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L'amministrazione del paesaggio nel Codice dei beni culturali, in attesa della sua riforma

Verso la revisione del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Profili critici e punti di forza del sistema di amministrazione del paesaggio

di Alfonso Serritiello

Sommario: 1. L'istituzione della Commissione per la revisione del Codice. - 2. L'attuale configurazione del sistema di amministrazione del paesaggio. L'art. 146 del Codice a seguito delle modifiche apportate dall'art. 39 della legge 9 agosto 2013, n. 98. - 2.1. (Segue) I profili di criticità dell'attuale sistema di amministrazione del paesaggio: la conflittualità tra Stato e regioni nell'attività di tutela del paesaggio. - 2.1.2. Ancora sui profili critici dell'attuale sistema di amministrazione del paesaggio: la semplificazione nel sistema di amministrazione del paesaggio. - 2.2. I punti di forza del Codice. - 3. Le possibili soluzioni alle criticità.

Towards the Revision of Code of the Cultural Heritage and Landscape. Critical Profiles and Strengths of the System of Administration of the Landscape
The author of the essay, after analysing the critical issues and the strengths of the current system of landscape administration, makes some proposals to amend the Part III of Legislative Decree no. 42/04 which in recent years has been the object of several legislative measures which have affected, sometimes in a desultory way, the main institutions of landscape protection. On closer inspection of these proposals the reader may realize that their common denominator is the need of a clear reaffirmation of the centrality of government administration in the practice of landscape functions. At the end of the essay the author highlights the need to adopt, in the cultural heritage sector, new policies which bring out the importance of landscape as a "common good" and, more generally, the importance of the public interest as "the foundation of the common life". Such policies will incur more resolutely the awareness of environmental issues by ending the worst practice of the amnesty for infringements of building regulations which originated as an "exception", owing to its many iterations, is increasingly taking on the appearance of an "habit".

Keywords: Landscape Administration; Amendement of Code; Preservation and Enhancement of Landscape.

1. L'istituzione della Commissione per la revisione del Codice

A distanza di cinque anni dagli ultimi decreti legislativi correttivi ed integrativi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 la prassi applicativa ha reso evidente la necessità di procedere ad una definitiva messa a punto del testo medesimo, pur lasciandone invariata la struttura.

Pertanto è stata recentemente istituita presso il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del turismo la commissione per la revisione del Codice alla quale è stato affidato il compito di analizzare le criticità dell'attuale normativa e di formulare precise proposte di modifica di un testo le cui disposizioni richiedono di essere integrate e chiarite in diversi punti. Nell'elaborare tali proposte la Commissione dovrà uniformarsi a quanto riportato nelle Linee programmatiche esposte dal Ministro Bray nel maggio 2013 in audizione congiunta alle commissioni Cultura di Camera e Senato.

Relativamente alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio essa dovrà affrontare difficili tematiche quali: la qualità dell'architettura e del paesaggio e la riqualificazione del tessuti urbani degradati; la co-pianificazione territoriale ed il rapporto con le regioni; la tutela del paesaggio e le energie rinnovabili; la salvaguardia del paesaggio agrario attraverso il contenimento del consumo del suolo.

2. L'attuale configurazione del sistema di amministrazione del paesaggio. L'art. 146 del Codice a seguito delle modifiche apportate dall'art. 39 della legge 9 agosto 2013, n. 98

E' bene precisare che la Commissione si troverà ad operare in un quadro notevolmente complesso a causa di diversi fattori.

In primis per la pluralità di attori istituzionali con cui sarà necessario procedere ad un difficile confronto per addivenire ad un testo il più possibile condiviso.

In secondo luogo per i numerosi interventi legislativi che di recente [1] hanno modificato, talora in maniera disorganica, numerose norme del Codice incidendo anche sugli istituti principali della legislazione paesaggistica.

In particolare, si fa riferimento alle modifiche all'art. 146 del Codice apportate dall'art. 39 della legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69. Ebbene, pur nell'economia della presente trattazione, non si può fare a meno di procedere alla disamina delle stesse per la loro rilevanza di certo non secondaria.

Le recenti scelte legislative hanno innanzitutto innovato il regime di validità-efficacia dell'autorizzazione paesaggistica regolato dal comma 4 dell'art. 146 del Codice.

Come è noto, tale regime, già disciplinato dall'art. 16 del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, rinveniva la sua ratio nella necessità di consentire all'Amministrazione di compiere, alla scadenza del termine di efficacia, nuovi accertamenti e valutazioni al fine di stabilire se l'opera risulti compatibile con gli interessi pubblici in tema di bellezze naturali che si intendono salvaguardare [2].

Ora, la nuova formulazione legislativa risultante dalla legge di conversione determina un sostanziale mutamento di tale disciplina prevedendo che "qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio, l'autorizzazione si considera efficace per tutta la durata degli stessi".

Ebbene, la disposizione in esame si configura chiaramente come il precipitato delle istanze provenienti dal mondo edilizio di "rilanciare" l'attività edilizia attraverso la rimozione di tutte le norme, sia in ambito urbanistico che in quello paesaggistico, non ritenute funzionali allo sviluppo economico.

Tale norma però, nell'attribuire di fatto un'efficacia sine die al titolo abilitativo paesaggistico, realizza un assetto di interessi indubbiamente squilibrato rispetto a quelle esigenze di tutela che senza soluzione di continuità avevano sempre orientato il legislatore verso la previsione di un'efficacia temporale limitata al fine di assicurare un nuovo esame di compatibilità paesaggistica alla luce non solo di mutamenti della situazione di fatto ma anche di eventuali norme di tutela sopravvenute.

Maggiormente equilibrata, seppure enucleata in un testo di legge di non facile lettura, appariva invece l'originaria formulazione del decreto legge secondo cui, sempreché i lavori fossero iniziati nei cinque anni dal rilascio, il titolo autorizzativo avrebbe esplicato i suoi effetti anche per un periodo superiore a quello quinquennale, ma nel contempo non superiore a dodici mesi dalla scadenza del quinquennio.

Ed invece, si è addivenuti ad una soluzione drastica che non considera debitamente il carattere basilare dei limiti temporali all'attività edilizia: la rilevanza di tali limiti, peraltro, è riconosciuta anche in materia urbanistica in cui il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori [3].

A parere di chi scrive un giusto compromesso fra le antitetiche esigenze che caratterizzano il settore avrebbe potuto essere raggiunto attraverso l'approvazione del regolamento di modifica del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 recante il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità [4]. L'art. 1 del nuovo testo regolamentare disponeva infatti che "sono assoggettate a procedimento semplificato le istanze di rinnovo di autorizzazioni paesaggistiche scadute da non più di centoventi giorni, relative ad interventi in tutto o in parte non eseguiti, a condizione che il progetto risulti conforme in ogni sua parte a quanto precedentemente autorizzato ed alle specifiche prescrizioni di tutela eventualmente sopravvenute".

In tal modo si sarebbe mantenuto in vigore il regime di efficacia temporale limitata ed allo stesso tempo, per il tramite dell'esperimento della procedura semplificata, si sarebbero evitate inutili lungaggini nell'approvazione di un progetto già in passato valutato favorevolmente dall'amministrazione preposta alla tutela paesaggistica [5].

V'è ancora da sottolineare che l'art. 39 del provvedimento legislativo in esame è intervenuto anche sulla sequenza procedimentale delineata dall'art. 146.

In primo luogo ha eliminato l'ipotesi di silenzio assenso prevista dalla norma con riguardo al futuro regime fondato sul carattere meramente obbligatorio del parere della soprintendenza [6].

In sintesi, il legislatore, in ossequio ai tralatizi insegnamenti del giudice delle leggi [7], ha disposto che in futuro, una volta entrata in vigore la nuova disciplina caratterizzata dal riconoscimento del preminente peso dell'ente territoriale nella gestione del vincolo e dalla c.d. dequotazione della valutazione dell'amministrazione preposta alla tutela, il mancato pronunciamento della soprintendenza non si connoterà come valutazione favorevole degli interventi prospettati nell'istanza di autorizzazione paesaggistica.

In sede di conversione è stato invece soppresso il terzo comma dell'art. 39 che aveva contemplato il venir meno della fase eventuale, susseguente all'eventuale omissione del parere della Soprintendenza, imperniata sulla facoltativa indizione della conferenza di servizi.

La soppressione della conferenza di servizi si configurava indubbiamente come il frutto delle costanti politiche di semplificazione tese di fatto unicamente all'accelerazione procedimentale, a prescindere dal perseguimento degli obiettivi di tutela che dovrebbero sempre informare l'operato del legislatore nel sistema di amministrazione del paesaggio. L'abrogazione della previsione legislativa dell'istituto della conferenza di servizi, introdotto dal primo decreto correttivo del 2006, non teneva però rettamente conto della natura di tale modulo procedimentale che, alla luce di un'analisi più attenta e consapevole, può essere inquadrato tra le tecniche di razionalizzazione e di miglioramento della qualità dell'azione amministrativa.

Ed invero, come eminentemente osservato, "la conferenza è stata introdotta nell'ordinamento essenzialmente a fini di semplificazione procedimentale, quale espressione del principio di buon andamento in un tentativo di ricomposizione delle funzioni amministrative che, nel nostro ordinamento, sono disperse e frammentate" [8]. Pertanto, pienamente condivisibile può essere ritenuta la retromarcia legislativa che ha portato al ripristino ex tunc [9] dell'istituto conferenziario nel procedimento autorizzatorio.

Tutt'al più, visto il pieno riconoscimento della valenza di tale strumento procedimentale, appare oramai indifferibile l'emanazione di disposizioni volte a chiarire i rapporti tra la disciplina speciale di cui all'art. 146 e quella generale contemplata dalla legge sul procedimento amministrativo. In tal modo sarà così possibile dissipare i dubbi relativi al valore giuridico da attribuire all'eventuale silenzio della soprintendenza oltre che all'azionabilità del meccanismo di superamento del dissenso fondato sullo spostamento verso l'alto, ossia al Consiglio dei ministri, del potere decisorio [10].

2.1. (Segue) I profili di criticità dell'attuale sistema di amministrazione del paesaggio: la conflittualità tra Stato e regioni nell'attività di tutela del paesaggio

Per quanto riguarda i profili di criticità del sistema di amministrazione del paesaggio [11] si evidenzia in primis la sussistenza di una vera e propria labirintica segmentazione di competenze tra lo Stato da una parte e le regioni dall'altra.

Orbene, il policentrismo della materia è causa di una serie di effetti negativi che involgono nel contempo la posizione giuridica del cittadino e il buon andamento della Pubblica Amministrazione. Invero, la distribuzione della materia su diversi livelli istituzionali rappresenta in molti casi un ostacolo insormontabile alla certezza dei tempi procedimentali e alla prevedibilità, a cui ogni soggetto di diritto è interessato, dell'azione amministrativa. Ancora il coinvolgimento di soggetti portatori di interessi antagonisti genera un lacerante conflitto di competenze che indebolisce i pubblici poteri deresponsabilizzando e depotenziando le amministrazioni [12].

Per dirla con Settis "l'intrico normativo e la segmentazione delle competenze ... sono di fatto un aiuto al partito del cemento (sono pertanto di ostacolo ad un'efficace tutela del paesaggio, n.d.r.); essi creano un'area grigia sempre più vasta in cui l'incertezza del diritto non solo genera conflitti di interessi ed estende lo spazio dell'interpretazione ma legittima e promuove l'arbitrio del singolo". L'effettività della norma viene così frustrata dalle continue schermaglie tra i diversi livelli istituzionali.

