Sommario: 1. Premessa. - 2. Il concetto di trasformazione in generale. - 3. La trasformazione degli enti culturali in fondazioni: osservazioni e critiche.
Il titolo del mio intervento La trasformazione degli enti in fondazioni teatrali, attribuisce al relatore un compito assai complesso. Per questo sono grato a chi ha inteso impegnarmi in questa riflessione anche se non posso celare il timore di deludere l'uditorio. Il compito è complesso perché il ruolo del giurista positivo è di studiare le norme alla luce del sistema giuridico e di proporre per esse una soluzione interpretativa ai fini applicativi. Ma in questa materia, da un lato le fonti sono sparse ed eterogenee, dall'altro la tentazione è di esprimere delle considerazioni de iure condendo anziché de iure condito. E' mia intenzione, invece, di astenermi dall'esprimere considerazioni di carattere non giuridico anche perché, se una qualche utilità dovessero avere le mie riflessioni, sarebbero forse solo quelle che derivano dagli studi che ho compiuto e non quelle di semplice cittadino fruitore degli spettacoli dal vivo che vengono allestiti nel nostro paese.
Ma le riflessioni che vorrei svolgere, perché il tema è sicuramente molto importante, riguardano sostanzialmente un interrogativo: è opportuno parlare di aspetti o profili civilistici della trasformazione degli enti in fondazioni teatrali? La mia sensazione, infatti, anticipando le conclusioni del mio intervento, è che l'adozione della fondazione, secondo il classico modello ottocentesco che risiede ancora nel nostro codice civile, sia un'adozione più dichiarata che realizzata. Nel senso che il legislatore si sta orientando verso una tipizzazione di un fondazione culturale, specialmente nel settore dello spettacolo, che assume una dimensione autonoma. Ritengo infatti che si vada verso un tipo autonomo, una fondazione pubblica, che persegue interessi pubblicistici ed in merito alla quale in realtà il diritto privato ha, se vogliamo, un ruolo residuale, nel senso che là dove non è previsto specificatamente dalle norme in materia allora si deve far riferimento al codice civile.
2. Il concetto di trasformazione in generale
Ma scendendo subito al merito della questione, il primo aspetto sul quale ci dobbiamo soffermare è quello relativo al concetto di trasformazione di un soggetto giuridico in un altro soggetto giuridico. Trasformare significa mutare un tipo giuridico in un altro tipo che caratteristiche giuridiche diverse rispetto a quello precedente. Se si pensa alle società commerciali, ad esempio, il termine trasformazione evoca un concetto assai semplice, che si attua con un procedimento altrettanto semplice: secondo l'articolo 2498 c.c. si ha mutamento della società di persone in società che assume un tipo diverso, senza perdere la sua individualità né modificare diritti e doveri, senza novazione.
Per trasformare una società di persone in una società di capitali è sufficiente una delibera dell'assemblea dei soci, adottata per atto pubblico, accompagnata da una relazione di stima del patrimonio sociale e l'iscrizione della delibera nel registro delle imprese. In questo ambito domina il principio volontaristico, permeato dalle regole della maggioranza qualificata, pur assoggettate da una particolare disciplina. La decisione dei soci è comunque alla base della trasformazione societaria. Tuttavia in materia mutualistica l'assoluta libertà di mutamento del tipo societario subisce una forte compressione se è vero che la legislazione speciale ha introdotto (art. 14 legge 17 febbraio 1971, n. 127) divieto legale di trasformazione in società ordinarie, delle società cooperative anche se fosse deliberata all'unanimità dei soci.
Sullo sfondo resta il problema opposto vale a dire della trasformazione della società lucrativa in società cooperative, rispetto al quale la Suprema Corte (6349/1997), nonostante opinioni discordi della dottrina, si è espressa favorevolmente in presenza di voto unanime dei soci. La stessa legislazione sportiva, in passato, aveva previsto una trasformazione delle associazioni sportive in società di capitali al fine di beneficiare di determinate agevolazioni sull'imposta di registro. Qui la trasformazione societaria era intesa dal legislatore più come onere che come obbligo.
Ma proprio in materia di enti non profit, ed in particolare di fondazioni, l'articolo 28 c.c. recita, com'è noto, che "quando lo scopo è esaurito o divenuto impossibile o di scarsa utilità o il patrimonio è divenuto insufficiente l'autorità governativa anziché dichiarare estinta la fondazione può provvedere alla sua trasformazione allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore. La trasformazione non è ammessa quando i fatti che vi darebbero luogo sono considerati nell'atto di fondazione come causa di estinzione della persona giuridica e di devoluzione dei beni a terze persone". La norma, secondo l'interpretazione prevalente non si applica alle fondazioni di famiglia.
