Sommario: 1. Premessa: il contrasto tra forma e ratio dell'agevolazione fiscale Ici. - 2. Presupposti oggettivi e soggettivi nella disciplina fiscale dei beni culturali. - 3. La disciplina introdotta dall'art. 11 della legge 413/1991. - 4. La natura reale dell'imposta comunale sugli immobili. - 5. Brevi riflessioni in tema di vincoli amministrativi. - 6. La ratio equitativa dell'agevolazione Ici.
1. Premessa: il contrasto tra forma e ratio dell'agevolazione fiscale Ici
Con la sentenza 24-28 novembre 2003, n. 345, la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 2, comma 5, del decreto legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui non estende agli immobili di interesse storico o artistico in possesso di soggetti pubblici diversi dallo Stato e di persone giuridiche private senza scopo di lucro l'agevolazione fiscale prevista ai fini Ici per gli stessi immobili in possesso di soggetti privati con scopo di lucro [1].
La sentenza, inserendosi nel consolidato indirizzo giurisprudenziale volto a favorire sotto il profilo fiscale i proprietari di beni culturali, decide la questione di legittimità costituzionale sollevata per violazione dell'art. 3 Cost. dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, la quale, chiamata a pronunciarsi sull'applicabilità del beneficio ad un immobile di proprietà della Banca d'Italia, aveva ritenuto irragionevole l'"individuazione di due categorie di immobili di interesse storico o artistico, l'una avente diritto all'agevolazione fiscale e l'altra no, che si differenzierebbero esclusivamente per la natura, privata o pubblica, del soggetto proprietario del bene" [2]. Il contenuto della decisione può estendersi altresì indirettamente ad una recente ordinanza della Corte di Cassazione, fondata su pressoché analoghe considerazioni, ma relativa alla seconda categoria soggettiva discriminata dal legislatore, ovvero agli enti privati senza scopo di lucro [3].
In effetti, la norma in questione prevedeva una particolare modalità di calcolo della base imponibile dell'imposta comunale sugli immobili, espressamente riservata ai soli fabbricati di interesse storico o artistico di cui all'art. 3, legge 1° giugno 1939, n. 1089 (in possesso cioè di persone fisiche o giuridiche con scopo di lucro) [4]. Quid iuris nel caso di immobili di proprietà di soggetti pubblici o di enti privati no profit?
La non applicabilità dell'agevolazione, imposta dalla littera legis della norma, avrebbe tuttavia contrastato palesemente con la sua ratio agevolativa, comportando un'ingiustificata discriminazione di ipotesi contributive sostanzialmente equivalenti.
Si tenga presente, peraltro, che la giurisprudenza, qualificando le norme fiscali di favore come norme eccezionali, concorda nel ritenerle disposizioni di stretta interpretazione, come tali non suscettibili di integrazione analogica, ammettendo, tuttavia, una loro interpretazione estensiva attenta alla ratio ed alla natura economica dei fenomeni regolati [5].
La questione, di ordine generale, è particolarmente avvertita nel settore della tutela del patrimonio storico ed artistico nazionale, dove l'orientamento giurisprudenziale è nel senso di interpretare le norme agevolative in modo tale da rispettare sia il loro tenore letterale che la loro ratio [6]. D'altro lato, il rischio di interpretazioni estensive volte a mascherare un'applicazione analogica delle norme di favore, espressamente evidenziato dal giudice rimettente, permette di apprezzare ulteriormente la scelta effettuata dalla Corte di merito di devolvere il delicato quesito al giudizio della Corte costituzionale [7].
2. Presupposti oggettivi e soggettivi nella disciplina fiscale dei beni culturali
Prima di procedere all'analisi degli argomenti che hanno indotto la Consulta a pronunciarsi a favore dell'irragionevolezza di un regime tributario differenziato in ragione della sola natura soggettiva del proprietario del bene, appare opportuno avviare una (breve) indagine sistematica della disciplina fiscale di settore.
Il patrimonio storico ed artistico della nazione trova la propria originaria e fondamentale tutela nell'art. 9 della Costituzione.
Tale protezione, essenziale in un'ottica di sviluppo e di elevazione culturale della collettività [8], ha avuto la sua prima realizzazione in campo amministrativo, attraverso il regime vincolistico previsto dalla legge 1089/1939, e successive modificazioni, comportante per i soggetti proprietari di questi beni obblighi di fare e di tollerare.
Solamente in un secondo momento, con la riforma tributaria del 1971-72, ed in maniera più organica e concreta con la legge 2 agosto 1982, n. 512 (Regime fiscale dei beni di rilevante interesse culturale), l'intento di favorire ed incoraggiare la valorizzazione del patrimonio culturale nazionale si è esteso anche al campo fiscale, con il riconoscimento della valenza sociale (e, quindi, della deducibilità) delle spese sostenute dai privati per la conservazione dei beni storici ed artistici.
In questo settore, tuttavia, diversamente che in quello amministrativo, non si è pervenuti all'emanazione di un T.U. che riunisse in modo organico la disciplina delle agevolazioni tributarie, le quali debbono essere ad oggi rintracciate nelle singole leggi d'imposta o nella loro normativa di integrazione [9].
Non si ritiene sia questa la sede più opportuna per procedere ad una loro analisi complessiva: nell'eterogeneo corpus normativo esistente, infatti, si è scelto di soffermare l'attenzione solamente su quelle norme di favore che presentano una linea di continuità per quel che concerne la specifica questione affrontata dalla Consulta, ossia la natura giuridica del proprietario del bene culturale [10].
E' di tutta evidenza che la disposizione costituzionale non permette di compiere alcuna discriminazione soggettiva in tal senso.
La stessa disciplina fiscale appare in genere improntata ad una valutazione di carattere oggettivo, volta alla tutela del patrimonio artistico in sé considerato.