D'altronde, è stato sottolineato [13] che "la tensione fra le spinte regionaliste ad appropriarsi della materia e le resistenze dello Stato (...) non ha solo eroso gli istituti, ma ha prodotto una loro riconfigurazione, sovente in senso peggiorativo". Sussisterebbe dunque "una correlazione diretta e visibile tra oscillazioni del legislatore in tema di riparto delle competenze e trasformazione degli istituti".

La gravità della situazione è poi acuita da un'endemica confusione terminologica inerente alla nozione giuridica di paesaggio; le incertezze che involgono tale concetto concretano un pernicioso punctum dolens dell'intero sistema in quanto hanno a che fare con l'oggetto delle competenze degli attori pubblici. Ma vi è di più. Si assiste ad una tendenza, mai sopita ed anzi ora alimentata da una dubbia interpretazione della Convenzione europea del paesaggio malgrado l'inequivocabile orientamento in senso contrario del Giudice delle leggi [14], a far rientrare la materia del paesaggio nel governo del territorio e quindi nell'alveo delle competenze regionali alla luce di una concezione integrale e panurbanistica basata sul ruolo primario della pianificazione (meglio ancora se mista o addirittura unicamente urbanistica) [15].

In verità, l'intricata sovrapposizione di poteri si configura come la cartina di tornasole delle lacune riscontrabili nell'iter che ha condotto all'istituzione delle regioni a statuto ordinario e in seguito all'implementazione dell'autonomia regionale per il tramite della novella del Titolo V della Parte II della Costituzione.

E' infatti evidente che le contraddizioni che hanno caratterizzato dapprima l'attuazione del decentramento amministrativo e in seguito la svolta autonomista con la nota riforma ad opera delle legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, contribuiscono a rendere la materia del paesaggio, di particolare incisività e delicatezza, "sede di conflitti istituzionali e di interessi anche pubblici frequentemente contrapposti [16].

La complessità dell'assetto delle competenze e degli interessi rilevanti in ambito paesaggistico è stata emblematicamente riconosciuta in più arresti dalla Corte costituzionale: a parere del giudice delle leggi [17] "sul territorio vengono a gravare più interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.; dall'altro, quelli riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtù del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni".

E' stato attentamente osservato [18] che l'intero sistema di amministrazione del paesaggio è caratterizzato da "un multiforme dualismo che (...) si dipana attraverso tutta la disciplina, dalla tutela in senso stretto dei beni paesaggistici, alla salvaguardia e valorizzazione del paesaggio diffuso, alla gestione dei vincoli paesaggistici attraverso l'autorizzazione paesaggistica".

Occorre infatti evidenziare che la natura policentrica della materia si ravvisa negli istituti cardine disciplinati dalla Parte III del Codice.

Prima di tutto nel procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico su cui si fonda il regime di tutela proprio dei beni paesaggistici.

Invero, a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 (c.d. secondo correttivo riguardante la parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio) la disciplina è caratterizzata da una vera e propria duplicazione del potere di dichiarare l'interesse paesaggistico dei beni di cui all'art. 136 del Codice. Ciò in quanto al procedimento regolato dagli artt. 137 e ss., imperniato sulle prerogative della regione di fare seguito, con apposito provvedimento, alla proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico, si affianca il potere concorrente del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del turismo a norma dell'art. 138, comma 3 e dell'art. 141 del Codice. Ne deriva un sistema complesso in cui la funzione di tutela è del tutto carente dei necessari caratteri dell'unitarietà e della condivisione dei poteri.

E' stato al riguardo posto in evidenza [19] che da scelte di disciplina così separate non può che conseguire un detrimento dell'effettività di tutela.

In realtà, a ben vedere, le criticità della disciplina in esame non sono attribuibili di per sé alla previsione delle prerogative ministeriali. Queste, infatti, vanno nella direzione di un rafforzamento della tutela frequentemente messa a repentaglio dall'inerzia delle regioni nel rilevamento dei beni meritevoli di salvaguardia.

Piuttosto, gli aspetti negativi del sistema si ricollegano alla regolamentazione di un procedimento, quello di competenza della regione, farraginoso ed eccessivamente articolato, nonché segnato da un ruolo marginale dei soggetti, ossia il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del turismo e le sue strutture periferiche, maggiormente dotati delle conoscenze tecnico-scientifiche necessarie all'apposizione del vincolo paesaggistico.

A considerazioni critiche, seppure sotto un diverso profilo, presta il fianco anche l'autorizzazione paesaggistica, che, come è noto, costituisce "la struttura portante del peculiare regime di efficacia giuridica di tutela del paesaggio che appartiene strutturalmente e logicamente a quelle parti del territorio riconosciute di notevole interesse pubblico" [20].

Va ricordato che l'attuale configurazione dell'art. 146 supera le aporie del regime transitorio ex art. 159 del Codice basato sull'eventuale esercizio del potere di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dagli enti territoriali [21].

Nondimeno, residuano aspetti problematici con riguardo all'articolazione procedimentale imperniata su una pluralità di fasi di fatto pletoriche.

In particolare, la natura decisoria del parere vincolante della soprintendenza rende del tutto superflua la competenza degli enti territoriali preposti alla gestione del vincolo alla conclusione del procedimento.

Si deve, inoltre, rilevare criticamente il dettato del comma 9 dell'art. 146 che abilita la regione (o l'ente sub-delegato) a pronunciarsi sull'istanza di autorizzazione a seguito del decorso del termine di sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte della soprintendenza.

Ora, in disparte la questione afferente i punti critici di tale disposizione che lascia irrisolte alcune rilevanti problematiche come quella relativa alla tardività [22] del parere della soprintendenza, non ci si può esimere dal censurare la scelta legislativa che in nome della consueta esigenza di accelerazione procedimentale, trasferisce di fatto il potere decisorio ad un ente differente dal titolare effettivo del potere.

La disposizione de qua omette di considerare che il parere endo-procedimentale è contrassegnato da caratteri di vincolatività sicché assume sostanzialmente una natura decisoria assimilabile a quella del provvedimento stricto sensu [23].

Ne consegue che la fattispecie, che fra l'altro deroga al disposto dell'art. 16 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. in ordine ai pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini, non pare tener conto di basilari aspetti dogmatici relativi alla natura degli atti posti in essere nel procedimento di autorizzazione.

Ed inoltre, la tesi della prescindibilità dal parere non considera la centralità dell'amministrazione statale nella serie di atti che conduce alla pronuncia finale sull'istanza del privato. Per converso, realizza uno spostamento del potere foriero di ulteriori interferenze e conflitti in materia.

Ancora, la convivenza fra amministrazioni nella titolarità e nell'esercizio dei poteri di tutela del paesaggio assume indubbiamente una concezione autonoma in sede pianificatoria.

E' notorio che lo strumento della pianificazione paesaggistica viene ad occupare un ruolo imprescindibile nel sistema complesso e policentrico di tutela del paesaggio e di fruizione del territorio.

Ciò soprattutto in seguito alla ratifica ed all'esecuzione della Convenzione europea del paesaggio che "nel nostro ordinamento, sia pur in modo ancora non pieno, ha aperto a una nozione diffusa, dilatata, di paesaggio, giustificata appunto, dal valore identitario che il territorio assume per le comunità ivi stanziate, che ne richiede dunque tutela, salvaguardia, recupero, riqualificazione in misura adeguata" [24].

Peraltro, la stessa Convenzione individua, fra le tre azioni sul paesaggio, non solo la protezione e la gestione, ma anche la pianificazione. In proposito la dottrina nell'indicare i capisaldi del sistema ha parlato di una vera e propria "triade interrelata e connessa dell'individuazione-pianificazione-gestione/controllo dei beni paesaggistici" [25].

Ne consegue che il piano paesaggistico assume le fattezze di "possibile punto di confluenza e di articolazione delle tre azioni" [26] in un contesto in cui "territorio e paesaggio si intrecciano sempre più strettamente in quell'unicum sintetizzato dalla dimensione paesaggistica necessaria del territorio e che trova nei beni vincolati il nucleo forte espressivo del valore paesaggistico del territorio, ma non si esaurisce in questi" [27].

Ed infatti, l'imposizione del c.d. vincolo paesaggistico costituisce solo uno dei momenti di tutela, a cui si affiancano altri strumenti "con cui ogni intervento viene correttamente orientato rispetto ai profili paesaggistici" [28].

Pertanto, risulta di tutta evidenza che il rapporto fra vincolo e piano non può essere più descritto in termini di mera sovraordinazione del primo rispetto al secondo [29]. Alla luce dell'attuale configurazione della legislazione paesaggistica parrebbe per lo meno riduttivo limitarsi a rinvenire nel piano paesaggistico i caratteri di strumento di attuazione del vincolo di cui disciplina l'operatività e ne determina la portata, i contenuti, i limiti e gli effetti, concretando un momento logicamente successivo della sua regolazione.

Ora, è ben vero che il piano ha nel vincolo il suo titolo ed il suo limite e non può modificarlo o derogare ad esso, così come si evince dal dettato dell'art. 140, comma 2 del Codice. E tuttavia, i contenuti che il piano paesaggistico può assumere a mente dell'art. 143 sia con riguardo alla funzione di tutela in senso stretto che a quella, ancora non definita, di valorizzazione [30], spostano il baricentro del sistema verso il piano che diventa vera e propria chiave di volta della salvaguardia dei beni paesaggistici [31], in un sistema improntato ad una tutela globale e dinamica.

E' infatti notorio che la pianificazione paesaggistica si sostanzia in uno strumento atto a svolgere plurime funzioni secondo la tripartizione che a grandi linee corrisponde a quella accolta dalla Convenzione (artt. 1 e 6, lett. e)) che distingue fra salvaguardia, gestione e programmazione del paesaggio.

Alla politica di salvaguardia in senso stretto, il cui oggetto si identifica nelle parti di territorio connotate da aspetti significativi di interesse pubblico (quindi beni paesaggistici) si affiancano la gestione, ossia una politica che mira a orientare e armonizzare i mutamenti provocati dai processi di sviluppo economici, sociali e ambientali, nell'ottica dello sviluppo sostenibile, e la politica di programmazione costituita da "azioni fortemente lungimiranti volte alla valorizzazione, al ripristino e alla creazione dei paesaggio" [art. 5 lett. b) e art. 1, lett. f)].

Ne deriva che le previsioni dei piani non sono preordinate solo alla conservazione, ma anche alla riqualificazione di aree compromesse e degradate fino alla prefigurazione di nuovi valori paesistici coerenti ed integrati.

Come è stato detto con formula felice [32], la pianificazione paesaggistica è ormai chiamata ad occuparsi del paesaggio-territorio che si manifesta in tutte le sue possibili forme, dall'eccezionalità al degrado.

Ai sensi dell'art. 143 l'elaborazione del piano comprende almeno la ricognizione del territorio sul quale verte la pianificazione, mediante l'analisi delle caratteristiche impresse dalla natura, dalla storia e dalle loro interrelazioni. Il piano prevede poi la ricognizione degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell'articolo 136, la loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché la determinazione delle specifiche prescrizioni d'uso.

Un'analoga attività ricognitiva è poi prevista per le aree di cui al comma 1 dell'articolo 142, rispetto alle quali l'esigenza di una precisa delimitazione è sempre stata fortemente avvertita [33].

In sintesi, nel piano si assiste ad una felice osmosi fra fase descrittiva - consistente nella ricognizione dei beni da salvaguardare - e fase prescrittiva fondata sull'adozione delle prescrizioni d'uso dei beni. Ad esse si aggiunge armonicamente la fase propositiva che si identica nell'individuazione degli obiettivi di qualità paesaggistica e nelle politiche da seguire per attuarli oltre che degli interventi necessari per la riqualificazione paesaggistica.

