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L'organizzazione dei beni culturali alla prova delle riforme

Nuove sinergie per la gestione museale

di Alice Labor

Sommario: 1. La gestione delle istituzioni museali a confronto. - 2. La Galleria Nazionale vs. The National Gallery. - 3. Le Community Foundations al servizio del sistema museale. - 4. Conclusioni.

New synergies for museum management
The article analyses the essential cooperation of public bodies and private operators for the management of museums in different juridical contexts. Moving from the actual legal and institutional environment, the author introduces a comparison between the Italian and British management models in order to recommend an evolution in the national museum management perspective. The analysis is developed through the study of practical cases, such as the comparison between the National Gallery in London and La Galleria Nazionale in Rome which clearly describes the distance between the two national institutional systems and their approach to private bodies. Moreover, thanks to the example offered by the Community Foundations instrument, the article means to express a serious need for Italian museums to be considered and regulated as a common good which asks the whole national community for a firm cooperation.

Keywords: Museums; Galleria Nazionale; Community; Autonomy; Private Bodies.

1. La gestione delle istituzioni museali a confronto

I musei pubblici, nella loro più alta accezione, dovrebbero mirare a stimolare le menti di coloro che convivono all'interno di una medesima comunità di appartenenza, per il progresso della stessa. Risulta però spesso problematico comprendere come i musei possano divenire elementi dinamici ed essenziali del tessuto urbano, parti integranti della vita di una città. Per tale motivo, l'analisi cercherà di evidenziare l'essenzialità di una collaborazione sistematica tra le diverse parti di una medesima collettività, siano esse pubbliche o private, al fine di consentire tale integrazione. La funzione del museo è quella di trasmettere un'eredità, di generazione in generazione, attraverso un processo di conservazione, tutela e valorizzazione delle opere di cui è custode. Dal punto di vista della teoria economica il museo è infatti un servizio pubblico, finanziato dallo Stato in vista della possibilità di un consumo simultaneo da parte di molti individui.

Qualunque sia il tipo di statuto, il museo è, a livello globale, un'istituzione senza fini di lucro [1]. e, da un punto di vista economico, ciò pone un problema di identificazione degli obiettivi che la gestione dello stesso è chiamata a massimizzare e realizzare [2]. Il museo è una delle istituzioni culturali più ricche, per il valore delle opere che possiede, ed una tra le più povere, per lo scarto che esiste tra questo valore ed il denaro a disposizione [3]. "Il museo nel senso attuale del termine deve la sua esistenza al desiderio esplicito di dimostrare che il valore "reale" delle opere d'arte supera il loro valore d'uso e al tempo stesso il loro valore di scambio" [4].

Si è riconosciuto come, tra i fattori scatenanti dei processi di sviluppo museale, possa essere ricondotto l'obiettivo di "managerializzazione" delle istituzioni in una logica di miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia della gestione, anche attraverso l'introduzione di innovazioni nelle tecniche adottate per lo svolgimento dei servizi [5]. Prova ne sono le attuali gestioni di diversi musei autonomi italiani che hanno consentito una svolta evolutiva per le istituzioni culturali loro affidate, percepibile su tutto il territorio circostante. Questa evoluzione in senso manageriale, ormai diffusasi su scala mondiale, ha assunto, a seconda dei luoghi, forme diverse.

Le molteplici soluzioni istituzionali emerse sono inevitabilmente legate a elementi di contesto quali il processo storico di formazione dei beni culturali, il sistema amministrativo generale e l'importanza del ruolo offerto alla società civile. Nel modello anglosassone, per esempio, i musei nazionali, ed altre importanti istituzioni culturali, sono gestiti in modo autonomo da Board of Trustees [6] ai quali, intorno alla fine degli anni ottanta, sono state trasferite competenze statali, oltre alle collezioni e agli edifici che ospitano gli attuali musei. Essi hanno la funzione di garantire la tutela delle collezioni e di delineare, nelle loro linee generali, i piani di sviluppo degli istituti. L'autonomia organizzativa dei musei in Inghilterra ha comportato la determinazione di standard in ordine alla qualità del servizio erogato, con la funzione di incentivare il sostegno finanziario da parte di enti pubblici o di privati.

Già nel 1998 è stato introdotto uno schema nazionale, il c.d. Museum registration scheme che individua standard minimi per poter accedere a fondi pubblici [7]. Ogni museo iscritto a tale registro deve annualmente presentare un rapporto che consenta di controllare la qualità di erogazione delle prestazioni ed il rispetto dei parametri stabiliti. Le organizzazioni museali sono configurate quindi come soggetti erogatori di un servizio pubblico e lo Stato assume il ruolo di ente regolatore [8].

L'autonomia di un'istituzione culturale è quel tassello che può innescare l'avvio di un nuovo rapporto col privato e quindi col territorio, libero di alimentarsi, crescere e svilupparsi grazie all'instaurarsi di rapporti di fiducia e scambio di valore tra le parti. Si consente, in tal modo, il riconoscimento della responsabilità di ciascuna parte coinvolta, affinché possano essere individuati gli errori commessi e garantita l'efficienza nell'utilizzo delle risorse pubbliche [9]. In tal senso, le positive evoluzioni italiane in merito all'istituzione di musei autonomi potranno dare conferma alla necessità di queste considerazioni.

