Sommario: 1. Premessa. - 2. Il connubio tra beni culturali e turismo. La sostenibilità. - 3. I beni culturali da mero oggetto di tutela a "risorsa". - 4. La "Borsa dei beni culturali e del turismo sostenibile".
L'attenzione nei confronti della tematica dei beni culturali ha assunto a partire dagli anni '80 una dimensione progressivamente crescente e, parallelamente a ciò, anche l'intervento pubblico nel settore della cultura nel suo ruolo di azione di politica culturale funzionale ad "assicurare il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica e sociale del Paese" [1].
Ora, però, la riconducibilità dei beni culturali alla categoria economica dei beni pubblici puri alla quale sono sottese numerose esternalità, non solo positive, ma anche negative, ha fatto sì che il peso finanziario dell'intervento pubblico, necessario per la loro fruizione, fosse troppo elevato, dunque, inefficiente da un punto di vista economico [2].
Ciò ha comportato l'esigenza di individuare vie alternative, o parallele, che, tenuto conto del fattore economico connaturato alla tutela, alla gestione e alla valorizzazione del patrimonio culturale, consentano di arginare le esternalità negative, come, ad esempio, avviene con l'erogazione di incentivi finanziari volti a coinvolgere gli investitori privati e realizzare forme di interazione tra pubblico e privato proprio in quei settori considerati poco appetibili poiché antieconomici.
Così, di recente, in linea con l'interpretazione che configura l'impegno nel settore dei beni culturali espressione di un processo dinamico e non più meramente conservativo, dunque statico, il ruolo pubblico è stato affiancato, in misura sempre maggiore, da una significativa presenza del privato volta ad assicurare una concreta valorizzazione del patrimonio culturale, fortemente favorita da una politica gestionale basata, tra l'altro, appunto su incentivi finanziari [3] e importanti agevolazioni fiscali [4].
Pur non prescindendo dal fatto che i beni culturali si caratterizzano per essere non riproducibili e ad offerta rigida, si è superata l'idea del bene culturale inteso meramente quale costo sociale, a favore di una concezione dello stesso quale veicolo, diretto o indiretto di risorse economiche, nell'ottica di quella concezione "economica produttiva e quindi imprenditoriale dei beni culturali, non più considerati patrimonio pubblico improduttivo" [5].
In questo percorso si inserisce la "Borsa dei beni culturali e del turismo sostenibile", concepita come concreta occasione d'incontro tra la cultura e l'economia in funzione dell'esigenza di conciliare lo sviluppo economico con la limitatezza delle risorse naturali che costituiscono una risorsa esauribile, al fine di precluderne uno sfruttamento irrazionale che, in quanto tale, comporterebbe un inesorabile arresto dello sviluppo.
2. Il connubio tra beni culturali e turismo. La sostenibilità
L'attenzione alle logiche della sostenibilità nella gestione di una risorsa trova il suo presupposto nella riflessione che essa sarà tale solo se, una volta conosciuta la sua capacità di riproduzione, non si eccede nel suo sfruttamento oltre una determinata soglia [6].
Questo principio, applicato al turismo non più fenomeno d'elite, ma, oggi, fenomeno di massa, consente di riscontrare come spesso la pressione esercitata sui luoghi visitati è tale da comprometterne la sopravvivenza o la conservazione con ripercussioni significative anche per la conservazione dei beni culturali. Infatti l'ambivalenza del fenomeno turistico fa sì che esso, ad oggi definito la prima industria del mondo [7], se, da un lato, può contribuire al conseguimento di obiettivi socio-economici e culturali, dall'altro può essere causa del degrado ambientale.
Da ciò l'esigenza di applicare il principio della sostenibilità alle attività turistiche, considerate tali dalla World commission environmental development nel Rapporto Brundtland del 1987, quando "si sviluppano in modo tale da mantenersi vitali in un'area turistica per un tempo illimitato, non alterano l'ambiente naturale, sociale e artistico e non ostacolano, o inibiscono, lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche".
