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Continua il contrasto interpretativo in merito alla determinazione
del reddito degli immobili di interesse storico-artistico

di Alessandro Turchi



Questa rivista ha già dato spazio al problema dell'individuazione dei criteri da adottare in sede di determinazione del reddito derivante dal possesso di immobili di interesse storico od artistico ex art. 11, 2° comma, della legge n. 413 del 1991: si vedano infatti i commenti a Cass. n. 2442 del 18 marzo 1999 (in Aedon, n. 1/2000) - sentenza che ha inaugurato il filone giurisprudenziale favorevole ai contribuenti e volto a ritenere operante "in ogni caso" (comprese dunque le ipotesi di locazione dell'immobile) il criterio basato sull'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per la zona censuaria di ubicazione del fabbricato - ed all'ordinanza del TAR del Lazio n. 2323 del 15 marzo 2000 (confermata in appello dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 1913 del 18 aprile 2000 - in Aedon, n. 2/2000), che ha sospeso le istruzioni alla compilazione del modello 730 per l'anno 1999 ravvisando proprio nell'orientamento della Cassazione il fumus idoneo a giustificare il provvedimento cautelare in contrasto con la tesi del ministero, secondo cui il reddito degli immobili storici concessi in locazione avrebbe dovuto essere determinato con riferimento al canone percepito dal proprietario.

L'orientamento del Supremo Collegio è poi stato confermato da numerose sentenze, fra cui le pronunce n. 5740 dell'11 giugno 1999 (in Boll. trib., 2000, 629), n. 7408 del 13 luglio 1999 (in Mass. giur. it., 1999, 847), n. 7876 del 9 giugno 2000 (non massimata), n. 8038 del 13 giugno 2000 (in Guida normativa del Sole-24 Ore del 16 ottobre 2000) e n. 9945 del 28 luglio 2000 (resa, quest'ultima, dalla istituita Sezione tributaria e non massimata). Anche i giudici amministrativi hanno ribadito la propria posizione sospendendo le istruzioni alla compilazione del modello Unico 2000 in presenza di "un apprezzabile grado di fondamento giuridico" del relativo ricorso: così l'ordinanza del TAR del Lazio n. 4385 del 24 maggio 2000 (in Fisco, 2000, 8065) confermata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 3655 del 14 luglio 2000 (inedita, a quanto consta).

Gli argomenti addotti a sostegno della tesi che ravvisa nell'art. 11, 2° comma, della legge n. 413 del 1991 "l'esclusiva ed esaustiva disciplina per la fissazione dell'imponibile rispetto agli edifici d'interesse storico od artistico, da effettuarsi sempre con riferimento alla più bassa delle tariffe d'estimo della zona, a prescindere dalla locazione del bene a canone superiore" (Cass. n. 8038 del 13 giugno 2000, cit.) sono ormai noti e possono essere così riassunti:

a) significato letterale della norma che, operando "in ogni caso", ricomprende tutte le ipotesi di tassazione del reddito derivante dal possesso di immobili culturali;

b) suo riferimento al reddito imponibile e non alla rendita catastale, che sarebbe invece stata menzionata se il legislatore avesse inteso escludere dall'agevolazione gli immobili locati;

c) irrilevanza dell'interpretazione ministeriale secondo cui la norma dovrebbe intendersi riferita ad "ogni altro caso" diverso da quelli previsti dalla lettera h) del primo comma (che riguarda le locazioni a canone equo), dal momento che anche sulla base di tale interpretazione si giungerebbe quasi sempre ad applicare la disciplina di favore dettata dal secondo comma dell'art. 11, essendo le locazioni di immobili storici stipulate a canone libero;

d) collocazione dell'inciso "in ogni caso" al termine di una lunga serie di norme concernenti fattispecie anche molto diverse fra loro e relative sia ad immobili sfitti che locati, condotti ad equo canone od a canone libero: sicché l'intenzione del legislatore appare proprio quella di disciplinare in separata sede la tassazione degli immobili di interesse storico od artistico riservando loro, "in ogni caso", un trattamento di favore.

La posizione dell'amministrazione finanziaria è altrettanto nota e viene ora ribadita dalla circolare in commento.

Secondo la tesi della finanza, l'orientamento della Cassazione sarebbe maturato senza tenere conto della nuova disciplina delle locazioni dettata dalla legge n. 431 del 1998, che prevede la riduzione del 30% del reddito imponibile derivante da contratti stipulati a seguito di accordo definito in sede locale (cosiddetto "canale convenzionato") e la estende agli immobili vincolati: anche il reddito di tali immobili dovrebbe quindi essere determinato sulla base del canone locativo ridotto del 30%, e non con riferimento alle rendite catastali.

L'unico beneficio per i contribuenti consisterebbe nella disapplicazione delle sanzioni per infedele dichiarazione, limitata peraltro alle dichiarazioni presentate prima dell'entrata in vigore della legge n. 431: gli uffici vengono dunque invitati al controllo ed al recupero delle maggiori imposte accertate "nei modi ed entro i termini ordinari previsti" (e non - come invece prospettato dal Consiglio di Stato - con iscrizioni a ruolo ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter d.p.r. n. 600 del 1973).

Già si è avuto modo di osservare come questa interpretazione appaia un estremo tentativo di difesa di posizioni ormai superate, più che una persuasiva replica agli argomenti addotti dalla dottrina e dalla giurisprudenza: l'art. 11 della legge n. 413 del 1991 non può infatti ritenersi abrogato dalla legge n. 431 del 1998 e, d'altra parte, la riduzione del 30% risulta applicabile non solo al reddito effettivamente ritraibile dalla locazione ma anche alle rendite catastali, come riconosciuto dallo stesso ministero nella circolare n. 150/E del 9 luglio 1999 (in Boll. trib., 1999, 1138).

Allo stato, peraltro, non resta che auspicare un rapido intervento della Cassazione che affronti in modo espresso il profilo dei rapporti tra le due normative e valga a chiarire definitivamente l'ambito applicativo dell'agevolazione in oggetto.

 



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