2. La Galleria Nazionale vs. The National Gallery

Al fine di far emergere chiaramente l'importanza di quanto affermato fin ora, si cercherà di proporre un confronto concreto tra i modelli di gestione di due importanti musei europei. La Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma e la National Gallery di Londra permetteranno, infatti, di evidenziare le differenze tra le due istituzioni nel rapporto instaurato con soggetti privati. Pur avendo collezioni molto diverse l'una dall'altra e nonostante la distanza che separa gli ordinamenti alle quali appartengono, le due istituzioni risultano di fatto avere gli elementi utili per consentire un'interessante comparazione. Entrambe posseggono lo status di "musei nazionali" dei rispettivi Paesi di appartenenza e sono caratterizzate, in forma differente, da una certa autonomia gestionale. Inoltre, seppur in misura diversa, attraggono un notevole numero di visitatori locali e stranieri. Puntando entrambe ad acquisire una sempre maggiore rilevanza e risonanza nel panorama nazionale ed internazionale, si ritrovano a ideare forme diverse di collaborazione con il mondo dei privati interessati alla valorizzazione del loro patrimonio culturale.

La National Gallery [10] è un museo nazionale, con ingresso gratuito [11], nato come pubblica istituzione, divenuto poi charity trust di diritto speciale in virtù di quanto disposto dal Museums and Galleries Act del 1992 [12]. La sua autonomia gestionale è garantita dalla direzione del Board of Trustees che definisce e persegue gli obiettivi di tutela, valorizzazione e ricerca della Gallery [13]. Il museo è un exempt charity, un non-departmental public body [14] finanziato principalmente dal Ministero e regolato dal Museums and Galleries Act del 1992 [15]. Il trustees handbook descrive le responsabilità del Direttore del museo, riconoscendogli il ruolo di responsabile "for the day-to-day running of the Gallery, for the safe-keeping and enhancement of the collection, and for taking the lead on the main financial (as Accounting Officer) and strategic decisions" [16]. Inoltre, il Direttore è responsabile, sotto il controllo del Board, di tutta l'organizzazione e gestione del museo.

L'analisi dei finanziamenti ricevuti dalla National Gallery per l'anno 2015/2016 può risultare esemplificativa al fine di comprendere l'assetto finanziario del museo inglese. Il Financial statement del 31 marzo 2016 [17] mostra come le entrate per l'anno 2015/2016, escluse le donazioni per l'acquisizione di opere, ammontassero a 24,1 milioni di sterline provenienti dalle sovvenzioni statali, a 9,3 milioni nella voce "altro", 7,2 milioni sotto forma di donazioni e liberalità, 0,3 milioni derivanti dagli investimenti del museo. Risulta così evidente come i finanziamenti statali siano prevalenti rispetto ad altre fonti di income. Ciò nonostante, il loro ammontare non soddisfa i costi prodotti dalla gestione del museo, affidando in tal modo agli investimenti, alle donazioni, alle sponsorizzazioni ed ai lasciti un ruolo cardine nel supportare finanziariamente tutta l'organizzazione museale.

Per tale motivo, diversi sono gli strumenti creati ed utilizzati nel corso degli ultimi vent'anni al fine di attirare capitali privati che possano contribuire considerevolmente alla gestione del museo. Primo fra tutti è il contributo ricevuto attraverso il Gallery's Corporate Membership Programme, istituito nel 1991 per l'apertura della Sainsbury Wing [18] avviando un primo processo di fidelizzazione del pubblico. Inoltre, il George Beaumont Group, The American Friends of the National Gallery London, fondato da Sir Beaumont nel 1993, ha assunto un ruolo sempre più preponderante nel corso degli anni supportando il museo per l'acquisizione di nuove opere e per la realizzazione dei restauri [19].

La National Gallery ha poi costituito il National Gallery's Legacy Programme al fine di predisporre un fondo che potesse beneficiare dei lasciti provenienti dalle eredità di mecenati, sostenitori delle finalità perseguite dal museo. Tale strumento è risultato essenziale per l'acquisizione di nuove opere da integrare nella collezione. Inoltre, grazie all'intervento della Location Filming Company della National Gallery, si consente l'affitto degli spazi interni ed esterni dell'edificio per progetti commerciali o film. L'utilizzo degli spazi del museo da parte di soggetti terzi e l'elevata qualità dei servizi per il pubblico offerti, anche in collaborazione con partner commerciali, ha garantito alla Gallery la possibilità di produrre entrate proprie, essenziali per offrire al pubblico l'altissima qualità dell'impianto espositivo e museale nel suo complesso.

In aggiunta a queste organizzazioni strettamente dipendenti dalla Gallery e dalla sua organizzazione interna, è stata creata la National Gallery Company Limited, un'organizzazione commerciale che contribuisce finanziariamente alla gestione del museo. Il suo intervento concerne l'amministrazione del negozio online, dei negozi all'interno dell'istituzione, del caffè e del ristorante. Si occupa, inoltre, del lavoro editoriale relativo ai cataloghi apportando un contributo rilevante al servizio offerto dal museo ed alla sua attività didattica. Tale società è gestita dal National Gallery Trust, un charitable body che investe e amministra ulteriori liberalità destinate alla Gallery stessa. Il National Gallery Trust persegue i suoi obiettivi assistendo la didattica museale, nonché l'organizzazione della conservazione e tutela della collezione, agevolando in tal modo la fruizione del museo e l'audience development.

Alla luce dell'esperienza descritta in merito all'organizzazione della National Gallery di Londra, è interessante evidenziare la differenza che sussiste tra questa e la Galleria Nazionale di Roma nel coinvolgimento di soggetti privati. E da tale differenza è utile partire anche al fine di proporre una possibile evoluzione della Galleria Nazionale in merito ai diversi rapporti che possono intercorrere con i privati nella gestione museale, pur tenendo sempre conto della distanza culturale e normativa che esiste tra i due paesi coinvolti. Si tenga, infatti, presente che la Galleria Nazionale, a seguito della riforma attuata con il d.p.c.m. n. 171 del 2014 e con il successivo d.m. 23 dicembre 2014 sull'organizzazione e sul funzionamento dei musei statali [20], è stata riconosciuta quale museo autonomo ed ufficio di livello dirigenziale generale [21].