Il nesso tra la tutela del patrimonio culturale e le attività turistiche è evidente: il primo, infatti, rappresenta una delle principali risorse oggetto del secondo; da qui l'attivazione dell'impegno ambientale in questo settore, anche a livello internazionale (si pensi, ad esempio, alla conferenza di Lanzarote del 1995, con la carta del turismo sostenibile [8]; ai documenti di Manila e di Calvià del 1996, al programma di azione Agenda XXI, predisposto dalla commissione sviluppo sostenibile delle Nazioni unite durante la conferenza di Rio de Janeiro nel 1992, nonché alla conferenza internazionale per il turismo sostenibile tenutasi in Italia nel 2001 o, ancora, alla campagna a favore delle città europee sostenibili varata durante la conferenza di Aalborg nel 1994 seguita, poi, da quelle di Lisbona e Hannover. Tutte in funzione dell'individuazione di strategie ottimali per la pianificazione e la gestione sostenibile delle città europee e, quindi, dello sviluppo turistico, quale potenziale fattore di incidenza negativa sull'ecosistema locale e sul patrimonio culturale).
La consapevolezza del fatto che il flusso turistico debba essere pianificato in funzione della salvaguardia del patrimonio culturale e delle risorse naturali per le generazioni future ha determinato, dunque, un impegno attivo della Commissione europea e dei singoli Stati membri che, al loro interno, hanno attivato politiche e azioni mirate in questo senso. Tra esse, ad esempio, va ricordata la promozione del turismo culturale o turismo delle città d'arte, concepito sulla base di un'analisi scientifica svolta dalla Commissione europea che, nella relazione elaborata da un gruppo di esperti sull'ambiente urbano, ha schematizzato le tre fasce principali di impatto indotte dal turismo sul patrimonio culturale urbano e ha predisposto un progetto funzionale alla sostenibilità: ossia alla salvaguardia del patrimonio attraverso politiche di uso diversificato delle differenti fasce d'impatto considerate.
E' opportuno, allora, soffermarsi brevemente a riflettere sulla nozione di beni culturali al fine di cogliere in modo concreto le ragioni del riferimento al turismo sostenibile quale strumento indiretto per la loro tutela.
Come è stato detto, infatti, il bene culturale "è un referente dotato di valore semantico complesso e problematico" [9] la cui difficoltà di definizione ha avuto inevitabili conseguenze sulla sua disciplina. Infatti, se ripercorriamo schematicamente il percorso seguito negli anni dal legislatore, notiamo come mentre nel 1939, ancorandosi al criterio della materialità [10], si era attenuto al metodo dell'elencazione, nel 1966 la Commissione Franceschini, pur legata a tale presupposto fondamentale, elaborava una definizione unitaria e aperta del bene culturale poi ripresa, nel 1998, dall'art. 148 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 che, peraltro, si discostava dall'imprescindibilita' del requisito della materialità.
Solo con il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, emanato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, si riutilizza il metodo dell'elencazione dei beni culturali slegandola dalla materialità, e si rinvia a futuri, eventuali, testi legislativi che ne individuino nuove categorie [11].
Quest'incertezza nell'adozione di un criterio definitorio palesa la difficoltà nel delineare i contorni netti del bene culturale senza che da ciò possa discendere, in qualche modo, una compressione nell'evoluzione della categoria.
Da un lato, infatti, pur avvertendosi l'esigenza di una definizione unitaria, non meramente elencativa, fortemente ancorata all'idea di cultura espressa dall'art. 9 della Cost. [12], si temeva che ciò potesse comportare una generalizzazione del concetto di bene culturale che prescinda totalmente da una graduazione dell'interesse pubblico sotteso alla fruizione dello stesso bene [13]. Dall'altro, invece, si avvertiva il timore che, al contrario, un criterio incentrato sull'individuazione puntuale delle categorie di beni potesse portare alla creazione di un numerus clausus che svilisse la stessa funzione del bene culturale: cioè il perseguimento dell'interesse pubblico alla conservazione e alla valorizzazione di un patrimonio che, in quanto testimonianza avente valore di civiltà [14], costituisce espressione visiva di una realtà che, seppur modificata, rappresenta le origini di quella attuale [15].
E' proprio questa lettura del bene culturale come categoria "aperta" [16] a valorizzare principalmente la funzione sociale che esso svolge di elevazione culturale per la collettività e, quindi, spostare l'attenzione dalle esigenze di mera conservazione passiva dello stesso ad una concezione dinamica della tutela che mira a proteggere il patrimonio culturale [17].
