'art. III-280 della Costituzione europea, sembra confermare nella sostanza la previsione del corrispondente comma 5 dell'art. 151 del Trattato, non possono tuttavia non essere rilevate alcune differenze.

Da un lato infatti viene abbandonata la vecchia dicitura - che non precisava il tipo di atto da adottarsi, facendo genericamente richiamo alla procedura di cui all'art. 251 del Trattato - a favore della più diretta e precisa terminologia di "legge o legge quadro"; dall'altro viene meno l'obbligo per il Consiglio di deliberare sempre all'unanimità [25], durante la procedura di adozione di detti atti normativi.

Proprio tale ultimo aspetto aveva in passato suscitato le critiche di una parte della dottrina che aveva rilevato come, se da un lato il Trattato imponeva quale obiettivo quello del sostegno e della cooperazione fra gli Stati membri in ambito culturale, dall'altro rendeva però assai difficile la realizzazione di tali finalità a causa dei rigidi vincoli procedurali che imponevano al Consiglio la delibera all'unanimità [26].

Sembra pertanto che tale modifica, fermo restando il divieto di armonizzazione, garantisca una maggiore sovranazionalità dell'ordinamento comunitario in relazione agli interventi in ambito culturale [27].

Rimane, viceversa, immutata rispetto al Trattato la previsione secondo cui, al fine di realizzare gli obiettivi prefissati dall'Unione in materia culturale, il Consiglio può adottare, su proposta della Commissione, nei confronti degli Stati membri "raccomandazioni", che tuttavia stante la loro natura non vincolante, avranno valore prevalentemente esortativo e solo in qualche caso rilevanza giuridica indiretta.

 

5. Conclusioni

L'intero sistema delineato evidenzia come l'azione dell'Unione si concretizzi in un sostegno prevalentemente di tipo economico nei confronti delle iniziative presentate, nell'ambito dei programmi culturali europei, sia da parte di enti pubblici che da parte di enti privati, aventi personalità giuridica [28].

Proprio tale aspetto, relativo ai destinatari dei finanziamenti, merita - da ultimo - di essere sottolineato.

Innanzitutto si deve rilevare che il principio della cooperazione, espressamente previsto dall'art. III-280, comma 3, della Costituzione europea non deve essere inteso solamente come "...cooperazione (e associazione) fra Stati, quanto piuttosto [come] l'agire congiunto di tutti i soggetti pubblici e privati della vita sociale e istituzionale..." [29]

Si spiega allora che in ambito comunitario sia stata rivolta negli ultimi anni una grande attenzione alle iniziative dei soggetti privati che hanno riguardato la diffusione e conoscenza delle diverse culture e tradizioni locali nonché il recupero e la gestione dei beni culturali stessi.

Proprio in questa ottica di apertura verso la collaborazione da parte dei privati nella gestione e nella valorizzazione del patrimonio culturale comune europeo, si inserisce anche la recente politica dell'Unione dettata con il "Libro Verde" relativo al partenariato pubblico-privato [30] il quale si pone quale obiettivo di incentivare e promuovere a livello comunitario la realizzazione di contratti mediante i quali il privato si obbliga a fornire un servizio "in luogo" del partner pubblico ma sotto il controllo dello stesso.

D'altra parte la strada indicata dal legislatore comunitario che, come appena evidenziato, ritiene in tale ambito non solo possibile ma addirittura opportuna la collaborazione di soggetti non pubblici, non sembra tanto differente da quanto è stato recentemente previsto anche nel nuovo Codice dei beni culturali italiano nel quale lo Stato impone ai privati, che vogliano rendersi acquirenti di beni di valore storico artistico di proprietà pubblica una serie di vincoli ed obblighi [tra i quali spicca quello che siano "assicurate la tutela e la valorizzazione" del bene alienato, (art. 55, comma 1, lett. a)], e nel quale si prevedono, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, la promozione e il sostegno del concorso dei privati alla valorizzazione in genere del patrimonio culturale. (art. 6, comma 3).

