La
Cassazione chiarisce i criteri di tassazione del reddito
degli immobili di interesse storico o artistico
(nota a Cass. civ., sez. I, 18 marzo 1999, n. 2442)
Sommario: 1. Premessa. - 2. L'evoluzione normativa. - 3. I precedenti giurisprudenziali. - 4. La pronuncia della Cassazione. - 5. Ulteriori spunti di indagine.
Prima pronuncia del Supremo Collegio in merito alla portata applicativa dell'art. 11, comma 2, l. n. 413/91, ai sensi del quale "in ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico ... è determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato".
La norma, introdotta dalla riforma tributaria del 1991 a seguito dell'approvazione delle nuove tariffe d'estimo catastale, si inserisce nell'ambito di un'ormai consolidata legislazione di favore per i beni immobili culturali; essa ha peraltro originato un vivace contenzioso fra l'amministrazione finanziaria, che intende circoscriverne la portata ai soli immobili non concessi in locazione (ritenendo che, per quelli locati, dovrebbe valere il criterio di tassazione del reddito effettivo posto dall'art. 34, comma 4-bis, Tuir) ed i proprietari, che ne sostengono invece la generalizzata operatività. In particolare, la posizione del ministero è stata espressa nella circolare n. 1106 del 10 giugno 1993 [1] e ribadita nella circolare n. 154/E del 30 maggio 1995 [2] oltre che nelle istruzioni annuali per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi.
La Cassazione si esprime però in senso favorevole ai contribuenti, sulla base di argomenti di carattere testuale, logico e sistematico, prima di esaminare i quali pare comunque opportuno soffermarsi, seppur brevemente, sull'evoluzione normativa intervenuta in materia e sui precedenti resi dalla giurisprudenza di merito.
Nessuna particolare disposizione era dettata per gli immobili riconosciuti di interesse storico od artistico dal dpr 597/1973, che prevedeva per la tassazione dei redditi dei fabbricati il cosiddetto sistema catastale (o tabellare) basato sul reddito medio ordinario, assumendo però a base imponibile il reddito effettivo - se superiore di una certa misura alla rendita catastale aggiornata - nel caso in cui l'immobile fosse concesso in locazione (artt. 34, 35 e 88): i fabbricati di interesse storico od artistico rientravano quindi nella disciplina generale.
Il primo intervento normativo riguardante detti immobili risale al 1982 e, come già si è detto, è connotato da un evidente favore, avendo il legislatore stabilito - senza distinguere fra immobili locati e non - che l'aggiornamento dei relativi redditi dovesse essere effettuato "mediante l'applicazione del minore tra i coefficienti previsti per i fabbricati" (art. 88, comma 3, dpr 597/1973, introdotto dall'art. 2 l. 512/1982). Il sistema così delineato viene recepito dal testo unico del 1986, che ribadisce i princìpi di tassazione del reddito tabellare aggiornato (art. 34) e di quello derivante dalla locazione dell'immobile, se superiore (art. 134, comma 2) od anche se inferiore, per gli immobili condotti ad equo canone (art. 129, comma 2).
La tassazione degli immobili locati è comunque disciplinata in via transitoria, in attesa della revisione delle tariffe d'estimo; quanto agli immobili culturali, è mantenuta la norma di favore sopra richiamata, con la sostituzione del termine "rendite" al precedente termine "reddito" (art. 134, comma 3). Le nuove tariffe d'estimo vengono stabilite dai decreti ministeriali del 20 gennaio 1990 e del 27 settembre 1991 ed entrano in vigore il 1° gennaio 1992; alla stessa data entra in vigore l'art. 11 l. 413/1991 che, al primo comma, riconferma il principio della "predominanza del minore canone locativo legale" rispetto ai criteri tabellari (così la pronuncia in esame) aggiungendo il comma 4-bis all'art. 34 Tuir, in funzione sostanzialmente riproduttiva dell'art. 134, secondo comma.
Il secondo comma dell'art. 11 si occupa poi degli immobili di interesse storico od artistico e sancisce che, per la determinazione del relativo reddito, debba "in ogni caso" farsi riferimento alla minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della stessa zona censuaria in cui si trovano i fabbricati: è la norma di cui ora si discute.
Ulteriori interventi legislativi si verificano nel 1993, quando una disciplina di favore per gli immobili culturali viene prevista anche ai fini dell'Ici (art. 2, comma 5, d.l. 16/ 1993) e nel 1994, quando si riscrive il già citato art. 34, comma 4-bis, dpr 917/1986 (art. 4 d.l. 330/1994). Senza dimenticare le agevolazioni concesse con riguardo a detti immobili in materia di imposta di successione (artt. 12, 13 e 25 d.lg. 346/1990), di registro (art. 1 della parte prima della tariffa allegata al dpr 131/1986) e di Invim (art. 25 dpr 643/1972).