La consapevolezza e la valorizzazione di questa funzione, peraltro innata e non nuova, slegata in qualche misura dalla materialità, sono il perno intorno al quale ruota il collegamento tra bene culturale e turismo.
Infatti, il cosiddetto turismo culturale muove dall'esigenza di individuare nuovi itinerari che se, da un lato, consentiranno di valorizzare luoghi, beni e attività tipiche di un determinato contesto territoriale e culturale [18], allo stesso tempo comporteranno una programmazione dell'offerta turistica che, appunto, nel rispetto delle logiche della sostenibilità, volgerà a conciliare l'aspetto economico con quello più prettamente culturale [19].
Il che equivale ad orientare il bene culturale verso il mercato, ma secondo logiche compatibili con la conservazione programmata del patrimonio e, dunque, sostenibili; in applicazione del principio secondo cui la salvaguardia del patrimonio costituisce la premessa irrinunciabile per la sua valorizzazione [20].
3. I beni culturali da mero oggetto di tutela a "risorsa"
Si arriva, così, intorno agli anni '90 [21], a rivalutare il bene culturale come risorsa economica da valorizzare compatibilmente con la sua funzione sociale di bene pubblico destinato alla fruizione collettiva e non più come mero oggetto di tutela conservativa.
In sintonia con il processo di modernizzazione che investe complessivamente l'amministrazione, emerge, dunque, da un lato l'esigenza di conseguire, anche a livello organizzativo, la smaterializzazione del bene culturale, ora inteso anche come "attività" dal valore culturale; dall'altro l'esigenza di riorganizzare l'intera disciplina dei beni culturali al fine di conseguire l'efficienza, l'efficacia e l'economicità dell'amministrazione anche in quel settore, ed enfatizzare il carattere di redditività potenziale degli interventi ad esso connessi.
A tal fine, si è ritenuto di scindere la funzione di tutela e conservazione da quella più propriamente gestionale (gestione, valorizzazione, promozione) [22].
Si è pensato, così, di favorire il superamento della presunzione dell'impossibilita' di una gestione economicamente efficiente da parte dell'amministrazione nel settore dei servizi culturali, in quanto beni che in termini di utilità sociale devono essere garantiti alla collettività attraverso il bilancio pubblico anche a prescindere dall'effettività della domanda e, in conseguenza di ciò, economicamente improduttivi.
In questo quadro emerge il valore aggiunto che il patrimonio culturale potrà avere nel momento in cui il soggetto pubblico, non potendo gestire, sempre, direttamente e in modo efficiente tutti i beni culturali, valorizzerà la loro funzione di stimolo agli investimenti privati e ne affiderà la gestione ad un soggetto esterno limitandosi a conservare la titolarità del bene ed esercitando le funzioni di programmazione, indirizzo e controllo [23].
Dalla cooperazione tra pubblico e privato, infatti (in linea con quanto affermato nelle teorie economiche formulate da Putnam, Temple e Johnson [24] in virtù delle quali un ambiente cooperativo accresce l' efficienza produttiva e stimola l'iniziativa imprenditoriale), potrà derivare un incremento dell'efficienza, nonché una condizione favorevole allo sviluppo imprenditoriale che esalterà la capacità del'imprenditore di individuare nuove combinazioni e nuovi mercati.
Da ciò non potranno che derivare effetti positivi in funzione dell'attuazione del principio di buona amministrazione dei beni culturali e, dunque, sia sulla realizzazione della funzione sociale cui gli stessi beni sono sottesi, sia, parallelamente, sulla loro trasformazione da beni improduttivi a beni economici produttivi.
A fronte di ciò, non è possibile prescindere dalla considerazione che il coinvolgimento dei privati in questo settore è sempre stato valutato con occhio critico per il timore che l'intento speculativo finisse per prevalere sulle finalità pubbliche.
Inevitabilmente ciò ha fatto sì che quando, grazie alla crescente domanda di valorizzazione e di fruizione dei beni culturali cui lo Stato non era in grado di offrire un'adeguata risposta, si è aperto uno spiraglio per l'intervento dei privati, le resistenze non si sono fatte attendere.
