Sommario: 1. Premessa. - 2. La distribuzione delle competenze nella Costituzione spagnola del 1978. - 3. La sentenza del tribunale costituzionale spagnolo 31 gennaio 1991, n. 17: l'interpretazione della CE e della LPHE quanto all'effettiva distribuzione delle competenze operata in ambedue le norme. - 4. La concretizzazione della distribuzione delle competenze nello sviluppo regolamentare della LPHE: l'art. 57-bis del reale decreto 111/1986 (in seguito alla modificazione parziale operata dal reale decreto 64/1994). - 5. Ricapitolazione e osservazioni generali sulla distribuzione delle competenze nell'ordinamento spagnolo. Una strutturazione su vari livelli presieduta dal protagonismo delle CC.AA. - 6. Alcune considerazioni finali.
Non c'è dubbio che una delle più importanti utilità dello studio del diritto vigente negli ordinamenti nazionali diversi dal proprio risieda nella possibilità che questo esercizio offre di impiegare l'esperienza maturata nei primi a beneficio di una maggiore efficacia ed efficienza delle soluzioni e dei progetti proposti con riguardo a problemi oggettivi sostanzialmente coincidenti. Proprio in questo senso, l'analisi sia dei percorsi già sperimentati in essi, insieme ai loro difetti e ai loro pregi ("pregio" è esattamente il contrario di "difetto", quindi in questo caso potrebbe essere preferibile utilizzare "pregi", piuttosto che "virtù"), che delle diverse soluzioni adottate, insieme ai risultati ottenuti, successi o fallimenti, non fa altro che fungere da presupposto ad un approccio più ricco e preparato verso questioni da affrontare o progetti e riforme in corso (o ancora da proporre) all'interno del proprio ordinamento, una più consapevole valutazione delle scelte operate e, infine, la possibilità effettiva di prevenire gli eventuali errori manifestatisi negli altri ordinamenti giuridici.
Trovandosi l'ordinamento italiano nel pieno di un processo di riorganizzazione amministrativa - in esito al percorso costituito dalle riforme Bassanini e, più recentemente, dalle modifiche introdotte al testo costituzionale italiano nel titolo V - il quale, rispetto al vecchio modello centralista basato su un'amministrazione statale potente, sembra (oppure sembrava in principio) volersi orientare verso l'obbiettivo di promuovere e definire un più intenso ruolo politico e amministrativo delle regioni e degli enti locali - processo che, addirittura, nell'ambito concreto dei beni culturali, negli ultimi anni stava mostrando una progressiva tendenza al decentramento delle competenze - risulta interessante, a mio avviso, esporre ed analizzare l'evoluzione della questione in un ordinamento marcato fin dalle sue origini [1] da una esperienza d'intenso decentramento e riconoscimento di ampia autonomia a favore dell'amministrazione regionale (abbandonando allora un passato inmediato di fortissima centralizzazione), com'è stato il caso concreto dell'ordinamento spagnolo. Non per nulla quest'ultimo in non poche occasioni è stato considerato come un modello statale che, pur senza acquisire la configurazione di Stato federale, più si avvicina a tale modello per quanto si riferisce ai livelli di autonomia conferiti alle regioni [2].
L'intento che presiede a queste pagine non vuole rappresentare uno studio approfondito di diritto comparato, ma è propriamente quello di illustrare schematicamente il processo di configurazione dell'assetto delle competenze in materia di beni culturali vigente nell'ordinamento spagnolo alla luce dei criteri stabiliti nella Costituzione del 1978. L'analisi di detto processo e delle conseguenze derivate dal medesimo, ci permetterà poi di formulare alcune considerazioni generali con riguardo ai pregi e ai difetti, ai vantaggi e agli svantaggi dell'opzione operata in Spagna a favore di una forte decentralizzazione nell'ambito dei beni culturali.
2. La distribuzione delle competenze nella Costituzione spagnola del 1978
Nel titolo VIII della Costituzione spagnola del 1978 - d'ora in poi denominata CE ("Constitución Española") -, dedicato all'organizzazione territoriale dello Stato, e all'interno del capo III, dedicato alle Comunità autonome (successivamente denominate CC.AA.), la norma fondamentale riserva allo Stato, all'art. 149.1, un elenco di competenze di esercizio esclusivo, tra le quali si trova, al comma 28°, quella facente riferimento alla "difesa del patrimonio culturale, artistico e monumentale spagnolo contro l'esportazione e la spoliazione; musei, biblioteche e archivi di proprietà dello Stato, ferma restando la possibilità della loro gestione da parte delle Comunità autonome" [3]. Allo stesso tempo, l'art. 148.1.16ª, contempla come competenza assumibile dalle CC.AA. quella relativa al "patrimonio monumentale di interesse della Comunità autonoma", e nella 15ª, quella riferita a "musei, biblioteche e conservatori di musica di interesse per la Comunità autonoma" [4].
La lettura degli articoli citati solleva due questioni:
- da una parte, la considerazione differenziata come settori di attribuzione di competenze (anche se nel 149.1.28ª sono contemplati all'interno di un unico comma, un unico settore di competenze) del patrimonio monumentale come settore generico da un lato, e dall'altro, con carattere più specifico, quello corrispondente a musei, archivi e biblioteche;
- dall'altra, la dualità di criteri impiegati per delimitare l'ambito delle competenze spettanti allo Stato e alle CC.AA., che oscillano tra l'interesse presentato dal bene e l'effettiva titolarità dello stesso [5].
In questo senso, la molteplicità dei criteri impiegati genera una considerevole incertezza in quest'ambito: seppure la questione sembri, almeno nella teoria, pacifica in materia di musei, biblioteche ed archivi [6], per quel che riguarda al patrimonio monumentale, la distribuzione delle competenze e la portata dei criteri che la presiedono non restavano fin dall'inizio sufficientemente chiarite. Mentre si riafferma la competenza regionale sul patrimonio d'interesse per le Comunità autonome, quella statale viene limitata agli aspetti relativi alla difesa dall'esportazione e spoliazione, restando incerta l'effettiva determinazione della competenza su quel patrimonio monumentale che potremmo definire d'interesse generale (ossia non vincolato ad un interesse regionale concreto ma ad un interesse di portata nazionale oppure a una molteplicità di interessi regionali concorrenti) in questioni diverse dall'esportazione e dalla spoliazione. Trattandosi, nel momento in cui viene approvato il testo costituzionale, di un patrimonio di titolarità unica - quella statale -, deve lo Stato mantenere le competenze su di esso? L'art. 149.1.28ª CE non indica il criterio della titolarità eccetto per i musei, archivi e biblioteche mentre per quanto riguarda questo patrimonio monumentale d'interesse generale non sembra chiara la possibilità di interpretare la presenza di una competenza statale basandola solo sull'assenza dell'interesse regionale specifico richiesto dal 148.1.16ª CE - come avviene in altri ambiti, come è il caso delle opere pubbliche [7] -, data, inoltre, l'apparente limitazione che su tale competenza statale sembra operare chiaramente l'esigenza presente nel 149.1.28ª CE riguardo ai fini di difesa dall'esportazione e spoliazione.
D'altra parte, sebbene la riserva a favore dello Stato per quanto concerne la difesa del patrimonio nei confronti dell'esportazione e della spoliazione acquisisca piena logica nella misura in cui esclusivamente ad esso sono riconosciute le competenze dalle quali si può attivare tale difesa [8], le implicazioni e l'effettiva portata di tale competenza possono variare di molto a seconda del senso che si attribuisce al termine spoliazione [9]. Non invano l'effettiva determinazione del suo significato e interpretazione finirebbe per costituire oggetto di discussione e polemica nella misura in cui, inteso in senso lato (come l'aveva inteso la legge 16/1985, del 25 giugno, del Patrimonio storico spagnolo, d'ora in poi denominata LPHE), poteva arrivare ad attribuire un'invalicabile onnicomprensività all'effettiva portata delle competenze statali [10].