 



Note

[1] Ratificata dal Parlamento italiano e pubblicata in Gazzetta ufficiale n. 92 del 21 aprile 2005 - Suppl. ord. n. 70. Il provvedimento è stato definitivamente approvato dall'Assemblea del Senato, nella seduta del 6 aprile 2005.

[2] Cfr. A. Catelani e S. Cattaneo, I beni e le attività culturali, in Trattato di Diritto Amministrativo diretto da G. Santaniello, Vol. XXXIII, Padova, 2002, 10, che rilevano come prima del Trattato di Maastricht "l'esame dell'ordinamento comunitario poteva dar credito all'opinione che il campo della cultura, in genere, fosse in via di principio da considerare estraneo agli interessi propri della comunità europea e dalla sua azione diretta dal momento che questa era volta piuttosto allo scopo di realizzare una integrazione tra gli Stati membri essenzialmente economica e non culturale... la lettura di quel testo anzi faceva ritenere a qualche interprete la esistenza di una volontà chiara, anche se non espressa, di tenere le due sfere, quella economica e quella culturale, tra loro separate".

[3] B. Accettura, Ordinamento europeo e ordinamenti nazionali, in Aedon, 2/2003.

[4] Art. 128: "La Comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune.

L'azione della Comunità è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri e, se necessario, ad appoggiare ed integrare l'azione di questi ultimi nei seguenti settori:

a) miglioramento delle conoscenze e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei;

b) conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea;

c) scambi culturali non commerciali;

d) creazione artistica e letteraria compreso il settore audiovisivo.

La Comunità e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d'Europa.

La Comunità tiene conto degli aspetti culturali nell'azione che svolge ai sensi di altre disposizioni del presente Trattato.

Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo, il Consiglio adotta:

deliberando in conformità della procedura di cui all'art. 189 B e previa consultazione del Comitato delle regioni, azioni di incentivazione, ed esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri. Il Consiglio delibera all'unanimità durante tutta la procedura di cui all'art 189 B;

deliberando all'unanimità su proposta della Commissione, raccomandazioni".

[5] Trattato Ue, Sezione XII, Art. 151: "1. La Comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune.

2. L'azione della Comunità è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l'azione di questi ultimi nei seguenti settori:

– miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea,

– scambi culturali non commerciali,

– creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo.

3. La Comunità e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d'Europa.

4. La Comunità tiene conto degli aspetti culturali nell'azione che svolge a norma di altre disposizioni del presente trattato, in particolare ai fini di rispettare e promuovere la diversità delle sue culture.

5. Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi previsti dal presente articolo, il Consiglio adotta:

– deliberando in conformità della procedura di cui all'articolo 251 e previa consultazione del Comitato delle regioni, azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Il Consiglio delibera all'unanimità durante tutta la procedura secondo le modalità di cui all'articolo 251

– deliberando all'unanimità su proposta della Commissione, raccomandazioni".

[6] Cfr. M. Chiti, Beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e M. Greco, Milano, 1997, 378; in tal senso anche A. Mansi, La tutela dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2004, 335, che sul punto afferma: "...nonostante la previsione di una politica comunitaria nel settore sia stata introdotta solo con il Trattato sull'Unione europea, già in precedenza i programmi di azione ed i Fondi esistenti avevano contribuito, sia pur indirettamente, alla tutela e valorizzazione dei beni culturali, prevalentemente tramite i c.d. "Progetti pilota" che possono stimarsi in più di un centinaio...".

Tra questi primi interventi della Comunità possono essere ricordati il sostegno al restauro dell'Acropoli di Atene e del quartiere Chiado di Lisbona.

[7] Istituito con decisione n. 719/96/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 marzo 1996 avente come finalità un programma di sostegno alle attività artistiche e culturali di dimensione Europea, G.U. L 99 del 20 aprile 1996, 20.

[8] Istituito con decisione n. 2085/97/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 ottobre 1996, avente come finalità un programma di sostegno comprendente la traduzione, al settore del libro e della letteratura, G.U. L 291 del 24 ottobre 1997, 26.