Qui tuttavia il termine trasformazione comporta una modificazione non dell'ente ma dell'atto di fondazione per il mezzo di un atto dell'autorità governativa. Si assiste così non solo ad un controllo discrezionale pubblicistico sull'esaurimento dello scopo o sull'impossibilità di conseguirlo o la scarsa utilità o l'insufficienza dei fondi per il suo conseguimento ma addirittura una modificazione dell'atto di fondazione con un intervento eteronomo.
In questo pur brevissimo quadro si inserisce il tema della trasformazione di un ente pubblico in ente di diritto privato. Nel settore pubblico degli enti pubblici in generale e degli enti pubblici non economici in particolare ivi compreso gli enti nel settore culturale il concetto di trasformazione è ancor più complesso. In primo luogo si deve osservare che la modificazione del tipo adottato, sia essa finalizzata ad un fenomeno di privatizzazione, sia essa finalizzata ad un fenomeno di riassetto istituzionale deve essere previsto o almeno consentito per via normativa. In secondo luogo, le fonti sono eterogenee e non del tutto compatibili tra di esse. Per tacere, in questa sede, delle privatizzazioni degli enti economici.
3. La trasformazione degli enti culturali in fondazioni: osservazioni e critiche
Limitando l'esame alle più recenti disposizioni legislative che riguardano in generale le attività culturali, rammento:
a) il decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367 (Disposizioni per la trasformazione degli enti che operano nel settore musicale in fondazioni di diritto privato), c.d. legge di privatizzazione degli enti lirici, in merito alla quale a suo tempo manifestai una certa perplessità sull'effettivo conseguimento dello scopo prefissato o quantomeno dichiarato dal legislatore, prevedeva la trasformazione per legge degli enti definiti di prioritario interesse nazionale in fondazioni di diritto privato. Il tutto finalizzato ad inserire i privati nell'ambito della fondazione ed a farli partecipi dell'impresa teatrale non più come meri sponsors ma come soggetti attivi.
Tuttavia, il richiamo alle fondazioni di diritto privato, qui come altrove, non è apparso del tutto condivisibile. La locuzione qualificativa "di diritto privato" contenuta nel decreto sta a significare che per quanto non espressamente previsto nel decreto è alle norme del codice civile che si deve far riferimento. E' evidente, tuttavia, che le fondazioni lirico-sinfoniche così come concepite dal legislatore, hanno caratteristiche del tutto peculiari che possono far concludere per una fondazione atipica, assoggettata ad un controllo pubblicistico dall'interno. Nel senso che lo sforzo diretto alla privatizzazione non ha sortito alcun effetto se è vero che la fondazione lirico-sinfonica non solo è assoggettata ai controlli pubblicistici ma è in mano pubblica.
In più, i vantaggi fiscali per le aziende che avessero voluto contribuire finanziariamente erano assolutamente limitati, essendo state le dazioni equiparate alle liberalità previste nel Testo unico delle imposte sui redditi (ad opera della legge 30 aprile 1985, n. 163), consentendo così una detrazione di imposta del 19% della somma erogata ma solo nel limite del 2% del reddito complessivo dichiarato. E' pur vero che in via transitoria, per i primi tre anni dalla istituzione della fondazione, l'art. 25 del d.lg. 367/1996 prevedeva una detrazione d'imposta o la deduzione dalla base imponibile del 30% del reddito dichiarato ma trascorso quel periodo si instaurava il regime ordinario appena descritto.
b) Il successivo decreto legislativo 23 aprile 1998, n. 134 (Trasformazione in fondazione degli enti lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate, a norma dell'articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 15 marzo 1997, n. 59), vista la sostanziale inattuazione della precedente normativa (applicata solo dal Teatro La Scala di Milano) ha effettuato la trasformazione ex lege degli enti lirici.
c) Il decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, in attuazione dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, nell'istituire il ministero per i Beni e le Attività culturali ha previsto all'articolo 10 ha previsto la possibilità per il ministero di "costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni o società, secondo modalità e criteri definiti con regolamento emanato ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Al patrimonio delle associazioni, delle fondazioni e delle società il ministero può partecipare anche con il conferimento in uso di beni culturali che ha in consegna. L'atto costitutivo e lo statuto delle associazioni, delle fondazioni e delle società debbono prevedere che, in caso di estinzione o di scioglimento, i beni culturali ad esse conferiti in uso dal ministero ritornano nella disponibilità di quest'ultimo".