Il piano paesaggistico, ancora, può in via innovativa individuare nuovi beni paesaggistici nonché eventuali, ulteriori contesti [34], diversi da quelli indicati all'articolo 136, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione.

Orbene, dal quadro appena delineato si ricava la necessità di qualificare in termini differenti la relazione fra lo strumento vincolistico e lo strumento pianificatorio: "nel piano, attraverso il compimento di operazioni tecnico-scientifiche di tipo sistematico la disciplina di tutela dei beni paesaggistici può trovare con la disciplina di tutela dell'intero paesaggio regionale l'indispensabile tessuto unitario e coerente, frutto di un'analisi di insieme di tutto il territorio regionale" [35].

L'obbligo di recepire integralmente nel piano il contenuto precettivo dei vincoli imposti con provvedimento singolare costituisce espressione dell'esercizio del potere di tutela ad estrema difesa del bene paesaggistico; pertanto, il piano, lungi dall'esercitare una mera funzione di ricucitura di prescrizioni eterogenee, dettate caso per caso, vincolo per vincolo, per ambiti spaziali circoscritti, dà vita ad un sistema di salvaguardia dei beni paesaggistici in cui si integrano reciprocamente l'essenza corpuscolare dei vincoli e la dimensione ondulatoria del piano [36].

Ebbene, anche nella definizione dei contenuti del piano e nel relativo procedimento di adozione si sono manifestati in tutta la loro delicatezza l'interferenza ed il particolare reciproco legame delle funzioni regionali e statali.

Come è noto, la c.d. legge Galasso (legge 8 agosto 1985, n. 431) attribuiva alle regioni il potere di adottare i piani che riguardassero anche le aree vincolate ex lege (c.d. piani paesistici ovvero piani urbanistici-territoriali con specifica considerazione dei valori ambientali e paesistici); al ministero si riconosceva, dall'altra parte, il potere sostitutivo, di cui agli articoli 4 e 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, in caso di inerzia regionale.

Anche il Codice nella sua versione originaria aveva mantenuto ferma la primaria competenza regionale derivante dal trasferimento della funzione amministrativa di pianificazione paesistica posto in essere dal decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 8 ed in seguito dal d.p.r. 616/77 [37].

Il c.d. primo decreto correttivo si era limitato ad introdurre la facoltà dell'elaborazione congiunta.

L'assetto delle competenze è stato invece sensibilmente mutato dall'ultimo intervento di riforma subito dal Codice: il c.d. secondo decreto correttivo ha infatti novellato l'art. 135 che, in combinato disposto con l'art. 143, prevede attualmente l'obbligo per lo Stato e le regioni di procedere congiuntamente alla pianificazione paesaggistica riguardante i beni paesaggistici. A tal fine l'art. 143 contempla la possibilità di addivenire a forme di intesa il cui contenuto sia poi recepito da appositi accordi amministrativi.

La disposizione in esame, pur determinando un netto rafforzamento dei poteri statali in materia [38], mira a comporre il tipico dualismo del sistema secondo il principio di leale collaborazione più volte fatto valere dalla Corte costituzionale [39] ed attualmente sanzionato dall'art. 133 del Codice.

La pianificazione paesaggistica, con la sua acquisita centralità nella legislazione paesaggistica, si pone dunque come lo strumento di composizione dei conflitti fra soggetti istituzionali.

A tal riguardo è stato osservato che "la pianificazione paesaggistica, a fronte del sistema concorrente e separato di tutela dei beni paesaggistici, dovrebbe configurarsi invece come la via procedurale virtuosa, espressione del principio di leale collaborazione, attraverso la quale assicurare le più adeguate tutela e salvaguardia del paesaggio" [40].

In verità, il carattere positivo dell'innovazione legislativa si appalesa viepiù se si considera un ulteriore delicato ambito, oggetto dell'attività di pianificazione, in cui le incertezze e le contraddizioni delle politiche legislative sono state negli anni foriere di un'ulteriore commistione di competenze. Si ha riguardo alla funzione della valorizzazione che ha oramai ricevuto un pieno riconoscimento nel Codice di settore, così da concorrere, alla pari con la tutela, all'attuazione del principio fondamentale dettato dall'art. 9 della Costituzione [41].

Ora, è noto come la pianificazione, fin dalla normativa Galasso, persegue la finalità di dettare norme di salvaguardia in senso stretto e, al contempo, di valorizzazione degli aspetti paesaggistici.

Ebbene, lo strumento pianificatorio può, per il tramite della procedura virtuosa delineata dal Codice, contribuire a superare l'improvvida frammentazione di competenze disposta dall'art. 117 Cost., a mente del quale la valorizzazione è oggetto di potestà legislativa concorrente.

La cooperazione in sede di pianificazione paesaggistica può dunque costituire un rilevante tassello dell'azione di superamento delle molteplici criticità che afferiscono la sfera della valorizzazione sotto diversi profili: a tal proposito basta ricordare che alla scissione, in sede di attribuzione della potestà legislativa, fra tutela e valorizzazione, si aggiunge quale ulteriore fattore della segmentazione e della vischiosità delle competenze la carenza definitoria circa la funzione di valorizzazione, specie con riguardo ai criteri scriminanti rispetto alla tutela intesa in senso stretto.

A tal riguardo la dottrina ha giustamente evidenziato che "la ormai cinquantennale storia della valorizzazione mostra le difficoltà dell'ordinamento italiano nel regolare una funzione amministrativa diversa dalla tutela; ed è esemplare di come troppo spesso la lotta per il riparto delle attribuzioni prevalga sulla corretta individuazione del fine pubblico che una funzione dovrebbe perseguire [42].

In realtà, al di là dell'indebita importanza attribuita al riparto delle competenze, con pregiudizio per la necessaria chiarezza terminologica e per l'apprestamento dei mezzi e delle procedure necessari per ogni funzione amministrativa [43], si deve sottolineare che "la distinzione in concreto della valorizzazione dalla tutela è di per sé non agevole, a causa della difficile delimitazione del concetto, delle inevitabili aree di sovrapposizione e delle interazioni fra le diverse funzioni circa i beni culturali" [44].

Ed invero, a ben vedere, la complessità di tale operazione esegetica scaturisce dall'inscindibilità delle due funzioni le quali, come attentamente evidenziato in dottrina, costituiscono "un continuum indistinguibile che si salda nell'unitaria nozione di salvaguardia e che riguarda tanto la pianificazione che il controllo autorizzatorio" [45]. A tale impostazione sembra rispondere il dettato del Codice, la cui parte III prevede un unico titolo intestato alla tutela ed alla valorizzazione. Ancor prima l'art. 1 dispone che la "Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con le attribuzioni di cui all'articolo 117 della Costituzione e secondo le disposizioni del presente codice".

Di qui la difficoltà di individuare definiti elementi di differenziazione fra le due macrofunzioni.

Di certo non pare adeguata la tesi [46] che attribuisce i caratteri della staticità alla tutela, riferendosi, invece, con il termine valorizzazione ad una visione dinamica e non più meramente conservativa del paesaggio. Siffatto indirizzo non è sufficientemente esplicitato ed inoltre non tiene a mente che la tutela concepita nel nostro ordinamento non ha mai assunto, fin dalle leggi Bottai del 1939, caratteri puramente statici [47].

Analogamente, non sembra sufficientemente esaustiva l'impostazione che identifica la valorizzazione del paesaggio nelle attività di recupero e di riqualificazione [48]. La nozione non considera l'elemento della preordinazione alla pubblica fruizione che informa necessariamente l'attività di valorizzazione.

Parimenti incompleta è stata l'opinione di chi ha ritenuto che per valorizzazione dovesse intendersi unicamente il recupero dei siti degradati ovvero l'azione intesa ad esaltare i valori paesaggistici tipici in modo da aggiungere interesse alla fruizione o facilitare l'accessibilità [49].

Pertanto, va valutato positivamente l'intervento del legislatore che per il tramite dei due decreti correttivi ha cercato di sciogliere il nodo gordiano relativo alla definizione della nozione di valorizzazione [50].

In primis, viene in considerazione l'art. 6 del Codice, giusta il quale "la valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura".

Dal contenuto di tale disposizione non si può prescindere nel presente sforzo esegetico, considerato che il patrimonio culturale, così come definito dal Codice, ha carattere unitario [51] comprensivo dei beni culturali in senso stretto e dei beni paesaggistici.

Ora, tale norma, sulla falsariga di quanto dettato dall'art. 1, pone l'accento sulla tensione alla fruizione la quale, in verità, accomuna tutela e valorizzazione, nel senso che entrambe hanno come fine ultimo quello di favorire la fruizione pubblica ed il godimento del patrimonio culturale.

E' bene, però, precisare che la valorizzazione non si identifica tout court con la fruizione.

Come attentamente segnalato in dottrina [52] i due ambiti si diversificano per genere e per differenza: la valorizzazione rappresenta un quid pluris rispetto alla fruizione, considerato che essa attiene ai modi attraverso i quali si incrementa la conoscenza del bene ed il livello qualitativo e quantitativo della sua fruizione [53]. In breve, mentre la fruizione costituisce l'attività di apprestamento dei mezzi minimi per il pubblico godimento, la valorizzazione rappresenta l'attività di apprestamento dei mezzi che incrementano le opportunità di godimento pubblico".

Di conseguenza, la fruizione dovrebbe attenere alla sfera della gestione e quindi della tutela rispetto alla quale opererebbe la potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Ora, l'emergere di questa ulteriore distinzione si presta ad una duplice lettura: se taluno [54] ha sostenuto che l'affermarsi di un criterio discretivo fra fruizione e valorizzazione pone potenzialmente rimedio all'ipertrofia della valorizzazione, altri [55] hanno invece fatto notare l'eccessivo ridimensionamento di quest'ultima funzione.

Permane dunque sul campo nella sua problematicità, legata non solo a profili classificatori, ma anche, e soprattutto, alla conseguente distribuzione della potestà legislativa, la questione definitoria della valorizzazione.

Peraltro, non sembrano in grado di definire tale problematica le specifiche norme codicistiche riguardanti la funzione in ambito paesaggistico. Ed in verità, dal combinato disposto degli articoli 6 e 131 del Codice si trae un quadro complesso segnato da luci ed ombre.

Orbene, un'indubbia valenza positiva va assegnata alla decisione di rimarcare la subordinazione [56] della valorizzazione alla tutela. Allo stesso modo si connota in termini positivi la tendenza a sottolineare la rilevanza, con l'enucleazione nell'ambito della funzione di valorizzazione, degli interventi di riqualificazione dei beni compromessi o degradati e la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati.

La precisazione della nozione si conforma alle previsioni della Convenzione europea sul paesaggio e tiene debitamente conto della necessità di includere nelle politiche di salvaguardia - intesa come funzione in cui si fondono tutela e valorizzazione - anche le aree degradate, in un certo senso ancor più bisognevoli di protezione [57].

Nondimeno, tali disposizioni non delimitano in maniera sufficientemente nitida il confine fra tutela e valorizzazione, fra potestà esclusiva statale e potestà concorrente.

Ebbene, risulta nuovamente di tutta evidenza la centralità nel sistema della pianificazione paesaggistica. Essa infatti, introducendo il modello virtuoso della collaborazione fra attori istituzionali pone in non cale, ovvero quanto meno affievolisce notevolmente, quella conflittualità fra enti di cui le incertezze definitorie sulle funzioni amministrative sono allo stesso tempo causa ed effetto.

