Dibattito sul Testo Unico
L'evoluzione del concetto di bene culturale
di
Valeria De Santis
(Borsista CNR - Università di Roma La Sapienza)
Sommario: 1. Lart. 148 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. - 2. Introduzione alla nozione di bene culturale nel Testo Unico. - 3. Gli artt. 1, 2, 3, 4 del Testo Unico sui beni culturali.
1. Lart. 148 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
Nellanalisi del sistema della tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio storico e artistico della Nazione assume una importanza centrale il problema della delimitazione del concetto di bene culturale.
Il legislatore per la prima volta definisce il concetto nel d.lg. 31 marzo 1998 n. 112, ricreando finalmente "simmetria" tra i risultali della dottrina e lo sviluppo legislativo [1].
Infatti, mentre la dottrina ha maturato e approfondito il concetto di bene culturale, partendo dalla definizione della Commissione Franceschini nel 1964, il legislatore ha, sì, utilizzato lespressione "bene culturale", ma non ne ha mai dato una precisa definizione.
Secondo la prima parte dellart. 148, lett. a), del d.lg. 112/1998, sono beni culturali "quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario". Si adotta il metodo della puntuale elencazione tradizionalmente utilizzato nella legislazione in materia di beni culturali [2]: le categorie cui si fa riferimento sono quelle contemplate dalla l. 1 giugno 1939 n. 1089, anche se il termine di "cose" è stato sostituito con il termine di "patrimonio" [3].
Invece, in base alla seconda parte dellart. 148, sono beni culturali tutti gli "altri (beni) che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base alla legge". Viene adottata una clausola aperta che ricorda la definizione proposta dalla Commissione Franceschini nel 1964 [4].
La Dichiarazione I della Commissione, superando la concezione estetizzante proposta dalla legge del 1939, definiva il bene culturale come "ogni testimonianza materiale avente valore di civiltà" [5]. Veniva proposta una interpretazione storicistica del concetto di bene culturale tanto è vero che la XXII Dichiarazione individuava i beni archeologici nelle cose mobili o immobili costituenti testimonianza storica di epoche, di civiltà indipendentemente dal loro pregio artistico [6].
Il legislatore del 1998 riprende tale definizione apportando due importanti modifiche: in primo luogo viene eliminato il discusso riferimento alla materialità [7] del bene (testimonianza materiale avente valore di civiltà), inoltre si afferma che i beni devono essere "così individuati in base alla legge".
In verità leliminazione del carattere materiale del bene non appare molto significativa soprattutto perché ad essa non corrisponde lauspicata possibilità di intendere il concetto di bene culturale come comprensivo delle attività culturali e, quindi, di rapportare le attività culturali al genus dei beni culturali [8].
Infatti, la lettera f) dello stesso art. 148 dà una specifica definizione delle attività culturali intese come quelle "rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dellarte". Le attività rimangono distinte dai beni culturali e sono inquadrate in una visione limitante che non rende giustizia dellimportanza del concetto; esse vengono relegate ad attività di mero sostegno e supporto. Non è stata accolta la concezione unitaria di bene culturale comprensiva delle attività, malgrado la dottrina abbia messo in evidenza la insufficienza di una nozione meramente materiale ad esaurire la categoria dato che "tutto il sistema tende ad evolversi, assumendo come nozione centrale quello di attività culturale, che comprende utilitates non risolvibili in termini oggettuali" [9].
Quindi nel concetto di bene culturale possono rientrare i beni non materiali ma la categoria rimane in ogni caso distinta dalle attività.
Lulteriore elemento che differenzia la definizione adottata dal d.lg. 112/1998 dalle proposte della Commissione Franceschini, sta nel fatto che i beni che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà devono essere "così individuati in base alla legge". Ciò significa che solo la legge può stabilire se un bene può essere concretamente considerato bene culturale [10].