Avendo come quadro limite questo panorama pieno d'incertezze, tutte le CC.AA. approvarono a poco a poco i loro rispettivi statuti di autonomia, ed assunsero competenze in materia di cultura [11] e più concretamente, in materia di patrimonio monumentale d'interesse regionale [12] e di regime dei musei, biblioteche, archivi ed altre istituzioni di deposito culturale [13]. Il conflitto sarebbe sorto con la promulgazione della legge 25 giugno 1985, n. 16, LPHE, che, nella misura in cui, in non pochi punti della sua redazione, non prestava sufficiente attenzione alle CC.AA. né prendeva atto delle competenze a carattere esclusivo riconosciute costituzionalmente e plasmate nei loro stessi statuti d'autonomia, in molti punti non era soddisfacente per le CC.AA. stesse a causa del taglio statalista che la caratterizzava.
La materializzazione di questo disaccordo in vari ricorsi per incostituzionalità sarebbe sfociata nella pronuncia del TC che ci apprestiamo ad analizzare, in cui l'interprete della CE venne incontro alle richieste delle CC.AA., fornendo al tempo stesso nuovi parametri con cui affrontare le questioni e le incertezze a cui facevamo allusione più sopra.
3. La sentenza del tribunale costituzionale spagnolo 31 gennaio 1991, n. 17: l'interpretazione della CE e della LPHE quanto all'effettiva distribuzione delle competenze operata in ambedue le norme
In seguito all'approvazione della LPHE nel giugno del 1985, infatti, un gruppo di tre Comunità autonome solleva le questioni menzionate nel paragrafo precedente proponendo mediante i rispettivi governi (e nel caso della Comunità autonoma della Catalogna, anche mediante iniziativa del parlamento regionale) altrettanti ricorsi d'incostituzionalità [14] contro alcuni articoli della succitata legge [15]. Essi sarebbero stati decisi dalla sentenza del tribunale costituzionale 31 gennaio 1991, n. 17 (in poi STC 17/1991), via attraverso la quale avrebbero simultaneamente visto la luce due risultati direttamente collegati:
- un chiarimento sulla portata delle attribuzioni competenziali previste negli artt. 148 e 149 CE per quanto riguarda l'ambito del patrimonio monumentale storico-artistico e quello più generico relativo alla cultura;
- e l'interpretazione conforme a tali articoli e con l'effettiva portata delle competenze in essi raccolte dei precetti della LPHE a prima vista conflittuali quanto al riconoscimento delle attribuzioni regionali.
All'interno del testo della legge (dalla cui analisi finiranno per sorgere i parametri d'interpretazione delle attribuzioni previste negli artt. 148.1.16ª e 149.1.28ª CE) uno dei punti più controversi è l'attribuzione allo Stato di competenza nella difesa del patrimonio contro la spoliazione. A giudizio delle CC.AA. ricorrenti, la definizione dello stesso data nell'art. 4 va al di là del suo significato convenzionale, e si crea così un'invasione delle competenze regionali in quanto non viene rispettato il limite costituzionale imposto a quella statale [16]. In questo senso si allude alla parte finale della definizione come responsabile diretta dell'ampliamento del concetto, in quanto ingloba dentro di esso qualsiasi azione che perturbi l'adempimento della sua funzione sociale. Il TC risolve la questione difendendo la costituzionalità dell'art. 4 LPHE, ma stabilendo i limiti entro i quali si devono interpretare sia la clausola finale riferita alla perturbazione della funzione sociale dei beni facenti parte del patrimonio monumentale, sia il significato concreto del termine spoliazione, che non deve essere limitato al suo stretto significato lessicale, circostanza che avrebbe reso superflua la sua menzione espressa [17], ma non deve costituire neanche una via attraverso la quale si possano invadere le competenze regionali [18].
Il Tribunale conclude che la definizione delle competenze statali plasmate nell'art. 4 LPHE in virtù del titolo di competenza sulla difesa contro la spoliazione non risulta incostituzionale in sé, fermo restando che potrebbe invece arrivare ad esserlo la concreta applicazione estensiva che potrebbe essere praticata nella fattispecie, essendo proprio il caso concreto "la sede in cui si dovrebbe porvi rimedio" (mot. 7°, paragrafo finale, STC 17/1991).
Il secondo dei punti su cui si concentra con maggior insistenza il reclamo delle regioni coincide con quello relativo all'effettiva competenza per la dichiarazione di Bic e per l'inclusione di beni nell'inventario (art. 9, comma 1°, 2° e 5°, art. 26 e disposizione transitoria sesta, comma 1° della LPHE), che in linea generale è riconosciuta alle CC.AA. (Mot. 10°, paragrafo 4°) [19].
In definitiva, il risultato dell'interpretazione effettuata dal TC si salda da una parte con il riconoscimento generale della competenza delle CC.AA. nell'esecuzione della legge, compresa quella di decidere la dichiarazione di Bene d'interesse culturale (BIC), e dall'altra, col riconoscimento, al di là del senso convenzionale del termine spoliazione, di un'attribuzione di competenza statale a garanzia del compimento della funzione sociale del patrimonio monumentale, competenza dai contorni incerti, che implica un insieme di misure a priori impossibili da determinare e la cui legittimità è verificabile solo a posteriori, nel caso concreto [20].
4. La concretizzazione della distribuzione delle competenze nello sviluppo regolamentare della LPHE: l'art. 57-bis del reale decreto 111/1986 (in seguito alla modificazione parziale operata dal reale decreto 64/1994)
Poco sembrava tuttavia incidere l'interpretazione del TC per quanto riguarda la concreta attuazione del titolo sulle competenze riconosciute allo Stato a difesa del patrimonio contro la spoliazione, descritte in termini generali dall'art. 4 LPHE. Secondo tale articolo, la menzionata attribuzione di competenza avrebbe permesso allo Stato di intervenire sul patrimonio laddove le CC.AA. non avessero esercitato in modo soddisfacente le loro competenze una volta emessa in via preliminare la richiesta da parte dell'amministrazione centrale. Tuttavia, l'art. 4 LPHE, caratterizzato dalla genericità già menzionata, non stabiliva le vie concrete attraverso le quali attivare questo intervento statale in apparenza sussidiario [21].
Sarebbe stato con la promulgazione del r.d. 64/1994, del 21 gennaio, previsto per adattare il testo del regolamento di sviluppo parziale della LPHE (r.d. 111/1986, del 10 gennaio) all'interpretazione del TC sui postulati di tale legge, che avrebbero dovuto essere definiti con maggior dettaglio i profili di questa competenza attraverso l'incorporazione del nuovo art. 57-bis, articolo unico del capitolo III del titolo III del reale decreto, intitolato De la expoliación del Patrimonio histórico español.
In base a questo articolo viene stabilito un procedimento di azione della competenza statale ex art. 4 LPHE, caratterizzato dalla predisposizione di due vie, una ordinaria e una di carattere urgente [22], entrambe informate ai principi amministrativi di celerità ed efficacia, come riferisce espressamente il comma 5° dell'art. 57-bis del reale decreto, e a quello della sussidiarietà, il quale, parimenti menzionato nello stesso comma, compare in tutta la dizione del succitato articolo nella descrizione del procedimento, limitando l'effettivo intervento del ministero della Cultura ai casi in cui gli organi competenti della Comunità autonoma non facciano uso delle competenze loro attribuite [23].
5. Ricapitolazione e osservazioni generali sulla distribuzione delle competenze nell'ordinamento spagnolo. Una strutturazione su vari livelli presieduta dal protagonismo delle CC.AA.
Eccoci dunque a descrivere un quadro schematico della distribuzione delle competenze nell'ambito dell'effettiva esecuzione del regime disposto nella CE e nella LPHE con riguardo alla tutela del patrimonio monumentale alla luce delle specifiche attribuzioni costituzionali e della lettura che ne fanno sia la stessa LPHE e il suo sviluppo regolamentare, sia la giurisprudenza costituzionale.
Per quanto riguarda lo Stato, in materia di patrimonio storico-artistico, esso godrà di competenza esclusiva quanto alla protezione contro l'esportazione illecita (art. 149.1.28ª CE, art. 2.1 e art. 5 LPHE), sulla totalità dei beni facenti parte del patrimonio storico spagnolo, mentre per quanto riguarda il compito generale di tutela e gestione degli stessi, l'esclusività della sua competenza sarà limitata alle seguenti categorie di beni (art. 6, lett. b, LPHE):
- beni ascritti a servizi pubblici gestiti dall'amministrazione dello Stato [24];
- beni che facciano parte del patrimonio nacional [25].