L'organizzazione e gestione interna del museo è garantita dal Consiglio d'Amministrazione, dal Collegio dei Revisori dei Conti e dal Comitato Scientifico, insieme al Direttore (dal 1° novembre 2015 Cristiana Collu), tutti organi previsti dalla riforma. I recenti cambiamenti nell'organizzazione di tutto l'impianto museale, nonché l'approvazione del nuovo Statuto della Galleria (approvato con il d.m. 23 marzo 2017), hanno comportato una ridefinizione della mission del museo. È stata infatti effettuata una ricognizione sullo stato delle collezioni, della struttura, del personale e del complesso dell'attività museale. Ridisegnando nuove strategie di comunicazione e ridefinendo gli spazi del museo, si è dato avvio all'importante riallestimento di una nuova grande mostra della collezione permanente, arricchita da prestiti, e sono stati implementati i servizi per il pubblico, ai quali sono stati dedicati nuovi e più ampi locali. Le risorse finanziarie disposte dal Ministero e dai pochi, ma importanti, soggetti privati coinvolti sono state essenziali per apportare tali trasformazioni, facendo aumentare il numero dei visitatori a 170.869, di cui 135.218 biglietti staccati, rispetto ai 136.935 del 2015 [22].

Il museo ha quindi avviato nuove sinergie culturali muovendo i primi importanti passi nel settore del fundraising. Facendo leva sul nuovo brand "Galleria Nazionale", ha tentato di potenziare le relazioni con aziende, istituzioni e associazioni, costruendo rapporti di partnership e sponsorship. Lo stesso Statuto della Galleria prevede all'art. 2, primo comma, come finalità la promozione della ricerca, sia con risorse interne sia in collaborazione con partner nazionali ed internazionali (non specificando la loro natura di soggetti pubblici o privati). Inoltre, al comma 3, punto i), si afferma come le finalità della Galleria siano perseguite anche mediante la "collaborazione con la Direzione Generale Bilancio e con la Direzione Generale Musei nel favorire l'erogazione di elargizioni liberali da parte dei privati e sostegno della cultura, anche attraverso apposite convenzioni con gli istituti e i luoghi della cultura e gli enti locali e tramite la promozione di progetti di sensibilizzazione e di specifiche campagne di raccolta fondi, anche con modalità di finanziamento collettivo". 


Particolarmente incisivo in questa direzione è stato lo strumento dell'Art Bonus, (d.l. 31 maggio 2014, n. 83), impiegato come canale preferenziale (ma non esclusivo) per la ricezione di donazioni
ed erogazioni liberali. L'impegno della Galleria nel coinvolgere i mecenati nel suo programma culturale è un primo passo per costituire programmi di affiliazione e membership del museo, procedendo verso un modello di istituzione aperta, collaborativa e relazionale, sia nell'ambito delle attività scientifiche e culturali, sia nelle modalità di gestione, organizzazione e finanziamento. Nel corso del 2016 sono stati raccolti 105.000 euro in erogazioni liberali per il sostegno delle attività istituzionali (rispetto al totale previsto di 200.000 euro) provenienti da mecenati anonimi,
dalla Ferrero S.p.A.
e dalla Banca Nazionale delle Comunicazioni per il progetto Museum Beauty Contest.

Oltre allo strumento dell'Art Bonus, nel corso dell'ultimo anno sono stati stipulati anche accordi di co-marketing con aziende private italiane ed internazionali, con l'obiettivo di aumentare le occasioni di visibilità del museo.
Nel 2016 diverse aziende hanno collaborato con la Galleria Nazionale a titolo di donatori, sponsor, sponsor tecnici, partner di progetto e sono stati realizzati 10 eventi privati (presentazioni, meeting, cene di gala, convegni) con un totale di circa 2500 partecipanti. Sempre nell'ambito della promozione museale si è inoltre lavorato al potenziamento delle relazioni con altre istituzioni culturali territoriali, istituendo un sistema di scontistica reciproca.

Inoltre, l'Associazione Amici dell'Arte Moderna a Valle Giulia - A3M, aderente alla Federazione Italiana degli Amici dei Musei, collabora con la Galleria Nazionale al fine di valorizzare le collezioni
e le attività del museo mediante iniziative, quali eventi, restauri o interventi conservativi sulle opere [23]. Finché non venga costituito un vero e proprio programma di membership, l'Associazione, la cui attività potrebbe essere parificata a quella svolta presso la National Gallery dal Gallery's Corporate Membership Programme, George Beaumont Group, The American Friends of the National Gallery London e dal National Gallery's Legacy Programme, potrebbe diventare un polo per la promozione del mecenatismo destinato alla Galleria. Si verrebbe così a creare un rapporto di fidelizzazione con il pubblico di cittadini italiani e stranieri che si rendano disponibili per un costante sostegno all'attività del museo.

Un ulteriore strumento senz'altro utile per la realizzazione di specifici progetti o l'acquisto ed il restauro di determinate opere potrebbe essere quello del crowdfunding, come dichiarato dallo stesso Statuto. Quest'ultimo attirerebbe infatti l'attenzione della cittadinanza e produrrebbe, conseguentemente, un senso di responsabilizzazione e coinvolgimento della collettività territoriale. La stessa Associazione, legata alla Galleria, potrebbe operare in tal senso al fine di promuovere questo strumento largamente utilizzato all'estero. Stesso discorso potrebbe essere fatto per la promozione dell'affitto di sale e spazi del museo a scopi commerciali da parte di privati che conferirebbero un interessante ritorno economico alla gestione complessiva. L'avvio che è stato dato, nel corso dell'ultimo anno, a queste nuove forme di collaborazione sembra indicare la direzione positiva verso la quale la Galleria si sta dirigendo.