Il regolamento recante disposizioni concernenti la costituzione e la partecipazione a fondazioni da parte del ministero per i Beni e le Attività culturali, a norma dell'art. 10 del d.lg. 368/1998 (decreto ministeriale 27 novembre 2001, n. 491) prevede e disciplina le modalità di costituzione da parte del ministero di fondazioni aventi personalità giuridica di diritto privato ovvero di parteciparvi, secondo le disposizioni del d.lg. 368/1998 e del regolamento stesso, allo scopo di perseguire il più efficace esercizio delle proprie funzioni e, in particolare, della gestione e valorizzazione dei beni culturali e della promozione delle attività culturali il cui atto costitutivo e lo statuto delle fondazioni si conformano alle disposizioni di legge e del regolamento.
d) Il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419 (Riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali a norma degli articoli 11 e 14 della legge 15 marzo 1997, n. 59), più noto forse nell'ambiente dello spettacolo per il riordino il sistema di gestione della Siae, prevede la "privatizzazione" di una serie di enti pubblici trasformati ex lege in fondazioni di diritto privato aventi personalità giuridica il cui patrimonio viene costituito dal patrimonio dell'ente trasformato.
e) Il decreto ministeriale 4 novembre 1999, n. 470 (Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività teatrali, in corrispondenza agli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163), c.d. decreto Melandri, nel ridisegnare l'intervento finanziario per le attività teatrali e le erogazioni di contributi ai soggetti che svolgono attività teatrali, in corrispondenza degli stanziamenti destinati al teatro dal Fondo unico per lo spettacolo (Fus) di produzione, distribuzione, esercizio, promozione, nonché a rassegne e festival, si occupa (art. 4) per quanto qui interessa, della successione a titolo particolare nell'impresa che non fa cessare il diritto al contributo a condizione che il successore presenti i requisiti prescritti e provveda in proprio al completamento del progetto di attività. Del tutto irrilevanti sono poi le trasformazioni della persona giuridica ovvero la trasformazione da impresa individuale in persona giuridica, ovvero le fusioni tra più persone giuridiche, allorché vi sia continuità della persona del direttore artistico e della maggioranza del nucleo artistico, verificata sulla base del personale impegnato nell'anno precedente alla trasformazione.
A parte le disposizioni transitorie che includono, ovviamente, anche i soggetti aventi attività riconosciuta, ai sensi della circolare 9 maggio 1998, n. 25, la norma introduce un criterio di valutazione quantitativa e qualitativa per l'accesso ai finanziamenti ma definisce, ancor di più l'attività teatrale stabile. Secondo l'articolo 12 l'attività teatrale stabile è attività di interesse pubblico, ed è caratterizzata dal peculiare rapporto con il territorio entro il quale è ubicato ed opera il soggetto che la svolge, nonché da particolari finalità artistiche, culturali e sociali dalla priorità dell'assenza di fine di lucro e dal conseguente reinvestimento nell'attività teatrale degli eventuali utili conseguiti. L'attività teatrale stabile comprende il settore dei teatri stabili ad iniziativa pubblica, dei teatri stabili ad iniziativa privata e dei teatri stabili di innovazione.
L'articolo 13 individua i teatri stabili ad iniziativa pubblica, costituiti dalle regioni e dagli enti locali, direttamente o attraverso forme associative o consortili di loro emanazione. Essi si caratterizzano per le particolari finalità artistiche, culturali e sociali, per il ruolo di sostegno e di diffusione del teatro nazionale d'arte e di tradizione, con particolare riferimento all'ambito cittadino o regionale. I teatri stabili ad iniziativa pubblica sono individuati ogni tre anni con decreto del ministro, sentita la Commissione. Essi devono avere personalità giuridica di diritto privato, ai sensi dell'articolo 12 e seguenti del codice civile e devono necessariamente presentare tra i propri partecipanti la regione, la provincia ed il comune nel cui territorio è situata la loro sede. Essi devono inoltre essere dotati di uno statuto che prevede determinati organi e la loro durata; il numero di componenti il consiglio di amministrazione; il collegio dei revisori di cui il presidente viene designato dal ministro; l'impegno degli enti territoriali partecipanti a contribuire alle spese dell'ente in misura non inferiore al contributo annualmente versato dallo Stato, nonché a garantire la disponibilità delle sale teatrali, coprendo le ulteriori spese di esercizio.