Nei casi restanti, lo Stato potrà solo intervenire in via sussidiaria per esercitare la tutela e gestione dei beni in virtù della sua competenza nella difesa contro la spoliazione (art. 4 LPHE, art. 57-bis r.d. 111/1986 e Mot. 7° STC 17/1991, del 31 gennaio), quale viene intesa come abbiamo illustrato nelle pagine precedenti, ossia subordinata al mancato intervento della Comunità autonoma competente o all'inefficacia della stessa di fronte a una situazione di rischio per il bene.
La competenza amministrativa in materia di protezione del patrimonio storico-artistico viene ubicata specificamente nella direzione generale delle belle arti e dei beni culturali, dipendente del ministero dell'Educazione, Cultura e Sport (art. 8, comma 1°, reale decreto 1331/2000, del 7 luglio).
D'altra parte, per quanto riguarda il regime dei musei, biblioteche ed archivi, la competenza esclusiva dello Stato comprenderà, come prima accennato, la determinazione del regime applicabile ai musei, biblioteche ed archivi di sua titolarità. Lo Stato sarà responsabile della loro gestione in quei casi in cui essa non sia stata delegata alle CC.AA. attraverso un accordo specifico [26].
All'interno del ministero dell'Educazione, Cultura e Sport, la competenza in materia di musei viene conferita alla accennata direzione generale delle belle arti e dei beni culturali (art. 8, comma 1°, lett. d, r.d. 1331/2000), mentre quella riferita a biblioteche e archivi statali è assegnata alla direzione generale del libro, archivi e biblioteche (art. 9, comma 1°, lett. c e k, r.d. 1331/2000).
Le CC.AA., da parte loro, sono titolari in linea generale della competenza relativa all'esecuzione della tutela e gestione dei beni protetti dalla LPHE (art. 6, lett. a), fatte salve le già menzionate eccezioni in cui essa viene riservata allo Stato. Ma in realtà, quanto stabilito dalla STC 17/1991, insieme a una serie di fattori soppravvenuti, ha portato ad estendere le competenze regionali molto più in là della loro originaria concezione all'interno dell'articolato della LPHE:
- la stessa LPHE, come abbiamo detto, configura le CC.AA. come istanza competente nell'esecuzione dei suoi postulati, riducendo considerevolmente le competenze statali, costrette ad un limitato settore dei beni facenti parte del patrimonio storico spagnolo, e per il resto, informate al principio di sussidiarietà;
- d'altro canto, l'interpretazione realizzata dalla STC 17/1991 sui postulati della legge tende a ridurre ancor di più le competenze amministrative statali a favore di quelle regionali. L'interpretazione congiunta degli artt. 9 e 6 LPHE riguardo alla competenza nella dichiarazione di bene d'interesse culturale (Bic) e nell'esecuzione del regime previsto dalla legge, stravolge la concezione originale secondo la quale essa era stata pensata: dissociare le competenze di dichiarazione da quelle di esecuzione, concentrandole principalmente nelle mani delle CC.AA [27].
- il titolo in base al quale lo Stato ha competenza sull'eventuale intervento di difesa dalla spoliazione rimane fortemente limitato nel suo esercizio dal principio di sussidiarietà, come abbiamo già detto, rimanendo, per il resto fino ad oggi praticamente inapplicato [28].
- La pratica totalità dei beni culturali che erano prima in mano allo Stato e che non erano interessati da un servizio pubblico gestito da esso, sono stati trasferiti per quanto riguarda la loro gestione alle CC.AA., che godono quindi, in linea generale, di amplissime potestà nella loro amministrazione [29].
- A ciò si aggiunge che, seppure in un principio e alla luce di quanto disposto nella CE si potesse solo dedurre un ampio margine di autonomia legislativa per le regioni per quanto riguarda il patrimonio monumentale, musei, archivi e biblioteche sotto il requisito della presenza in loro di un particolare interesse regionale (art. 148.1.15ª e 16ª), adesso, facendo capo invece all'interpretazione data dalla STC 17/1991, la portata della competenza esclusiva delle CC.AA. resta definita per esclusione, cioè, trova il suo unico limite nel rispetto dei limiti di quella statale (molto ridotta dall'interpretazione del Tribunale costituzionale).
- Conseguenza diretta del punto precedente è che d'allora in poi l'azione di tutela e gestione verrà sviluppata d'accordo con i contenuti delle specifiche leggi emanate nelle CC.AA sulla materia, in virtù delle competenze assunte nei rispettivi Statuti. In questo modo, negli ambiti di competenza esclusiva riservati alle CC.AA. in materia di beni culturali, i precetti della LPHE verranno applicati per via suppletoria, unicamente nei casi in cui non esista una normativa specifica di livello regionale. Tenendo conto che praticamente la totalità delle CC.AA. ha approvato le proprie leggi di Patrimonio storico, scarso sarà l'ambito d'applicazione rimasto alla LPHE [30].
Per quanto riguarda l'organizzazione dell'amministrazione regionale e la strutturazione e l'articolazione degli organi dotati di competenza in materia di beni culturali all'interno delle CC.AA., si può affermare, in linea generale, che assistiamo a una riproduzione su scala regionale della struttura amministrativa e della divisione delle competenze presente nell'amministrazione statale: entro le istituzioni governative regionali, genericamente denominate Consejos de Gobierno e dotate di funzioni sia esecutive che amministrative (art. 152.1 CE), la competenza relativa alla tutela e alla gestione del patrimonio è ubicata, tra tutte quelle che compongono la sua struttura, nella Consejería specificamente abilitata per le questioni relative ai temi di cultura [31].
Infine si può fare riferimento alla competenza dell'amministrazione locale, la quale, pur non presentando una regolazione specifica esaustiva come quella riferita alle competenze statali e regionali, non per questo non gode di un'importanza più che considerevole. Riconosciuta nell'art. 25.2 e) della legge regolatrice delle Basi del regime locale, legge 7/1985, di 2 aprile (LBRL) [32], essa è subordinata a quanto stabilito nelle legislazioni statale e regionale (art. 7 LPHE), ma il suo peso nell'ambito delle competenze urbanistiche le conferirà un ruolo rilevante nella tutela del patrimonio immobile, essenzialmente concentrato sulle azioni di pianificazione ed esecuzione degli interventi edilizi, nonché di catalogazione [33]. Riguardo a quest'ultima questione, dobbiamo ricordare che sono considerati beni culturali ad effetti della legge non solo quelli effettivamente dichiarati Bic o inventariati ai sensi delle leggi di tutela, ma che insieme ad essi si trova una congerie di beni di interesse culturale minore la cui tutela viene effettuata secondo le tecniche previste nella legislazione e nella pianificazione urbanistica. In quest'ultima è di cruciale importanza l'attività municipale sia quanto all'effettiva catalogazione di tali beni minori sia nell'effettiva applicazione delle misure previste nel piano regolatore per la loro protezione [34].
6. Alcune considerazioni finali
Il caso spagnolo illustra dunque, in materia di beni culturali, un panorama dell'allocazione delle funzioni notevolmente decentrato, presieduto, sia nell'ambito della gestione e valorizzazione che della tutela, da un ampio protagonismo delle CC.AA. Protagonismo sopravvenuto che, in principio e in mancanza della dottrina emanata dal TC, sarebbe stato difficile da predire - almeno in tali termini - alla luce del contenuto letterale degli art. 148 e 149 della CE.
In un primo confronto in materia di beni culturali tra gli ordinamenti italiano ed spagnolo, il percorso non fa che riprodurre un certo parallelismo, seppure con risultati finali ben diversi: sia in Italia che in Spagna, l'esistenza nell'ambito dei beni culturali di un criterio di attribuzione delle competenze poco preciso (i concetti "tutela" e "difesa contro lo spoglio" rispettivamente) favoriva in principio l'affermazione di un ampio margine d'intervento a favore dell'amministrazione statale. La delimitazione della portata di questo criterio operata nel caso spagnolo dall'interpretazione del TC diede luogo ad un giro di 180 gradi, relegando l'amministrazione centrale in secondo piano e collocando quella regionale nell'accennato ruolo di protagonista principale all'interno del panorama dell'assetto delle competenze in materia di beni culturali. In ogni modo, sia Italia che Spagna hanno finalmente consolidato in questo ambito sistemi di distribuzione delle competenze troppo polarizzati su uno dei due livelli di amministrazione territoriale: rispettivamente quello statale e quello regionale.