Inoltre bisogna tenere presente che le definizioni dellart. 148 hanno una ambito di operatività in qualche modo limitato visto che esse hanno valore solo "ai fini del presente decreto" (come recita la proposizione iniziale dellarticolo in oggetto). Pertanto, come è stato giustamente fatto notare, lampiezza del concetto di bene culturale è piuttosto teorica, essa "non ha alcuna utilità se non quella di costituire a favore dello Stato una sorta di clausola generale di riserva nellindividuazione di altri beni che costituiscano testimonianza avente valore di civiltà" [11].
In ogni caso la definizione proposta nel decreto ha il pregio di avere accolto la definizione proposta dalla Commissione Franceschini che, malgrado gli anni, mantiene la sua attualità.
Il concetto di cultura alla base dellattività della Commissione ha dimostrato lesigenza che la definizione normativa di bene culturale abbandonasse la concezione delle leggi del 1939, sulle cose darte e sulle bellezze naturali, le quali riconoscevano la tutela solo a quei beni che avessero avuto particolare pregio, rarità, o fossero di non comune bellezza [12]. Così i beni culturali protetti non potevano corrispondere alla globalità del patrimonio culturale nazionale, ma solo a quelle sue manifestazioni particolarmente significative per valore estetico, storico ed economico.
La Commissione Franceschini, proponendo una nuova accezione di bene culturale inteso come ogni bene che costituisce testimonianza materiale avente valore di civiltà, costringe il legislatore ad una sorta di "professione di umiltà: pretendere dimporre una legge imperitura costituirebbe solo un imperdonabile atto di superbia, poiché in fatto di beni culturali ogni età vanta concezioni proprie" [13].
La Commissione, come ricorda Giannini, ha considerato assolutamente obsoleto un criterio definitorio fondato sullenumerazione delle cose oggetto di tutela; essa ha concepito una nozione aperta di bene culturale cui la disciplina giuridica non può (e non deve) dare un contenuto che, invece, deve essere individuato "mediante il rinvio a discipline non giuridiche" [14].
Questa impostazione ha portato alla elaborazione di un concetto di bene culturale che assolve ad una funzione unificante delle varie categorie di beni sottoposti a tutela e che, inoltre, determina lo spostamento dellattenzione sul "valore culturale che diventa funzione sociale del bene" [15] e fa sorgere la necessità di un intervento pubblico volto a garantire alla collettività "una fruizione ampia ed effettiva del valore culturale custodito dal bene" [16]. In questo contesto la legge del 1939 è stata interpretata estensivamente [17] in modo da far rientrare nella sua disciplina nuove categorie di beni che nel tempo, al mutare della sensibilità sociale, diventava necessario proteggere [18].
La definizione del decreto del 1998 ha assorbito questa evoluzione ed è anche stata significativamente influenzata dalla concezione antropologica di bene culturale che tende ad includervi qualsiasi manifestazione della cultura umana; tanto è vero che lart. 148 annovera nella categoria anche i beni "demoetnoantropologici" [19].
2. Introduzione alla nozione di bene culturale nel Testo Unico
Il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali, adottato con d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490, adotta una definizione "normativa di bene culturale che assume come nucleo centrale le cose regolate dalla legge 1.6.1939, n. 1089" [20] includendo però nella nozione altre categorie di beni già fatte oggetto di disciplina normativa.
Il legislatore delegato, come nota il Consiglio di Stato, è partito dalla ricognizione delle disposizioni esistenti rientranti nella materia e per operare tale valutazione ha ritenuto che "nel dato normativo dovesse riscontrarsi un carattere di realità nel senso più ampio del termine: in altre parole il bene nella sua materialità deve costituire lelemento centrale della fattispecie regolata dalla norma; ed il suo valore culturale o ambientale deve improntare la ratio del contenuto positivo" [21].
Il legislatore delegato ha adottato una sorta di non definizione in quanto le categorie di cose elencate (artt. 2 e 3) sono già stati fatti oggetto di una disciplina normativa. Ladozione di tale soluzione è stata determinata anche dalla necessità di evitare le accuse di genericità che la utilizzazione della definizione omnicomprensiva di "testimonianza avente valore di civiltà" avrebbe potuto determinare [22].