Ad esempio, l'art. 190 del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi, d'ora in poi Tuir) [11] prevede un'agevolazione da applicare in sede di aggiornamento delle rendite catastali di tutti gli immobili "riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089".
Analogamente, il legislatore ha introdotto per gli immobili con destinazione ad uso culturale un'esenzione specifica ai fini Irpef, Irpeg (attuale Ires) ed Ilor (abrogata con decorrenza 1° gennaio 1998), che compete indipendentemente dalla natura del proprietario del bene [12]. La norma, inoltre, prescinde dalla presenza di un bene vincolato, prevedendo per la fruizione dell'esenzione le diverse condizioni dell'apertura al pubblico e della gratuità del servizio.
Il Tuir infine elenca tra gli oneri detraibili dall'imposta lorda delle persone fisiche "le spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089, nella misura effettivamente rimasta a carico" [13]. Per le società e gli enti commerciali residenti nel territorio dello Stato, nonché per gli imprenditori persone fisiche, le stesse spese costituiscono oneri deducibili di utilità sociale [14]. Analoghe agevolazioni sono riconosciute agli enti residenti non commerciali [15] ed alle società ed enti non residenti [16].
Simile discorso vale nell'imposizione indiretta.
L'imposta di registro prevede un'aliquota agevolata del 3 per cento per la registrazione di atti che abbiano ad oggetto il trasferimento di "immobili di interesse storico, artistico e archeologico soggetti alla legge 1° giugno 1939, n. 1089" [17].
L'imposta sull'incremento di valore degli immobili (Invim), soppressa a far data del 1° gennaio 2002, prevedeva per gli stessi fabbricati una riduzione dell'imposta pari al 25 per cento [18].
Nell'imposta sulle successioni (ora abrogata), "i beni culturali di cui agli artt. 1, 2 e 5 della legge 1° giugno 1939, n. 1089" erano esclusi dall'attivo ereditario.
Gli stessi beni sono oggi soggetti a tassazione in misura fissa in caso di donazione, qualora vi siano gli estremi per l'applicazione dell'art. 59, decreto legislativo 26 aprile 1986, n. 131.
Infine nell'Iva, sebbene la cessione di beni immobili vincolati si debba ritenere soggetta all'aliquota ordinaria del 20 per cento, "le prestazioni proprie delle biblioteche, discoteche e simili e quelle inerenti alla visita di musei, gallerie, pinacoteche, monumenti, ville, palazzi, parchi, giardini botanici e zoologici e simili" costituiscono operazioni esenti [19].
L'interpretazione sistematica delle agevolazioni fiscali sopra menzionate, il cui elenco riveste in questa sede funzione meramente esemplificativa, manifesta chiaramente l'intenzione del legislatore di privilegiare il profilo oggettivo della fattispecie, in considerazione del fatto che gli oneri necessari alla conservazione e manutenzione del patrimonio culturale nazionale, nonché i vincoli amministrativi presenti sullo stesso, gravano indistintamente su tutti i proprietari di tali beni.
3. La disciplina introdotta dall'art. 11 della legge 413/1991
Come affermato nel paragrafo precedente, l'intera disciplina fiscale del settore risulta connessa alle sole caratteristiche oggettive del bene immobile di rilevante interesse culturale: per tale ragione il riferimento normativo è normalmente alla legge 1089/1939 in sé considerata (da leggersi ora come d.lg. 42/2004), e non a suoi specifici articoli.
Le uniche eccezioni sono costituite dall'art. 2, comma 5, del d.l. 16/1993 in tema di Ici e dal corrispondente art. 11, comma 2, legge 30 dicembre 1991, n. 413, a norma del quale, nella determinazione del reddito catastale, "in ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'art. 3 della legge 1089/1939 e successive modifiche e integrazioni, è determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato" l'immobile [20].
In dottrina non paiono esservi dubbi sul parallelismo esistente tra le due agevolazioni: il legislatore ha riprodotto nell'Ici l'identica norma prevista nel settore delle imposte dirette, con la precisa volontà di utilizzare come parametro nella determinazione della base imponibile degli immobili vincolati la minore tariffa d'estimo della zona in cui gli stessi sono situati [21].
E' possibile individuare una ragione giustificativa di tale discriminazione soggettiva in relazione all'art. 11, comma 2 della legge 413/1991, eventualmente estensibile all'imposta comunale sugli immobili?
A parere della Corte di Cassazione, nell'ordinanza 24 settembre 2003, n. 1043, il diverso trattamento fiscale previsto dal legislatore nell'art. 11 troverebbe fondamento nella natura dell'imposta sui redditi, ossia nella "diversa disciplina impositiva diretta, relativa agli enti ed in particolare a quelli non commerciali (art. 87 e 108 ss. d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917)" [22]. Diversamente, l'agevolazione in materia d'Ici non sarebbe altro che una "mera trasposizione di dettato normativo relativo ad altri tributi fondati su differenti presupposti".
L'affermazione della Corte parrebbe pertinente: nell'imposizione diretta le regole di calcolo dell'imponibile divergono in ragione della natura del soggetto passivo, ragion per cui sarebbe ammissibile una tutela del patrimonio culturale differenziata a seconda del soggetto proprietario.