Alcuni autori spagnoli, come ad esempio Concepción Barrero o Juan Manuel Alegre, pur considerando positivamente la decentralizzazione operata nel caso spagnolo come una delle manifestazioni della democratizzazione e del pluralismo vigenti nell'ordinamento, che questa volta prende forma nella tutela dei beni culturali, giudicano comunque eccessivi sia le attribuzioni date alle CC.AA., sia il grande svuotamento di cui sono state oggetto le competenze statali [35], svuotamento provocato non solo dall'amplissima estensione operata sull'ambito d'intervento riservato alla competenza delle autonomie, ma anche a causa della già accennata scarsa operatività effettiva della competenza d'intervento sussidiario spettante allo Stato. Tra le cause di questa mancanza di equilibrio può riportarsi l'assenza di configurazione effettiva d'una categoria di beni culturali caratterizzati dal loro interesse nazionale [36].
Conseguenza diretta di queste circostanze è stato il verificarsi di una serie di deficienze e svantaggi nella soluzione finale in cui ha sboccato la strutturazione delle competenze nel settore.
- il sorgere e il consolidarsi nel panorama legislativo di una molteplicità di regimi diversi in materia di beni culturali ha generato in certi casi o su certi aspetti una considerevole mancanza di uniformità.
Questa circostanza è compensata, anche se solo in modo parziale, dalla importante funzione pedagogica sviluppata dal testo della legge statale del 1985 (LPHE) sulle posteriori legislazioni regionali, fattore che spinge il suo rilievo al di là della semplice vigenza in quanto diritto sussidiario a quello delle CC.AA.
Occorre far notare anche che l'effettiva diversità e disparità di ordinamenti in materia di beni culturali, pur avendo il suo punto di partenza nell'ampiezza delle competenze riconosciute alle CC.AA, ha trovato la sua vera origine nel grado di responsabilità reso manifesto da esse nell'esercizio delle accennate attribuzioni: seppure certe CC.AA. abbiano provato a sviluppare e perfezionare il modello della legge statale (avente ancora un importante peso e prestigio), altre hanno adottato opzioni più pretenziose, generando istituti, categorie e meccanismi di protezione nuovi [37] che, indipendentemente dal loro successo, hanno dato luogo all'accennata diversità di regimi applicabili e alla conseguente mancanza di omogeneità (quando l'opzione più intelligente sarebbe probabilmente stata non tanto quella di creare nuovi strumenti di protezione - aumentando quindi la complessità e diversità della tutela -, ma quella di garantire il funzionamento di quelli già esistenti).
- Nel desiderio d'attivare nella pratica le competenze acquisite una volta consolidata la dottrina della sentenza del 1991, le CC.AA. hanno evidenziato in non poche occasioni un esercizio eccessivamente allegro di alcune competenze, come è il caso di quella di dichiarazione del vincolo [38].
- Non sono mancati anche casi specifici che hanno rivelato un uso deviato delle competenze attribuite all'amministrazione, concretamente nella cornice degli interessi creati intorno ad operazioni urbanistiche, laddove gli strumenti di protezione del patrimonio e dell'ambiente possono attuare come arma da lancio in risposta agli interessi contrapposti di amministrazioni aventi segni politici diversi (scontri tra amministrazione locale e regionale, principalmente).
Occorre segnalare, tuttavia, che il sistema attuale, pure esistendo le deficienze accennate, si manifesta operativo e, in più, è portatore anche di valori positivi da mettere in rilievo:
- Il sistema vigente costituisce un riflesso più congruente con l'affermazione dell'autonomia regionale, la democratizzazione e il pluralismo istituzionale che presiedono l'intero ordinamento.
- Favorisce una più razionale distribuzione delle competenze sotto la prospettiva del principio di sussidiarietà.
- E, soprattutto, la competitività insita nella corsa legislativa delle autonomie costituisce una fonte di stimolo che fa sì che le leggi vengano migliorate di volta in volta, incorporando novità importanti e soluzioni migliori [39].
In definitiva, lo schema spagnolo, con i suoi successi e le sue deficienze, costituisce esempio della fattibilità e dell'operatività che può arrivare ad offrire l'opzione per un modello amministrativo decentrato in materia di beni culturali. Resta affermata, però, la necessità che, quando venga fatta una azione seria a favore di un sistema di competenze dotato di caratteristiche tali, si creino i meccanismi che rendano possibile un equilibrio, un controllo di poteri fra i diversi livelli istituzionali, garantendo così l'unità e la coerenza dell'insieme dell'ordinamento (punti comuni, standards minimi indisponibili, ecc.).
I casi spagnolo ed italiano illustrano una situazione di scompenso che trova la sua origine nell'indeterminatezza dei criteri che reggono i rispettivi assetti delle competenze in materia di beni culturali.
Nell'ordinamento spagnolo, la volontà di delimitare e definire concretamente la portata di questi criteri si è resa manifesta nell'interpretazione giurisprudenziale data dal Tribunale costituzionale nella sentenza 31 gennaio 1991, n. 17, interpretazione che, purtroppo, non è riuscita, come è stato chiarito, a definire in modo realmente equilibrato e ponderato l'assetto di competenze, spostando invece la concentrazione delle attribuzioni dall'amministrazione statale a quella regionale (pur esistendo di fatto un meccanismo di compensazione nella competenza d'intervento sussidiario dello Stato, è stata evidenziata la sua scarsa operatività).
Nel caso italiano, l'indeterminatezza del concetto di "tutela" che stabilisce l'ambito esclusivo della competenza statale - e, allo stesso tempo, data la sua ampiezza, limita in molto le possibilità d'intervento regionale - costituisce uno dei termini di paragone cruciali della mancanza d'equilibrio nella distribuzione delle competenze in materia di beni culturali, come è stato messo in luce reiteratamente dalle pagine di questa rivista [40].
Non c'è dubbio sulla difficoltà implicita nel trovare una predisposizione positiva nelle parti implicate: da un lato, l'amministrazione statale, tradizionalmente accentratrice delle competenze in materia di tutela dei beni culturali, deve essere pronta a privarsi d'una buona parte di esse, mentre dall'altro, le amministrazioni regionali che possano eventualmente ereditarle devono perdere le loro riserve al riguardo ed essere disposte ad attivarle attraverso la corretta utilizzazione degli strumenti legislativi ed amministrativi loro conferiti.
L'effettiva transizione verso l'affermazione d'una maggiore autonomia delle regioni e di principi tali come quello di sussidiarietà nella cornice generale degli indirizzi tracciati dalle ultime riforme operate nel panorama amministrativo italiano, passa necessariamente, nel caso del settore dei beni culturali, per chiarire la portata dei concetti utilizzati come criterio nella distribuzione delle competenze fra le amministrazioni. Questa delimitazione, viste le difficoltà che sembra presentare la via legislativa, potrebbe arrivare attraverso la loro interpretazione da parte della Corte costituzionale, così come è avvenuto nel caso spagnolo, prestando attenzione però alla necessità di soluzioni non caratterizzate da una eccessiva polarizzazione.
Comunque sia, occorre non dimenticare che indipendentemente dall'opzione che venga adottata, dietro qualunque modalità di strutturazione amministrativa e il corrispondente assetto delle competenze, verrà sempre richiesta l'attivazione dei cruciali principi di coordinamento e cooperazione inter-amministrative e l'effettiva specializzazione dell'amministrazione all'interno del settore (nel caso presente, quello dei beni culturali), requisiti imprescindibili nel raggiungimento del loro scopo finale: l'efficienza amministrativa.
[1] Nella misura in cui si fa riferimento qui all'ordinamento costituzionale e democratico attuale, dobbiamo intendere come suo momento di origine, quello dell'entrata in vigore della Costituzione che stabilisce le sue basi: la Costituzione spagnola del 1978.
[2] Nella descrizione realizzata dall'art. 2 CE rispetto al modello di Stato si arriva perfino a parlare della presenza di diverse "nazionalità" al suo interno (nello stesso senso, si dovrà tenere conto del vasto elenco di competenze assumibili dalle CC.AA. raccolto nell'art. 148 CE, e poi, quelle effettivamente adottate negli Statuti di Autonomia approvati).
[3] Con carattere generale, per quanto riguarda all'ambito della cultura, l'art. 149.2 CE presenta una clausola in base alla quale, "senza pregiudizio delle competenze che potranno assumere le Comunità autonome, lo Stato considererà il servizio della cultura come dovere e attribuzione essenziale e faciliterà la comunicazione culturale tra le Comunità autonome, d'accordo con le stesse".