2.1.2. Ancora sui profili critici dell'attuale sistema di amministrazione del paesaggio: la semplificazione nel sistema di amministrazione del paesaggio

Si evidenzia poi, fra i punti critici del sistema, l'inarrestabile spinta alla semplificazione riscontrabile anche in subiecta materia. Si è giustamente parlato di un'attenzione divenuta martellante, di un indiscriminato favor per ogni forma di semplificazione amministrativa [58]. Si è di fronte ad una vera e propria cultura della semplificazione che fa presa su diverse considerazioni, anche di chiara matrice populista. Ed infatti i sostenitori della semplificazione pongono in evidenza come cause giustificatrici di tale processo l'inefficienza della pubblica amministrazione e la complessità e la contraddittorietà della normativa. A parere di chi scrive appare impensabile negare tali problemi che in taluni casi raggiungono rilevanti soglie di gravità. Allo stesso tempo si ritiene che "il rimedio non è la deregulation che genera più problemi di quanti non ne risolva. Dovrebbe essere (come in altri paesi europei) la certezza e stabilità del quadro normativo, la fissazione di regole ferree e chiare e l'offerta al cittadino di interlocutori istituzionali competenti e motivati, in grado di fornire risposte univoche e precise" [59]. L'incompatibilità della semplificazione, che determinerebbe un inaccettabile spostamento della regolazione del paesaggio sul piano negoziale, fondato su una prevalente autonomia privata, operante in un quadro caratterizzato da un'amministrazione relegata sempre più ai margini, si ricollega poi alla peculiare configurazione assunta dalla pluralità di interessi che vengono in rilievo nel sistema di amministrazione del paesaggio. L'interesse paesaggistico che assurge nell'ambito oggetto delle presenti riflessioni non si pone sullo stesso piano degli altri interessi, pubblici e privati, confliggenti; esso piuttosto ha un carattere primario da garantire in via assoluta senza che si possa operare un vero e proprio bilanciamento rispetto agli interessi pubblici e privati finalizzati allo sviluppo socio-economico della collettività ed all'esercizio delle libertà di iniziativa economica.

A questo fattore, già di per sé atto a rappresentare un ostacolo intrinseco all'opera di semplificazione [60], è da aggiungere poi la circostanza, di certo non secondaria, che un'efficace tutela del paesaggio si regge su un esame previo di compatibilità paesaggistica da parte di organi dotati di apposite competenze tecnico-professionali.

Ebbene, se in nome della semplificazione si pretende di far venir meno ogni controllo ex ante, è giocoforza negare la percorribilità di tale strada. Suscita pertanto notevoli perplessità il futuro regime, cui si è già fatto riferimento nelle pagine che precedono, che, nel rendere meramente obbligatorio il parere della Soprintendenza, arreca un duro colpo alle istanze di tutela.

La disposizione è fortemente influenzata dal "mito del piano", omettendo di considerare che una piena tutela non può prescindere dalla presenza congiunta di piano e vincolo e quindi anche del parere vincolante che del vincolo è strumento operativo indispensabile.

Inoltre, non tiene conto di un altro basilare aspetto già reso evidente dalla prassi durante la vigenza del procedimento autorizzatorio introdotto dalla legge Galasso e poi divenuto, a norma dell'art. 159 del Codice, regime transitorio [61]. In breve, non considera la grave inadeguatezza degli enti territoriali alla tutela del paesaggio: un'inadeguatezza sovente legata ad interessi locali e di certo non attenuata dall'obbligo di motivazione del provvedimento con cui l'ente preposto alla gestione del vincolo potrà discostarsi dalle valutazioni ministeriali.

Un discorso diverso va fatto per le forme di semplificazione che si sostanzino nella concentrazione di procedimenti ed in una maggiore celerità dei termini procedimentali. Suddetti elementi, riscontrabili nel procedimento semplificato di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica ex d.p.r. 139/10, non sono incompatibili con la salvaguardia del paesaggio; anzi si caratterizzano per una notevole valenza positiva, giusta la loro idoneità ad avvicinare l'amministrazione alle esigenze del cittadino. Sotto tale profilo la semplificazione è ammissibile ed in un certo senso auspicabile a patto che però essa non venga utilizzata anche per assentire interventi che per la loro entità richiedono invece ben altro tipo di valutazione [62].

2.2. I punti di forza del Codice

Tra le tante ombre evidenziate è possibile intravedere, è bene ricordarlo, anche alcune luci; ci si riferisce in particolar modo a quelle disposizioni che seguono una direttrice opposta a quella esiziale lungo la quale si muovono le norme e le prassi in precedenza segnalate. Si è di fronte ad una serie di tasselli positivi che richiedono un'attenta valutazione.

Anzitutto il regime della pianificazione paesaggistica basato sulla leale cooperazione fra i diversi soggetti istituzionali (cfr. gli artt. 133 e 135 del Codice).

Ancora, tra le previsioni codicistiche suscettive di apprezzamento si segnala l'art. 145 in merito alla sovraordinazione dei piani paesaggistici rispetto alla pianificazione urbanistica ed agli strumenti di programmazione di sviluppo economico nazionali e regionali.

In realtà, l'art. 145 recepisce un principio, quello della supremazia del piano di valenza paesaggistica, già fatto proprio dall'art. 150 del Testo Unico del 1999: tale disposizione, in ossequio ad un consolidato orientamento giurisprudenziale [63], disponeva che i piani regolatori generali e gli altri strumenti urbanistici dovessero conformarsi alle previsioni dei piani territoriali paesistici e dei piani urbanistico-territoriali secondo l'art. 5 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e le norme regionali.

Con l'entrata in vigore del Codice del 2004 è mutato però il meccanismo attraverso il quale il legislatore ha inteso garantire tale primazia: la tendenza a porre al centro dell'intero sistema di pianificazione il piano di coordinamento provinciale (che assumeva a mente dell'art. 57 del d.lgs. 112/1998 valore ed effetti dei piani di tutela nei settori di protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque, della difesa del suolo e delle bellezze naturali alla luce di apposite intese fra provincia ed amministrazioni competenti) è venuta meno, lasciando il campo alla centralità del piano paesaggistico che sulla scorta della dimensione territoriale del paesaggio scaturente dalla convenzione europea sul paesaggio acquisisce la funzione di disciplinare in modo unitario ed il più possibile onnicomprensivo l'intero territorio regionale [64].

Di fatto la via del coordinamento e dell'integrazione degli strumenti di pianificazione territoriale non si realizza più nella pianificazione provinciale, bensì in quella paesaggistica.

Ciò avviene precipuamente attraverso le disposizioni del piano che operano sia sotto il profilo dell'auto-coordinamento che sotto il profilo dell'etero-coordinamento.

Con riguardo al primo aspetto il piano medesimo, nella sua valenza onnicomprensiva, definisce le modalità di adeguamento degli altri strumenti di pianificazione e gestione del territorio alle proprie previsioni.

L'auto-coordinamento posto in essere dallo stesso piano paesaggistico va accolto con favore per il contributo che esso apporta alla ricomposizione di un sistema pianificatorio che nella sua eccessiva eterogeneità e frammentazione è apparso sovente incapace di adempiere con successo alla funzione di tutela.

Ad un medesima lettura soggiace l'etero-coordinamento che il piano realizza laddove prevede la propria cogenza per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province: il comma 3 dell'art. 145 stabilisce infatti che "le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette".

In proposito si deve rilevare che in dottrina è stata paventata l'ipotesi di una presunta incompatibilità fra immediata prevalenza e necessità di adeguamento [65].

In realtà, non pare peregrino sostenere che l'immediata prevalenza non si traduce in una vis abrogans delle disposizioni del piano paesaggistico; piuttosto, considerato il venir in rilievo di un rapporto sui generis fra le due tipologie di piani, essa risponde alla finalità di garantire l'effettività delle prescrizioni del piano in attesa dell'adeguamento. A tal fine le eventuali misure di salvaguardia adottate dal piano paesaggistico rappresentano uno strumento di rafforzamento dell'efficacia del piano.

Pertanto, l'adeguamento si configura a sua volta come tassello che contribuisce al perseguimento della finalità su richiamata di assicurare la sovraordinazione del piano nell'ottica della leale collaborazione fra enti, in un sistema che complessivamente si caratterizza per una tendenza alla composizione dei conflitti fra strumenti pianificatori

Inoltre, si segnala in termini positivi la specifica funzione della pianificazione paesaggistica volta a dettare la normativa d'uso dei beni paesaggistici (ivi comprese le prescrizioni che mirano alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate) nella prospettiva di una tutela che, per dirla con la Corte costituzionale [66], "non può venire specificamente concepita in termini statici, di assoluta immodificabilità dei valori paesaggistici registrati in un dato momento, ma deve invece attuarsi dinamicamente e cioè tenendo conto delle esigenze poste dallo sviluppo socio-economico del paese per quanto la soddisfazione di esse può incidere sul territorio e sull'ambiente".

Il sistema di amministrazione del paesaggio che emerge dal Codice affonda le sue radici, malgrado le ricalcitranti tesi panurbanistiche che vedono nella pianificazione l'unica panacea di ogni male, nel contempo nel piano e nel vincolo che si pongono in un rapporto di osmosi, "di feconda dialettica, in cui il vincolo è lo zoccolo duro, il mattone su cui il piano può reggersi e svilupparsi" [67].

L'armonia fra il meccanismo puntiforme dei vincoli e la politica pianificatrice di larga estensione e respiro è rafforzata dalla nuova configurazione della dichiarazione vincolistica di notevole interesse pubblico. I nuovi provvedimenti vincolistici dovranno dettare la disciplina d'uso dei beni tutelati; inoltre l'art. 141-bis sancisce l'obbligo per l'amministrazione statale e per le regioni di procedere all'integrazione dei vincoli paesaggistici per il tramite di una specifica regolamentazione intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi. L'adempimento di tale obbligo consente di "riempire" il vincolo e va dunque nella direzione di un'effettiva gestione dei beni paesaggistici, al di là di una aprioristica (e a volte desueta) tutela statica. La predisposizione della regolamentazione d'uso pone al centro del sistema, a fianco della pianificazione paesaggistica, la politica vincolistica offrendole immediata effettività. Essa infatti rende "positivo" il vincolo e in tal modo fa sì che sia finalmente possibile parlare di una corretta gestione del vincolo. Ed infatti le prescrizioni d'uso operano in modo che il giudizio di conformità posto in essere nell'esercizio del potere autorizzatorio sia condotto alla luce di parametri positivi che dovrebbero permettere di contenere agevolmente l'attività valutativa entro i canoni di una più delimitata discrezionalità tecnica. "Esse inoltre consentono un sindacato giurisdizionale più ampio e soddisfacente sulla correttezza dell'iter logico seguito dall'amministrazione, a partire dalla correttezza e ragionevolezza delle valutazioni" [68]. Il riempimento del vincolo va incontro alle esigenze di certezza e prevedibilità anche se, è doveroso precisarlo, non può in alcun modo ridurre o snaturare la discrezionalità tecnica dell'amministrazione improntata ad un vaglio dei dati della natura e della storia del luogo, "risultando qualitativamente diversa dalla discrezionalità amministrativa che troppo spesso subordina i valori del paesaggio a trattative negoziali con 'tutti gli interessi in gioco', compresi quelli della speculazione mascherata da 'sviluppo' e del basso clientelismo etichettato come 'politica'" [69].