Abbiamo tuttavia precedentemente dimostrato come anche nell'imposizione diretta il legislatore manifesti la volontà di elaborare una disciplina di favore omogenea, basata su requisiti oggettivi, e caratterizzata da analoghe disposizioni agevolative tanto nella sezione della tassazione delle persone fisiche quanto in quella degli enti societari: da questa affermazione consegue la necessità di un trattamento equivalente dei beni culturali sia nell'Irpef, sia nell'Irpeg (attuale Ires). Un intervento legislativo correttivo sembrerebbe dunque inevitabile anche per l'art. 11 della legge 413/1991, tanto più ove si consideri che la decisione della Corte costituzionale, come vedremo successivamente, è stata assunta sulla base dell'analisi della ratio dell'agevolazione tributaria, e non già della disciplina dell'imposta in cui la stessa è collocata: se dunque si dovesse ritenere (come appare evidente) che il principio ispiratore dell'art. 11 vada individuato in quella stessa esigenza di equità fiscale enucleata dalla Consulta per l'agevolazione Ici, si dovrebbe conseguentemente giudicare manifestamente irragionevole la distinzione tra i fabbricati di cui si discute anche nell'imposizione sui redditi [23].
4. La natura reale dell'imposta comunale sugli immobili
Come abbiamo cercato di sottolineare nel paragrafo precedente, guardando alla ratio normativa dei singoli benefici fiscali non paiono sussistere validi motivi di sostanza per pretendere un diverso trattamento fiscale degli immobili culturali ai fini delle singole imposte: ragion per cui, l'illegittimità della discriminazione soggettiva in questione deve essere riconosciuta anche nel settore delle imposte sui redditi.
Indubbiamente, tuttavia, l'incoerenza legislativa appare maggiormente evidente in relazione ad un'imposta che, per sua stessa natura, risulta avere una connotazione prettamente oggettiva: infatti, sebbene non vi sia concordia tra gli interpreti neppure sulla definizione del suo presupposto [24], l'Ici è un'imposta di carattere patrimoniale e reale giustificata dal solo "possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni ... a qualunque uso destinati (art. 1, d.lg. 504/1992)", nella quale "non è dato operare una distinzione fra soggetti privati ed enti, pubblici o privati, quali soggetti passivi dell'imposta stessa" [25].
Invero, tali caratteristiche non vanno intese in senso assoluto: la natura reale dell'Ici, infatti, è attenuata dalla presenza di norme che introducono differenziazioni del prelievo giustificate dalla situazione personale del soggetto (prima fra tutte, ad esempio, l'agevolazione prima casa). Tali deroghe alla disciplina ordinaria, tuttavia, si possono reputare legittime in quanto rispondenti ad interessi costituzionalmente protetti che, nel caso dell'agevolazione sui beni di interesse storico o artistico, vanno rintracciati nell'art. 9 della Cost.: come abbiamo avuto modo di valutare, peraltro, né la disposizione costituzionale, né la disciplina fiscale generale, permettono di poter giustificare razionalmente un trattamento tributario differenziato sulla base del solo requisito soggettivo.
L'irragionevolezza della disciplina è ulteriormente evidenziata dal confronto tra l'agevolazione in discussione ed il regime previsto dall'art. 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504: quest'ultima norma estende in campo Ici l'analoga esenzione prevista nell'imposizione diretta per i fabbricati con destinazione ad uso culturale di cui all'art. 5-bis del d.p.r. 20 settembre 1973, n. 601. Come nel caso dell'imposizione diretta, inoltre, l'esenzione trova applicazione a prescindere dall'esistenza del vincolo previsto dalla legge 1089/1939, richiedendo come unici requisiti la destinazione culturale, la fruizione pubblica dell'immobile e la sua gratuità.
L'art. 2, comma 5, del d.l. 16/1993, sempre sul modello di quanto già esistente nell'imposizione diretta, introduce invece una particolare modalità di calcolo della base imponibile degli immobili dichiarati di interesse storico od artistico ai sensi della legge 1089/1939: è dunque al di fuori del vasto campo di applicazione dell'esenzione che si colloca il particolare meccanismo di determinazione del tributo oggetto di analisi.
Tuttavia, paradossalmente, mentre gli enti pubblici o le persone giuridiche private senza scopo di lucro potevano partecipare dell'esenzione fiscale prevista dall'art. 7, in ragione del carattere oggettivo della stessa, pari opportunità non era loro garantita nel semplice calcolo agevolato della base imponibile.
5. Brevi riflessioni in tema di vincoli amministrativi
L'irrilevanza dell'elemento soggettivo della proprietà dei beni di interesse storico od artistico trova conferma, oltre che nella disciplina fiscale, anche in quella amministrativa.
Già la legge 6 marzo 1958, n. 243, nel prevedere la creazione di un consorzio avente "lo scopo di provvedere, in concorso col proprietario o sostituendosi ad esso, al consolidamento, al restauro nonché alla migliore utilizzazione delle Ville Venete soggette alle disposizioni di cui alla legge 1° giugno 1939, n. 1089", non permetteva distinzioni basate sulla natura giuridica del possessore del bene.
Analogamente "il prevalente interesse pubblico per la conservazione del patrimonio storico ed artistico, oggettivamente considerato, giustifica altresì (Corte cost. 13/1980) l'intervento espropriativo regionale (legge regionale Sicilia 15 dicembre 1978, n. 15) per provvedere alle opere di restauro, comunque programmabili od eseguibili dallo Stato (Corte cost. 70/1995), ove i proprietari, indistintamente considerati, non siano in grado di farvi fronte (d.p.r. 2 aprile 1994, n. 368)" [26].
Anche le erogazioni in denaro previste dal T.U. dei beni culturali e ambientali del 1999 per gli interventi di restauro e di manutenzione straordinaria erano destinate indistintamente sia a soggetti pubblici che privati nel solo rispetto di procedure differenti (artt. 41-44) [27].
La stessa definizione di bene storico od artistico contenuta nell'art. 1 della legge 1089/1939 fa riferimento a requisiti prettamente oggettivi: l'interesse culturale, l'autore dell'opera non più vivente, la costruzione dell'immobile ultimata da almeno cinquanta anni [28].