[4] Accanto ai due riferimenti accennati rispetto alle attribuzioni competenziali 15ª e 16ª dell'art. 148.1 CE, in quest'ultimo si intendono anche come assumibili dalle CC.AA. altre competenze direttamente collegate all'ambito della cultura e dei beni culturali, com'è il caso di quelle relative ai settori della "promozione della cultura, la ricerca e, se mai, della lingua della Comunità autonoma" (17ª) o quello concernente "l'artigianato" (14ª).
[5] Per quanto riguarda la competenza statale in musei, archivi e biblioteche, il requisito imposto è quello della titolarità dello Stato, mentre la competenza delle CC.AA. si fa dipendere dalla presenza di un interesse per la Comunità autonoma, lo stesso che viene richiesto al fine di rendere effettiva la competenza regionale sul patrimonio monumentale (ambito rispetto al quale resta delimitata la competenza statale in base ad una limitazione materiale finalistica come è quella della difesa contro l'esportazione e la spoliazione, il che porta con sé ancora la presenza di un ulteriore terzo criterio).
[6] La competenza sulla determinazione del loro regime resta in mano allo Stato nel caso dei musei, biblioteche ed archivi di titolarità statale, ferma restando la possibilità di stabilire accordi (molto frequenti) con le CC.AA. allo scopo di delegare loro l'effettiva gestione. Il regime dei musei, biblioteche ed archivi d'interesse per le CC.AA., non appartenenti allo Stato, rimangono sotto le competenze proprie ed esclusive delle CC.AA.
[7] Così accade alla luce di quanto disposto riguardo alle competenze sulle opere pubbliche negli artt. 148.1.4ª e 149.1.24ª, laddove le CC.AA. possono assumere competenze sulle opere pubbliche d'interesse della Comunità autonoma nel suo territorio, e allo Stato vengono riservate quelle corrispondenti a opere pubbliche d'interesse generale o la cui realizzazione colpisca più di una Comunità autonoma. In questo caso, l'utilizzazione della natura e l'effettiva portata dell'interesse presente nel bene come criterio unico nella precisazione dei limiti fra le competenze statali e quelle regionali si manifesta come il fattore che rende possibile l'interpretazione del senso e portata di entrambi precetti.
[8] I rapporti internazionali o la legislazione commerciale, penale o civile (v. artt. 149.1. 3ª, 6ª e 8ª CE).
[9] Meno polemico risulta il termine exportación (esportazione), concetto meno estraneo alla disciplina giuridica (si intende qui nel senso d'esportazione illegale in quanto lesiva dell'integrità del Patrimonio nel suo insieme, della sua effettiva permanenza nel paese). Cfr. C. Barrero Rodrìguez, La organización administrativa de las bellas artes. Unas reflexiones de futuro, Patrimonio cultural y derecho, n° 1, 1997, pp. 83-84.
[10] E' proprio in questo senso che sembrò orientarsi la definizione data dall'art. 4 LPHE rispetto al concetto in questione, generandosi un imminente rischio di svuotamento di contenuti riguardo alle competenze regionali (almeno per il periodo trascorso fino alla pronuncia del TC).
[11] Artt 10.17° e 20° dello Estatuto de Autonomía del País Vasco (Legge Organica 3/1979, del 18 dicembre); artt. 9.4° e 6° Estatuto de Autonomía de Cataluña (LO 4/1979, del 18 dicembre); art. 27.Diecinueve Estatuto de Autonomía de Galicia (LO 1/1981, del 6 aprile); artt. 13.26° e 28° e 17.4° Estatuto de Autonomía de Andalucía (LO 6/1981, del 30 dicembre); artt. 10.1.12° e 14° e 12.8° Estatuto de Autonomía del Principado de Asturias (LO 7/1981, del 30 dicembre); artt. 22.13° e 15° e 24.6° dello Estatuto de Autonomía de Cantabria (LO 8/1981, de 30 de diciembre); artt. 8.1.12° e 13° e 10.1.6° dello Estatuto de Autonomía de La Rioja (LO 3/1982, del 9 giugno); artt. 10.1.13° e 15° e 12.1.5° dello Estatuto de Autonomía de la Región de Murcia (LO 4/1982, del 9 giugno); artt. 31.4° e 6° e 33.6 dello Estatuto de Autonomía de la Comunidad Valenciana (LO 5/1982, del 1 luglio); artt. 35.1.30° e 32° e 39.1.14° Estatuto de Autonomía de la Comunidad Autónoma de Aragón (LO 8/1982, del 10 agosto); artt. 31.1.15ª e 17ª e 33.5° Estatuto de Autonomía de Castilla-La Mancha (LO 9/1982, del 10 agosto); artt. 30. 9° e 33.1° del Estatuto de Autonomía de Canarias (LO 10/1982, del 10 agosto); artt. 44.8°, 10° e 11° e 58.1.i Ley de Reintegración y Amejoramiento del Régimen Foral de Navarra (LO 13/1982, de10 agosto); artt. 7.1.12° e 15° e 9.8° Estatuto de Autonomía de Extremadura (LO 1/1983, del 25 febbraio); artt. 10.18° e 20° e 12.9° Estatuto de Autonomía de las Islas Baleares (LO 2/1983, del 25 febbraio); artt. 26.1.18° e 20° e 28.1.6° Estatuto de Autonomía de la Comunidad de Madrid (LO 3/1983, del 25 febbraio); e artt. 26.1.16° e 28.7° Estatuto de Autonomía de Castilla y León (LO 4/1983, del 25 febbraio).
[12] Art. 10.19 Estatuto de Autonomía del País Vasco; art. 9.5 Estatuto de Autonomía de Cataluña; art. 27.Dieciocho Estatuto de Autonomía de Galicia; art. 13.27 Estatuto de Autonomía de Andalucía; art. 10.1.13° Estatuto de Autonomía del Principado de Asturias; art. 20.14° Estatuto de Autonomía de Cantabria; art. 8.14° Estatuto de Autonomía de La Rioja; art. 10.1.14° Estatuto de Autonomía de la Región de Murcia; art. 31.5° Estatuto de Autonomía de la Comunidad Valenciana (LO 5/1982, del 1 luglio); art. 30.1.33° Estatuto de Autonomía de la Comunidad Autónoma de Aragón; art. 31.1.16ª Estatuto de Autonomía de Castilla-La Mancha; art. 30.9° Estatuto de Autonomía de Canarias; art. 44.9° della Ley de Reintegración y Amejoramiento del Régimen Foral de Navarra; art. 7.1.13° Estatuto de Autonomía de Extremadura; art. 10.19° Estatuto de Autonomía de las Islas Baleares; art. 26.1.19° Estatuto de Autonomía de la Comunidad de Madrid; e art. 26.1.13° Estatuto de Autonomía de Castilla y León.
[13] Art. 10.20 Estatuto de Autonomía del País Vasco; art. 9.6 Estatuto de Autonomía de Cataluña; art. 27.Dieciocho Estatuto de Autonomía de Galicia; art. 13.28 e art. 17.4° Estatuto de Autonomía de Andalucía; art. 10.1.12° e art. 12.8° Estatuto de Autonomía del Principado de Asturias; art. 20.13° e art. 24.6° Estatuto de Autonomía de Cantabria; art. 8.13° e art. 10.6° Estatuto de Autonomía de La Rioja; art. 10.1.13° e art. 12.1.5° Estatuto de Autonomía de la Región de Murcia; art. 31.6° e art. 33.6° Estatuto de Autonomía de la Comunidad Valenciana; art. 30.1.32° e art. 39.1.14° Estatuto de Autonomía de la Comunidad Autónoma de Aragón; art. 31.1.15ª e art. 33.5° Estatuto de Autonomía de Castilla-La Mancha; art. 30.9° in fine e art. 33.1° Estatuto de Autonomía de Canarias; art. 44.10° e art. 58.1 i) Ley de Reintegración y Amejoramiento del Régimen Foral de Navarra; art. 7.1.12° e art. 9.8° Estatuto de Autonomía de Extremadura; art. 10.18° e art. 12.9° Estatuto de Autonomía de las Islas Baleares; art. 26.1.18° e art. 28.1.6° Estatuto de Autonomía de la Comunidad de Madrid; e art. 26.1.13° e art. 28.7° Estatuto de Autonomía de Castilla y León.