3. Le possibili soluzioni alle criticità

In primis è necessario riaffermare con forza il carattere statale della tutela del paesaggio. Nel livello statale si rinviene infatti la stella polare del miglior sistema di garanzia dei valori paesaggistici: "la Repubblica che tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico non può coincidere con ciascuna delle Regioni senza scardinare la necessaria unità dei valori e delle pratiche di tutela per la nazione come insieme inscindibile" [70]. Invero decenni di esperienza hanno dato ragione a chi, come Marchesi e Moro, ossia i padri dell'art. 9 della Costituzione [71], ha sempre temuto l'antica, ma sempre attuale, petizione di principio secondo cui la tutela del paesaggio è tanto più efficace quanto più vicina ai cittadini. Ed invece "le Amministrazioni locali sono più vulnerabili a fattori di distorsione della tutela, dalla cogente fragilità di bilancio all'uso del territorio come merce di scambio elettorale; diversamente il potere centrale e le sue amministrazioni danno ben maggiori garanzia di onestà e di efficacia: sia perché comunque gestiti da un personale più capace e selezionato, sia perché più sottoposti al controllo dei media e perciò dell'opinione pubblica" [72]. Or dunque, solo partendo da una netta riaffermazione della centralità dell'amministrazione statale nell'esercizio delle funzioni di tutela si può addivenire ad una gestione condivisa in cui tutte le amministrazioni pubbliche possono lealmente e realmente cooperare fra loro.

E' bene precisare che l'auspicata leale collaborazione può trovare il suo strumento elettivo nella elaborazione congiunta del piano paesaggistico. Al riguardo, peraltro, sarebbe utile estendere l'obbligo di pianificazione congiunta all'intero territorio regionale per evitare di incorrere nel rischio di una pianificazione disgiunta, caratterizzata dalla presenza di due mezzi piani, fondati su logiche diverse, con indebolimento della funzione dell'istituto, che è quella di disciplina unitaria, graduata da zona a zona, dell'intero paesaggio regionale. In tal modo il piano potrà realmente acquisire la dimensione giuridica nella quale operare il raccordo tra paesaggio identitario e beni paesaggistici, evitando il radicarsi di pregiudizievoli contrapposizioni concettuali [73].

Relativamente alla semplificazione va detto che essa è ammissibile ed in un certo senso auspicabile, a patto che però essa non venga utilizzata anche per assentire interventi che per la loro entità richiedono invece ben altro tipo di valutazione. Non bisogna poi dimenticare che qualsivoglia semplificazione procedimentale per essere efficace non può fare a meno della semplificazione organizzativa che alla prima si accompagna, dando forma ad una diade interrelata e connessa. Ciò è dovuto all'intrinseca natura della semplificazione amministrativa che va considerata come tecnica complessa che presuppone la cura degli interessi pubblici mediante un'azione amministrativa più snella, ma sempre razionale, che si svolga senza obliare che al minor sacrificio per il privato deve sempre accompagnarsi il perseguimento degli interessi pubblici [74]. Pertanto è lecito sollevare più di qualche dubbio di fronte alle recenti scelte legislative in ordine alla semplificazione amministrativa: si assiste ad una semplificazione monca dal momento che alla riformulazione procedimentale non vengono ricollegati a valle interventi di tipo organizzativo anche per quanto riguarda l'esercizio concreto delle funzioni.

Inoltre l'efficace tutela del paesaggio non può prescindere da ulteriori condizioni. In primo luogo dalla riqualificazione delle strutture di tutela. A tal proposito i tagli lineari disposti dal Governo negli ultimi anni vanno nel senso contrario, vanificando le nuove positive competenze e responsabilità delle soprintendenze [75]. E' assolutamente necessario invertire il trend che ha condotto, attraverso il taglio dei fondi, la mancanza di nuove assunzioni di personale altamente qualificato e il pensionamento anticipato di numerosi funzionari di grande esperienza ad una defunzionalizzazione, in taluni casi ad una paralisi, del settore, ad una "debolezza strutturale e funzionale delle Amministrazioni in ragione della quale il rischio effettivo che corre il sistema è che non si provveda, vale a dire è quello di un deficit di tutela causato non dal conflitto positivo ma dall'inerzia favorita dall'inadeguatezza delle strutture amministrative" [76].

A quanto sopra detto deve poi accompagnarsi la consapevolezza della necessità di porre fine alla prassi incentrata sulla predisposizione di meccanismi di vanificazione e depotenziamento.

A tal proposito basti pensare, in aggiunta a quelli già esaminati (la segmentazione delle competenze, la semplificazione in materia paesaggistica e nella contigua e correlata materia urbanistico-edilizia), alla deteriore pratica della sanatoria e dei condoni, edilizi e paesaggistici, che non fa altro che incentivare i cittadini all'inosservanza delle norme. Come solennemente stabilito dalla Corte costituzionale [77] il condono è "ammissibile solo a patto di essere del tutto eccezionale e straordinario, non reiterabile. Esso non può diventare normale, prevedibile, periodico".

La cultura della deroga, della legittimazione dell'abuso (e quindi della violazione della legge) col sigillo della legge va ripudiata in blocco e con essa l'idea (sempre latente, se si pensa che ancora nel 2011 vi è stata la possibilità, tutt'altro che remota, di un ulteriore condono edilizio) che il condono possa essere in futuro nuovamente reiterato, fino a diventare, da eccezione, norma [78].

E' infine indispensabile favorire una generale osservanza delle norme di tutela sostenendo la presa di coscienza a livello locale delle problematiche paesaggistico-ambientali. Come eminentemente osservato [79], i cittadini nei propri spazi di vita, nella propria città, attraverso un'esperienza diretta dei luoghi, avvertono maggiormente l'esigenza di salvaguardare la qualità della vita il cui sostrato è rappresentato proprio dal bene paesaggio-ambiente. Partendo dalla propria diretta esperienza si può giungere ad una considerazione globale dei problemi, alla cognizione delle implicazioni storiche, giuridiche e politiche del problema a livello nazionale.

Inoltre per porre freno all'abusivismo diffuso, vera piaga del nostro paesaggio, occorre superare il generale egoismo proprietario. E' questo il vero punctum dolens del sistema da risolvere attraverso un processo educativo, di socializzazione, che parta dalle scuole e faccia comprendere che "la trasformazione degli insediamenti urbani non può farsi unicamente in funzione delle condizioni economiche e sociali emergenti, ma deve essere considerata come bene culturale in fieri, che esige particolari interventi e tutele" [80]. E' necessario comprendere e far comprendere che "lo sviluppo economico dovrebbe manifestarsi per il tramite di opere ispirate non soltanto a criteri economistici, ma anche a valori culturali" [81].

L'esito positivo di questo processo dipende però principalmente dalla veste che lo Stato intende indossare nel XXI secolo. Soltanto se si inverte la rotta e si ricostruiscono i capisaldi di uno Stato sociale (l'opposto dello Stato liberista ma anche anti-democratico che nei fatti i tagli alla spesa pubblica stanno contribuendo a delineare) capace di soddisfare le esigenze dei cittadini, sarà allora possibile, in un contesto in cui i legami di solidarietà non siano spezzati ma rafforzati, far riemergere l'importanza del paesaggio come bene comune e più in generale del pubblico interesse quale fondamento della vita comune.

In altri termini, "in un ordinamento che vuole essere democratico non soltanto in senso formale - che vuole essere cioè Stato sociale - e perciò appunto si propone il perfezionamento della personalità di tutti i consociati ed il progresso materiale e spirituale della società nella sua integrità, gli obiettivi dello sviluppo della cultura, del gusto estetico, della ricerca scientifica e tecnica (avuti di mira dall'art. 9 della Costituzione) si collocano manifestamente come strumentali; e, rispetto ad essi, la tutela, ad opera dei pubblici poteri, del patrimonio paesistico, artistico e storico del paese si rivela a propria volta come mezzo al fine" [82].

 

Note

[1] Oltre alla legge 98/2013, legge di conversione del c.d. "decreto del fare", si ricordano la legge 12 luglio 2011, n. 106 e la legge 4 aprile 2012, n. 35. Tali provvedimenti legislativi, come verrà segnalato nelle pagine che seguono, si sono caratterizzati per una rilevante incidenza sulle disposizioni contenute nella parte terza del Codice.

[2] In termini cfr. Tar Veneto, sez. II, 11 febbraio 2010, n. 452; Tar Campania, sez. staccata di Salerno, 16 febbraio 2012, n. 245; Cons. St., sez. VI, 4 dicembre 2012, n. 7143.

[3] Così l'art. 15 del Testo Unico in materia edilizia, decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, che inoltre appone un ulteriore limite all'efficacia del permesso di costruire laddove prescrive che i lavori devono essere iniziati entro un anno dal rilascio del titolo.

[4] Lo schema del regolamento di modifica, oggetto di deliberazione preliminare da parte del Consiglio dei ministri in data 22 dicembre 2012, ha visto in data 25 gennaio 2013 l'intesa in sede di conferenza unificata ed ha ricevuto il parere favorevole da parte del Consiglio di Stato. Attualmente però non è ancora entrato in vigore, giusta l'avvenuto ritiro da parte del ministero dei Beni culturali al fine di porre in essere ulteriori approfondimenti istruttori sul contenuto del testo.

[5] Al riguardo si rileva, inoltre, che lo stesso art. 1 statuisce che, qualora siano apportate variazioni progettuali di non lieve entità, l'istanza è soggetta al procedimento ordinario di cui all'art. 146 del Codice.

[6] Sull'argomento si precisa che l'art. 146, comma 5, del Codice stabilisce che il parere del soprintendente assume natura obbligatoria, ma non vincolante, all'esito dell'approvazione delle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonché della positiva verifica da parte del ministero su richiesta della regione interessata dell'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni dei piani paesaggistici.

[7] Ex plurimis si veda Corte cost., 10-17 dicembre 1997, n. 404, in www.cortecostituzionale.it, secondo cui "costituirebbe infatti principio fondamentale dell'ordinamento che nelle materie di preminente rilievo costituzionale, quali quelle dell'ambiente, del paesaggio e dei beni culturali, la gestione del vincolo, posto a tutela di tali interessi rafforzati, esige l'effettività dell'esercizio delle attribuzioni da parte dell'autorità pubblica competente mediante l'adozione di provvedimenti espressi, non surrogabile con la fictio iuris del silenzio-assenso". Si cfr. anche Corte cost. nn. 302 del 1988 e 26 del 1996, in cortecostituzionale.it.

[8] S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003. Cfr. Corte Cost., 31 gennaio 1991, n. 37, in Giur. Cost., 1991, pag. 236, secondo cui la conferenza di servizi prevista dall'art. 3 della legge 5 giugno 1990, n. 135, rappresenta "un mezzo di semplificazione e snellimento dell'azione amministrativa", "un organo misto in cui nell'esercizio di funzioni amministrative, siano rappresentati tutti i soggetti portatori di interessi coinvolti nel procedimento di realizzazione di opere, in modo che tali soggetti possano confrontarsi direttamente ed esprimere le loro posizioni trovando in un quadro di valutazione globale, soluzioni di corretto e idoneo contemperamento delle diverse esigenze". Come osservato da A. Natalini, Le semplificazioni amministrative, Bologna, 2002, "la conferenza di servizi consente di esaminare contestualmente i vai interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento al fine di aumentare il livello del coordinamento tra le diverse amministrazioni sia sotto il profilo della messa in comune degli elementi istruttori sia sotto quello della definizione del contenuto della decisione. La conferenza di servizi rappresenta il superamento di azione sequenziale da parte delle amministrazioni pubbliche ed il passaggio ad uno in cui le attività sono svolte anche in parallelo o in simultaneo tra loro".

[9] Come è noto, a norma dell'art. 77 della Costituzione gli emendamenti soppressivi producono effetti equivalenti alla parziale mancata conversione del decreto legge, con la conseguenza che la disposizione non convertita decade ex tunc.

[10] Occorre infatti ricordare che spesso la dottrina si è interrogata sulla regolamentazione della conferenza di servizi speciale prevista nel procedimento di autorizzazione paesaggistica. Taluni autori (G. Sciullo, Conferenza di servizi ed interesse paesaggistico, in Riv. giur. urb., 2011, 1; S. Amorosino, Beni culturali, energie rinnovabili, paesaggio, studi in itinere, Napoli, 2012) si sono a tal proposito pronunciati in senso favorevole all'operatività della disciplina generale della conferenza di servizi, comprese le disposizioni sul silenzio assenso e sul c.d. meccanismo di superamento del dissenso qualificato.