Gli estensori del T.U. si sono trovati di fronte allalternativa tra laccogliere una definizione unitaria del bene cultuale che, formata nella sensibilità sociale, è stata precisata e definita dalla dottrina oppure fare riferimento a singoli beni già oggetto di specifici interventi legislativi. Una possibile motivazione della scelta operata può derivare dal fatto che laccezione omnicomprensiva del concetto di bene culturale avrebbe determinato un allargamento smisurato di ipotesi in cui privati proprietari sarebbero stati sottoposti alle ingerenze dei pubblici poteri [23].
Sotto questa luce si comprende perché il T.U. non abbia seguito "la strada" della definizione adottata nel d.lg. 112/1998. La disciplina del T.U. riguarda direttamente la tutela dei beni culturali e, pertanto, incide anche sugli interessi dei soggetti privati, invece, il d.lg. 112/1998 è posto in essere nellambito delle riforme sullassetto dei compiti e delle funzioni di Stato e regioni, pertanto, la nozione di beni culturale è funzionale solo al riparto tra il centro e la periferia [24].
Inoltre, bisogna tenere presente i limiti e i criteri imposti dalla legge di delega. La l. 8 ottobre 1997, n. 352 allart. 1 stabilisce che nel testo unico devono essere "riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti". I criteri di delega, ex art. 1, comma 2, indicano che: "possono essere inserite nel testo unico le disposizioni legislative vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché quelle che entrano in vigore nei sei mesi successivi" e che "alle disposizioni devono essere apportate esclusivamente le modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonché per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti".
Si tratta di indicazioni molto vaghe e criticabili in quanto pongono il dubbio della adeguatezza del solo coordinamento (formale e sostanziale) a creare un corpus [25] di norme omogenee disciplinanti un sistema normativo estremamente complesso, in cui gli interventi normativi si sono stratificati sovrapponendosi allunico intervento organico in materia, la legge del 1939.
In questa prospettiva appare chiaro che la adozione del concetto unitario di beni culturali avrebbe potuto determinare il sospetto di un eccesso di delega [26]. Il legislatore delegato, pertanto, si è limitato a ricondurre ad ununica disciplina tutti quei beni che erano già singolarmente oggetto di specifiche disposizioni normative.
3. Gli artt. 1, 2, 3, 4 del Testo Unico sui beni culturali
Il T.U., come chiarito, ha ridotto ad unità il regime giuridico della tutela dei beni culturali.
Lart. 1 esplicita il diretto rapporto tra la tutela apprestata dalle disposizioni del T.U. ed il principio dellart. 9 Cost. Viene ribadito che i beni culturali e ambientali richiedono una tutela specifica che più volte la Corte Costituzionale ha confermato essere preminente rispetto alla tutela di altri beni [27].
Lart. 2 riproduce lart. 1 e 2 della legge del 1939 riproponendo la distinzione tra "le cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico" (lett. a) e gli "immobili che a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dellarte o della cultura in genere, siano state riconosciute di interesse particolarmente importante" (lett. b). Questultima definizione permette di individuare una ulteriore categoria di beni immobili che pur non esprimendo uno specifico interesse storico, artistico, archeologico (...) hanno un riferimento alla storia politica, militare, della letteratura, dellarte della cultura in genere [28]. Pertanto, qui loggetto della tutela non è il valore intrinseco della cosa bensì il valore che scaturisce dal fatto storico di cui limmobile è testimonianza [29].
Rispetto alla legge del 1939 vengono inclusi nella categoria di bene culturale anche i "beni archivistici" (già disciplinati dal d.p.r. 30 settembre 1963, n. 1409) [30] i "beni librari" [31] e le "fotografie con relativi negativi e matrici, aventi carattere di rarità e pregio artistico o storico".