[14] I ricorsi presentati furono, cronologicamente, i seguenti: l'830/1985, promosso dal Consejo Ejecutivo de la Generalidad de Cataluña; l'847/1985, dalla Junta de Galicia; l'850/1985, dal Gobierno Vasco; e il 858/1985 dal Parlamento de Cataluña. In seguito essi sarebbero stati riuniti per poi essere decisi congiuntamente con sentenza unica del TC.
[15] I precetti impugnati corrispondevano agli artt. 2.3; 9.1-sexies; 9.2; 9.5 nella parte finale; 49.5; e la disposizione transitoria 6ª, 1, rispetto ai quali il Tribunale costituzionale (in poi TC) riconobbe la loro costituzionalità condizionata però all'interpretazione di essi ai sensi di quanto detto dall'Alto Tribunale nel contenuto dei fondamenti di diritto presenti nella sentenza. Sui precetti restanti il TC avrebbe dichiarato la loro piena costituzionalità.
[16] Visto che i riferimenti ad esso saranno costanti, procediamo a riprodurre il contenuto del citato art. 4 LPHE: "Agli effetti della presente legge si intende per spoliazione ("expolio") ogni azione o omissione che implichi pericolo di perdita o distruzione tutti o alcuni dei valori che integrano il Patrimonio storico spagnolo oppure perturbi l'adempimento della loro funzione sociale. In tali casi, l'amministrazione dello Stato, con indipendenza delle competenze che corrispondano alle Comunità autonome, in qualunque momento, potrà intimare al Dipartimento competente del Consiglio di governo della Comunità autonoma l'adozione urgente dei provvedimenti diretti ad evitare la spoliazione. Se fosse disattesa questa intimazione, l'amministrazione dello Stato provvederà quanto sia necessario per il recupero e protezione, sia legale che tecnica, del bene spoliato".
[17] Opzione che avrebbe portato con sé le seguenti conseguenze: "restringere le competenze dello Stato a semplici funzioni di vigilanza, protezione e repressione contro le aggressioni fisiche che danneggino o distruggano il patrimonio privino di esso illegalmente, competenza che in generale gli è già riconosciuta dall'art. 149.1.6ª compressa nei provvedimenti di ordine pubblico penali e civili in quanto la privazione o distruzione violenta abbiano già il rilievo di infrazione penale (art. 46 CE) o semplicemente di privazione illecita" (motivo 7°, paragrafo 4°, STC 17/1991 di 31 gennaio).
[18] "L'utilizzazione del concetto della difesa contro la spoliazione deve intendersi come definitorio di un plus di protezione rispetto a certi beni dotati di caratteristiche speciali. Proprio per ciò comprende un insieme di provvedimenti di difesa i quali, oltre a riferirsi al degrado o distruzioni di essi cercano di estendersi alla privazione arbitraria o irrazionale del normale adempimento di quello che costituisce proprio la finalità del bene secondo la sua natura, in quanto portatore di valori d'interesse generale che, anche loro, hanno bisogno di essere preservati. Così, la legge intende per perturbazione dell'adempimento della loro funzione sociale alla privazione della destinazione e dell'utilità generale che caratterizzano ad ognuno dei beni pur rimanendo il bene materialmente inalterato". (Mot. 7°, paragrafo 4°, STC 17/1991 del 31 gennaio).
[19] La competenza ordinaria per la dichiarazione di beni resta in mano alle CC.AA., rimanendo ridotta quella statale all'eccezione sulla base dei criteri dell'art. 6, lett. b), LPHE (quando così venga stabilito in modo espresso oppure risulti necessario nel corso della sua eventuale azione di difesa contro l'esportazione illecita e l'"expoliación" e quando si tratti di beni integranti il PHE assegnati a servizi pubblici gestiti dall'amministrazione dello Stato o costituenti parte del "Patrimonio nacional") (supra, rif. nota precedente).
[20] V. C. Barrero Rodrìguez, La organización administrativa... cit., p. 83.
[21] Si veda supra nella nota 16 il contenuto dell'art. 4 LPHE nella sua parte finale.
[22] La loro attivazione può trovare origine nella denuncia o qualsiasi genere di comunicazione che ponga in conoscenza dell'amministrazione statale una situazione di "expolio" ai sensi dell'art. 4 LPHE (art. 57-bis, comma 1°). La procedura ordinaria prevede la possibilità che il ministero della Cultura emani un'ordinanza (previa audizione della Comunità autonoma) nella quale si dia conto della situazione di "expolio" e del concreto stato dell'immobile, accompagnandola con i provvedimenti pertinenti ad evitare i rischi che detta situazione implica (comma 2°), la cui esecuzione spetterebbe al proprietario del bene o, in sua mancanza, all'organismo competente della Comunità autonoma e all'ultimo posto e solo come ultima ratio, all'amministrazione statale attraverso il ministero della Cultura (comma 3°). Il procedimento d'urgenza, previsto per quei casi in cui l'imminenza del rischio di "expolio" non permetta l'adozione dell'ordinanza ministeriale, abilita il ministero della Cultura ad effettuare una richiesta d'intervento alla Comunità autonoma allo scopo di provvedere ad adottare le misure adeguate ad evitare l'"expolio", disattesa la quale, il proprio ministero sarebbe in grado di provvedere direttamente all'esecuzione di dette misure (comma 4°).
[23] Il comma 5° dell'art. 57-bis del r.d. 111/1986, ricettacolo specifico dei principi che informano la procedura d'attivazione delle competenze dell'amministrazione statale in materia di protezione del patrimonio contro l'"expolio", stabilisce quanto segue: "art. 57-bis. 5: a) Il procedimento previamente accennato è sottoposto ai principi amministrativi di celerità ed efficacia, dovendosi analizzare nella concreta fattispecie se dall'intervento dell'amministrazione generale dello Stato derivano o possono derivare conseguenze positive immediate ed effettive rispetto alla protezione reale del bene. b) L'intervento dell'amministrazione generale dello Stato non avrà luogo quando la Comunità autonoma abbia adottato o stia adottando le misure di protezione previste nella legge 16/1985 o nella sua propria legislazione, ed esse vengano stimate dal ministero della Cultura come adeguate e sufficienti per il recupero del bene". (si veda supra, nota precedente, per quanto riguarda il costante riferimento alla priorità della competenza regionale nella descrizione della procedura).
[24] All'interno di quest'ambito sono compresi tutti quegli immobili d'interesse storico-artistico che contengono musei, archivi o biblioteche di titolarità statale la cui gestione non è stata trasferita alle CC.AA. Esempio caratteristico di questa categoria può essere il caso dell'edificio del Museo del Prado a Madrid, il cui nucleo originale, opera dell'architetto Juan de Villanueva, fu dichiarato Bene d'interesse culturale (BIC) in quanto considerato come la manifestazione più rappresentativa dell'architettura civile spagnola dell'epoca neoclassica. Nella misura in cui la gestione del museo in esso contenuto (un servizio pubblico culturale) rimane in mano statale, lo stesso accade con le competenze relative a la sua tutela come monumento.
[25] Occorre comprendere questa categoria da quanto è disposto nell'art. 2 della legge 23/1982 del 16 giugno, sul patrimonio nazionale, nel quale si stabilisce: "hanno la qualificazione giuridica di beni del patrimonio nazionale quelli di titolarità dello Stato destinati all'uso e servizio del Re e dei membri della Reale Famiglia per l'esercizio di alta rappresentanza loro conferita dalla Costituzione e dalle leggi. Sono compresse inoltre all'interno di detto patrimonio i diritti ed gli oneri di patronato sulle fondazioni e reali patronati menzionati nella presente legge". Bisogna avere presente questa distinzione nella misura in cui la stessa terminologia può indurre nell'errore di pensare che si stia facendo allusione ad un patrimonio di rilievo nazionale. Niente di più lontano dalla realtà. Infatti, l'appartenenza di un bene al patrimonio nacional di per sé non implica che lo stesso bene abbia necessariamente un valore storico-artistico: si ricordi che il fattore che determina l'inclusione di un bene nel patrimonio nacional è quello della sua effettiva assegnazione "all'uso e servizio del Re e dei membri della Reale Famiglia per l'esercizio di alta rappresentanza loro conferita dalla Costituzione e dalle leggi". Questo patrimonio, di fatto, viene contemplato dalla CE nel titolo VII, dedicato a Economia e Fisco. Nell'art. 132.2 CE è concepito come un patrimonio economico speciale diverso da quello denominato patrimonio dello Stato (cioè, dell'insieme di beni e diritti dello Stato non assegnati ad un uso o servizio pubblico), col quale non deve mai essere confuso, malgrado la caratteristica comune di presentare una titolarità statale.