[11] Con l'espressione "amministrazione del paesaggio" si intende "il complesso oramai organico delle funzioni di tutela del paesaggio e fruizione del territorio" (così P. Marzaro, L'amministrazione del paesaggio, profili critici ricostruttivi di un sistema complesso, Torino, 2011).

[12] In tal senso S. Settis, Paesaggio Costituzione Cemento, La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile, Torino, 2010.

[13] Così S. Amorosino, La governance e la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni dopo il secondo decreto correttivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio in Riv. giur. urb., 2009, 1-2.

[14] Sul tema cfr. Corte Cost., nn. 141/1972; 239/1982; 351/1986; più di recente, sulla netta distinzione fra urbanistica e tutela del paesaggio e dei beni culturali si vedano anche nn. 183/1987; 417/1995; 261/1997.

[15] Sull'argomento si rimanda a P. Carpentieri, Semplificazione e tutela del paesaggio, in Riv. giur. urb, 2009, 1-2.

[16] Sul tema si cfr. D. Sandroni, Il paesaggio nel secondo correttivo al Codice: punti di forza, elementi di criticità in Notiziario XXII-XXIII. 83-88, gennaio 2007 - dicembre 2008, disponibile su www.ufficiostudi.beniculturali.it. Si veda anche R. Chieppa, Vecchie problematiche e nuove questioni in tema di piani e autorizzazioni paesaggistiche dopo il d.lg. 26 marzo 2008, n. 63, in Aedon, 2008, 3.

[17] Ex plurimis cfr. Corte cost., 24 ottobre - 7 novembre 2007, n. 367 e 19-30 maggio 2008, n. 180.

[18] P. Marzaro, Pianificazione paesaggistica e beni paesaggistici: la centralità del procedimento nella duplicità del sistema, in Riv. giur. urb, 2013, 1.

[19] P. Marzaro, L'amministrazione del paesaggio, profili critici ricostruttivi di un sistema complesso, cit.

[20] Così P. Carpentieri, Regime dei vincoli e convenzione europea, in Convenzione europea del paesaggio, a cura di G.F. Cartei, Bologna, 2007. E' noto come l'autorizzazione paesaggistica svolga un ruolo centrale nell'amministrazione del paesaggio. Essa infatti garantisce una coerente ed efficace azione impositiva al regime vincolistico predisposto dall'ordinamento a protezione dei beni paesaggistici (in tal senso si esprimeva già A.M. Sandulli, Natura ed effetti dell'imposizione dei vincoli paesistici, Atti del Convegno di studi giuridici sulla tutela del paesaggio, Milano, 1963). Ciò dal momento che, attraverso il regime autorizzativo, si assoggettano a controllo preventivo tutte le attività antropiche insistenti su immobili o aree di interesse pubblico il cui risultato sia potenzialmente in grado di produrre un'alterazione dello stato dei luoghi o dei beni tale da pregiudicare quei valori, naturali ed estetici e storico-culturali, che rappresentino percepibili manifestazioni di identità del paesaggio (in termini M.R. Spasiano, Commento all'art. 146, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2006).

[21] Attenta dottrina (si veda R. Chieppa, cit.) a tal proposito aveva rilevato la scarsa efficienza del controllo di mera legittimità, ponendo in evidenza diversi fattori che concorrevano al depotenziamento della tutela. Era stato osservato che "il rilascio dell'autorizzazione suscita nell'interessato aspettative all'edificazione che, in caso di annullamento, comportano pregiudizi incolpevoli e inducono comunque a sviluppare un contenzioso che sovente vede il ministero soccombere (...)". Sull'argomento particolarmente interessante è l'analisi (S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, Bari, 2011) che aveva evidenziato che "il potere di annullamento, da parte del soprintendente, delle autorizzazioni rilasciate dai comuni - che era previsto in via transitoria, fino al 31 dicembre 2009, dall'art. 159 del Codice - era limitato ai soli motivi di legittimità, in quanto l'organo statale non poteva sindacare le scelte di merito compiute a livello locale; per di più era un potere esercitato assai raramente, 3% dei casi, perché impegnava e responsabilizzava la soprintendenza (ad esempio, sarebbe da accertare quanti nulla osta, rilasciati dai comuni turistici, sono stati annullati dalle rispettive soprintendenze)". L'autore inoltre aveva sottolineato che "il più delle volte i giudici amministrativi - Tar e Consiglio di Stato - annullano i già rari provvedimenti della soprintendenza di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche, con la motivazione che essi sono fondati su valutazioni di merito della compatibilità dell'opera con la tutela del paesaggio (valutazioni precluse ai soprintendenti, che spesso sono gli unici competenti). La conseguenza di questi fattori è che, statisticamente, le autorizzazioni paesaggistiche, rilasciate dai comuni o dalle province, che vengono annullate dalle soprintendenze (e il cui annullamento è confermato dai giudici amministrativi) sono pochissime, sicuramente meno dell'1% totale". Da questo punto di vista, l'espressione del parere preventivamente rilasciato dalla soprintendenza competente è stata ritenuta utile strumento di controllo nella fase procedimentale, tale da ovviare anticipatamente ad eventuali problemi di compatibilità degli interventi con il paesaggio (M. Ferretti, Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Napoli, 2007).

[22] In proposito è necessario segnalare alcuni recenti arresti giurisprudenziali che, ponendosi in contrasto con l'orientamento dominante, giungono ad asserire che, in relazione al carattere perentorio del termine entro il quale deve essere espresso, il parere tardivo della soprintendenza è da considerarsi privo dell'efficacia attribuitagli dalla legge e cioè privo di valenza obbligatoria e vincolante (in termini Cons. St., sez. VI, 15 marzo 2013, n. 1561). Le pronunce testé richiamate non convincono a pieno in quanto omettono di considerare che nella funzione pubblica "in assenza di una specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell'amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, lo stesso deve intendersi come meramente sollecitatorio o ordinatorio ed il suo superamento non determina l'illegittimità dell'atto, ma una semplice irregolarità non viziante" (in tal senso Cons. St., 27/02/2012, n. 1084; VI, 19 febbraio 2003, n. 939; V, 10 gennaio 1997, n. 33. Cfr. inoltre nn. 8931 del 2010 e 140 del 2009). Il giudice amministrativo ha assunto tale posizione sulla scorta di fondamentali declaratorie della Corte costituzionale. Ex plurimis si riporta la sentenza n. 267 del 18 luglio 1997,in cui si afferma che il mancato esercizio delle attribuzioni da parte dell'amministrazione entro il termine per provvedere non comporta ex se, in difetto di espressa previsione, la decadenza del potere, né il venir meno dell'efficacia dell'originario vincolo. In tali ipotesi, sempre che il legislatore non abbia attribuito un particolare significato all'inerzia-silenzio, si verifica un'illegittimità di comportamenti derivante da inadempimento di obblighi. A tale pronuncia ha poi fatto seguito in senso confermativo la sentenza 17 luglio 2002, n. 355. E' bene ricordare che la questione è stata analogamente risolta dall'ufficio legislativo del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del turismo, che con nota n. 18883 del 18 ottobre 2011 ha chiarito che "il decorso del termine di legge per il soprintendente non consuma il relativo potere, trattandosi di termine, come è normale nella funzione pubblica e in mancanza di una comminatoria di decadenza, non perentorio, ma sollecitatorio. Ragion per cui, in astratto, nulla vieta che il Soprintendente si pronunci tardivamente oltre il termine assegnatogli dalle norme". Con la consueta attenzione l'ufficio legislativo ha poi segnalato che "in tale evenienza si pongono due ipotesi alternative: se il comune ha già (del tutto legittimamente sotto questo profilo) concluso il procedimento prescindendo dal parere ministeriale, allora il parere tardivamente pronunciato sarà da considerarsi inutiliter datum". Diversamente, "ove il comune (come pure è in sua facoltà) non abbia ancora concluso il procedimento con l'adozione dell'autorizzazione paesaggistica, allora il parere del soprintendente conserverà la sua efficacia vincolante".

[23] In tal senso si veda M.S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1993, secondo cui il parere vincolante non può essere definito manifestazione di opinione, essendo, piuttosto, un atto di volontà e di decisione. In ordine ai c.d. pareri decisori si veda E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2009. E' bene ricordare che alla natura decisoria del parere la giurisprudenza ha riconnesso l'autonoma impugnabilità, disponendo che la regola secondo la quale l'atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile (la lesione della sfera giuridica del soggetto destinatario dello stesso essendo normalmente imputabile all'atto che conclude il procedimento) incontra un'eccezione nel caso di atti di natura vincolata (pareri o proposte), idonei come tali ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva, di atti interlocutori, idonei a cagionare un arresto procedimentale capace di frustrare l'aspirazione dell'istante ad un celere soddisfacimento dell'interesse pretensivo prospettato, e di atti soprassessori, che, rinviando ad un avvenimento futuro ed incerto nell'an e nel quando il soddisfacimento dell'interesse pretensivo fatto valere dal privato, determinano un arresto a tempo indeterminato del procedimento che lo stesso privato ha attivato a sua istanza idonei, come tali, ad imprimere un indirizzo ineludibile alla determinazione conclusiva". Gli stessi Giudici, inoltre, hanno chiarito che "nel procedimento previsto dall'art. 146, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, il parere della Soprintendenza, autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, ha natura obbligatoria e vincolante e, quindi, assume una connotazione non solamente consultiva, ma tale da possedere un'autonoma capacità lesiva della sfera giuridica del destinatario, lesività non superabile e perciò attuale quando l'interessato non abbia prodotto alcuna osservazione. L'indicato parere, pertanto, è autonomamente ed immediatamente lesivo e di conseguenza ex se impugnabile in sede giurisdizionale" (Cons. St., sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 296; Cons. St., sez. IV, 11 marzo 2004, n. 1246; Cons. St., sez. IV, 11 marzo 1997, n. 226; Cons. St., sez. VI, 9 ottobre 1998, n. 1377; Tar Lazio, Roma, sez. I, n. 2223 del 2012; Tar Campania, Salerno, sez. I, 7 dicembre 2011, n. 1955; Tar Lombardia, 10 aprile 2012, n. 598; Tar Puglia, Lecce, sez. I, 3 dicembre 2010, n. 2784).

[24] P. Marzaro, Pianificazione paesaggistica e beni paesaggistici: la centralità del procedimento nella duplicità del sistema, cit. Si veda anche G.F. Cartei, Codice dei beni culturali e del paesaggio e Convenzione europea: un raffronto, in Aedon, 2008, 3.

[25] Così P. Carpentieri, Regime dei vincoli e convenzione europea, cit.

[26] D. Sandroni, op. cit.

[27] P. Marzaro, Pianificazione paesaggistica e beni paesaggistici: la centralità del procedimento nella duplicità del sistema, cit.

[28] In tal senso R. Chieppa, op. cit.