Per l'articolo 14, i teatri stabili ad iniziativa privata o mista pubblico-privata, denominati anche "teatri stabili privati", si caratterizzano per un progetto artistico integrato di produzione, formazione, promozione, ospitalità ed esercizio. Ai teatri stabili privati, sono assegnati contributi in presenza dei seguenti requisiti: personalità giuridica di diritto privato, ai sensi dell'articolo 12 e seguenti del codice civile, e partecipazione di almeno un ente pubblico territoriale, individuato con riferimento alla sede del teatro; esclusiva disponibilità di una sala teatrale di almeno cinquecento posti direttamente gestita.
Secondo l'articolo 15, i teatri stabili di innovazione sono teatri stabili con finalità culturali definite, che svolgono, con carattere di continuità, attività di produzione e promozione nel campo della sperimentazione, della ricerca e del teatro per l'infanzia e la gioventù. Tra i requisiti di ammissione ai contributi vi è la personalità giuridica di diritto privato, ai sensi dell'articolo 12 e seguenti del codice civile; una o più sale nella esclusiva disponibilità del soggetto.
Secondo l'articolo 16, l'attività delle compagnie teatrali, o imprese di produzione teatrale, è attività di interesse pubblico, rappresenta la tradizione storica ed è aspetto fondamentale del teatro italiano. Le compagnie teatrali sono persone giuridiche di diritto privato ed assicurano la circolazione in tutto il territorio nazionale dello spettacolo dal vivo, così garantendo la più ampia diffusione della cultura e dell'arte teatrale. Esse promuovono, in particolare, la drammaturgia italiana contemporanea, la ricerca e la valorizzazione di nuovi talenti, la nascita e la sperimentazione di particolari forme dell'arte teatrale.
L'articolo 17 ammette al finanziamento anche le imprese teatrali di produzione, che se rivestono un carattere di autogestione ed hanno la natura giuridica di società cooperative a responsabilità limitata o di associazione riconosciuta sono privilegiate ai fini della valutazione quantitativa.
Ai sensi dell'articolo 18, ai soggetti di promozione e formazione del pubblico possono essere concessi contributi in favore di persone giuridiche private, alle quali partecipi la regione territorialmente interessata, ovvero che abbiano avuto il riconoscimento delle funzioni esercitate con legge regionale, e che svolgono attività di promozione e formazione del pubblico nell'ambito del territorio di una regione e in non più di una regione confinante, nella quale non esista un analogo soggetto. Altri contributi sono previsti poi per l'Ente teatrale italiano, per le attività teatrali della società di cultura "La Biennale di Venezia", per la fondazione Istituto nazionale per il dramma antico.
Dal quadro normativo emerge la piena scelta del legislatore verso il modello della fondazione culturale. La domanda, in primo luogo, è di carattere sistematico, nel senso che è possibile domandarsi il significato delle disposizioni normative, specie il c.d. decreto Melandri, che subordinano la concessione del finanziamento all'adozione di un determinato ente, con un determinato statuto e con una partecipazione sia all'amministrazione sia al controllo da parte dei soggetti pubblici. Certo, il modello adottato è quello degli enti non profit organizations che tuttavia non viene prescelto quale forma giuridica migliore al fine di perseguire l'interesse pubblico allo svolgimento dell'attività teatrale. Siamo comunque lontani da uno strumento normativo adottato (fondazione) e che sia effettivamente quello codicistico seppure dello stesso adotti il nomen costituendo tuttavia un nuovo tipo legale, appunto, quello della fondazione culturale di diritto privato ma a prevalente partecipazione e controllo pubblico. E' ovvio che specie nel settore dell'attività teatrale, ma ancor di più culturale in genere, una privatizzazione inconsulta potrebbe condurre a risultati aberranti e quindi appare opportuno che il legislatore guardi con una certa attenzione a fenomeni di privatizzazione incontrollati.
Ciò che forse potrebbe essere oggetto di discussione politica e non giuridica è se sia opportuno mantenere un sistema di finanziamento pubblico legato al settore del non profit di iniziativa, controllo e gestione pubblicistica anziché ancorarlo ad altri parametri, indipendentemente dalle finalità lucrative del soggetto che pone in essere un'attività teatrale, magari di grande livello e che comunque persegua quelle finalità di carattere generale che sono attualmente alla base dell'impianto normativo in materia di enti teatrali.