In ogni modo, la configurazione di questo patrimonio nazionale come una figura incardinata nella disciplina fiscale ed economica e non invece a quella culturale, non toglie che - fondamentalmente per ragioni storiche - i beni in esso integrati finiscano per coincidere con immobili di considerevole valore storico-artistico, noto il tradizionale legame stabilito fra essi e l'istituto della Corona.
La stessa legge contiene, nell'art. 4, un elenco nel quale si raccolgono tutti quei beni che fino alla data d'entrata in vigore della legge godevano di tale condizione (non essendo però l'estensione di questo patrimonio limitata ad essi, essendo contemplata la possibilità di incorporarvi nuovi beni) fra i quali possiamo evidenziare i Palacios Reales de Oriente, Aranjuez, San Lorenzo del Escorial, La Granja y Riofrío, la Almudaina, insieme alle costruzioni loro annesse e all'ambiente che li circonda, compresi in generale tutti i beni mobili allocati al loro interno.
L'art. 5 della legge, da parte sua, aggiunge un altro elenco, questa volta riferito ai "Reales Patronatos", figure di natura fondazionale sulle quali il Consejo de Administración del patrimonio nacional detiene un diritto o dovere di patronato o di governo e amministrazione, diritto o dovere considerato come parte di detto patrimonio nazionale. Inoltre, la regolazione di questo patrimonio dalla suddetta legge e dal suo regolamento di sviluppo (r.d. 496/1987, di 18 marzo, nella sua versione modificata dal r.d. 2208/1995, del 25 dicembre) aggiunge un'organizzazione amministrativa specifica con competenze dirette in quanto alla conservazione e restauro dei beni.
[26] Nella pratica, il complesso dei musei, biblioteche e archivi dipendenti nella loro gestione dal ministero dell'Educazione e Cultura, anche se ridotti in numero, è costituito da quelli più importanti a scala nazionale. Fra i musei possiamo distinguere il Museo del Prado, il Museo nazionale Centro Reina Sofía, il Museo archeologico nazionale, il Museo nazionale di antropologia ed altri musei nazionali localizzati a Madrid; il Museo nazionale di Scultura a Valladolid; il Museo nazionale d'Arte romana a Mérida; la Casa e Museo di "El Greco" a Toledo; il Museo nazionale e Centro di ricerca di Altamira; il Museo nazionale di Archeologia marittima e Centro nazionale di Ricerche archeologiche sottomarine a Cartagena, fra gli altri. Fra le biblioteche e archivi spuntano la Biblioteca nazionale, l'Archivio storico nazionale o l'Archivio nazionale delle Indie. Per ottenere una lista completa e dati precisi su di essi può visitarsi il sito web del ministero: www.mec.es.
[27] Con le parole di C. Barrero Rodriguez, attraverso il riconoscimento di competenze di dichiarazione alle CC.AA. e l'interpretazione realizzata dell'art. 6 LPHE, il Tribunale costituzionale "vincola le competenze di dichiarazione dei beni d'interesse culturale (Bic) e quelle di esecuzione del loro regime giuridico di protezione, rompendo così in maniera decisa il principio generale sostenuto dalla legge; principio generale che prendeva le mosse, precisamente, da una dissociazione tra entrambe la facoltà, nel senso di conferire allo Stato la potestà di qualificazione dei beni storici e alle CC.AA. la esecuzione dei sistemi di tutela loro corrispondenti. Dopo l'accennata sentenza, di conseguenza, è competente per la dichiarazione di un bene chi lo fosse per l'applicazione del suo statuto normativo; cioè, le Comunità autonome con carattere generale" (C. Barrero Rodriguez, La organización administrativa...cit., p. 78).
[28] "Ecco qui, in ultima analisi, una importantissima competenza il cui esercizio, al giorno d'oggi, resta praticamente inattuato" (C. Barrero Rodriguez, La organización administrativa...cit., p. 83).
Fra le ragioni su cui poggia la realtà descritta da quest'autrice, ne troviamo alcune che non fanno che mettere in evidenza fino a quale punto sia arrivata a mettere radici una forte convinzione da parte delle regioni autonome sull'esclusività della loro competenza riguardo alla conservazione del patrimonio, convinzione che si trasforma a volte in un autentico accecamento quando le amministrazioni coinvolte presentano un segno politico opposto: nel corso delle nostre ricerche abbiamo avuto notizie riguardo al fatto che, ormai da un certo tempo a questa parte, alcuni programmi statali d'intervento di restauro alla fine dell'anno non riescono ad esaurire i fondi pubblici loro assegnati, visto che i governi di alcune CC.AA. non ammettono l'intromissione nel restauro di edifici d'interesse culturale, dichiarando che quello è un compito spettante unicamente a loro (seppure poi nella pratica non venga assunto). Questa "gelosia" sulle competenze, in occasioni come quella descritta, finisce per annullare del tutto il già scarso margine d'attuazione statale, vietandogli la possibilità d'intervento sussidiario (che dovrebbe poter esercitare d'ufficio, opzione che viene spesso rifiutata fondamentalmente in base a motivazioni politiche).
[29] In un certo senso, tutto ciò è una conseguenza logica della combinazione di due fattori: il riconoscimento alle CC.AA. con carattere generale della competenza esecutiva e l'apparente scarsa importanza conferita dalla CE al ruolo del criterio dell'effettiva titolarità del monumento nella distribuzione di competenze fra lo Stato e le CC.AA. Ciò non toglie che nella pratica totalità dei casi in cui si è operata detta cessione della gestione, allo Stato si sia riservato qualche via d'intervento, controllo o partecipazione nelle decisioni che l'amministrazione regionale deve prendere riguardo al monumento. Proprio in questo senso è frequente il ricorso alla figura del Patronato de gestión, all'interno del quale l'amministrazione statale spesso si riserva una quota di rappresentazione. Ciò non è ostacolo al fatto che l'effettivo margine di libertà degli organi competenti delle CC.AA. sia, in generale, notevolmente ampio. Occorre aggiungere a ciò il dato che, in non poche occasioni e nello scenario di quell'ampio rispetto concesso all'autonomia delle CC.AA. presente in quest'ambito, le vie d'intervento previste dall'amministrazione centrale restano inattuate.
[30] Soltanto 3 tra le 17 CC.AA. (La Rioja, Murcia e Navarra) restano ancora prive di una legge che costituisca un corpus unitario sulla disciplina dei beni culturali nel loro territorio. Le leggi regionali vigenti, disposte secondo l'ordine cronologico d'approvazione, sono le seguenti: Ley 4/1990, de 30 de mayo, del Patrimonio Histórico de Castilla-La Mancha; Ley 7/1990, de 3 de junio, del Patrimonio Cultural Vasco; Ley 1/1991, de 3 de julio, de Patrimonio Histórico Andaluz; Ley 9/1993, de 30 de septiembre, del Patrimonio Cultural Catalán; Ley 8/1995, de 30 de octubre, del Patrimonio Cultural de Galicia; Ley 11/1998, de 13 de octubre, de Patrimonio Cultural de Cantabria; Ley 10/1998, de 9 de julio, de Patrimonio Histórico de la Comunidad de Madrid; Ley 4/1998, de 11 de junio, del Patrimonio Cultural Valenciano; Ley 12/1998, de 21 de diciembre, de Patrimonio Histórico de las Illes Balears; Ley 3/1999, de 10 de marzo, del Patrimonio Cultural Aragonés; Ley 4/1999, de 15 de marzo, de Patrimonio Histórico de Canarias; Ley 2/1999, de 29 de marzo, del Patrimonio Histórico y Cultural de Extremadura; Ley 1/2001, de 6 de marzo, de Patrimonio Cultural del Principado de Asturias; e Ley 12/2002, de 11 de julio, de Patrimonio Cultural de Castilla y León.