Nella pregressa disciplina, il profilo soggettivo del proprietario del bene poteva rilevare al più nel procedimento di riconoscimento dell'interesse culturale: i beni di proprietà di soggetti pubblici e privati senza scopo di lucro (art. 4, legge 1089/1939, trasfuso nell'art. 5 del T.U. del 1999) risultavano assoggettati al vincolo amministrativo ex lege, senza necessità di una dichiarazione di "interesse particolarmente rilevante", che poteva al massimo rivestire carattere dichiarativo; i beni di proprietà privata, invece, richiedevano (ex art. 3, legge 1089/1939, riprodotto dall'art. 6 del T.U. del 1999) la presenza di una dichiarazione avente carattere costitutivo [29].
La conclusione della Consulta secondo cui "risulta in ogni caso pacifico che la distinzione tra le fattispecie di cui agli artt. 3 e 4 della legge n. 1089 del 1939 può eventualmente riguardare le modalità attraverso le quali si perviene, nei due casi, all'individuazione dei beni oggetto di tutela, ma di certo non attiene al regime giuridico cui i beni in questione sono assoggettati, in ragione del loro interesse storico o artistico, identica essendo, nei due casi, la disciplina finalizzata alla loro tutela", risulta dunque ulteriormente confermata dall'attuale assetto normativo previsto dal nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, in seguito all'avvicinamento delle due discipline di individuazione ed alla previsione, anche per i beni di proprietà pubblica, di un apposito procedimento di verifica del loro interesse culturale [30].
Invero, la configurazione in termini unitari delle diverse categorie di beni storici od artistici non è affermazione condivisa in dottrina: oltre a mantenere una differenziazione procedurale, infatti, il legislatore continua a pretendere la verifica di un interesse culturale semplice per i beni di appartenenza pubblica, e di un interesse maggiormente qualificato, indicato con varie denominazioni quale "particolarmente importante" od "eccezionale", per gli immobili di proprietà privata [31].
Tale considerazione ha indotto il comune di Genova e l'Avvocatura dello Stato a ritenere che il beneficio tributario oggetto di indagine avesse inteso assicurare un trattamento fiscale agevolato non già a tutti gli immobili di interesse storico o artistico, ma solamente a quelli riconosciuti di "interesse particolarmente rilevante". A prescindere dalla tesi che si voglia accogliere a livello amministrativo, da un punto di vista strettamente fiscale l'obiezione non appare pertinente: l'agevolazione tributaria, infatti, rileva in un momento successivo, una volta che l'interesse, semplice o qualificato che sia, abbia trovato formale riconoscimento con l'imposizione del regime vincolistico. Anche l'intensità dell'interesse culturale, dunque, al pari dell'elemento soggettivo del proprietario del bene, rileva nella fase procedurale di imposizione del vincolo, senza ripercussioni sul successivo momento di applicazione dell'agevolazione tributaria.
L'identità di disciplina sostanziale dei beni culturali è tuttavia ulteriormente compromessa dall'analisi del differente regime di disponibilità degli stessi in tema di loro circolazione ed alienazione: ad un regime di incommerciabilità o di commerciabilità controllata per gli immobili degli enti pubblici, corrisponde infatti una disciplina di commerciabilità controllata oppure di piena commerciabilità per gli immobili dei soggetti privati [32]. Anche questa obiezione, tuttavia, non appare sotto il profilo fiscale determinante: l'affermazione dell'esistenza di una normativa di tutela equivalente per le due categorie di beni, tra l'altro corrispondente al vero se si pongono a confronto soggetti privati con e senza scopo di lucro, viene utilizzata dalla Corte costituzionale come semplice argomentazione avvalorante la propria decisione: essendo necessario garantire la coerenza interna dell'ordinamento giuridico, la normativa civilistica viene assunta come metro esterno, ovvero come tertium comparationis, per valutare la ragionevolezza del settore fiscale. In sostanza, avendo il legislatore garantito omogeneità di trattamento nella disciplina sostanziale, altrettanto dovrebbe fare a livello tributario [33].
6. La ratio equitativa dell'agevolazione Ici
La decisione della Corte costituzionale, a prescindere dalle varie argomentazioni analizzate nel corso del commento, è stata assunta utilizzando in primis il metro di valutazione rappresentato dalla capacità contributiva. L'art. 53 della Cost., in base al quale "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva", costituisce il principio cardine dell'intero sistema tributario: sancisce il dovere di contribuzione del cittadino, e, per quel che a noi interessa in questa sede, rappresenta il criterio in base al quale valutare la legittimità delle scelte discrezionali del legislatore. Da quest'ultimo punto di vista, cioè, la capacità contributiva è il parametro di valutazione del principio di uguaglianza fiscale di cui all'art. 3 della Cost., in base al quale due situazioni ricevono eguale trattamento tributario se sono rappresentative di forze contributive eguali [34].
Il vincolo vale tanto per le norme impositive, quanto per quelle agevolative, tra le quali è opportuno annoverare i benefici fiscali previsti per il patrimonio culturale nazionale, sulla base della considerazione che essi costituiscono una deroga al regime fiscale ordinario, trovando giustificazione in esigenze e finalità di natura extrafiscale: obiettivo del legislatore, infatti, è il bilanciamento dei due principi costituzionalmente protetti dell'interesse fiscale (art. 53 Cost.) e della tutela del patrimonio storico e artistico della nazione (art. 9 Cost.) [35].
Ad avviso di altra dottrina [36], invece, la disciplina fiscale di tali beni troverebbe fondamento nel combinato disposto degli art. 3 e 53 Cost., fuori dal campo delle agevolazioni: la minore capacità contributiva facente capo al proprietario di un immobile vincolato, derivante dai pesanti oneri amministrativi limitanti la libera disponibilità di tali beni (si pensi ad esempio al diritto di prelazione dello Stato in caso di vendita) nonché dalle elevate spese per la loro manutenzione, non solo giustificherebbe, ma renderebbe doveroso, nel rispetto dei principi di uguaglianza e capacità contributiva, un regime tributario autonomo.