Il comma 6, confermando la disposizione dellart. 1, ult. comma, della legge del 1939, stabilisce che "non rientrano nella disciplina del T.U. le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquantanni". Il legislatore ha voluto fare in modo che la produzione artistica più recente non fosse sottoposta ai vincoli normativi imposti dalla disciplina del T.U. che limiterebbero la commerciabilità delle opere e la libertà dellartista il quale verrebbe pregiudicato sul piano economico dalla impossibilità di far liberamente circolare le proprie opere [32].
A differenza della legge del 1939, il T.U. specifica che la disposizione in oggetto trova applicazione solo per i beni di cui al co. 1 lett. a); così per gli immobili di cui alla lett. b), che non hanno uno specifico valore intrinseco, non viene in rilievo alcuna limitazione attinente alla commerciabilità. Anche le raccolte darte contemporanea devono essere escluse dallapplicazione di ogni limitazione alla circolazione e alla commerciabilità. Infatti non può esistere differenza sostanziale tra i beni di cui alla lettera. a) e i beni di cui alla lettera c), del comma 1; in entrambi i casi i beni vengono in considerazione per il loro intrinseco valore storico artistico. Lunica differenza è che i beni di cui alla lett. c) vengono in considerazione come complesso di beni e non nella loro individualità. Lesclusione delle opere contemporanee dalla disciplina del T.U. riguarda i beni sia come singoli sia come complesso [33].
Come nella legge del 1939, nel T.U. trovano tutela solo quei beni che abbiano un certo grado di interesse. Si parla di mobili e immobili di interesse artistico, storico (...), di immobili che rivestono un interesse particolarmente importante, collezioni o raccolte di eccezionale interesse artistico o storico, cose di interesse numismatico, e ancora, di carte geografiche e spartiti aventi carattere di rarità e pregio artistico, di raccolte librarie di eccezionale interesse culturale, di archivi che rivestono notevole interesse storico ecc.
La scelta di graduare linteresse è stata criticata [34] in ragione dellambiguità che il criterio porta con sé. In effetti il legislatore avrebbe potuto elaborare una soluzione definitoria più chiara visto che proprio tale definizione delimita lambito di applicazione del regime vincolistico imposto ai privati.
Larticolo 3 del T.U. individua alcune categorie speciali di beni culturali (come dice testualmente la rubrica), già individuati dalla legge del 1939 e da interventi legislativi successivi. In particolare la lettera a) include nella categoria "gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli e gli altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista" la disposizione va collegata con lart. 51 che, riproducendo lart. 13 della legge del 1939, impone a chi dispone o esegue il distacco di affreschi, stemmi (...) di richiedere lautorizzazione del soprintendente.
La lettera b) aggiunge alla categoria gli studi dartista di cui allart. 52 del T.U. La disposizione in oggetto non fa che riprodurre il decreto legge 9 dicembre 1986, n. 832, art. 4-bis aggiunto dalla legge di conversione con modifiche 6 febbraio 1987, n. 15. In base ad essa gli studi dartista (adibiti a tale funzione da almeno venti anni e rispondenti alla tradizionale tipologia a lucernaio) il cui contenuto in opere, documenti, cimeli e simili è tutelato, per il suo valore storico, da un provvedimento ministeriale che ne prescrive linamovibilità da uno stabile, del quale contestualmente si vieta la modificazione della destinazione duso, non sono soggetti ai provvedimenti di rilascio previsti dalla normativa vigente in materia di locazioni di immobili urbani.
La lettera c) richiama espressamente lart. 53: si tratta di aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale individuate con provvedimento del soprintendente o nei regolamenti di polizia urbana in cui lesercizio del commercio previsto dalla legge 28 marzo 1991, n. 112, (art. 3, comma 13) non è consentito o è consentito solo con particolari limitazioni, in questultimo caso lesercizio del commercio è subordinato al rilascio del preventivo nulla osta.