[29] In argomento si veda da ultimo Cons. St., sez. VI, 12 dicembre 2012, n. 6372 in cui si dispone che: "la relazione giuridica tra vincolo paesaggistico-ambientale e piano paesistico è sia, in senso diacronico e procedimentale, di presupposizione (Corte Cost., 13 luglio 1990, n. 327; 7 novembre 1994, n. 379; 28 luglio 1995, n. 417; Cons. St., sez. VI,14 gennaio 1993, n. 29; VI, 14 novembre 1992, n. 873; VI, 30 marzo 1994, n. 450; VI, 4 aprile 1997, n. 553; VI, 20 gennaio 1998, n. 106), sia, in senso gerarchico e sostanziale, di sottoordinazione del piano al vincolo, e di sovraordinazione del piano stesso alla autorizzazione: e ciò vuoi per il piano paesistico, vuoi, per le aree assoggettate a detti vincoli e limitatamente a ciò che attiene alla gestione dei vincoli stessi, per il piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali. Per modo che il piano occupa, in questo sistema, una posizione intermedia tra il vincolo e l'autorizzazione.La giurisprudenza, costituzionale e amministrativa, ha infatti sostanzialmente individuato nel piano paesistico uno strumento di attuazione del vincolo, in quanto atto inteso a disciplinarne l'operatività (Corte Cost., 13 luglio 1990, n. 327) e a determinare la portata, i contenuti, i limiti e gli effetti del vincolo già imposto, concretando un momento logicamente successivo della sua regolazione (Corte Cost., 28 luglio 1995, n. 417), volto ad ulteriormente disciplinare, nel senso del superamento della inevitabile episodicità derivante da un regime meramente autorizzatorio, l'operatività del vincolo paesistico, che in ogni caso permane e non viene meno (Cons. St., sez. VI, 14 gennaio 1993, n. 29; Cons. St., sez. VI, 20 gennaio 1998, n. 106).Questa relazione contenutistica di progressiva specificazione è coessenziale alla stessa relazione di presupposizione, secondo la quale non può adottarsi un piano paesistico se non per aree che già sono state assoggettate a un vincolo paesaggistico-ambientale. Se questa necessità ha infatti un significato, per cui il vincolo è un inderogabile antecedente logico e giuridico del piano paesistico, è non solo nel senso formale che è l'esistenza del vincolo a legittimare l'esercizio successivo della potestà di pianificazione paesistica, ma anche nel senso sostanziale che - data la reciproca distinzione e il diverso iter procedimentale - l'atto presupponente (cioè il piano) non può, nell'esplicarlo, derogarlo, ma deve mantenere intatto il contenuto precettivo dell'atto presupposto (il vincolo), può porsi rispetto ad esso solo in senso derivativo, come ulteriore precisazione della proprietà coercitiva del vincolo (costituita dall'imposizione della previa valutazione di compatibilità paesaggistico-ambientale degli interventi). Dunque il piano paesistico, nel dettare la specifica normativa d'uso del territorio vincolato, non può mai derogare, per porzioni di quel territorio, o per categorie di opere, alla necessità della autorizzazione, perché la valutazione di compatibilità che presiede all'autorizzazione costituisce l'effetto legale tipico del vincolo, ed escluderla significherebbe derogare al vincolo stesso affrancandone ambiti o interventi. Diversamente, il piano paesistico realizzerebbe l'effetto pratico non già di uno strumento di attuazione, e dunque di realizzazione della funzione conservativa del vincolo, ma uno strumento di attenuazione, e dunque al limite di negazione o quanto meno di elusione, degli effetti conservativi propri del vincolo e del suo regime. Il contenuto precettivo proprio del vincolo consiste, come ricordato, nella imposizione del previo giudizio di compatibilità dell'opera che si intende realizzare con le esigenze di conservazione dell'ambito protetto e dunque con i valori ambientali e paesaggistici specifici della zona (Cons. St., sez. VI, 11 giugno 1990, n. 600), giudizio che si estrinseca nella concessione o nel diniego dell'autorizzazione paesaggistica. Il piano paesistico si colloca dunque tra vincolo paesaggistico-ambientale e autorizzazione, in una posizione verticalmente intermedia, obbligatoria (perché ne è obbligatoria l'adozione: Corte cost., 27 giugno 1986, n. 153) ma non necessaria (perché il vincolo spiega comunque i suoi effetti anche in assenza del piano paesistico, ed indipendentemente da esso). Deriva in sintesi da tutto ciò che il piano paesistico, essendo in posizione inferiore, ha nel vincolo il suo titolo e il suo limite e non può modificarlo o derogare ad esso, ma può solo specificarne i contenuti precettivi, ed il contrasto tra i due va risolto in favore del vincolo".

[30] Sul tema si veda subito infra.

[31] S. Amorosino, Dalla disciplina (statica) alla regolazione (dinamica) del paesaggio: una riflessione d'insieme, in Urbanistica e paesaggio, Napoli, 2006, dove si afferma che "la tutela (...) per il paesaggio è la determinazione degli usi e delle trasformazioni compatibili ed avviene mediante uno strumento - la pianificazione spaziale d'area vasta (...).

[32] Cosi P. Baldeschi, Territorio e paesaggio nella disciplina paesaggistica della Regione Toscana e nel PUT. Considerazioni e proposte, Relazione svolta nell'incontro di studio Il territorio: forme, utilizzazioni, garanzie, organizzato dalle facoltà di Architettura e di Giurisprudenza dell'Università di Firenze (Firenze, 15 giugno 2007).

[33] Ci si riferisce, in particolare, alle zone di interesse archeologico tutelate ope legis a norma dell'art. 142, lett. m), del Codice. Sull'argomento si cfr. D. Sandroni, Commento all'art. 142, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, a cura di R. Tamiozzo, Milano, 2005; G. Sciullo, I vincoli paesaggistici ex lege: origini e ratio, in Aedon, 2012, 1-2.

[34] Costituenti l'"altro paesaggio", secondo l'espressione di P. Marzaro, in Pianificazione paesaggistica e beni paesaggistici: la centralità del procedimento nella "duplicità" del sistema, cit., ovvero i vincoli del "quarto tipo", secondo l'espressione di P. Carpentieri, in Il secondo "correttivo" del codice dei beni culturali e del paesaggio, in Urb. app., 2008, 6. A parere di D. Sandroni, Il paesaggio nel secondo correttivo al Codice: punti di forza, elementi di criticità, cit., l'utilizzazione del termine contesti depone per l'individuazione di aree - e non di immobili - che costituiscono una species meritevole di tutela in quanto espressione di beni tipici identitari di una regione (come ad esempio le crete senesi, i territori delle masserie pugliesi, l'agro romano).

[35] Così S. Amorosino, La governance e la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni dopo il secondo decreto correttivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit.

[36] In tal senso, sulla rilevanza di entrambi gli istituti, si esprime P. Carpentieri, Regime dei vincoli e convenzione europea, cit.

[37] Si veda P. Carpentieri, Commento all'art. 135, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Leone e A.L. Tarasco, Padova, 2006, secondo cui la norma, ossia l'art. 135, "conferma il trasferimento della funzione di pianificazione paesaggistica alla competenza regionale, già operato con il d.p.r. n. 8 del 1972".

[38] In argomento cfr. G. Ciaglia, La nuova disciplina del paesaggio, tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici dopo il d.lgs. n. 63/2008, 2009. Nel testo si riporta la relazione esplicativa predisposta dal ministero in occasione dell'emanazione del c.d. secondo decreto correttivo. In essa si evidenziano precipuamente le ragioni alla base della rinnovata distribuzione delle competenze in ordine alla pianificazione paesaggistica: "in materia di pianificazione paesaggistica, anche alla luce della gerarchia degli interessi pubblici afferenti il territorio, per come delineata dalla più volte citata sentenza della Corte n. 367/2007, si è ritenuto opportuno di assicurare allo Stato, titolare dell'interesse preminente, quello alla conservazione del paesaggio vincolato, un ruolo pregnante, di coordinamento operativo, nella definizione di normative d'uso del territorio vincolato specificamente intese ad assicurare la conservazione dei suoi tratti caratteristici sotto il profilo paesaggistico. Perciò l'art. 135, integralmente novellato, oltre a definire i contenuti generali dei piani paesaggistici, la cui redazione, anche in conformità a quanto stabilito dal giudice costituzionale con la pronuncia da ultimo rammentata, è demandata alle regioni, stabilisce, al comma 1, ultimo periodo, che la redazione dei piani, per la parte avente ad oggetto i beni paesaggistici in senso proprio, è effettuato congiuntamente dal Ministero e dalla regione di volta in volta competente".

[39] Sulla rilevanza del principio di leale collaborazione si vedano ex plurimis le sentenze nn. 157/1998 e 437/2000 secondo cui "la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali è affidata ad un sistema di intervento pubblico basato su competenze statali e regionali che concorrono o si intersecano, in una attuazione legislativa che impone il contemperamento dei rispettivi interessi, con l'osservanza in ogni caso del principio di equilibrata concorrenza e cooperazione fra le due competenze, in relazione ai momenti fondamentali della disciplina stabilita a protezione del paesaggio".

[40] P. Marzaro, Pianificazione paesaggistica e beni paesaggistici: la centralità del procedimento nella duplicità del sistema, cit.

[41] In tal senso G. Ciaglia, La nuova disciplina del paesaggio, tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici dopo il d.lgs. n. 63/2008, cit. Si veda anche G. Severini, Commento agli articoli 1 e 2, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., a parere del quale "mentre il testo unico del 1999 era, come la precedente legislazione, il corpo normativo della tutela, il Codice è il corpo normativo sia della tutela che dei principi fondamentali della valorizzazione". Occorre rilevare che la prima affermazione normativa del concetto di valorizzazione risale all'istituzione del Ministero dei beni e delle attività culturali. Negli anni seguenti la nozione di valorizzazione ha poi rinvenuto il proprio riconoscimento sia nella legislazione del 1985 e sia nel d.lgs. 112/1998 che ha fatto espresso riferimento alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali.

[42] L. Casini, Oltre la mitologia giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 1-2. A tale scritto si rinvia per un'attenta disamina dell'evoluzione normativa e delle carenze definitorie che hanno contraddistinto le disposizioni di legge in materia, al punto da poter definire la valorizzazione una vera e propria "chimera".

[43] Il mancato sfruttamento delle potenzialità della funzione della valorizzazione è già rilevato alla fine degli anni Novanta da S. Cassese, I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in Giorn. dir. amm., 1998.

[44] L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali in Riv. trim. dir. pubbl., 2001. Sul tema si segnala anche un recentissimo pronunciamento della Corte cost., 3 luglio 2013, n. 194 secondo cui nel nostro ordinamento verrebbe in rilievo "una sorta di ideale contiguità, nei limiti consentiti, fra le distinte funzioni di tutela e di valorizzazione. Tali funzioni, pur essendo identificate nel proprio ambito, nella propria distinta area di intervento, concorrono unitariamente, a prescindere dal riparto delle competenze legislative, alla salvaguardia del patrimonio culturale, definito dalla Consulta "patrimonio intrinsecamente comune, non suscettibile di arbitrarie o improponibili frantumazioni ma, nello stesso tempo, naturalmente esposto alla molteplicità e al mutamento e, perciò stesso, affidato, senza specificazioni, alle cure della Repubblica".

[45] Così S. Civitarese Matteucci, Commento all'art. 131, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2007. Si vedano anche T. Alibrandi, P.G. Ferri, I beni culturali ed ambientali, Milano, 2001, che escludono la possibilità di scindere tra tutela, valorizzazione e gestione, trattandosi di attività preordinate alla pubblica fruizione.

[46] S. Amorosino, Commento agli articoli 138-165, in La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali. Commento al testo unico approvato con il d. leg. 29 ottobre 1999, n. 490, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2001.

[47] Sul tema si vedano T. Alibrandi e P.G. Ferri, Appendice cit. e Torregrossa, La tutela del paesaggio nella legge 8 agosto 1985, n. 431 (c.d. legge Galasso), in Riv. giur. ed. 1986; G. Famiglietti e V. Giuffré, Il regime delle zone di particolare interesse ambientale, cit. Già secondo tali autori "lo statuto dei beni vincolati a fini paesaggistici e paesistico-ambientali è storicamente caratterizzato non da un divieto assoluto di trasformazioni ma dal controllo della compatibilità di quelle progettate con l'esistenza del vincolo stesso". Sulla dinamicità della tutela del paesaggio si veda poi la già citata relazione ministeriale di accompagnamento a quella che sarebbe diventata la legge n. 1497 del 1939. In tema si veda anche Corte cost.,7 novembre 1994, n. 379.