Premessa dunque, a prescindere dalla tesi che si voglia adottare, la legittimità costituzionale del trattamento tributario di favore previsto per il patrimonio culturale nazionale, la Consulta si interroga sulla possibilità di discriminare ulteriormente tale trattamento in base al profilo soggettivo del proprietario del bene immobile. Sebbene, infatti, le agevolazioni fiscali costituiscano il frutto di scelte discrezionali del legislatore sia nell'an che nel quantum, esse rimangono pur sempre soggette al controllo di legittimità della Consulta qualora risultino lesive del canone di ragionevolezza.
La valutazione dell'elemento irrazionale od arbitrario del beneficio fiscale non può non fondarsi sull'analisi della sua ratio [37], identificata nel caso concreto "in una esigenza di equità fiscale, derivante dalla considerazione della minore utilità economica che presentano i beni immobili di interesse storico o artistico in conseguenza del complesso di vincoli e limiti cui la proprietà è sottoposta" [38], di modo che "risulta ... evidente che la distinzione tra i beni di interesse storico o artistico di cui agli artt. 3 e 4 della legge 1089/1939 rappresenta un elemento di discrimine manifestamente irragionevole rispetto all'applicazione di un beneficio fiscale che trova - come si è osservato - il suo fondamento oggettivo proprio nella peculiarità del regime giuridico dei beni di cui si tratta".
Invero, conformemente al proprio orientamento in materia, la Corte limita la portata dell'affermazione in discussione alla sola agevolazione Ici analizzata, senza entrare nel merito di quell'indagine di carattere sistematico, sollecitata dal giudice rimettente, che abbiamo tentato di approfondire nel corso del commento [39].
Ciò nonostante, è sicuramente possibile concordare con la Consulta sulla necessità di dimostrare la presenza di una valida ragione in grado di incidere sulla capacità contributiva dei diversi proprietari e giustificare un regime fiscale differenziato.
Tale ragione non può essere rinvenuta in una presunta minore capacità economica del soggetto privato rispetto a quello pubblico: nessuna disposizione dell'ordinamento depone a tal favore; invero, il regime più gravoso previsto dalla normativa sostanziale e procedurale per i beni di proprietà pubblica permetterebbe di sostenere esattamente il contrario. A maggior ragione, inoltre, l'affermazione è errata qualora si considerino, invece dei soggetti pubblici, gli enti privati senza scopo di lucro: in questo secondo caso, l'irragionevolezza della discriminazione si risolverebbe altresì in una evidente lesione del principio di capacità contributiva, in quanto la norma impugnata verrebbe a negare "un'agevolazione fiscale a soggetti privi di finalità di lucro, sottoponendoli ad un trattamento fiscale deteriore in relazione a beni solitamente da essi posseduti per fini istituzionali, rispetto ai privati che possono ricavare da beni di analoghe caratteristiche redditi superiori" [40].
Analogamente, non è possibile annoverare la tutela del patrimonio culturale nazionale tra gli interessi istituzionali degli enti pubblici; anche a voler ammettere questo principio, d'altronde, bisognerebbe riuscire a dimostrare una sua ripercussione in tema di capacità contributiva in grado di giustificare un regime fiscale più oneroso. Inoltre, ancora una volta, l'affermazione non sarebbe pertinente per i soggetti privati senza scopo di lucro.
Non vi è dunque ragione perché un'agevolazione tributaria introdotta per i proprietari di immobili di interesse storico ed artistico a compensazione dei vincoli economici e giuridici gravanti sul loro patrimonio, debba essere limitata ai soli soggetti privati con scopo di lucro; tanto più ove si consideri che la certezza dei rapporti tributari (già garantita nella pregressa disciplina dall'inclusione degli immobili di proprietà di enti pubblici o privati senza scopo di lucro negli elenchi previsti dall'art. 4 della legge 1089/1939 o dalla presenza di un provvedimento amministrativo dichiarativo dell'interesse storico od artistico del bene) può essere ad oggi maggiormente salvaguardata dal sostanziale riavvicinamento delle due procedure di individuazione dei beni stessi.
Da un punto di vista strettamente fiscale, dunque, si deve concludere per la piena correttezza della decisione oggetto di analisi. I tempi risultavano ormai maturi per una tale pronuncia, come confermato dall'orientamento della Corte di Cassazione volto ad accogliere una lettura ampliata della norma, tale da ricomprendere nel beneficio fiscale oggetto di censura anche gli enti privati non commerciali: rammentiamo infatti che una seconda ordinanza di rimessione era stata sollevata medio tempore della Corte di legittimità sull'applicabilità dell'agevolazione ad una fondazione religiosa privata [41]. Assai opportunamente, dunque, la Consulta ha giustificato il principio interpretativo codificato per i soggetti pubblici diversi dallo Stato anche in relazione agli enti no profit, in tal modo riportando ad equità e costituzionalità una disposizione legislativa probabilmente alterata per ragioni di gettito.
[1] La sentenza è stata oggetto di vari commenti, sia da parte di tributaristi, sia da parte di amministrativisti: cfr. G. Marongiu, Le agevolazioni per gli immobili di interesse storico o artistico, in GT. Riv. giur. trib., 2004, 312; P. Fabris, Beni culturali. La Corte costituzionale dirime ogni dubbio in materia Ici e Irpef, in Fisco, 2004, n. 1-581; F.P. D'Orsogna, Per gli immobili storici la base imponibile è costituita dalla rendita catastale "minima" sia ai fini Ici che Irpef, ivi, 1-40; C. Barbati, Il bene culturale come "bene unitario" ai fini della fiscalità locale, in Giur. cost., 2004; G. Pistorio, La distinzione tra beni d'interesse storico e artistico in base all'appartenenza a "privati proprietari" o ad enti pubblici (e persone giuridiche private senza fini di lucro): una discriminazione manifestamente irragionevole, in Giur. it., 2004, 1087.