La lettera d) include nella categoria: fotografie, esemplari di opere cinematografiche, sequenze di immagini in movimento, documentazioni di manifestazioni sonore o verbali, la cui produzione risalga a più di venticinque anni. La disposizione trova origine nella Risoluzione del Consiglio dei Ministri della U.E. responsabili degli affari culturali, del 13.11.1986 sullanno europeo del cinema e della televisione. E interessante notare che i beni in oggetto vengono sottoposti alla disciplina del T.U. semplicemente se la loro produzione risale a più di venticinque anni (individuano una eccezione rispetto alla regola posta dallu.c. dellart. 2) e a prescindere dal loro valore artistico (a differenza dei beni di cui allart. 2 lett. e) [35].
La lettera e) fa riferimento ai "mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni". Anche in tal caso siamo in presenza di una disposizione di origine comunitaria: il Regolamento n. 3911/92 del Consiglio del 9 dicembre 1992 sullesportazione dei beni culturali, e la direttiva n. 93/7/CEE del Consiglio del 15 marzo 1993 sulla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, entrambe recepite con la legge 30.3.1998, n. 88 [36].
Quindi lart. 3 non fa altro che "mettere ordine" tra la disciplina del 1939 e i successivi interventi legislativi che hanno ampliato la categoria dei beni culturali. Emerge così il modus operandi del legislatore delegato che, come sopra rilevato, ha realizzato una semplice ricognizione delle disposizioni esistenti in materia ritenendo che, ovunque si ravvisi una norma che tutela in qualsiasi modo un bene in ragione del suo valore storico, artistico, archeologico ecc., si sia in presenza di un bene culturale [37].
Lart. 4 rubricato Nuove categorie di beni culturali stabilisce che "i beni non ricompresi nelle categorie elencate agli articoli 2 e 3 sono individuati dalla legge come beni culturali in quanto testimonianza avente valore di civiltà". Il legislatore delegato dopo aver dato una definizione di bene culturale basata sulla materialità ha fatto un accenno alla concezione omnicomprensiva di bene culturale. Lart. 4, recependo la disposizione dellart. 148 del d.lg. 112 del 1998, stabilisce che la categoria del beni culturali può essere ampliata solo con futuro intervento legislativo.
La norma in oggetto, come è stato detto [38], appare un po pleonastica visto che il legislatore può sempre individuare nuove categorie di beni culturali o dichiarare taluni beni di interesse culturale, artistico (...).
La disposizione in oggetto, comunque, ci conferma che il nostro ordinamento ha oramai superato la concezione estetizzante di bene culturale quindi, malgrado le fondate critiche, lart. 4 ha il merito di riconoscere definitivamente il concetto di bene culturale come testimonianza avente valore di civiltà.
[1] M.P. Chiti, La nuova nozione di "beni culturali" nel d.lg. 112/1998:prime note esegetiche, in Aedon, 1/1998.
[2] G. Cofrancesco, I beni culturali, profili di diritto comparato ed internazionale, I.P.Z.S., 1999, 17.
[3] Si può far notare come il contenuto di questa parte della disposizione sia inoltre simile alla elencazione contenuta nellart. 48 del d.p.r. 616/1977 e bisogna anche rilevare che già la Commissione Franceschini (Dichiarazione I) utilizzò il termine di "patrimonio" al posto del più neutrale "cose".
[4] I lavori della Commissione, istituita con l. 26 aprile 1964, n. 310, si possono leggere in Riv. Trim dir. Pubbl., 1966, 19 ss.
[5] La Dichiarazione I stabilisce che: " Appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà." e (co. 2°) "Sono assoggettati alla legge i beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario ed ogni altro bene che costituisce testimonianza materiale avente valore di civiltà". Normalmente, come fa notare G. Cofrancesco, op. ult. cit., 18, sub nt. 8, si attribuisce alla Commissione la definizione di bene culturale individuato al secondo comma come testimonianza materiale avente valore di civiltà. In effetti, però, la definizione generale di bene culturale è contenuta al comma primo dove si dice che il patrimonio culturale della Nazione è costituito da tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà. Nel secondo si fa una elencazione di beni e si propone una definizione residuale di beni culturali che sono assoggettati alla legge. Quindi, mentre il primo comma si riferisce a tutti i beni "anche a quelli che non sono assoggettati alle disposizioni della legge ma sono regolati da altre leggi" (Commento della stessa Commissione), il secondo comma definisce, invece, loggetto della tutela. I beni di cui al secondo comma sono quelli che hanno una realtà materiale e che possono formare oggetto della legge sui beni culturali. Si può comunque cogliere un riferimento alla immaterialità del bene culturale al primo comma dove si afferma che appartengono al patrimonio della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà.