[31] Ad esempio, nel caso concreto della Comunidad autónoma andaluza, all'interno della sua struttura di governo (la Junta de Andalucía), l'organo in questione riceve la denominazione di Consejería de Cultura y Medio Ambiente. All'interno dell'organigramma delle Consejerías competenti in materia di cultura troviamo spesso una strutturazione sulla base di Direzioni generali e ancora a un livello inferiore, Sezioni speciali, strato finale della distribuzione di funzioni. Ad ogni modo, le leggi regionali attribuiscono generalmente la competenza in blocco alla corrispondente Consejería, senza specificare concretamente l'organo interno che debba effettivamente svolgere l'esercizio burocratico che essa implica. Andando avanti con l'esempio andaluso, all'interno di detta Consejería si trova la Direzione generale dei beni culturali, alla quale vengono riconosciute le principali competenze in materia di tutela e conservazione (adozione di provvedimenti a garanzia dell'obbligo di conservazione, controllo della pianificazione urbanistica, adeguamento ai criteri di conservazione, promozione della ricerca, ecc.), che dispone, in questo senso, di sezioni specializzate e altri specifici organi tecnici dipendenti dalla struttura della Consejería: l'Instituto Andaluz del Patrimonio Histórico (IAPH) ed il Centro Andaluz de Arqueología Subacuática (Per consultare uno schema generale dell'organizzazione amministrativa regionale nel caso dell'Andalusia, può visitarsi il sito www.juntadeandalucia.es).
[32] "Il comune eserciterà, in tutti i casi e nei termini della legislazione dello Stato e delle Comunità autonome, competenze nelle seguenti materie: [...] e) patrimonio storico-artistico" (art. 25.2 LBRL).
[33] Proprio nella LPHE si attribuisce competenza ai comuni in settori così importanti come quello della pianificazione speciale dei "Conjuntos históricos" (art. 20 LPHE), la dichiarazione di rovina (art. 25 LPHE) o l'espropriazione di edifici vincolati che si trovino in pericolo o edifici che disturbino la contemplazione di altri dotati d'interesse storico-artistico (art. 37 LPHE).
[34] In effetti, insieme al compito costituito dalla realizzazione del catalogo municipale, si aggiunge la configurazione dei concreti livelli di protezione ivi compresi, includendosi nei piani urbanistici speciali di obbligato disegno per le zone urbane aventi un pregio storico-artistico d'insieme la previsione dei criteri d'intervento applicabili alla globalità di detto insieme e, in particolare, a ciascuno dei livelli di protezione previsti dal catalogo.
[35] Come rilevato da J.M. Alegre Ávila, Patrimonio histórico, cultura y Estado autonómico, Patrimonio cultural y derecho, n° 5, 2001, pp. 157-165 e C. Barrero Rodriguez, La organización administrativa., cit., pp. 75-99.
[36] L'assenza di una categoria tale trova origine proprio nel testo della CE, laddove si fa riferimento, in quanto criterio che determina la competenza regionale, alla presenza nel bene culturale d'un interesse specifico della CC.AA (art. 148.1, 15ª e 16ª CE). Niente si dice, invece, riguardo alla necessità d'un interesse nazionale in quanto criterio abilitante per l'intervento statale. La presenza di un tale criterio avrebbe reso possibile separare del resto una intera categoria di beni, caratterizzati da una particolare importanza e rilievo di scala nazionale, categoria che sarebbe stata sottoposta ad un regime di protezione unico ed omogeneo, anche se gestiti dalle CC.AA.
A nostro avviso questo rifiuto e i criteri che vi stanno alla base meritano un commento specifico e alcune puntualizzazioni. E' vero che dal punto di vista teorico è impossibile affermare la presenza di una distinzione dei beni in funzione del criterio dell'interesse senza che si riconosca nel suo operato l'arbitrarietà che gli è connaturata: vista l'impossibilità che tale distinzione sia oggettiva, riferibile a fattori apprezzabili a priori, come avverte un indirizzo dottrinale (tra i quali, L. Bobbio, Il decentramento della politica dei beni culturali, in Le istituzioni del federalismo, in Regione e governo locale, n° 2, 1997, p. 306; o A. Mansi, La tutela dei beni culturali e alcune ipotesi di alternativa alla loro gestione centralizzata in Italia, in Rivista giuridica dell'edilizia, fasc. 2, II, 1995, p. 42), questo criterio lascia nelle mani del funzionario di turno la decisione riguardo a quale sia il concreto interesse presente in un bene specifico. Tuttavia, si può sollevare una serie di obiezioni alla critica aperta a cui si sottomette questo criterio: 1. Da una parte, la posizione contestualista e anti-gerarchica classicamente sostenuta dagli storici con riguardo all'impossibilità di stabilire una simile distinzione fra i beni culturali è oggi sostenibile solo sul piano teorico, ma non sul piano materiale e amministrativo, data l'abbondanza di beni protetti per legge e date le conseguenze della forza espansiva del concetto di bene culturale; 2. Il criterio della distinzione dei beni a seconda del loro interesse non deve necessariamente operare da solo: l'arbitrio a cui può dare luogo la messa in pratica di tale criterio può essere ovviato attraverso la sua interazione con altri criteri che lo arricchiscano (criteri di rappresentatività, singolarità, autenticità, ecc.) e con principi di grande utilità nel compito di specificare in maniera ottimale l'effettiva distribuzione delle competenze, come può essere il caso del principio di sussidiarietà; 3. In fondo, i rischi che comporta questo criterio sono fondati sull'effettivo esercizio che se ne faccia, più che sul criterio in sé: davanti alla circostanza sollevata da una transizione verso un sistema decentrato, il successo del ricorso all'interesse del bene come parametro che determini la distribuzione delle competenze dipende in molto dall'effettiva volontà politica di attivare tale cambiamento.
La nostra insistenza su questo punto del criterio dell'interesse trae origine dal fatto che il grado d'importanza o interesse - in termini qualitativi, mai quantitativi - dei diversi beni culturali non è sempre lo stesso e, di conseguenza, l'intensità della loro tutela non può avere carattere identico. In questo senso il criterio della portata dell'interesse costituisce una via per attivare quella differenziazione riguardo al regime, differenziazione che può anche, per convenienza, riflettersi sull'organizzazione amministrativa e sull'assetto delle competenze.
[37] Ad esempio, la normativa sul patrimonio storico vigente nella Comunità autonoma di Castiglia-La Mancha si caratterizza per una marcata disposizione di complementarità verso la legge statale, dal momento che orienta severamente i suoi postulati verso ambiti specifici e propri dell'interesse regionale, e cercando di non creare più categorie oltre a quelle stabilite dalla LPHE. Infatti, nell'esposizione di motivi della legge 4/1990, del 30 maggio, del Patrimonio histórico de Castilla-La Mancha, si afferma che la legge statale "contiene formule sufficienti per garantire l'adempimento del mandato dell'art. 46 della Costituzione. Soltanto si fa necessario regolare contenuti e valori propri del patrimonio culturale di Castilla-La Mancha, e provvedere soprattutto alla regolazione dei centri di deposito dei beni culturali d'interesse della regione". Perciò i contenuti della legge regionale si limiteranno a sviluppare "misure di protezione e stimolo che acquistano speciale rilievo nell'organizzazione dei centri culturali quali i musei ed archivi che accolgono i beni per il loro studio e per il godimento di tutti i cittadini".
Occorre segnalare, però, che il caso di Castiglia-La Mancha non costituisce la regola generale (anche se i suoi principi sembrano essere i più congruenti col dettato degli articoli 148 e 149 CE).
[38] Ad esempio i dati riportati da T.R. Fernandez sulla progressiva crescita del numero delle dichiarazioni di vincolo avvenuta in Spagna negli ultimi anni (T.R. Fernandez Rodriguez, La ordenación urbanística de los conjuntos históricos: Breve denuncia de los excesos al uso, in Estudios de derecho ambiental y urbanístico (Revista urbanismo y edificación, Monografías, n. 2), Aranzadi, Elcano, 2001, pp. 247 ss).
[39] Questo fattore ha avuto un riflesso speciale in alcuni settori specifici come le misure di stimolo nella conservazione dei beni culturali o il perfezionamento e arricchimento dei criteri di restauro e conservazione incorporati nelle leggi delle autonomie.
[40] Ad esempio M. Cammelli, Il decentramento difficile, Aedon, n. 1/1998, e G. Sciullo, Beni culturali e principi della delega, Aedon, n. 1/1998.