Si noti, da ultimo, come nel bilancio a consuntivo [24] 2016 i trasferimenti correnti da parte dello Stato ammontino a 4.467.861,29 euro, mentre i trasferimenti in conto capitale per investimenti (lavori di sicurezza, rinnovo degli impianti, restauro ed acquisizione di nuove opere) dallo Stato siano pari a 2.159.926,00 euro. I proventi dalle concessioni sui beni (royalties dei servizi aggiuntivi - ristorazione e caffetteria, bookshop e didattica gestiti da società specializzate negli specifici servizi offerti - dei relativi affitti degli spazi, dei canoni di riproduzione e delle concessioni degli spazi per eventi) ammontano a 511.716,27 euro, mentre i contributi ricevuti da parte dei privati, sotto forma di erogazioni liberali, ammontano a 105.000,00 euro. Soprattutto alla luce di questi dati appare la necessità di promuovere una maggiore collaborazione, finanziaria e non solo, con i privati che possano offrire risorse fondamentali per la gestione della Galleria.

La partecipazione dei privati costituisce un tentativo di far interagire in modo diverso gli aspetti economici e culturali che coesistono all'interno di un museo. La difficoltà di attuare questa interazione non dipende tanto dalla divergenza degli obiettivi tra le parti coinvolte, quanto dalla non sempre lodevole ambizione che conduce alla determinazione degli stessi. "Se lo scopo è solo far funzionare una caffetteria, o rendere redditizia una libreria, o aumentare i visitatori di un museo, allora non vale la pena di rivoluzionare il modello di gestione. Se invece lo scopo è intervenire sulla funzione del museo e sulla sua capacità di incidere nella realtà, allora si constata che il valore culturale e quello economico possono potenziarsi vicendevolmente" [25].

La ricchezza del museo consiste nella sua collezione, ma la conservazione di questo patrimonio comporta un impegno economico. La fruizione invece è legata alla missione educativa del museo ed alla sua capacità di produrre e diffondere conoscenza insieme ai diversi servizi aggiuntivi che incidono sul valore dato dal visitatore alla visita stessa. Il governo unitario di queste sfere di attività è dunque indispensabile, ma la complessità che la loro coesistenza genera implica non solo il coinvolgimento di più figure professionali, ma anche l'integrazione di diversi sistemi di analisi, che consentano una strategia interdisciplinare. Infatti, per quanto difficile e generatrice di conflitti, la collaborazione pubblico-privata all'interno dell'organizzazione museale deve riguardare la gestione nel suo complesso, garantendo in tal modo un'efficienza che si ripercuote positivamente sulla fruizione del pubblico.

Alla luce delle recenti evoluzioni, la vocazione della Galleria Nazionale appare sempre più quella di un museo votato alla sperimentazione, meno condizionato dalla cornice architettonica e capace di creare un dialogo costante tra il passato ed il presente nel tentativo di affermare quella che può essere definita una "contemporaneità dialettica" [26] o multi-temporale [27]. Coinvolgere il visitatore, farlo sentire parte di una conversazione e cercare nuovi linguaggi, creando spazio per tutti, sembrano essere i nuovi principi ispiratori della nuova Galleria Nazionale. Le "costellazioni" prodotte all'interno del nuovo allestimento del museo necessitano pertanto il sostegno di una comunità composta da soggetti pubblici e privati che possano collaborare per consentire la piena realizzazione di questo progetto lungimirante e all'avanguardia.

L'attuale Direttrice della Galleria Nazionale, Cristiana Collu, in una recente intervista, affermava come la sua visione della Galleria fosse strettamente collegata ad un'idea di museo teso all'ascolto e alla relazione con la specificità del luogo in cui si trova, aspirando alla realizzazione della definizione offerta dal curatore inglese David Thorp. "Mi aspetto da un'istituzione artistica del XXI Secolo che sia flessibile, sincera, democratica, multiculturale, contraddittoria e audace. Splendida quando è ricca, eroica quando non ha denaro. Deve avere la testa fra le nuvole, funzionare in maniera esemplare, avere lo spirito di squadra, i piedi per terra e un cuore grande così. Mi aspetto che ami gli artisti, si prenda cura del pubblico e rimanga aperta sino a tardi" [28]. Affinché questi obiettivi possano essere pienamente raggiunti e la Galleria Nazionale possa divenire un'istituzione internazionalmente riconosciuta, come lo è la National Gallery di Londra, si ritiene che una maggiore collaborazione pubblico-privata possa senz'altro apportare positive evoluzioni per il suo futuro.

3. Le Community Foundations al servizio del sistema museale

Un interessante strumento per la valorizzazione del patrimonio museale nazionale e per consentire un'effettiva cooperazione tra soggetti pubblici e privati è quello delle Community Foundations [29], tipiche degli ordinamenti anglosassoni. Queste non si basano su un modello di partecipazione, ma di comunità, in funzione del particolare tipo di strumenti istituzionali che le caratterizzano. Tale fondazione si contraddistingue infatti per elementi originali in quanto, pur essendo normalmente dedicata ad attività del tipo grant making [30], le risorse finanziarie a tal fine raccolte, non provengono dai redditi del patrimonio, come nel caso della fondazione classica, né dallo scambio di beni e servizi, come nel caso delle fondazioni operative a patrimonio progressivo, bensì dalla raccolta di donazioni e legati della comunità di riferimento.