[6] Disposizione richiamata anche da M. Ainis e M. Fiorillo, I beni culturali, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2000, 1066 ss, sub. nt. 31.
[7] M. Ainis e M. Fiorillo, cit. 1067; gli AA. criticano la eccessiva enfasi riposta sugli aspetti materiali della cultura, "come se questultima si addica unicamente alle cose dotate di un supporto tangibile e corporeo" quindi "bene ha fatto lart. 148 del d.lg. 112/1998 a depurare tale aggettivo dalla definizione normativa di bene culturale."
[8] M.P. Chiti, Trattato di diritto amministrativo europeo, II, Milano, 1997, 352; e G. Cofrancesco, op. ult. cit., loc. cit.
[9] T. Alibrandi e P.G. Ferri, I beni culturali ed ambientali, Milano, 1995, 5.
[10] G. Cofrancesco, op. ult. cit., 24.
[11] G. Cofrancesco, op. ult. cit., 25.
[12] G. Severini, in G. Caia (a cura di), Il Testo Unico sui beni culturali, Giuffrè, 2000, 3, fa notare che la definizione adottata dalla Commissione Franceschini è stata largamente influenzata "dallaffermarsi proprio in quegli anni delle scienze sociologiche e antropologiche e del loro sovrapporsi alle scienze storiche dellarte e della filosofia (...)". LA. prosegue evidenziando che "si cominciò a criticare il riferimento alle cose darte come élitistico ed estetizzante e si additò in positivo la progressività e la socialità del riferimento alla civilizzazione e ai suoi segni che era contenuto nelle parole beni culturali".
[13] M. Ainis, M. Fiorillo, op. ult. cit., 1066. Sui lavori della Commissione si veda il fondamentale scritto di M.S. Giannini, I Beni culturali, in Riv. Trim. dir. Pubbl. 1976, 3.
[14] M. S. Giannini, cit., p. 8, sottolinea che " restando aperti i problemi circa ciò che si ha da intendere per cultura o per civiltà, si da del bene culturale una nozione aperta, il cui contenuto viene dato dai teorici di altre discipline, volta per volta, o anche per categorie di oggetti". G. Pitruzzella, Commento allart. 148, in Le Regioni, 1998, 952, sottolinea che il "mutamento terminologico comporta lo spostamento dellattenzione sul valore culturale che non è rappresentato dalloggetto materiale nella sua estrinsecazione fisica, ma si concretizza nella funzione sociale del bene, visto come fattore di sviluppo intellettuale della collettività e come elemento attorno a cui si definisce lidentità delle collettività locali".
[15] M. S. Giannini, cit., 7.
[16] M. S. Giannini, cit., 8; richiamato anche in Il Riassetto organizzativo del settore culturale, Relazione conclusiva del seminario di studi annuale tenuto, nella. a. 1998-1999, presso la Facoltà di Napoli "Federico II", pubblicata in Beni e Attività Culturali, 1/ 2000, 31.
[17] R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e ambientali, Giuffrè, 1998., 4. LA. a proposito dellart. 1 della legge del 1939, sottolinea che è la "stessa lettera della legge a confermare che sicuramente lelencazione non è e non può ritenersi esaustiva. Il comma primo dellarticolo in esame recita testualmente: sono soggetti alla presente legge le cose ecc., compresi... quindi quella elencata è soltanto una parziale esemplificazione, non già la esplicitazione dei beni che rientrano nella disciplina di tutela".