Lo spazio loro riservato è stato, così, marginale. Inizialmente ridotto alla mera gestione dei servizi aggiuntivi che, se è vero che in qualche modo favoriscono la fruizione del bene, di fatto, pero', non possono essere considerati valorizzazione tout court. Il vero problema è nato proprio dall'incertezza del significato che si è inteso attribuire alla valorizzazione e alla gestione: dove inizia l'una e dove finisce l'altra?
Nonostante l'art. 148 del d.lg. 112/1998 le abbia definite puntualmente, infatti, la loro linea di confine è piuttosto incerta, anche perché sul piano attuativo diventa difficile, se non impossibile, discernerle. Tanto è vero che il Consiglio di Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, con parere definitivo del 26 agosto 2002, n. sez. 1794/2002, ha condiviso le affermazioni del ministero secondo cui "l'attività di gestione dei beni culturali viene a caratterizzarsi come un insieme di compiti in cui la tutela e la valorizzazione tendono a completarsi vicendevolmente" e le "funzioni di tutela sono arricchite da quelle di valorizzazione ed entrambe sono supportate dall'attività di gestione" che, in quanto "attività strumentale, finalisticamente neutra si connota per essere in un rapporto di propedeuticità sia con la tutela che con la valorizzazione".
Ciò ha determinato, quantomeno in un primo momento, una posizione di secondo piano per il privato che è stato confinato al ruolo di gestore dei servizi di assistenza culturale e di ospitalità (previsti dagli artt. 112 e 113 del T.U.) oppure di finanziatore delle iniziative o dei beni culturali spesso per ragioni legate puramente alla deducibilità dal reddito di tutte le erogazioni a favore delle istituzioni culturali.
Oggi, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale [25], la tendenza volge sempre più verso una concreta collaborazione pubblico-privato dove il primo, responsabile sotto il profilo politico-amministrativo, è garante dell'interesse pubblico e il secondo, responsabile sotto il profilo gestionale-produttivo, apporta il contributo imprenditoriale oltre che finanziario [26].
Il Consiglio di Stato ha condiviso queste nuove logiche interpretandole come attuazione di quel principio economico secondo il quale "appare meno necessario impiegare risorse pubbliche là dove operano, o sono in grado di operare i privati, mediante il ricorso a forme di autofinanziamento e/o incremento delle risorse che provengono dall'apporto dei singoli [27]".
4. La "Borsa dei beni culturali e del turismo sostenibile"
In questo contesto di "collaborazione necessaria", a suo tempo delineato dal legislatore delegato con il d.lg. 112/1998, si colloca la "Borsa dei beni culturali e del turismo sostenibile".
L'iniziativa nasce, in realtà, dall'esigenza del coinvolgimento dei privati nel settore dei beni culturali, al fine di incentivare sia la loro conservazione, che la loro valorizzazione e, più in generale, dal favor crescente che il legislatore ha mostrato verso il settore introducendo gradualmente sistemi di finanziamento privati per la protezione del patrimonio culturale.
Tale coinvolgimento è stato avviato, lentamente, a partire dal 1961, con la legge 21 dicembre 1961, n. 1552, che prevedeva la facoltà dello Stato di intervenire finanziariamente alle spese sostenute dai proprietari del bene culturale per l'esecuzione degli interventi di restauro per un importo non superiore alla metà delle stesse [28]. Successivamente, nel 1982, con la legge 2 agosto 1982, n. 512 (legge Scotti) venivano introdotte agevolazioni fiscali per i proprietari che avevano provveduto al restauro dei beni di loro appartenenza; queste ultime, però, gradualmente sono state mitigate dall'evoluzione della normativa successiva.
In particolare, poi, il Tuir approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 ha disciplinato le modalità per la detraibilità e la deducibilità delle spese sia per le persone fisiche [29], che per le persone giuridiche [30]. Ad esso si sono aggiunte altre disposizioni a favore dei titolari dei beni, la cui ratio, è sempre quella di favorire la conservazione di un patrimonio che, in quanto tale, riveste un interesse sociale che ne giustifica il sostegno. Mi riferisco, ad esempio, all'art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 per quanto riguarda la determinazione dei redditi da fabbricati; all'art. 2, comma 5, del decreto legge 23 gennaio 1993 n. 16, convertito con legge 24 marzo 1993, n. 75 in materia di Ici; all'art. 1 del d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 che introduceva tariffe agevolate in materia di Registro, nonché all'art. 5 della legge 18 ottobre 2001, n. 383 (Tremonti-bis) che prevedeva la cumulabilità tra le differenti agevolazioni contemplate dalla normativa fiscale.