In Italia, tra le forme di collaborazione pubblico-privata lo strumento delle fondazioni risulta spesso essere il più efficiente, in termini di gestione artistica, finanziaria e del personale [31]. Diverse sono in infatti le fondazioni museali partecipate sviluppatesi a partire dalla riforma apportata dal d.m. Mibac del 27 novembre 2001, n. 491 [32], i cui contenuti furono successivamente trasposti nel Codice dei beni culturali (d.lgs. 42/2004), artt. 112 [33] e 115 [34]. Ciò nonostante, tale modello istituzionale non è sempre visto positivamente dagli operatori interni del settore culturale che temono un eccessivo intervento dei soggetti privati nella gestione del patrimonio.

L'intuizione insita nel ricorso alle "fondazioni di comunità" consiste invece nel constatare che vi sono in ogni comunità un numero elevato di risorse che possono essere utilizzate per migliorare la qualità della vita, ma che non vengono stimolate e sfruttate in modo adeguato. In questo quadro, la fondazione ha lo scopo di rappresentare un'infrastruttura giuridica e organizzativa capace di supportare singoli od organizzazioni intenzionate ad offrire un contributo concreto, finanziario e operativo alla crescita civile ed economica di un territorio. Essa è, quindi, un'istituzione della comunità, nel senso che dalla comunità assume risorse e deleghe e alla comunità distribuisce risorse e servizi. Il governo di queste istituzioni è generalmente affidato ad un board composto da soggetti fortemente rappresentativi (opinion leaders) delle categorie di stakeholders componenti la comunità di riferimento.

Nella prassi sarebbe auspicabile sviluppare fondazioni ibride che sappiano efficacemente compenetrare elementi propri della fondazione di partecipazione con quelli della fondazione di comunità, così da garantire alle istituzioni pubbliche coinvolte nelle nuove "cabine di regia" una funzione più efficace al fine di poter aiutare dall'alto i soggetti locali a mobilitare dal basso le risorse e le competenze necessarie per una maggiore competitività sul territorio. Le nuove fondazioni verrebbero così investite di un ruolo non semplicemente distributivo, ma anche commutativo, innestando nel territorio patrimoni conoscitivi e promuovendo la creatività comunitaria [35].

Le Community Foundations avrebbero come obiettivo la mobilitazione ed il coordinamento strategico della filantropia comunitaria, utilizzando le risorse messe a disposizione dalle fondazioni bancarie come moltiplicatore e catalizzatore dei fondi provenienti da singoli donatori, dalle fondazioni individuali, dalle imprese e dal mondo del terzo settore e del privato sociale. I fondi raccolti verrebbero poi utilizzati per finanziare progetti, normalmente promossi da organizzazioni no profit, in alcuni casi anche in partnership con operatori pubblici.

In tali organizzazioni, potrebbero essere delegate a società strumentali, o collegate alla fondazione, specifiche attività remunerative sotto il profilo finanziario, delle quali rendere partecipi soggetti privati portatori di interessi imprenditoriali specifici di breve, medio o lungo termine, sul modello dei cultural districts [36]. In tal senso, queste particolari fondazioni potrebbero fungere da community development corporations, pensate quali centri di governo e coordinamento strategico tra soggetti pubblici e privati, espressione di una nuova forma di soggettività sociale e nuovo strumento della progettualità locale nel campo culturale.

Le proposte innovative non sono però sufficienti per apportare un cambiamento significativo nella gestione museale e nell'allocazione delle risorse pubbliche. Gli strumenti proposti si basano infatti sullo sviluppo di una capacità strategica di coordinamento delle stesse Amministrazioni Pubbliche necessaria per superare logiche di partenariato pubblico-privato, ormai ingessate sulle forme giuridico-istituzionali. Tali fondazioni sarebbero pertanto finalizzate alla co-progettazione e co-realizzazione degli interventi di promozione dell'arte e della cultura a livello locale [37], in controtendenza rispetto all'antagonismo dilagante nel settore tra i diversi soggetti coinvolti.

Solo in questi termini si può parlare di un sistema capace di favorire, partendo dalle risorse culturali del territorio, la democrazia e lo sviluppo locale dei singoli contesti. La logica è quella di un investimento nella "comunità concreta" di memoria olivettiana. Adriano Olivetti infatti, all'interno di un più complesso e articolato disegno d'ingegneria istituzionale, richiamava la cultura come elemento di coesione sociale e fattore di crescita della competitività economica del territorio [38].

4. Conclusioni

Da quanto precedentemente evidenziato, appare chiaro come gli esempi virtuosi di collaborazione del pubblico con i privati concretizzino l'idea secondo la quale la partecipazione di questi ultimi risulti essenziale al fine di arricchire il pubblico di esperienze di buona gestione per la polis. Il pubblico si fa infatti portatore di idee, progetti e visioni di lungo termine, di interesse per l'intera collettività, mentre il privato agisce sulla spinta del mercato, con reazioni immediate ai problemi legati alla fruizione. Non si può prescindere dal pubblico poiché rappresenta la totalità dei cittadini e la dimensione democratica comune della cultura, ma allo stesso tempo è necessario il meccanismo di feedback che si instaura nel rapporto di collaborazione pubblico-privata. Ciò nonostante, la politica culturale non può mutare con la velocità degli andamenti del mercato, poiché necessita che le parti pubbliche e private costituiscano una squadra che integri e complementi le rispettive mancanze, cosicché l'attrazione di risorse private non sostituisca quelle pubbliche, ma offra una spinta ulteriore per un salto di qualità.

Elemento cardine del rapporto pubblico-privato risulta essere l'ascolto reciproco degli obiettivi delle parti coinvolte. Negli ordinamenti anglosassoni si parla di arm's lenght management, una gestione lontana dalla politicizzazione dei ruoli e in cui la politica pubblica penetra solo offrendo una visione di lungo termine e non progetti culturali specifici. Occorre che la progettazione culturale dell'istituzione rimanga indipendente sia dalle influenze della politica pubblica, e relative strategie di "politicizzazione", sia dai sottostanti interessi legati al mero profitto aziendale al fine di stabilire il giusto equilibrio, indispensabile per una migliore gestione culturale dell'istituzione.