[18] G. Cofrancesco, op. ult. cit., 20, sub nt. 22. LA. ricorda, come esempio, larcheologia industriale che ormai trova fondamento nel d.p.r. 22 luglio 1983, n. 484 che tra le discipline del corso di laurea in conservazione dei beni culturali individua la materia "archeologia industriale"; inoltre lart. 31, co. 43, l. n. 488/1998, nel disciplinare lintervento per il recupero dellarea di Bagnoli esprime lesigenza di individuare " i manufatti industriali particolarmente significativi dal punto di vista storico e testimoniale che, a salvaguardia della memoria storica del sito, non dovranno essere demoliti" e la cui destinazione duso dovrà essere stabilita in sede di pianificazione comunale. LA. inoltre mette in evidenza limportanza della norma che non solo riconosce la necessità di salvaguardare dei manufatti industriali come beni aventi rilevanza storica ma che tenta lintegrazione fra disciplina urbanistica e disciplina di salvaguardia.
[19] M. Ainis, Cultura e Politica, Cedam, 1991, 66. LA. ricorda che "uno dei più grandi meriti dellantropologia moderna, sta nel riconoscimento della pluralità delle culture: durante lOttocento i primi antropologi studiavano le popolazioni primitive muovendo dal presupposto che esistesse un concetto unitario di cultura, di cui fosse possibile isolare i vari stadi di sviluppo; oggi invece questultimo si è definitivamente disgregato, trasformandosi in un concetto collettivo. Non più la cultura ma le culture: tutte egualmente degne dinteresse anche se, come è ovvio, improntate a differenti concezioni filosofiche, morali, religiose". Sul punto si veda anche: S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in LAmministrazione dello Stato, Milano, 1972, 176 ss; P. Rossi Cultura, in Enciclopedia del Novecento, I, Milano 1975, 1150; I. Sachs, Selvaggio/barbaro/civilizzato, in Enc. Einaudi, XII, Torino 1981, 669.
[20] Cfr. parere del Consiglio di Stato allo schema del decreto legislativo, Adunanza Generale dell11 marzo 1999.
[21] Cfr. parere del Consiglio di Stato dell11 marzo 1999. Il Consiglio per spiegare meglio il concetto considera che: "In altre parole, parafrasando una formula utilizzata dai giuristi che si occupano di usi civici (ubi feuda, ibi demania), si può affermare che il legislatore delegato è partito dal presupposto che, ovunque si ravvisi una norma che tutela in qualsiasi modo un determinato bene in considerazione del suo valore storico, artistico, archeologico, ecc., si è in presenza di un bene culturale".
[22] G. Pitruzzella, La nozione di bene culturale (artt. 1, 2, 3 e 4 d.lgs.490/1999), in Aedon, 1/2000.
[23] G. Pitruzzella, Ibidem.
[24] G. Pitruzzella, Ibidem, inoltre sottolinea che: "una conseguenza di grande rilievo pratico della scelta di non elaborare un concetto giuridico unitario di bene culturale è che in questo modo è stata mantenuta in vita la distinzione tra beni culturali appartenenti alla mano pubblica e quelli appartenenti ai privati". In tal senso si veda anche G. Severini, op. ult. cit., 8, il quale sottolinea "la natura essenzialmente organizzativa dellart. 148".
[25] In tal senso il Consiglio di Stato, Adunanza Generale dell11 marzo 1999, evidenzia che: "in presenza di una materia che, pur potendo vantare due leggi fondamentali che dopo 60 anni dalla loro emanazione mantengono ancora una loro sostanziale capacità di disciplinare adeguatamente gli aspetti fondamentali, ha subito il sovrapporsi di varie normative particolari che, sia per il linguaggio, sia per la diversa impostazione culturale, sia infine per le circostanze e le emergenze cui esse tendevano a porre riparo, si tratta di stabilire se, per raggiungere le finalità di ottenere un corpus omogeneo di norme disciplinanti una materia così vasta e delicata quale quella in esame, il coordinamento, così come previsto dalla delega possa considerarsi sufficiente".