3. I precedenti giurisprudenziali
La prima pronuncia edita risulta essere Comm. trib. I grado di Pisa, 30 giugno 1994 [3], ove già si delineano i termini della questione. I giudici toscani desumono infatti dalla collocazione sistematica della norma e dal suo tenore letterale l'"inequivocabile volontà legislativa di introdurre un diverso sistema di determinazione del reddito fondiario derivante dalla proprietà di particolari tipi di immobili", quali appunto quelli di interesse storico od artistico, anche se concessi in locazione. Conseguentemente, riconoscono al proprietario il diritto al rimborso della differenza fra l'imposta calcolata e versata secondo il criterio ordinario di cui all'art. 34, comma 4-bis, Tuir e quella dovuta in base al più favorevole criterio posto dall'art. 11, comma 2 l. 413/1991.
In senso analogo si esprimono Comm. trib. I grado di Venezia, 6 febbraio 1995 [4], Comm. trib. I grado di Firenze, 21 giugno 1995 [5], Comm. trib. I grado di Perugia, 12 febbraio 1996 [6], Comm. trib. I grado di Reggio Emilia, 5 marzo 1996 [7] e, più di recente, Comm. trib. prov. di Milano, 18 novembre 1997 [8] Comm. trib. prov. Di Treviso, 23 marzo 1998 [9] e Comm. trib. reg. della Lombardia, 11 giugno 1998 [10], tutte variamente evidenziando la natura agevolativa, la collocazione sistematica, la specialità ed il tenore letterale dell'art. 11, comma 2, l. 413/1991.
La tesi contraria è
stata invece propugnata da Comm. trib. I grado di Firenze, 16 novembre 1995
[11], Comm. trib. reg. della Toscana,
10 gennaio 1997 [12] e Comm. trib.
prov. di Modena, 16 luglio 1997 [13]
che, ravvisata nell'ordinamento l'esistenza di due contrastanti criteri di
determinazione del reddito degli immobili culturali, hanno ritenuto prevalente
quello desumibile dall'art. 134, comma 3, Tuir (tassazione del canone effettivo)
rispetto a quello posto dall'art. 11, comma 2, l. 413/1991, la cui portata
risulterebbe circoscritta alle ipotesi nelle quali "gli immobili in oggetto
non siano censiti in catasto o non siano locati".
4. La pronuncia della Cassazione
I giudici di legittimità intervengono a dirimere tale contrasto affermando che l'art. 11, secondo comma, l. n. 413/91 "dev'essere inteso come norma recante l'esclusiva ed esaustiva disciplina per la fissazione dell'imponibile rispetto agli edifici d'interesse storico o artistico, da effettuarsi sempre con riferimento alla più bassa delle tariffe d'estimo della zona a prescindere dalla locazione del bene a canone superiore".
Gli argomenti addotti a sostegno di questa interpretazione appaiono del tutto condivisibili. Bene si evidenzia infatti come la lettera della legge ("in ogni caso") ricomprenda tutte le ipotesi di tassazione del reddito derivante dal possesso di immobili culturali e come, del resto, anche l'interpretazione prospettata dal ministero condurrebbe il più delle volte ad applicare la disciplina di favore di cui al secondo comma dell'art. 11 poiché, intendendo la norma come riferita ad "ogni altro caso" diverso da quelli previsti dalla lettera h del primo comma (locazioni a canone equo), le agevolazioni de quibus dovrebbero essere applicate a tutte le locazioni a canone libero.
Si può aggiungere che l'inciso "in ogni caso" è collocato al termine di una lunga serie di norme (lettere da a ad h del primo comma) concernenti fattispecie anche molto diverse fra loro e relative sia ad immobili sfitti che locati, condotti ad equo canone od a canone libero: sicché l'intenzione del legislatore appare proprio quella di disciplinare in separata sede la tassazione degli immobili di interesse storico od artistico e di riservare loro, "in ogni caso", un trattamento di favore. Merita poi sottolineare che l'art. 11, secondo comma, parla di "reddito degli immobili" e non di rendite catastali (come invece l'art. 134, terzo comma, Tuir), individuando in modo unitario il presupposto d'imposta.
Queste considerazioni trovano conferma sotto i profili dell'opportunità e della ragionevolezza, se solo si pensa agli oneri connessi alla manutenzione dei fabbricati in oggetto. Piace richiamare al proposito l'efficace esemplificazione resa dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia nella sentenza sopra citata, che parla di spese relative a "rifacimento di coperture con orditure di soffitti ad intarsi, affreschi o cassettoni, imbiancatura di locali coperti da affreschi, manutenzione di pavimenti lignei o mosaici". Spese che, fra l'altro, possono essere detratte dall'imposta nei limiti ed alle condizioni previste dagli artt. 13-bis e 65 Tuir.