Il sistema centralizzato italiano non tiene sempre conto delle competenze ed esigenze dei territori locali in cui risiedono i diversi istituti museali e, per tale motivo, in certi casi, sembrerebbe necessario lasciare un ulteriore margine di autonomia gestionale. In tal senso, la fondazione apparirebbe la struttura più idonea per la gestione dei beni culturali che, restando comunque pubblici e di appartenenza statale, potrebbero essere così gestiti con l'autonomia e l'efficienza che manca spesso ai musei italiani, anche autonomi.

A seguito dei colloqui intercorsi con alcuni Direttori di importanti musei italiani [39] è emerso il giudizio unanime circa la necessità di incrementare il coinvolgimento di finanziatori esteri, anche mediante la creazione di reti internazionali di fidelizzazione, e di consentire autonomia gestionale per quanto concerne le risorse umane. Piuttosto che definire la privatizzazione come "una catastrofe morale" [40], si ritiene che puntando sulla promozione di efficaci forme di collaborazione pubblico-privata si possano ottenere notevoli vantaggi per tutte le parti coinvolte nella gestione del patrimonio culturale. Considerazioni come quella dello storico britannico Tony Judt non sembrano particolarmente costruttive e lungimiranti, in particolare per quanto concerne il settore dei beni culturali italiano, ma restano comunque un importante stimolo di riflessione e autocritica in un sistema che ancora manca di una struttura organizzativa e gestionale che si autosostenga.

Oltre ad una maggiore promozione delle diverse forme di mecenatismo individuale e collettivo si è avuto modo di rimarcare l'importanza del coinvolgimento della comunità nella gestione del patrimonio culturale, mediante la creazione di fondazioni o cooperative, che stimolino le diverse energie e risorse presenti sul territorio, per la valorizzazione e tutela del patrimonio. La commistione delle competenze di soggetti provenienti da esperienze diverse può infatti consentire una gestione più efficiente ed una maggiore flessibilità delle capacità e dei ruoli personali ed istituzionali, che consentano un arricchimento reciproco per le parti coinvolte.

Arthur Cecil Pigou sottolineava come la produzione ed il consumo di beni culturali producessero effetti positivi sulla società, per il contributo che essi apportavano (e apportano) alla coesione sociale ed alla formazione degli uomini [41] e lo stesso Tibor Scitovsky [42] riteneva che proprio in questo importante contributo per la società risiedesse la giustificazione del sostegno pubblico. Tale effetto positivo non è sempre percepito dai cittadini e, per tale motivo, i beni culturali devono essere tutelati dallo Stato che deve farsi carico di stimolarne la fruizione e valorizzazione.

Lionel Robbins sottolineava, inoltre, come gli effetti positivi dell'arte non toccassero solo coloro che fossero disposti a fruirne, ma una comunità più vasta [43]. Il bene culturale è infatti un "bene sociale irriducibile", i cui benefici non possono essere attribuiti a singoli individui [44]. Solo lo Stato, con la collaborazione della comunità, è in grado di proteggere e sostenere il patrimonio culturale per il futuro. Il bene pubblico non è tanto il bene culturale in sé, quanto l'insieme delle norme e dei valori, il capitale di valori estetici comuni che presiedono al riconoscimento del carattere culturale del bene.

L'Amministrazione si è sempre più integrata nella società, finendo per operare al servizio del pubblico in un ordinamento costituzionale nel quale la sovranità appartiene al popolo [45]. Al di là delle forme giuridiche di azione, l'apparato pubblico diventa soprattutto un soggetto erogatore di beni ed utilità, come emergeva già dalle analisi di Massimo Severo Giannini nel 1979 ove l'autore parlava di "azienda Stato" [46]. Amministratori e privati concorrono così alla realizzazione di obiettivi di interesse generale, per i quali nuove forme organizzative si accompagnano al diffuso ricorso agli istituti di diritto comune.

Il fenomeno costituisce una sorta di "indicator of changing functions of the State and the role of public law" [47] nel quale, accanto alle relazioni classiche tra Stato e cittadino, vi sono quelle caratterizzate dallo svolgimento in comune di funzioni e servizi di interesse generale e dall'adempimento di missioni specifiche. Moduli d'azione civilistici sono guidati da indirizzi e controlli pubblici e le discipline pubbliche trovano naturale complemento in quelle privatistiche [48]. La vigenza delle une non è infatti di ostacolo all'applicazione delle altre, come si è avuto modo di evidenziare nel corso di quest'analisi, specie se si considera che i privati sono subentrati laddove lo Stato non garantiva servizi sufficienti per la collettività.

È quindi necessario "riconoscere al patrimonio storico, archeologico, artistico e paesistico, un preminente valore di civiltà, assoluto, universale e non transeunte, tale da caratterizzarlo come patrimonio dell'umanità di cui ogni possessore singolo, ogni Paese, ogni generazione debbono considerarsi soltanto depositari, e quindi responsabili di fronte alla società, a tutto il mondo civile e alle generazioni future" [49]. Alla luce di queste considerazioni, non essendo noi i padroni dei nostri tesori, ma essendone solo i custodi, appare indispensabile ribadire l'importanza di una costante collaborazione di tutte le parti, pubbliche e private. Si potrà così garantire la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e la sopravvivenza di questi essenziali "beni comuni" [50].