Inoltre il legislatore, parallelamente alle disposizioni a favore dei titolari dei beni di interesse culturale, introduceva anche agevolazioni fiscali rivolte a favore delle erogazioni liberali. In particolare l'art. 13-bis, lett. h) del Tuir introduceva detrazioni e deduzioni per le persone fisiche e l'art. 65, lett. c), quater, quinquies, sexies e nonies per le persone giuridiche.
Quest'ultimo, inserito dall'art. 38, comma 1 della legge 21 novembre 2000, n. 342, prevede la totale defiscalizzazione delle erogazioni liberali [31] in denaro a favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni e di associazioni legalmente riconosciute per lo svolgimento dei loro compiti istituzionali e per la realizzazione di programmi culturali nei settori dei beni culturali e dello spettacolo [32].
Nonostante il quadro delle disposizioni incentivanti sia abbastanza cospicuo, di fatto, però, le agevolazioni sono ancora sottoutilizzate.
In particolare l'erogazione di contributi in conto capitale, o in conto interessi, prevista dal T.U. a favore dei privati ha avuto per gli anni 2000-2002 un'applicazione molto modesta su tutto il territorio nazionale, e, in particolare, nel meridione e nelle isole.
Per quanto riguarda le erogazioni liberali per i progetti culturali, previste dall'art. 38 della l. 342/2000, ad oggi non è ancora possibile rilevare compiutamente i dati sulla sua applicazione, ma, è opportuno soffermarsi sulle iniziative introdotte al fine di massimizzarne l'applicazione.
Al fine di arginare gli effetti che in passato avevano determinato una ridotta applicazione delle agevolazioni è stata avviata, infatti, una campagna di comunicazione e sensibilizzazione che consenta di trasmettere a tutti i soggetti, potenzialmente interessati, le informazioni necessarie in funzione della convergenza tra il mondo della cultura e quello dell'economia e trasmettere, così, ai privati la consapevolezza del vantaggio etico, e non solo, che la conservazione del patrimonio può produrre.
Tra queste iniziative s' inserisce, appunto, la "Borsa dei beni culturali e del turismo sostenibile" [33]. L'iniziativa si articolerà in due percorsi paralleli.
Uno, itinerante, a carattere seminariale, si terrà con cadenza biennale in sedi che "si siano distinte per la qualità di interventi di salvaguardia delle proprie ricchezze territoriali" e siti ritenuti significativi per la loro valenza sotto il profilo culturale. Sarà affiancato da importanti iniziative culturali, parallele, di richiamo che favoriscano il dibattito su tutte le tematiche inerenti il settore. L'altro, è preordinato al fine di creare un'occasione costante d'incontro tra i titolari dei beni da conservare e valorizzare, da un lato, e gli investitori, dall'altro; in modo tale da realizzare una valorizzazione condivisa del patrimonio storico, artistico, ambientale.
Il vero problema nasce dal fatto che in questa fase iniziale di operatività non sono ancora definiti gli standard, né le azioni convertibili; dunque è necessario "inventare" un mercato nel quale ogni investitore possa trovare il suo settore di intervento, la sua porzione di mercato.
Il percorso attraverso il quale conseguire questo risultato passa attraverso l'organizzazione di una vera e propria "Borsa" in rete, nella quale gli operatori (i proprietari, pubblici o privati, dei beni, da una parte e i soggetti in grado di investire economicamente nella cultura, dall'altra) possano conoscere quali sono i beni offerti e quali sono le risorse finanziarie necessarie. In funzione di ciò è stato istituito un sito web nel quale è stata esposta la mappa dei beni da conservare e valorizzare, con annessa l'indicazione degli interventi a tal fine necessari.
La rete è diventata, così, la sede virtuale della "Borsa" dove il patrimonio da recuperare è, in qualche misura, monitorato; esposto costantemente agli imprenditori che potranno in questo modo conoscere i beni presenti sul mercato e valutare le possibilità di uno scambio.