[9] Istituito con decisione n. 2228/97CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 1997avente come finalità un programma comunitario d'azione in materia di beni culturali, G.U. L 305 dell'8 novembre 1997, 31.

[10] In particolare il programma prevedeva sei obiettivi specifici: 1) incoraggiare la conservazione e il restauro dei beni culturali; 2) incoraggiare gli scambi di esperienze e di know how in materia di conservazione del patrimonio; 3) migliorare l'accesso del pubblico a questo patrimonio e incoraggiare la partecipazione alla sua salvaguardia; 4) incentivare la cooperazione tecnica per la preservazione dei mestieri connessi con i beni culturali; 5) integrare la dimensione dei bei culturali in tutti i programmi comunitari; 6) favorire la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali.

[11] Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato delle regioni inerente l'attuazione dei programmi Caleidoscopio, Arianna e Raffaello, in data 23 gennaio 2004, Com (2004) 33.

[12] Risoluzione sull'attuazione del programma "Cultura 2000, (2000/2317(INI)), del 28 febbraio 2002 del Parlamento europeo sulla base della relazione dell'On. Vasco Graca Mura, pubblicata nel Guce C284E/2002.

[13] Nonostante ciò si deve rilevare come nella risoluzione del Parlamento europeo sulla attuazione del Programma cultura 2000 venga espressamente fatto notare che lo stanziamento sia ancora insufficiente vista "... la crescente dimensione di una domanda culturale che risente certamente dell'inadeguatezza tra la ricchezza dei suoi obiettivi e la notevole debolezza del suo bilancio".

[14] Per quanto riguarda l'attuazione del programma all'anno 2003, nei primi tre anni di vita del Programma "Cultura 2000", sono stati finanziati 700 progetti dei 2000 presentati. Tali progetti coinvolgono in media cinque operatori provenienti dai diversi paesi partecipanti al programma. Di questi 700 quasi 600 sono progetti annuali i restanti di durata pluriennale.

[15] Tale normativa comunitaria rientra nel contesto globale introdotto con il regolamento (Ce) n. 1260/1999 del consiglio recante disposizioni generali sui Fondi strutturali.

[16] Pubblicato nella Guce L 213 del 13 agosto 1999.

[17] Articolo I-3: Obiettivi dell'Unione: "1. L'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.

2. L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne e un mercato unico nel quale la concorrenza è libera e non distorta.

3. L'Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata, un'economia sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. L'Unione promuove il progresso scientifico e tecnico. Combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti dei minori.

Promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri.

Rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila alla salvaguardia e allo sviluppo del patrimonio culturale europeo.

4. Nelle relazioni con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi.

Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti dei minori, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite.

5. Tali obiettivi sono perseguiti con i mezzi appropriati, in ragione delle competenze attribuite all'Unione nella Costituzione".

[18] Da rilevare che sia pure con terminologia diversa tale finalità era prevista anche tra i principi dettati dal Trattato Ue che nell'art. 3, comma 1, lett. q) precisava che l'azione dell'Unione comportava: "...un contributo ad un'istruzione e ad una formazione di qualità e al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri...".

[19] A. Catelani e S. Cattaneo, op. cit., 8.

[20] Cfr. A. Catelani e S. Cattaneo, op. cit., 33, i quali sia pur commentando l'art. 151 del Trattato, che riportava il medesimo contenuto dell'attuale norma della Costituzione sul punto affermavano che "l'inciso se necessario, inserito nella descrizione non sembra voler meramente proporre, in modo quasi pleonastico, un onere che in termini generali potrebbe considerarsi già implicito nella determinazione della competenza ma può trovare giustificazione solo in quanto connesso ad una specifica esigenza, relativa al contenuto proprio della competenza della Comunità in materia di sviluppo culturale, che è quello di contribuire ad una azione che si presuppone già svolta negli stati membri".