 

Note

[1] Esplicitamente definito come tale anche in diversi paesi esteri come gli Stati Uniti dove è un ente non profit o la Gran Bretagna dove è considerato una charity.

[2] Cfr. F. Benhamou, L'economia della cultura, Bologna, 2012, pagg. 77-94.

[3] In tal senso, W. Santagata, La fabbrica della cultura, Ritrovare la creatività per aiutare lo sviluppo del paese, Bologna, 2007, pag. 111 ss.

[4] Cfr. P. Werner, Museo S.p.A. La globalizzazione della cultura, Milano, 2009, pag. 15.

[5] V. L. Zan, Economia dei musei e retorica del management, Firenze, 2007.

[6] La maggioranza dei componenti dei Board of Trustees sono nominati dal ministro per la Cultura, venendosi cosí a creare uno stretto legame di controllo tra le isitituzioni governative e quelle museali.

[7] Cfr. T. Ambrose, Musei in Gran Bretagna, in IBC, 1995, n. 2, pag. 10 ss. Inoltre, v. Museums and Galleries Commission, Building on success. Local Authorities and Museums towards 2000, 1994.

[8] V. S. Foà, La gestione dei beni culturali, Torino, 2001, pag. 320.

[9] In tal senso v. F. Severino, Autonomia finanziaria e responsabilità giuridica per gli amministratori culturali, in Cultura e sviluppo. Il problema dei beni culturali in Italia: criticità e soluzioni, (a cura di) P.L. Scandizzo, Soveria Mannelli, 2012, pag. 193 ss.

[10] Per ulteriori approfondimenti sulla gestione museale inglese v. T. Doubleday, Legal powers and Prohibiotions on de-accessioning Affecting museums and galleries in the UK, in L'inaliénabilité des collections, performances et limites?, (a cura di) M. Cornu, J. Fromageau, J.-F. Poli, A.-C. Taylor, Paris, 2012. A. Maresca Compagna, M. Sani, Musei di qualità. Sistemi di accreditamento dei musei d'Europa, Roma, 2004. Inoltre, per un approfondimento sulla tutela del patrimonio v. C. De Noblet, Protection du patrimoine architectural aux États-Unis et au Royaume-Uni, Paris, 2009.

[11] V. informazioni e dati disponibili sul sito della Gallery www.nationalgallery.org.uk.

[12] Per questo motivo il museo da un lato è sottratto al controllo della Charity Commissions in quanto exempt charity, dall'altro, ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile, è classificato come quangos, ovvero come ente pubblico esecutivo non dipartimentale. V. S. Pellizzari, Il ruolo dei privati e la tutela del patrimonio culturale nell'ordinamento giuridico inglese: un modello esportabile?, in Aedon, 2010, 1.

[13] V. National Gallery Corporate Plan 2013 disponibile sul sito della Galleria www.nationalgallery.org.uk.

[14] Per una definizione del termine v. www.gov.uk/guidance/public-bodies-reform. Inoltre, sul sito http://old.culture.gov.uk/about_us/our_sponsored_bodies/963.aspx è possibile visionare la lista dei NDPBs sponsorizzati dal Department for Culture, Media and Sports.

[15] Disponibile sul sito www.legislation.gov.uk.

[16] Disponibile sul sito www.nationalgallery.org.uk.

[17] V. Annual report per l'anno 2015-2016. Disponibile sul sito www.nationalgallery.org.uk.

[18] Tutte le informazioni successive relative alla National Gallery sono reperibili sul sito della Gallery stessa.

[19] "The George Beaumont Group and George Beaumont Circle are part of this legacy, and their support and donations enable the Gallery to continue to care for its outstanding collection and preserve it for this and future generations, as well as fund new acquisitions and curatorial positions, and support our thriving exhibitions programme" v. www.nationalgallery.org.uk.

[20] Per un commento al d.m. 23 dicembre 2014, v. P. Forte, I nuovi musei statali: un primo passo nella giusta direzione, in Aedon, 2015, 1. Inoltre, E. Cavalieri, La riforma dei musei statali, in Giorn. dir. amm., 2015, 3; L. Casini, Ereditare il futuro, Bologna, 2016.

[21] L'articolo 35 del d.p.c.m. n. 171/2014 afferma che i musei "sono dotati di autonomia tecnico-scientifica e svolgono funzioni di tutela e valorizzazione delle raccolte in loro consegna, assicurandone la pubblica fruizione. I musei sono dotati di un proprio statuto e possono sottoscrivere, anche per fini di didattica, convenzioni con enti pubblici e istituti di studio e ricerca".

[22] V. La Galleria Nazionale Report 2016 disponibile sul sito www.lagallerianazionale.com.

[23] V. La Galleria Nazionale Report 2016 disponibile sul sito www.lagallerianazionale.com.

[24] V. Nota illustrativa al bilancio a consuntivo 2016 disponibile sul sito ufficiale della Galleria Nazionale.

[25] Così M.V. Marini Clarelli, La Galleria nazionale di arte moderna e contemporanea di Roma, in Aedon, 2008, 2. La quale affermava inoltre che "se si separa la gestione dei processi di tutela da quella dei processi di valorizzazione, lasciando la prima in mano alla direzione del Museo e esternalizzando l'altra, si cade in una schizofrenia che, prima o poi, finisce per alterare la fisionomia della struttura".

[26] Per una descrizione più precisa del termine v. C. Bishop, Museologia radicale. Ovvero cos'è "contemporaneo" nei musei di arte contemporanea?, Cremona, 2017.

[27] V., in tal senso, il comunicato stampa della mostra Time is Out of Joint del 10 ottobre 2016, disponibile sul sito della Galleria e aperta al pubblico fino al 15 aprile 2018.