L'interazione tra gli operatori attraverso il sito è finalizzata a superare l'occasionalità del contatto a favore di un rapporto continuativo tra le parti che favorisca la concertazione necessaria per conseguire quella gestione partecipata e sinergica dei beni culturali alla quale sembra essere orientata la normativa più recente. Normativa che volge a favorire l'interscambio tra cultura ed economia senza che la visione dinamica dei beni culturali e l'idea di efficienza nella loro gestione possano in alcun modo compromettere il loro valore culturale e la loro funzione sociale.
[1] M. Ainis, Cultura e politica, Padova, 1991, 117, ma fin da 109.
[2] P. Samuelson - W.D. Nordhaus, Economia, Bologna 1993, 342 ss.
[3] In proposito esprimeva alcune perplessità F. Merusi, Significato e portata dell'art. 9 della Costituzione, in Scritti in onore di Costantino Mortati, Milano, 1977, III, 793 ss. preoccupato all'idea che le incentivazioni finanziarie potessero divenire in qualche misura strumento di discriminazione culturale.
[4] Si pensi, ad esempio, alla l. 512/1982 che prevedeva un regime fiscale agevolato per i redditi catastali degli immobili di valenza storico-artistica, o al d.lg. 504/1992 che escludeva i redditi immobiliari dall'ambito di applicazione dell'Ilor, alla l. 352/1997 che prevedeva, tra l'altro, nei confronti dei privati che aderivano a progetti di recupero del sito archeologico di Pompei, incentivi sotto forma di credito d'imposta del 30% della somma conferita e, infine, alla recente l. 342/2000 che all'art. 38 prevede la deducibilità dall'Irpeg delle cifre che le imprese destinano alle erogazioni liberali, nonché al d.m. 3 ottobre 2002.
[5] Art. 2 dello schema di d.m. recante disposizioni concernenti la costituzione e la partecipazione a società da parte del ministero per i Beni e le Attività culturali a norma dell'art. 10 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368.
[6] A. Lanza., Lo sviluppo sostenibile, Bologna, 11.
[7] Così R. Monti, Il turismo? La prima industria del mondo, atti del Convegno di presentazione della "Borsa dei beni culturali e del turismo sostenibile".
[8] La Carta elaborata dai partecipanti alla Conferenza mondiale sul turismo sostenibile a Lanzarote (Spagna) il 27-28 aprile 1995 prevede al punto 2 che "la sostenibilità del turismo richiede per definizione che esso integri l'ambiente naturale, culturale e umano; che rispetti il fragile equilibrio che caratterizza molte località turistiche, in particolare le piccole isole e aree ambientali a rischio. Il turismo dovrebbe assicurare un'evoluzione accettabile per quanto riguarda l'influenza delle attività sulle risorse naturali, sulla biodiversità e sulla capacità di assorbimento dell'impatto e dei residui prodotti". Al punto 3 che "Il turismo deve valutare i propri effetti sul patrimonio culturale e sugli elementi, le attività e le dinamiche tradizionali di ogni comunità locale. Il riconoscimento degli elementi e delle attività tradizionali di ogni comunità locale, il rispetto e il sostegno alla loro identità, cultura e ai loro interessi devono sempre avere un ruolo centrale nella formulazione delle strategie turistiche, particolarmente nei paesi in via di sviluppo". Al punto 11 "Gli spazi ambientalmente e culturalmente vulnerabili ora e in futuro, dovranno avere una priorità particolare nella cooperazione tecnica e negli aiuti finanziari per uno sviluppo del turismo sostenibile".
[9] Cfr. T. Alibrandi - P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano 2001, 17.
[10] Requisito non condiviso unanimemente dalla dottrina, si pensi a M.S Giannini, Beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl. 1976, 5, nota 2, che definisce il bene culturale in quanto tale "immateriale e pubblico"; nonché M Ainis, Cultura e politica. Il modello costituzionale, Padova 1991, 87 che ritiene riduttivo porre l'accento sulla materialità del bene culturale giacché impedirebbe di qualificare tali alcune espressioni culturali prive di supporto fisico.