[26] G. Severini, op. ult. cit., 7, sottolinea che il Parlamento nel dare la delega al Governo ha "optato per un delega da Testo Unico anziché per una delega ampia, da rifondazione dellintera materia".
[27] In tal senso A. Mansi, op. ult. cit. 6, sub nt. 1, dove ricorda le sentenze della Corte Cost. 21.12.1985, n. 139; 20.06.1995, n. 1196.
[28] Per un commento approfondito sugli articoli 1 e 2 della legge 1.6.1939, n. 1089, si veda R. Tamiozzo, op. ult. cit., 3 ss., ove afferma che i beni immobili di cui allarticolo in commento sono "monumenti, edifici, dei manufatti di natura immobiliare, dei resti delle case ivi compresi i resti di abitazioni private, che non rivestono interesse per le loro qualità (e cioè per le modalità con cui sono stati costruiti) ma che sono caratterizzati solo da una qualificazione storica; sotto il profilo strutturale può benissimo trattarsi anche di appiattite costruzioni delle più popolari borgate di Roma o di qualsiasi altra città e conseguentemente non meritevoli di alcuna particolare tutela dal punto di vista strettamente artistico, estetico o monumentale".
[29] T. Alibrandi e P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Giuffrè, 1995, 165.
[30] Nella individuazione dei beni archivistici il T.U., seguendo le indicazioni date dalla Commissione Franceschini, ha lasciato fuori dalla sua disciplina i documenti delle pubbliche amministrazioni ancora legati allesercizio delle funzioni amministrative e gli archivi correnti. Del resto la consultazione degli archivi correnti e laccesso ai documenti è disciplinato dalla l. 7 agosto 1990, n. 241.
[31] I beni librari comprendono: le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato e degli enti pubblici; le raccolte librarie appartenenti a privati, se di eccezionale interesse culturale; i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli nonché libri, stampe, incisioni aventi carattere di rarità e pregio artistico o storico.
[32] R. Tamiozzo, op. ult. cit., 5, il quale ricorda come il problema delle opere darte contemporanea sia stato molto sentito in sede dottrinaria soprattutto a partire dagli anni ottanta: " in particolare si è avvertita una forte esigenza di superamento della disposizione in esame, al fine non tanto e non solo di eliminare il predetto termine, quanto e più specificatamente di prevedere una possibile, sia pure limitata, azione di concreta tutela di opere che abbiano età inferiore ai cinquanta anni, fermo restando il rispetto di condizioni particolari, quali, ad esempio, quella che si tratti di opere il cui autore sia deceduto".
[33] T. Alibrandi e P. Ferri, op. ult. cit., 193.
[34] G. Pitruzzella, op. ult. cit.
[35] A. Mansi, Il nuovo Testo Unico per i beni culturali, Cedam, 2000, 15. LA fa giustamente notare che facendo rientrare nella categoria di bene culturale le fotografie, e gli esemplari delle opere cinematografiche, audiovisive (...) la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni, senza alcun riferimento allinteresse storico artistico, determina una loro sostanziale equiparazione ai beni archivistici.
[36] G. Severini, op. ult. cit., 19. Inoltre occorre ricordare che in base allart. 65 dei beni di cui alle lett. d, e ed f ("beni e strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni") è vietata luscita dal territorio della Repubblica se costituisce danno per il patrimonio storico e culturale nazionale; la disposizione in oggetto riproduce lart. 35 della l. 1089/1939, così come modificato dallart. 17 della l. 30 marzo 1998, n. 288.
[37] Si veda sopra sub nt. 20.
[38] A. Mansi, op. ult. cit., 17. Ma anche G. Severini, op. ult. cit., 10, sottolinea che la disposizione in oggetto ha il contenuto principale di una "clausola da termine passivo per un eventuale rinvio ab extra, destinata ad operare (...) se e quando nuove norme primarie individueranno ulteriori categorie di beni culturali e faranno rinvio espresso al Testo Unico".