[28] Da un'intervista all'attuale Direttrice della Galleria Nazionale, v. Gerundino N., Come ti ribalto un museo. Intervista a Cristiana Collu, su www.zero.eu, 22 novembre 2016.

[29] Per un'analisi del caso italiano v. F. Ferrucci, Le community foundations in Italia: esperienze e prospettive, in Generare "il civile": nuove esperienze nella società italiana, (a cura di) P. Donati, I. Colozzi, Bologna, 2001.

[30] Attività consistente nell'erogare denaro ad organizzazioni no profit che operano nel settore. Un caso in un certo senso affine per le modalità di intervento, nonostante si tratti di un'associazione, si presenta in Piemonte dove la Consulta per la valorizzazione, della quale fanno parte da 25 anni le maggiori imprese piemontesi tese alla promozione di progetti di valorizzazione del patrimonio cittadino, ha dato vita ad una forma di mecenatismo collettivo che ha consolidato il senso di appartenenza delle persone alla loro città ed ha provocato una crescita dell'economia del territorio.

[31] V. il caso della Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino. Cfr. S. Foà, Lo statuto-tipo della fondazione museale: il caso del Museo egizio di Torino, in Aedon, 2003, 2. Tra coloro che sollecitano un maggior ricorso al modello della fondazione v. E. Peuchot, La fondation pour une gestion autonome et responsable, inoltre J. Rigaud, Fondations sans frontières, in AA.VV., Droit au musée droit des musées, Paris, 1994. L. Zan, Managerializzazione delle organizzazioni culturali e assetto istituzionale. La trasformazione in fondazione in prospettiva manageriale, cit., pag. 111 ss.

[32] "Regolamento recante disposizioni concernenti la costituzione e la partecipazione a fondazioni da parte del Ministero per i beni e le attività culturali a norma dell'articolo 10 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 e successive modificazioni".

[33] Al comma 5, come riformato dal d.lgs. del 24 marzo 2006, n. 156, ove si prevede che "lo Stato, per il tramite del Ministero e delle altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono costituire, nel rispetto delle vigenti disposizioni, apposite soggetti giuridici cui affidare l'elaborazione e lo sviluppo dei piani di cui al comma 4".

[34] Al comma 7, dispone che "le amministrazioni possono partecipare al patrimonio dei soggetti di cui all'art. 112, comma 5, anche con il conferimento in uso dei beni culturali che ad esse pertengono e che siano oggetto della valorizzazione...".

[35] Per un ulteriore approfondimento in proposito v. A. Hinna, M. Minuti, Agenda aperta per un dibattito sulla gestione dei beni e delle attività culturali, in Cultura e sviluppo. Il problema dei beni culturali in Italia: criticità e soluzioni, cit., pag. 52 ss.

[36] V. per esempio il caso dei distretti culturali di Bilbao o di Glasgow. Per i quali v. A. Hinna, op. ult. cit.

[37] Opinioni sostenute anche da M. Meneguzzo, Reinventare la finanza per il settore culturale e artistico a livello locale, in Cultura e sviluppo, cit., pag. 177 ss.

[38] V. A. Olivetti, L'ordine politico della comunità, Milano, 1970.

[39] Il Direttore della Pinacoteca di Brera a Milano, Dott. James Bradburne, il Direttore della Reggia di Caserta, Dott. Mauro Felicori, il Direttore della Fondazione Museo Egizio di Torino, Prof. Christian Greco.

[40] V. T. Judt, Novecento, Roma, 2012. Il quale afferma che è evidente "l'incapacità del mercato e degli interessi privati di operare a vantaggio della collettività [...] Che cosa significa "privatizzazione"? Sottrarre allo Stato la capacità e la responsabilità di rimediare alle carenze nella vita delle persone; eliminare il peso di quelle stesse responsabilità anche dalla coscienza dei cittadini, che non condividono più l'onere dei dilemmi comuni. Tutto ciò che resta è l'impulso caritatevole derivante da un senso di colpa individuale. Abbiamo buoni motivi per ritenere che questo impulso caritatevole sia una risposta sempre meno adeguata alla carenza di risorse distribuite in maniera diseguale nelle società ricche. Così, anche se la privatizzazione fosse il successo economico che le viene attribuito (e decisamente non lo è), rimarrebbe una catastrofe morale in fieri".

[41] Affermazione di A.C. Pigou, tra i fondatori dell'economia del benessere, rielaborata nell'opera di f. Benhamou, L'economia della cultura, cit., pag. 132.

[42] T. Scitovsky, What's wrong with the arts is what's wrong with society, AER, 1972.

[43] L. Robbins, Politics and Economics, 1963.

[44] V. D. Throsby, The Production and Consumption of the Arts: A View of Cultural Economics, Journal of Economic Literature, Vol. XXXII, 1994, pagg. 1–29.

[45] V. in tal senso G. Napolitano, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Milano, 2003, pagg. 35-245.

[46] Cfr. M.S. Giannini, Rapporto sui principali problemi dell'Amministrazione dello Stato (trasmesso alle Camere il 16 novembre 1979), in Riv. trim. dir. pubbl. 1982, pag. 721 ss.

[47] Così, H.-H. Trute, The After Privatisation: Final Conclusions, Rev. Eur. Dr. Pubbl. 1994, numéro hors série, PAG. 211.

[48] Cfr. Napolitano G., op. ult. cit.

[49] Parole estrapolate dalla Dichiarazione di principio della Commissione Franceschini, in AA.VV., Per la salvezza dei beni culturali in Italia, Atti e documenti della Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, Roma, 1967.

[50] V. l'introduzione di Stefano Rodotà all'opera AA.VV., Beni comuni, Milano, 2015. Inoltre, S. Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, Bologna, 2013; U. Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Roma, 2011.

 

 



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