[11] E' importante sottolineare che successivamente a M.S. Giannini la dottrina ha ripetutamente evidenziato l'inesistenza di un nesso tra il valore culturale di un bene e il suo pregio artistico o commerciale, in tal senso G. Pastori, La legge sulla tutela dei beni culturali, in Le regioni, 1981, 326.
[12] E. Spagna Musso, Lo Stato di cultura nella Costituzione italiana, Napoli, 1961, 55 e Huber, Zum Problematik Des Kulturstaats, Tubingen, 1958, 24 ss.
[13] Si pensi, ad esempio, alla posizione di B. Cavallo, La nozione di bene culturale tra mito e realtà: rilettura critica della prima dichiarazione della Commissione Franceschini, in Scritti in onore di M.S. Giannini, vol. II, Milano, 1988, 111 ss. che, sulla base dell'eterogeneità intrinseca ai beni culturali si esprime nel senso della doverosità di una disciplina diversificata in relazione alla diversa rilevanza che i singoli beni rivestono e agli effetti che da essa derivano.
[14] In particolare l'espressione, di recente ripresa da M.P. Chiti, La nuova nozione di beni culturali nel d.lg. 112/1998: prime note esegetiche, in Aedon, 1/1998, è riconducibile a M.S. Giannini, I beni culturali cit., 9, che identificò i beni culturali con le "testimonianze materiali di civiltà". Il nostro ordinamento ha fatto uso della locuzione beni culturali, tutto sommato, in tempi abbastanza recenti mutuandola dalla normativa internazionale dopo la ratifica della convenzione culturale europea di Parigi e della convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, entrambe del 1954. Di fatto la sua presenza in un documento ufficiale italiano è collocabile sotto il profilo temporale orientativamente intorno agli anni 60, successivamente ai lavori svolti dalla Commissione di indagine "Franceschini", costituita con legge 26 aprile 1964, n. 310 per conoscere della "tutela e della valorizzazione delle cose d'interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio", i cui lavori si conclusero nel 1966 con la presentazione di 84 dichiarazioni nelle quali si evidenziava l'assenza di una coscienza ambientale e culturale dei cittadini e la contemporanea sfiducia nei confronti delle istituzioni, presupposto indispensabile per la realizzazione di una collaborazione pubblico-privato ineludibile in questo settore.
[15] A. Mansi, La tutela dei beni culturali, Padova 1998, 25.
[16] A. Papa, Commento all'art. 4 del D.lg. 29 ottobre 1999, n. 490, in Papa, Bignami, Cepelli, Fidani, Linzola, Poniz, Ruggeri, Testo unico dei beni culturali, Milano, 2000, 25.
[17] Sulla difficoltà di definire il bene culturale si è espresso anche il vice Presidente della Banca Europea degli investimenti, M. Ponzellini che, in occasione della presentazione della "Borsa dei beni culturali e dello sviluppo sostenibile", esasperando il concetto, ha affermato che se da un lato è innegabile l'esistenza di un mercato dei beni culturali, altrettanto non può dirsi per l'oggetto di questo mercato,("quelli che non ci sono, sono i beni culturali") data l'inesistenza di una definizione puntuale degli stessi.
[18] Si pensi, ad esempio, alla programmazione legata al turismo per il Giubileo 2000, o agli itinerari storico-artistici o storico- letterari. Sul punto, diffusamente, S. Amorosino, Gli itinerari turistico-culturali nell'esperienza amministrativa italiana, in Aedon 3/2000.
[19] Sul rapporto tra economia e cultura, M. Trimarchi, Sul futuro dell'economia della cultura, in Economia della cultura, 1/1997.
[20] Quale esempio di progettazione territoriale efficace si pensi all'esperienza Campania Artecard che ha promosso l'accesso alla cultura da parte dei turisti secondo logiche di impresa nella gestione delle attività culturali integrandole perfettamente con il rispetto del territorio.
[21] In realtà l'aspetto economico dei beni culturali inizia ad acquisire una certa valenza fin dagli anni '80: si parla addirittura del decennio delle erogazioni finanziarie. Di fatto si tratta principalmente di spese straordinarie alle quali, in un'analisi costi benefici, si può collegare un risultato complessivamente deludente come nel caso degli interventi finanziati a carico del Fondo investimenti occupazione (l. 130/1983), dei Giacimenti culturali, previsti dall'art. 15 della l. 41/1986, o delle agevolazioni fiscali di cui alla l. 512/1982.