[48] T. Alibrandi, P.G. Ferri, I beni culturali ed ambientali, cit.

[49] G. Severini, La valorizzazione del paesaggio, in Federalismi.it, 2006, 11.

[50] Secondo G. Severini, Commento agli articoli 1 e 2 del Codice, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2012 "il Codice ha realizzato la sistemazione del concetto di valorizzazione".

[51] In proposito si rileva che l'unitarietà del patrimonio culturale, già desumibile dalla simultanea emanazione delle leggi del 1939, ed ancor prima dalle leggi del 1909 e del 1922, emerge chiaramente dai lavori della Commissione Franceschini del 1964 ed è riconosciuta in plurimi arresti resi dalla Corte costituzionale in merito al c.d. "valore estetico-culturale del paesaggio" (si cfr. Corte cost., n. 151/1986). Antecedentemente all'entrata in vigore del Codice la concezione unitaria è resa normativamente evidente dal Testo Unico del 1999. Sull'argomento si veda in dottrina G. Severini, Commento agli articoli 1 e 2 del Codice, cit. Sul comune fondamento storico, concettuale e giuridico delle due tipologie di beni che danno vita al patrimonio culturale si veda da ultimo anche Cons. St., sez. VI, 3 luglio 2012, n. 3893.

[52] P. Carpentieri, Commento all'art. 6, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, cit.

[53] Così si legge nella relazione ministeriale al c.d. secondo decreto correttivo.

[54] P. Carpentieri, Commento all'articolo 101, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, op. ult. cit. Secondo l'autore con tale nozione "viene restituita alla tutela l'intrinseca connessione con la garanzia di un minimum di fruizione pubblica che appartiene alla sua dimensione finalistica intrinseca".

[55] L. Casini, Valorizzazione e fruizione dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2004.

[56] La prevalenza delle esigenze di tutela era già stata segnalata in dottrina da M. Ainis e M. Fiorillo, I beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo, cit.

[57] Tali aree sono, proprio in virtù del degrado che le connota, ancor di più bisognevoli di tutela. In termini si veda Cons. St., sez. VI, 26 novembre 2005, n. 6756.

[58] Così M.P. Chiti, Semplificazione delle regole e semplificazione dei procedimenti: alleati o avversari?, in Foro amm. - C.d.s., 2006.

[59] In tal senso S. Settis, passim.

[60] Parla di "fattori frenanti la semplificazione" T. Bonetti, Semplificazione amministrativa e competitività del sistema Paese, in Riv. trim. dir. pubbl., 2008.

[61] Si ricorda che a norma dell'art. 159 "fino al 31 dicembre 2009 il procedimento rivolto al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica è disciplinato secondo il regime transitorio di cui al presente articolo. La disciplina dettata al capo IV si applica anche ai procedimenti di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica che alla data del 31 dicembre 2009 non si siano ancora conclusi con l'emanazione della relativa autorizzazione o approvazione".

[62] Dubita della lieve entità degli interventi di ampliamento fino al 10% della volumetria o fino a 100 metri cubi e di quelli di demolizione e ricostruzione nel rispetto della sagoma e della volumetria S. Settis, passim. In dottrina (S. Amorosino, Autorizzazioni paesaggistiche: dalla semplificazione per gli interventi minori alla riforma generale, in Riv. giur. urb., 2011, 1) si è sottolineata la necessità di porre in essere un disegno tecnico politico di semplificazione ragionata e moderata della materia, riconoscendo che "data l'estrema delicatezza dell'oggetto - ovvero il paesaggio e la sua tutela - non è concepibile usare l'accetta, come taluno ambisce e, ricorrentemente, ordisce di fare, sopprimendo commi, articoli, leggi, etc., sino alla totale liberalizzazione. Se ciò è - forse - concepibile per qualche altro settore - nel quale l'inerenza di interessi pubblici è meno cogente - è impensabile per quel che riguarda il paesaggio".

[63] In base ad univoca giurisprudenza "l'interesse alla tutela dell'ambiente, ed in particolare del paesaggio, prevale, infatti, su quello volto alla disciplina dell'uso del territorio e gli stessi poteri in materia urbanistica, subordinati ai precetti del piano, devono perseguire la trasformazione del suolo assumendo a parametro anche la salvaguardia e la protezione dell'ambiente; e ciò nell'ambito di interventi, quello paesistico e quello urbanistico, non privi di connessioni, ma riferibili all'esercizio di poteri autonomi quanto a contenuti ed a presupposti, concepiti nell'attuale ordinamento in modo tale che, nell'assetto delle competenze, lo strumento del piano territoriale paesistico è destinato a sovrapporsi alle previsioni del piano regolatore, in quanto il primo ha lo scopo di individuare i limiti dello sviluppo urbano per finalità di salvaguardia di un sistema ambientale oggettivamente caratterizzato da elementi che lo rendono meritevole di protezione ed originariamente di interesse pubblico (Tar Lazio, 9 ottobre 1997, n. 1472; Cons. St., sez. VI, 6 aprile 1987, n. 242 e 14 gennaio 1993, n. 29, nonché Tar Lazio, sez. I, 20 settembre 1989, n. 1270). Per cui, in sede di pianificazione del territorio "il Comune non può in alcun caso trascurare l'esistenza e la cogenza dei piani paesistici elaborati dalla regione, attesa la tendenziale unitarietà ed omogeneità delle previsioni che devono caratterizzare, in un coordinato assetto globale, i diversi strumenti pianificatori del territorio, essendo il potere pianificatore preordinato all'ordinata programmazione ed allo sviluppo delle aree abitate ed alla salvaguardia dei valori non solo urbanistici, ma anche ambientali esistenti (Tar Lazio, sez. II, 14 dicembre 1998, n. 1028; Cons. St., sez. IV, 14 dicembre 1993, n. 1068). Per un'approfondita disamina del tema si rinvia a G. Ciaglia, Tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici dopo il d.lgs. n. 63/2008, cit.

[64] Invero, l'estensione dell'ambito territoriale considerato nei piani è stata messa in dubbio in seguito all'emanazione del decreto correttivo del 2008, il quale con riguardo al comma 2 ha eliminato il riferimento all'intero territorio regionale. L'attuale comma 2 pertanto stabilisce che "i piani paesaggistici, con riferimento al territorio considerato, ne riconoscono gli aspetti e i caratteri peculiari, nonché le caratteristiche paesaggistiche e ne delimitano i rispettivi ambiti. E tuttavia, l'opinione prevalente è quella di ritenere che la scomparsa di uno specifico richiamo al territorio regionale nella sua interezza non cagioni un mutamento dell'ambito di riferimento che continua a sostanziarsi nell'intero territorio della regione. A sostegno di tale interpretazione vengono in soccorso due indici inequivocabili. Non solo il citato comma 1 che espressamente si occupa dell'intero territorio, ma anche la stessa circostanza che il riconoscimento delle caratteristiche del territorio e la delimitazione in ambiti possano essere realizzati sol in virtù di un'analisi onnicomprensiva.

[65] Si veda S. Civitarese Matteucci, La pianificazione paesaggistica: il coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione, in Aedon, 2005, 3, il quale, ritenendo non sufficientemente chiarito in termini giuridici il rapporto fra piani paesaggistici e piani locali, osserva che il punto problematico principale "sta nel fatto, non tanto che il piano si configuri come insieme di direttive e prescrizioni conformative del territorio (piano misto), quanto che siano le stesse disposizioni prese singolarmente a partecipare di tutte e due le tipologie. Da un lato, infatti, gli strumenti urbanistici devono adeguarsi (v. sia il terzo che il quarto comma) - e qui il piano paesaggistico ha natura di "norma interna" al rapporto di coordinamento - direzione tra soggetti titolari di poteri pianificatori (Sciullo) -, dall'altro lato le previsioni dei piani paesaggistici sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi contenute negli strumenti urbanistici: si tratta di due cose difficili da conciliare: vuol dire, comunque, che le prime abrogano le seconde? In quest'ultimo caso l'adeguamento - se se ne può parlare (certamente è fuori luogo parlare di recepimento) - avrebbe soltanto un significato notiziale, non avrebbe alcun contenuto di volontà (...)". Solleva dubbi anche G. Sciullo, Territorio e paesaggio, in Aedon, 2007, 2: "l'eterocoordinamento è delineato in termini di sovraordinazione del piano paesaggistico sui piani locali. Ma non è chiaro in quali termini questa esattamente si traduca, parlando la disposizione di "immediata prevalenza" sulle disposizioni difformi contenute negli strumenti urbanistici, ma anche di "norme di salvaguardia applicabili in attesa di adeguamento degli strumenti urbanistici", ossia di due meccanismi logicamente alternativi. Tenendo conto di quanto previsto nel successivo comma (comma 4) -fissazione di un termine perché gli enti locali adeguino i loro piani al piano paesaggistico - sarei orientato a pensare che dal piano derivi solo un vincolo di conformazione per la pianificazione locale, vincolo assistito dalla possibilità che il piano con misure di salvaguardia paralizzi gli effetti di altri piani contrastanti con le sue previsioni (in ciò si risolverebbe l'accennata "immediata prevalenza").

[66] Corte cost., 15 marzo 1985, n. 94, in cortecostituzionale.it.

[67] Cfr. P. Carpentieri, Regime dei vincoli e Convenzione europea, passim.

[68] Sulla rilevanza delle prescrizioni di uso si rimanda a P. Marzaro, L'amministrazione del paesaggio profili critici ricostruttivi di un sistema complesso, cit.

[69] Così S. Settis, op. cit.

[70] S. Settis, passim.

[71] Sul dibattito parlamentare svoltosi in seno all'Assemblea Costituente sul principio enucleato dall'art. 9 Cost. si veda sempre S. Settis, passim. e G. Ciaglia, passim.

[72] Così G. Della Loggia, Corriere della sera, 2 agosto 2010.

[73] In tal senso si veda S. Amorosino, La governance e la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni dopo il secondo decreto correttivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit.

[74] Sul tema della semplificazione e garanzia dell'interesse paesaggistico si veda P. Marzaro, L'amministrazione del paesaggio, profili critici ricostruttivi di un sistema complesso, cit. Peraltro, è utile ricordare che la semplificazione incide sulle attribuzioni, sulla distribuzione delle competenze e quindi sul grado di tutela degli interessi, dal momento che "la scelta di attribuire una specifica competenza ad un ente piuttosto che ad un altro è già di per sé un modo di tutelare un interesse" (L. Casini, L'equilibrio degli interessi nel governo del territorio, Milano, 2005).

[75] In argomento S. Settis, passim.

[76] Così S. Amorosino, La governance e la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni dopo il secondo decreto correttivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit.

[77] Corte cost., nn. 416 del 1995 e 196 del 2004, in cortecostituzionale.it.

[78] Sul condono paesaggistico introdotto nel 2004 si veda anche P. Carpentieri, Il condono paesaggistico, in Urb. app., 2005, 3.

[79] Così ancora S. Settis, passim.

[80] In tal senso già si esprimeva la Commissione Franceschini, istituita nel 1964 con funzioni di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio. Sui lavori della commissione si cfr. D. Antonucci, Codice commentato dei beni culturali e del paesaggio, Napoli, 2009.

[81] Così F. Merusi, Art. 9, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, I, Bologna, 1975.

[82] A.M. Sandulli, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Riv. giur. ed., 1967, 2.

 



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