Innanzitutto consentitemi di fare i complimenti all'editore e al curatore del volume che oggi presentiamo. All'editore, perché ha compreso quanto siano importanti libri come questo. Al curatore, perché è molto difficile tenere insieme tanti autori diversi, e riuscire a rispettare tempi così ristretti. Io poi sono un ritardatario cronico, ma questa volta sono stato puntuale, credo per la prima volta nella mia vita.
Quindi un'altra considerazione, forse dovuta al fatto che quando si invecchia si diventa vanitosi e autobiografici. Io credo di essere l'unico dei presenti che fu presente all'inaugurazione del ministero per i Beni culturali, nel 1974. E non solo: prima dell'inaugurazione del ministero accompagnai Spadolini - alla cui fantasia dobbiamo tutto quello che c'è stato dopo - nel sopralluogo al Collegio romano per vedere se era adatto per insediarvi gli uffici.
Ma, sempre per tornare sul dato autobiografico, mi ha fatto particolarmente piacere il fatto di rinvenire l'inserimento nel testo unico di riferimenti sia all'art. 12 del concordato con la chiesa cattolica, sia alle norme relative alle intese con gli altri culti. Mi ha fatto particolarmente piacere perché l'art. 12 del concordato l'ho scritto io, con le mie mani, e allora vuol dire che la norma ha funzionato: si ha sempre il dubbio che si sarebbe potuto fare molto meglio, ma se dopo tanti anni il legislatore ha ritenuto che la norma andasse richiamata espressamente, allora vuol dire che ha funzionato.
Aggiungo che la disciplina statale è stata di forte impulso per la disciplina ecclesiastica. La chiesa cattolica in particolare, ma anche altre confessioni religiose, si sono spinte a legiferare, a emanare tutta una serie di disposizioni. Esiste un codice, ormai, delle norme canoniche in materia di beni culturali, cosa che prima nessuno avrebbe potuto immaginare. Non solo, ma anche qui vi è una sorta di piccola delegificazione, poiché le intese applicative dell'art. 12 del concordato vengono approvate con decreto del presidente della Repubblica. In proposito devo peraltro ringraziare Oberdan Forlenza, che è riuscito a far firmare l'ultimo accordo, quello sui beni archivistici e sulle biblioteche, di cui io avevo già parlato nel commentare il testo unico, devo dire con un certo azzardo, visto che in quel momento l'atto non era ancora stato sottoscritto.
Entrando nel merito delle osservazioni sui contenuti del nuovo testo unico, vorrei rimarcare la distinzione tra il concetto di "cose religiose appartenenti agli enti ecclesiastici", già presente nella nostra legislazione, e il concetto di "beni culturali di interesse religioso", che troviamo nel testo unico, e che corrisponde al superamento di un approccio un po' burocratico.
L'altro punto importante, accennato da Marco Cammelli, è quello della bilateralità. Si è deciso che gli interessi culturali delle confessioni religiose devono essere tutelati stabilendo un collegamento con gli enti ecclesiastici, ossia sentendo gli interessati (e non, come qualcuno ha detto, creando una res mixta).
Vorrei quindi soffermarmi su due punti della nuova normativa che mi riguardano personalmente, e che mi lasciano perplesso.
Il primo concerne la questione dell'interesse storico degli archivi privati. Nel testo unico vi è una serie di riferimenti diversi: in un caso si parla di beni "di notevole interesse storico"; in un altro caso di parla si beni "di interesse storico" (si tratta di disposizioni in tema di finanziamento). Dunque l'elemento della "notevolezza" non rileva sempre, e comunque è assai arduo stabilire cosa significhi in concreto. In definitiva, il problema della storicizzazione degli archivi privati rimane del tutto aperto.
In realtà nel testo unico vi sono ulteriori espressioni che suscitano qualche perplessità. Si parla ad esempio di "presumibile interesse storico": ma presumibile da chi? Quali sono i mezzi che i soprintendenti hanno per decidere, alla luce di una norma simile? Personalmente, sarei di interpretazione molto ampia: se fosse per me, notificherei tutto. Anche la nota spese della massaia può essere importante per la storia economica.
Il secondo profilo concerne la questione della circolazione dei beni di interesse religioso nell'Unione europea. Con l'allargamento dell'Unione, che potrebbe arrivare a comprendere una trentina di paesi, il problema è destinato a porsi in modo non occasionale. Vi è poi un sotto-problema, per così dire, quello delle frontiere tra l'Italia e il Vaticano (oltre che tra l'Italia e San Marino, ma questo è un dato meno urgente). È successo che, vista la mancanza di controlli, siano stati trasferiti in Vaticano degli importanti fondi archivistici, così come degli affreschi staccati dai monasteri, tutti oggetti non suscettibili di esportazione, visto che per questi aspetti lo Stato della Chiesa è come la Nuova Zelanda. Ciò può forse garantire una conservazione migliore del bene, che lì viene restaurato con attenzione, mentre da noi finirebbe nelle cantine di qualche museo, ma il problema esiste. E con la libera circolazione si rischia che finiscano in vaticano, attraversando il territorio italiano, anche dei beni di interesse religioso appartenenti ad altri Stati comunitari.
Il ministero degli Esteri anni fa aveva dato vita ad una commissione per occuparsi di questo, alla quale mi venne chiesto di partecipare, ma credo che poi tale iniziativa non abbia avuto seguito. Io penso che si debba cercare di affrontare il problema, anche con la collaborazione tra il ministero dei Beni culturali e il ministero degli Esteri.
Il problema infatti è solo in apparenza minore, tenuto conto che la grande massa dei beni culturali, almeno in Italia, è rappresentata da beni di interesse religioso, che si trovano nelle chiese e nei conventi. Non voglio esagerare, ma quando il superiore di un monastero entra in Vaticano con una valigia, e magari dentro c'è un'opera quale il codice di Federico da Montefeltro, nessuno può accorgersene. Faccio un caso: una casa editrice ha pubblicato in due volumi il diario del barone Monti, che era il direttore generale dei culti nel periodo da Giolitti a Mussolini. L'originale del diario è in Vaticano, perché la vedova lo ha venduto all'amministrazione pontificia.
Dunque si tratta di un problema, lo sottolineo ancora una volta, tutt'altro che trascurabile.