[22] E' doveroso sottolineare in questa sede che nel marzo 1998 la Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome, lAnci, Upi e l'Uncem a proposito dello schema del d.lg. 112/1998 lamentarono il fatto che la sua impostazione era contraria alle logiche del decentramento poiché lo Stato non aveva solo funzioni di tutela, ma anche di valorizzazione, gestione e promozione a discapito degli enti locali il cui ruolo veniva ulteriormente compresso anche dalla Consulta per i beni e le attività culturali i cui compiti di vigilanza e programmazione finivano per incidere "sulle funzioni già proprie delle regioni e sull'organizzazione, costituzionalmente protetta, della regione stessa". Si legga G. Pitruzzella, Commento all'art. 148 del d.lg. 112/1998 in G. Falcon (a cura di), Lo stato autonomista, Bologna, 1998.
[23] E' interessante sottolineare in proposito che il Consiglio di Stato nel parere reso il 26 agosto 2002, sez. 1794/2002, ha osservato come la quantificazione della misura dell'intervento pubblico dovrà essere improntata a criteri di ragionevolezza e proporzionalità, nel senso che dovrà essere il frutto di una comparazione tra i benefici che potranno derivare dall'attività di vigilanza e controllo ed i possibili costi economico- sociali che potranno essere prodotti "dal ritardo o dal rallentamento che tali funzioni di vigilanza possono provocare sulle attività operative degli organismi privati vigilati".
[24] R.D. Putnam, Making Democracy Work.Civic Traditions in Modern Italy, Princeton, 1993; J. Temple - P.A. Johnson, Social Capability and economic growth, The Quarterly Journal of Economics, vol. 113, n. 3, 1998.
[25] Il Consiglio di Stato, con parere n. 1354/2002, reso dall'adunanza plenaria il 1 luglio 2002, ha definito tale principio "criterio propulsivo in coerenza al quale deve da ora svilupparsi, nell'ambito della società civile, il rapporto tra pubblico e privato anche nella realizzazione delle finalità di carattere collettivo".
[26] Questa nuova logica di gestione orientata verso la privatizzazione del settore ha suscitato non poche perplessità in capo agli addetti ai lavori. Tra gli altri si ricorda, ad esempio, la rigida posizione assunta dall'International Council of Museums che, sul presupposto dell'inconciliabilità tra funzione sociale e perseguimento del profitto, ha dichiarato in proposito che l'affidamento della gestione dei musei a soggetti privati potrebbe addirittura indurre l'esclusione del sistema museale italiano dal circuito internazionale in forza del fatto che, secondo la definizione fatta propria dall'Incom, il museo "è un'istituzione permanente, aperta al pubblico, senza fini di lucro al servizio della società e del suo sviluppo". Cfr. Ansa del 19 ottobre 2001.
[27] Cfr. il parere reso dal Consiglio di Stato il 26 agosto 2002, sez. 1794/2002 sullo schema di d.m. recante disposizioni concernenti la costituzione e la partecipazione a società da parte del ministero per i Beni e le Attività culturali a norma dell'art. 10 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 e successive modificazioni.
[28] L'art. 3, comma 2 della l. 1552/1961 è stato ripreso dagli artt. 41, 42, 43 del T.U. dei beni culturali approvato con d.lg. 490/1999.
[29] Art. 13-bis, lett. g) (circ. ministero delle Finanze 13 giugno 1979, n. 37 e circ. n. 137/E, 15 maggio 1997).
[30] Art. 65, lett. c-ter.
[31] La c.m. del 31 dicembre 2001, n. 107/E ha chiarito i dubbi sulla totalità della deduzione, precisandone l'ammissibilità.
[32] L'individuazione dei soggetti che, ai sensi dell'art. 65, lett. c)-nonies, possono beneficiare di tali erogazioni liberali, viene fatta periodicamente con decreto del ministro per i Beni e le Attività culturali. Ad oggi, il d.m. di riferimento risale al 3 ottobre 2002.
[33] La presentazione della prima edizione della borsa, che si è tenuta il 26-27 ottobre a Cagliari, è stata fatta dal ministro Urbani il 2 ottobre 2002.