[2] Comm. trib. prov. Genova (ord.), 31 gennaio 2003, n. 251, in Gazz. Uff., I serie speciale, 2003, n. 19.
[3] Cass. (ord.), 24 settembre 2003, n. 1043, in Gazz. Uff., I serie speciale, 2003, n. 49. La Consulta si è pronunciata al riguardo con l'ordinanza 25 maggio 2004, n. 152 (in Fisconline), con cui ha rinviato gli atti al giudice a quo perché verifichi la perdurante rilevanza della questione anche in seguito alla modifica normativa intervenuta con la sentenza interpretativa in commento.
[4] Le norme fiscali fanno ancora riferimento alla legge 1089/1939, formalmente abrogata dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (T.U. delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), a sua volta sostituito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). Per tale ragione, a meno di non voler considerare inapplicabili le agevolazioni tributarie previste nel settore, si deve riconoscere loro il carattere di norme di rinvio ricettizio o materiale, così da riferirle, attraverso un'interpretazione evolutiva, al successivo T.U. del 1999 ed all'attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004. Cfr. M.C. Fregni, Il regime fiscale, in C. Barbati - M. Cammelli - G. Sciullo (a cura di), Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2003, 198. Il rinvio agli artt. 3 e 4 della legge 1089/1939 deve dunque essere oggi sostituito dal riferimento agli artt. 5 e 6 del d.lg. 490/1999, attualmente corrispondenti, seppur con modifiche sostanziali, agli artt. 12 e 13 del nuovo Codice del 2004.
[5] La dottrina, sul punto, è divisa: v. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Torino, 2003, 37, il quale, in virtù del principio di completezza dell'ordinamento tributario, ritiene inammissibile l'applicazione analogica delle agevolazioni fiscali, considerando tuttavia lecita e doverosa una loro interpretazione estensiva che presti attenzione allo specifico fenomeno economico espressivo di capacità contributiva. Diversamente, G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2003, 183; S. La Rosa, Esenzioni e agevolazioni tributarie, in Enc. giur. Treccani, XIII, Roma, 1989; F. Moschetti, Agevolazioni fiscali, in Dig. priv., Sez. comm., I, Torino, 1987, 63, secondo cui le norme di agevolazione, essendo ispirate da principi di ordine superiore, possono essere estese analogicamente a casi non previsti.
[6] Cfr. F. De Piaggi, Il regime fiscale dei beni sottoposti a vincolo d'interesse artistico, storico, archeologico ed etnologico (1983-1998), in Dir. prat. trib., 1999, II, 243; N. Lucariello, Note riepilogative sul trattamento tributario degli immobili di interesse storico e artistico, in Riv. not., 2000, 429.
[7] Sul punto si veda E. De Mita, L'esenzione Ici fa la pace tra beni pubblici e privati, in Il Sole 24 Ore, 14 dicembre 2003, 1. Sottolineano la differenza qualitativa tra interpretazione estensiva ed analogia, F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, cit., 37; M.C. Fregni, Ipotesi di estensione analogica di una norma di favore, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1994, II, 93. Contra, G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, cit., 176. Per un esempio di "eccesso" di interpretazione estensiva, cfr. C. Caumont Caimi, Immobili storici: nuove conferme in tema di imposte dirette e indirette, in Dir. prat. trib., 2000, II, 893.
[8] Cfr. F. Merusi, Commento all'art. 9 della Costituzione, in A. Scialoja - G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1975, 434; F.S. Marini, Lo statuto costituzionale dei beni culturali, Milano, 2002, 183; N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali. La sussidiarietà nella tutela e nella valorizzazione, Torino, 2002, 29; G. Pistorio, La distinzione tra beni d'interesse storico e artistico in base all'appartenenza a "privati proprietari" o ad enti pubblici (e persone giuridiche private senza fini di lucro): una discriminazione manifestamente irragionevole, cit., 1087. Per un confronto con altri ordinamenti europei, si veda L. Mezzetti (a cura di), I beni culturali. Esigenze unitarie di tutela e pluralità di ordinamenti, Padova, 1995, 211.
[9] L'unico approccio legislativo d'insieme della materia è costituito proprio dalla legge 512/1982. L'analisi sistematica del settore è invece una costante in dottrina: si vedano i lavori di M. C. Fregni, Il regime fiscale, cit.; F. D'Ayala Valva, Beni culturali nel diritto tributario, in Dig. priv., sez. comm., II, Torino, 1987, 206; L. Consoli, Beni culturali. Diritto tributario, in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, 1; N. Lucariello, Note riepilogative sul trattamento tributario degli immobili di interesse storico e artistico, cit., 423.
[10] L'attualità dell'argomento, tuttavia, esige che si accenni almeno alla vexata quaestio relativa all'applicabilità anche agli immobili culturali dati in locazione dell'agevolazione tributaria prevista dall'art. 11, comma 2 della legge 30 dicembre 1991, n. 413: sul punto, cfr. A. Turchi, Continua il contrasto interpretativo in merito alla determinazione del reddito degli immobili di interesse storico-artistico, in Aedon, 2/2001. La questione è stata definitivamente risolta in senso favorevole al contribuente dalla Corte costituzionale, sentenza 28 novembre 2003, n. 346, con commento di S. Gallo, Le agevolazioni ai fini delle imposte dirette per gli immobili di interesse storico-artistico locati, in GT. Riv. giur. trib., 2004, 116 e di S. Valente, Immobili dichiarati di interesse storico-artistico dati in locazione nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Fisco, 2004, n. 1-669. Si veda inoltre F. D'Ayala Valva, La tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione e la funzione di stimolo della Corte costituzionale (postilla all'articolo di Antonio Procopio che annota Corte cost. n. 346/2003), in Riv. dir. trib., 2004, II, 23. In senso critico rispetto alle conclusioni della pronuncia, cfr. G. De Marco, Sul reddito delle case storiche la Consulta conferma la Cassazione e invita il legislatore a intervenire, in Riv. dir. trib., 2004, II, 108.