Certo, la fondazione consente all'autorità governativa (art. 25 c.c.) di esercitare il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle fondazioni; di provvedere alla nomina ed alla sostituzione dei rappresentanti o degli amministratori quando le disposizioni contenute nell'atto di fondazione non possano attuarsi; di annullare le deliberazioni contrarie a norme imperative, all'atto di fondazione, all'ordine pubblico ed al buon costume; di sciogliere l'amministrazione e nominare un commissario straordinario qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge; può anche autorizzare il commissario straordinario, i liquidatori o i nuovi amministratori all'esercizio dell'azione di responsabilità contro gli amministratori. Secondo l'articolo 26 c.c. l'autorità governativa può disporre il coordinamento delle attività di più fondazioni ovvero unificare la loro amministrazione rispettando la volontà del fondatore che, in questo caso è comunque un ente pubblico. Tutta la disciplina della devoluzione dei beni dopo la liquidazione della persona giuridica (art. 31 c.c.) consente all'autorità governativa di devolvere i beni in caso di fondazione attribuendoli ad enti che abbiano finalità analoghe anche nel caso in cui (art. 32 c.c.) alcuni di essi siano stati devoluti con finalità particolari. Pertanto, oltre alle disposizioni particolari in materia di statuto e di nomina degli amministratori la legge accorda un ampio controllo che l'adozione di diversi modelli di enti non consentirebbe.
Un'ultima considerazione. L'adozione della forma della fondazione di interesse pubblico ma di diritto privato, anche se non vi è giurisprudenza al riguardo, può indurre l'interprete a ritenere che, ad esempio, la natura privatistica della fondazione mandi esente l'ente dall'adozione di particolari norme pubblicistiche, quali ad esempio quelle in materia di appalti. A questo riguardo, specie nell'ambito degli appalti di servizi è a mio avviso lecito dubitare se il prevalente capitale pubblico ed il controllo pubblico sulle fondazioni non impongano la disciplina pubblica in materia di appalti.
Rammento che gli indici sintomatici di pubblicità di un ente sono costituiti da: destinazione dell'ente alla realizzazione di fini pubblicistici; titolarità di potestà di imperio; finanziamento totale o parziale dell'ente da parte dello Stato; sottomissione ad un controllo statale rivolto a garantire il conseguimento dei suddetti fini. Rammento, inoltre, che l'elenco allegato alla direttiva comunitaria in materia di appalti di lavori ma anche di forniture e di servizi ed i decreti legislativi di recepimento che definiscono ai fini dell'applicazione della normativa in materia di appalti gli organismi di diritto pubblico è da tutti gli interpreti definito non esaustivo e pertanto potrebbero rientrarvi anche i teatri costituiti in forma di fondazione.
In conclusione, si potrebbe anche dubitare che la fondazione sia di diritto privato, come più volte ribadito dal legislatore e sia invece assoggettata a buona parte dei principi che danno impronta al diritto pubblico ed amministrativo. Non è un caso se recenti proposte di legge (Chiaromonte-Grignaffini, camera dei deputati) abbandonano il modello delle fondazioni, pur restando nell'ambito dei soggetti aventi personalità giuridica di diritto privato e la possibilità per i soggetti che abbiano scopi di lucro di esercitare l'attività della produzione dello spettacolo dal vivo, pur con l'obbligo di reinvestire una percentuale degli eventuali utili conseguiti.
Quello che in conclusione volevo lasciare come spunto di riflessione e anche eventualmente di dibattito è che indipendentemente dal nome, una fondazione di diritto privato, in realtà di privatistico, in queste leggi che ho preso in esame vi è poco. Vi sono disposizioni relative alle fondazioni che sono richiamate come norme residuali, che vengono utilizzate per colmare le lacune legislative; vi sono imposizioni legislative di adozione di modelli di statuto; vi è tutta una serie di limitazioni alla libertà di costituzione della fondazione che si riverbera sul contenuto e sulla natura dell'ente. In sostanza, l'ente teatrale trasformato in fondazione non è una fondazione di diritto privato, perché vi è tutta una serie di vicende legate al finanziamento ed al controllo, che fanno dell'ente un soggetto che viene definito di diritto privato, ma che in realtà pur assoggettato a disciplina del riconoscimento come ente fondazione di diritto privato, di privato ha ben poco.
Ma allora perché questa operazione? Non vi erano forse altre forme giuridiche che consentissero comunque allo Stato, parlando di Stato in senso ampio, di mantenere il controllo di certe iniziative ed attività culturali, ed ai privati di partecipare? Si dovrebbe riprendere quello che il Presidente di Emilia Romagna Teatro Fondazione ci ha detto nel suo precedente intervento: sostanzialmente che il suo teatro è impresa. Io penso che vorrà diventare impresa, penso che auspichi con le riforme legislative che sono in discussione che il teatro possa diventare veramente impresa. Allo stato attuale ritengo, tuttavia, che anche le fondazioni di impresa che si vanno delineando non consentano di esercitare le attività così come vorremmo tutti e come avrebbe voluto il presidente del teatro. Grazie.