[21] Si rileva al riguardo che l'unica differenza che si può rilevare tra il precedente comma 2 dell'art. 151 del Trattato e l'attuale comma 2 dell'art. III-280 della Costituzione sta nell'utilizzo dei verbi "sostenere e completare" anziché "appoggiare ed integrare", differenza che comunque non sembra incidere sulla sostanza della norma.

[22] M.P. Chiti, op. cit., 353, il quale rilevava come già l'art. 128 del Trattato sull'Unione europea rappresentasse "...il fondamento per una serie di interventi culturali, vuoi per i beni che per le attività, bilanciati tra competenze statali e competenze comunitarie secondo il principio della sussidiarietà...".

[23] B. Accettura, op. cit., 12/24 a proposito dell'art. 151 del Trattato.

[24] Cfr. A. Catelani e S. Cattaneo, op. cit., 34. Ancora attuali sono le considerazioni degli autori i quali, nel commentare l'art. 151 del Trattato antecedente alla Costituzione, affermavano sul punto che il legislatore europeo dimostrava di considerare essenziale la salvaguardia delle diversità culturali degli Stati membri, anche qualora l'intervento dell'Unione negli ordinamenti interni fosse legittimato dall'esercizio di competenze che non riguardavano direttamente l'ambito culturale, a tal punto che precisamente aggiungevano "tale esercizio dovrà avvenire tenendo conto degli aspetti culturali dell'azione da svolgere: tale intervento - che ha qualche sostanziale analogia con l'espediente dell'intesa o del concerto con il ministro competente, è imposto dall'esigenza di prendere posizione, spesso in senso derogatorio di regole comunitarie, rispetto ad atti o a comportamenti contrastanti con l'azione della Comunità e giustificati da ragioni che fanno capo a diversità culturali".

[25] Con l'entrata in vigore della nuova Costituzione europea pertanto gli atti normativi (legge o legge quadro) riguardanti la cultura, seguiranno ora l'iter ordinario previsto per l'emanazione dalla nuova Costituzione europea previsto all'art. 396, essendo venuto meno nell'attuale art. III-280 l'espresso obbligo per il Consiglio di deliberare all'unanimità.

[26] Cfr. in tal senso F.M. Lazzaro, I finanziamenti comunitari alle attività culturali, Aedon, 3/2002, il quale in relazione all'obbligo di deliberazione all'unanimità da parte del Consiglio, in relazione ad atti normativi in ambito culturale, affermava che "...le procedure decisionali continuano a risentire dell'eccessiva rigidità... la governance di settore, dunque non può prescindere da un intervento sull'art. 151 Tue che consenta l'adozione di decisioni incisive, flessibili, mirate... d'altronde l'Unione europea dovrebbe considerare anche la cultura come un punto di forza autonomo, dotato di un proprio potenziale di sviluppo cui fare consapevolmente appello in tutte le strategie...".

[27] Cfr. A. Catelani e S. Cattaneo, op. cit., 35, i quali al riguardo facevano rilevare come nella vigenza della vecchia formulazione del Trattato venisse - attraverso l'obbligo per il Consiglio di deliberazione all'unanimità - attribuito in sostanza una sorta di potere di veto sulla decisione finale, con la conseguenza e il rischio che in tale modo venissero frustrate gran parte delle iniziative in tale settore.

[28] Devono pertanto considerarsi escluse dalla possibilità di partecipare ai bandi per i relativi finanziamenti sia le persone fisiche che le persone giuridiche non aventi personalità giuridica (in particolare con riferimento alla normativa italiana gli enti non riconosciuti disciplinati dagli art. 36 c.c. e seguenti).Tale limitazione sembra trovare conferma anche in relazione all'altro requisito indispensabile al fine dell'assegnazione di detti fondi ossia la dimostrazione di una solida capacità finanziaria sulla base dei bilanci approvati degli ultimi tre anni, espressamente previsto dal nostro legislatore solo per le associazioni riconosciute all'art. 20 comma 1 del codice civile.

[29 ] Cfr. F. Lazzaro, op. cit., 4/8

[30] Approvato dalla Commissione il 30 aprile 2004, Com (2004) 327.



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