[11] Il d.p.r. 917/1986 ha subito modifiche sostanziali da parte del decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344. Le norme di nostro interesse, tuttavia, sono state riprodotte nella nuova normativa senza alcuna modifica: l'attuale art. 190 corrisponde all'art. 134 del Tuir in vigore al 31 dicembre 2003, sostanzialmente riproducente l'art. 88, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 597, a sua volta introdotto dall'art. 2 della legge 512/1982.
[12] Art. 5-bis, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601, introdotto dall'art. 1 della legge 512/1982.
[13] Art. 15, comma 1, lettera g) del Tuir, già art. 13-bis, lett. g).
[14] Art. 100, comma 2, lett. e) e 56, comma 1 del Tuir, già artt. 65, comma 2 lett. c-ter) e 95, comma 1.
[15] Art. 147 del Tuir, già art. 110-bis.
[16] Art. 152 e 154 del Tuir, già artt. 113 e 114.
[17] Art. 1 della Tariffa, parte prima, d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131.
[18] Art. 25, comma 4, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 643.
[19] Art. 10, comma 1, n. 22 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633.
[21] Recentemente la giurisprudenza ha esteso tale principio anche alle imposte indirette: cfr. Comm. trib. prov. Parma, 6 dicembre 1999, n. 404, in Dir. prat. trib., 2000, II, 886 con nota di C. Caumont Caimi, Immobili storici, nuove conferme in tema di imposte dirette e indirette; ID., 22 giugno 2000, n. 101, in Vita not., 2000, 760 con nota di M. Cavandoli, Determinazione del reddito degli immobili di interesse storico o artistico. La dottrina utilizza per l'art. 2, comma 5, d.l. 16/1993 i principi codificati dalla giurisprudenza in relazione all'art. 11, comma 2, legge 413/1991: così, ad esempio, si ritiene legittima l'applicazione della minore delle tariffe d'estimo in materia d'Ici anche per gli immobili strumentali all'esercizio d'impresa, sulla base dell'affermazione della Cassazione, 19 novembre 1993, n. 11445 che ricollega l'applicazione del beneficio fiscale dell'art. 11 alla natura intrinseca della costruzione, a prescindere dalla sua destinazione. Contra, l'Amministrazione finanziaria, secondo cui, essendo gli immobili strumentali all'esercizio d'impresa privi di rendita catastale, il loro valore andrebbe calcolato sulla base dei costi di acquisizione ed incrementativi contabilizzati, attualizzati mediante l'applicazione di determinati coefficienti. Cfr. circ. min., 28 maggio 1998, n. 136/E; circ. min., 26 maggio 1997, n. 144/E.
[22] Attuali artt. 73 e 143 del Testo unico delle imposte dirette.
[23] Nello stesso senso, cfr. G. De Marco, Sul reddito delle case storiche la Consulta conferma la Cassazione e invita il legislatore a intervenire, cit., 108, nota 2.
[24] Per una analisi generale dell'imposta, soprattutto per le questioni sollevate in ambito costituzionale, cfr. G. Marini, Contributo allo studio dell'imposta comunale sugli immobili, Milano, 2003; M. Basilavecchia, Imposta comunale sugli immobili, in Enc. dir. aggiorn., III, Milano, 1999, 669; E. Marello, Imposta comunale sugli immobili, in Dig. priv., sez. comm. aggiorn., 2003, Torino, 441.
[25] Cass. (ord.), 24 settembre 2003, n. 1043, cit.
[26] Cass. (ord.), 24 settembre 2003, n. 1043, cit.
[27] Attuali artt. 34-37 del nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004. Per un approfondimento sugli interventi finanziari statali, cfr. L. Gallucci, Art. 41-44, in M. Cammelli (a cura di), La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, cit., 166.
[28] L'art. 1 della legge n. 1089 del 1939 risulta trasfuso nel successivo art. 2 del T.U. del 1999 e nell'attuale combinato disposto degli artt. 2, 10 e 11 del nuovo Codice del 2004. Per una panoramica della dottrina e della giurisprudenza sulla legge 1089/1939, cfr. W. Vaccaro Giancotti (a cura di), Beni e attività culturali nell'evoluzione del sistema giuridico. La legge 1089/1939: dottrina, giurisprudenza e legislazione a confronto, Roma, 1998. Sul T.U. del 1999, in particolare C. Barbati - M. Cammelli - G. Sciullo (a cura di), Il diritto dei beni culturali, cit.; G. Caia (a cura di), Il testo unico sui beni culturali e ambientali, Milano, 2000; M. Cammelli (a cura di), La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, Bologna, 2000; A. Catelani - S. Cattaneo (a cura di), I beni e le attività culturali, Padova, 2002. Nella manualistica è utile un confronto tra le varie edizioni di T. Alibrandi - P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, ed. 1995 e 2001; W. Cortese, I beni culturali e ambientali. Profili normativi, Padova, ed. 1999 e 2002.
[29] Sugli effetti e la natura giuridica dell'atto di imposizione del vincolo, cfr. A. Rota, La tutela dei beni culturali tra tecnica e discrezionalità, Padova, 2002, 169. Sullo specifico meccanismo di individuazione dei beni, cfr. Filippi, Il procedimento di dichiarazione di bene culturale, in G. Caia (a cura di), Il testo unico sui beni culturali e ambientali, cit., 21; G. Sciullo, Art. 5, Art. 6, Art. 7, Art. 8 e G. Pastori, Art. 9, Art. 10, in M. Cammelli (a cura di), La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, cit.; G. Sciullo, I beni, in C. Barbati - M. Cammelli - G. Sciullo (a cura di), Il diritto dei beni culturali, cit., 33.