La pronuncia in esame non si sofferma sul problema dell'attuale vigenza dell'art. 134, terzo comma, Tuir, a norma del quale l'aggiornamento delle rendite catastali degli immobili storici od artistici deve (o doveva) essere effettuato mediante l'applicazione del minore tra i coefficienti previsti per i fabbricati.
Nell'interpretazione dei giudici di merito che hanno accolto la tesi erariale questa disposizione prevarrebbe sull'art. 11, secondo comma, l. n. 413/91 e renderebbe ancor oggi operante il criterio di determinazione del reddito "imperniato sulla rendita catastale agevolata" [14], mentre, a parere della pressoché unanime dottrina, l'art. 134, terzo comma, Tuir, quale disposizione transitoria introdotta con riferimento ai soli periodi antecedenti alla prima revisione delle tariffe d'estimo catastale, avrebbe cessato di operare proprio in conseguenza dell'entrata in vigore di dette tariffe e della l. 413/1991: sicché, relativamente ai periodi d'imposta successivi al 1991, non esisterebbe alcun contrasto normativo e la tassazione del reddito degli immobili culturali risulterebbe regolata in modo esaustivo dall'art. 11, comma 2, l. 413/1991.
Sul punto si è espressa la successiva Cass., 13 luglio 1999, n. 7408 [15], osservando che l'intero art. 134 Tuir era destinato a divenire inapplicabile dal 1° gennaio 1992 a seguito dell'introduzione delle nuove tariffe d'estimo, non più basate su coefficienti di rivalutazione di quelle precedentemente in vigore, e che l'art. 11, comma 2, l. n. 413/91 era stato previsto allo specifico scopo "di mantenere una disciplina differenziata per la determinazione del reddito di tali immobili (id est: riconosciuti di interesse storico od artistico) che tenesse conto dei maggiori oneri richiesti dalla loro gestione".
Anche tale questione dovrebbe
pertanto ritenersi ormai risolta.
5. Ulteriori spunti di indagine
Si segnala da ultimo che l'amministrazione finanziaria si è di recente pronunciata in due occasioni in merito al regime fiscale dei trasferimenti aventi ad oggetto immobili di interesse storico od artistico, in un caso affermando e nell'altro negando l'applicabilità dell'art. 11, secondo comma, l. 413/1991: così, rispettivamente, la nota n. 999624 del 2 febbraio 1999 della direzione regionale delle entrate del Piemonte e la circolare ministeriale n. 34/E del 12 febbraio 1999 [16]. Il problema attiene alla determinazione della base imponibile ai fini delle imposte indirette sui trasferimenti, dovendosi stabilire se, ai fini del calcolo della rendita dell'immobile (e quindi del suo valore "catastale"), valga sempre il riferimento alla minore delle tariffe d'estimo previste per gli immobili della stessa zona censuaria.
La soluzione negativa prospettata dal ministero fa leva sull'assenza di una specifica disciplina della materia dopo l'entrata in vigore delle nuove tariffe catastali; essa contrasta però con l'orientamento espresso dalla Commissione tributaria centrale nella decisione n. 4121 del 16 luglio 1998 [17], la quale ha affermato che il valore degli immobili di interesse storico od artistico va desunto dall'applicazione del criterio posto dall'art. 11, comma 2, l. 413/1991.
[1] In Boll. trib., 1993, 988.
[2] Ivi, 1995, 926: "se gli immobili in questione sono concessi in locazione, devono essere applicate tutte le regole relative alla tassazione sulla base del reddito effettivo".
[3] In Riv. giur. trib., 1995, 622, con nota di Baldassari, Criteri di determinazione del reddito di fabbricati di interesse storico e artistico.
[4] In Dir. e prat. trib., 1995, II, 1339, con nota di Cattabriga, Locazione di immobili di interesse storico o artistico ininfluente per la determinazione della base imponibile.
[5] In Riv. dir. trib., 1996, II, 885, con nota di Chirichigno, Determinazione del reddito dei fabbricati di interesse storico od artistico.
[6] In Fisco, 1996, 6659.
[7] Ibid., 3204.
[8] Ivi, 1999, 135.
[9] Ibid., 135.
[10] In Boll. trib., 1998, 1747.
[11] In Fisco, 1996, 3204.
[12] In Boll. trib., 1997, 796, con nota di Alemanno, Immobili di interesse storico o artistico: imposte sul reddito e dintorni.
[13] In Riv. giur. trib., 1998, 834, con note di riferimento di Ferrati.
[14] Così Comm. trib. reg. della Toscana, 10 gennaio 1997, cit.
[15] Di prossima pubblicazione su Giur. It.
[16] Entrambe pubblicate in Corriere trib., 1999, 821.
[17] In Giur. imposte, 1999, 128.