[30] Sulla tendenza avviata dalla prassi dell'Amministrazione di settore di ricorrere ai provvedimenti di declaratoria di interesse particolarmente importante anche per i beni di proprietà pubblica, cfr. A. Roccella, I beni culturali d'interesse religioso della Chiesa cattolica, in Studi in onore di Umberto Pototschnig, vol. II, Milano, 2002, 112. Questa esigenza di riavvicinamento nel procedimento di individuazione dei beni storici o artistici di proprietà pubblica e privata, fatta propria dal legislatore con il decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 26 novembre 2003, n. 326, è successivamente confluita nell'art. 12 dell'attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, su cui C. Barbati, Il bene culturale come "bene unitario" ai fini della fiscalità locale, cit.; G. De Giorgi Cezzi, Verifica dell'interesse culturale e meccanismo del silenzio assenso, in Aedon, 3/2003.
[31] La configurazione in termini unitari dei beni culturali risale a M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 1, ed è seguita da T. Alibrandi - P. Ferri, I beni culturali e ambientali, cit., 2001, 48. Contra, A. Roccella, I beni culturali d'interesse religioso della Chiesa cattolica, in Studi in onore di Umberto Pototschnig, cit., 112. In seguito alla riforma del 2004, sottolinea la tendenza legislativa verso una configurazione unitaria della categoria, C. Barbati, Il bene culturale come "bene unitario" ai fini della fiscalità locale, cit.; contra, G. Pastori, I beni culturali (art. 10), in Aedon, 1/2004.
[32] Cfr. G. Sciullo, I beni, in C. Barbati - M. Cammelli - G. Sciullo (a cura di), Il diritto dei beni culturali, cit., 43; W. Cortese, I beni culturali e ambientali. Profili normativi, 2002, cit., 303; N. Assini - P. Francalacci (a cura di), Manuale dei beni culturali, Padova, 2000, 419; C. Fabricatore - A. Scarpa, La circolazione dei beni culturali, Milano, 1998. La differenza di disciplina, non rilevata da G. Pistorio, La distinzione tra beni d'interesse storico e artistico in base all'appartenenza a "privati proprietari" o ad enti pubblici (e persone giuridiche private senza fini di lucro): una discriminazione manifestamente irragionevole, cit., 1089, la quale sottolinea al contrario la definizione oggettiva di bene culturale quale "testimonianza materiale avente valore di civiltà", è invece evidenziata da C. Barbati, Il bene culturale come "bene unitario" ai fini della fiscalità locale, cit.
[33] Analogamente, con la sentenza 28 gennaio 1986, n. 28 la Consulta ha sancito l'incostituzionalità delle norme dell'imposta di successione che prevedevano un trattamento di favore per i discendenti dei figli legittimi del de cuius rispetto a quelli dei figli adottivi, sulla considerazione della parificazione tra le due categorie raggiunta nella disciplina civilistica.
[34] Per una panoramica sul principio di capacità contributiva, cfr. F. Batistoni Ferrara, Capacità contributiva, in Enc. dir. aggiorn., III, Milano, 1999, 356; E. De Mita, Capacità contributiva, in Dig. priv., sez. comm., II, Torino, 1987, 454; F. Moschetti, Capacità contributiva, in Enc. giur. Treccani, V, Roma, 1988, 1.
[35] Cfr. L. Ferlazzo Natoli, Il regime fiscale dei beni culturali: spunti ricostruttivi, in Boll. trib., 1996, 261; F. Ferrati, Considerazioni in tema di determinazione del reddito imponibile degli immobili di interesse storico o artistico, in GT. Riv. giur. trib., 1997, 1088.
[36] Cfr. F. D'Ayala Valva, Brevi riflessioni sulla locazione degli immobili storici dopo il testo unico sui beni culturali, in Riv. dir. trib., 2003, I, 420; Puoti, Profili fiscali dei beni culturali privati, in Le dimore storiche, Supplemento 5/1997, 28.
[37] Tra le ultime sentenze in cui la Corte costituzionale ricorre all'analisi della ratio normativa per sancire l'illegittimità costituzionale parziale di una norma fiscale di favore, cfr. Corte cost., 11 giugno 2003, n. 202 (in Giur. it., 2003, 2193) in tema di esenzione dall'imposta di registro dei provvedimenti di determinazione del contributo di mantenimento a carico del genitore naturale.
[38] Affermazioni analoghe si riscontrano nella giurisprudenza di merito e di legittimità: cfr. Comm. trib. I gr. Firenze, 27 giugno 1995, n. 117, in Riv. dir. trib., 1996, II, 887; ID. Venezia, 6 febbraio 1995, n. 298, in Dir. prat. trib., 1995, II, 1339; Comm. trib. prov. Treviso, 23 marzo 1998, n. 83, in Fisco, 1999, 1-135; Cass. civ., 19 novembre 1993, n. 11445, in Dir. prat. trib., 1994, II, 346; ID., 17 gennaio 2001, n. 635, in www.finanze.it; ID., 11 giugno 1999, n. 5740, in Giur. it., 2000, 650; ID., 18 marzo 1999, n. 2442, ivi, 1999, 2424. Vedi anche Corte cost., 28 novembre 2003, n. 346, cit.
[39] Cfr. R. Braccini, Mutamenti nelle basi del diritto tributario: la crisi dell'idea di "sistema", in Giur. it., 1997, IV, 22.
[40] Cfr. Cass. (ord.), 24 settembre 2003, n. 1043, cit.