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La gestione del patrimonio culturale

L'accordo di programma tra il ministero per i Beni e le Attività culturali e la regione Campania

di Barbara Accettura

Sommario: 1. Considerazioni generali. - 2. Le politiche della regione Campania in materia di beni culturali. - 3. L'accordo di programma tra Mibac e regione Campania: finalità. - 4. Segue: struttura e contenuto. - 5. Notazioni conclusive.

The Executory Agreement between Ministry for the Cultural Heritage and Activities and Campania Region
This essay analyses how Code regulation of cultural heritage valorization reacts on Intergovernmental Relations. In particular, this study examines the recent executory agreement between Ministry for the Cultural Heritage and Activities and the Campania Region, showing how improving valorization turns out to be difficult, when regional governments lack of suitable organizational skills and structures.

1. Considerazioni generali

L'accordo in commento rappresenta una delle ultime applicazioni conosciute [1], in materia di beni culturali, di quello specifico modulo consensuale costituito dall'accordo di programma e riveste particolare interesse, rispetto alle pur numerose esperienze precedenti, per via del nuovo contesto normativo di riferimento.

In effetti, già a partire dalla seconda metà degli anni '90, lo sviluppo della cooperazione fra amministrazioni statali e regionali è stato affidato, stante la laconicità della normativa di settore, ad un sistema di elaborazione e programmazione degli interventi che si è poi espresso attraverso gli istituti della programmazione negoziata [2].

In altri termini, nella prassi delle amministrazioni regionali si è fatto ampio ricorso agli strumenti consensuali disciplinati dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662 (legge finanziaria 1997), ed in particolare, tra questi, all'intesa istituzionale di programma, all'accordo di programma quadro e all'accordo di programma semplice, articolati secondo un modello c.d. a cascata per effetto del quale un primo livello di negoziazione (intesa istituzionale di programma) è deputato alla programmazione delle linee generali degli interventi, mentre i livelli successivi (accordo di programma quadro e accordi di programma semplici) sono strumentali all'attuazione dei rispettivi antecedenti [3].

Si tratta di scelte, quelle che hanno indotto molte regioni a stipulare con il ministero per i Beni e le Attività culturali intese e accordi in materia di beni culturali, certamente meritevoli di attenzione in quanto orientate verso forme di cooperazione interistituzionale e socio-economica a finalità c.d. "di sviluppo", con un'apertura tanto agli enti locali quanto ai privati. Ciò con l'intento di realizzare una "regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o le parti pubbliche o private per l'attuazione di interventi diversi, riferiti ad un'unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza" [4].

Quando però si passi all'analisi di tali esperienze viene in rilevo come, a dispetto dell'originaria vocazione degli strumenti utilizzati, gli interventi posti in essere si siano in realtà sostanziati in mezzi per la destinazione di risorse finanziarie a favore di iniziative ben definite, peraltro riferite più ad interventi di tutela che di valorizzazione, collocandosi, dunque, al di fuori di più ampi processi di sviluppo [5]. Per altro verso è emerso come, lungi dal realizzare forme di collaborazione tra e con i soggetti locali e/o con i privati, le stesse abbiano favorito i raccordi verticali tra ministero e singole regioni.

Diverso è il contesto a cui guarda, o meglio, dovrebbe guardare l'accordo in commento.

Il Codice dei beni culturali è stato, infatti, interessato da reiterate modifiche. Le variazioni introdotte hanno riguardato in particolare gli artt. 112 e 115, riscritti dapprima dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156 e successivamente modificati dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62, ed hanno avuto ad oggetto l'indicazione dei principi e criteri cui devono conformarsi le attività di valorizzazione e la disciplina delle forme in cui dette attività possono essere gestite.

Quanto alle forme/modalità di esercizio della valorizzazione, l'art. 112 ha delineato un nuovo sistema di concertazione articolato in tre fasi o momenti distinti, strategico, di "programmazione specifica" o di pianificazione, e gestionale o attuativa [6]. Un sistema per il quale Stato, regioni ed enti territoriali possono stipulare, su base regionale e/o infraregionale, accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione (fase strategica) e per elaborare i conseguenti piani strategici e di sviluppo culturale e i programmi (fase di programmazione specifica) [7], promuovendo "altresì l'integrazione, nel processo di valorizzazione concordato, delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati". Ciò con l'ulteriore previsione della possibilità di affidare l'elaborazione dei piani di sviluppo culturale (fase di programmazione strategica) ad "appositi soggetti giuridici", a composizione mista pubblico-privata [8], cui possono partecipare, oltre alle amministrazioni interessate, anche privati proprietari dei beni coinvolti nei processi di valorizzazione e persone giuridiche private senza scopo di lucro.

Quanto alla fase della gestione, l'art. 115 ha ribadito la possibilità di gestione in forma diretta e indiretta, dettando una disciplina della "esternalizzazione", da attuarsi da parte delle amministrazioni cui i beni pervengano o da parte dei succitati "soggetti giuridici", con concessione a terzi, mediante il ricorso a procedure di evidenza pubblica.

Si tratta di un modello nel quale sembra acquisire rilievo un sistema di cooperazione interistituzionale teso non più solo alla composizione [9], armonizzazione e integrazione delle competenze dei differenti livelli di governo, ma piuttosto alla realizzazione di un sistema integrato di valorizzazione dei beni, concepito quale "fase o momento, quasi occasione, di un'azione più ampia volta a favorire lo sviluppo culturale di una determinata area" [10].

In altri termini, il sistema di programmazione concertata con finalità di sviluppo integrato del territorio diviene ora espressione di una precisa scelta normativa di settore.

Un modello la cui realizzazione dipende, oltre che dagli ulteriori sviluppi del percorso di riforma, non ancora giunto a compimento, dalle scelte dei singoli legislatori regionali e soprattutto dalla capacità degli attori locali di realizzare sistemi di tipo effettivamente cooperativo anche a livello orizzontale.

Scopo di queste note è quindi formulare qualche valutazione sull'accordo di programma tra regione Campania e ministero per i Beni e le Attività culturali e verificare se e in che termini esso possa dirsi espressione delle nuove indicazioni legislative o se, invece, esso guardi ancora agli istituti della programmazione negoziata, ponendosi in termini di continuità con le precedenti esperienze.

2. Le politiche della regione Campania in materia di beni culturali

Quando si affronta il tema di quale sia, a livello regionale, il grado di attuazione delle indicazioni legislative, la riflessione non può prescindere dall'analisi del contesto nel quale il modello proposto dal legislatore si va a calare e con il quale è chiamato a raccordarsi e dunque delle difficoltà che ancora condizionano in linea generale la capacità delle regioni di attrezzarsi per intervenire con esiti significativi nel settore beni culturali. Difficoltà che reagiscono anche sulla capacità di individuare soluzioni organizzative cui affidare la realizzazione di politiche di valorizzazione capaci di tener conto delle istanze della sussidiarietà verticale (enti locali) e di quelle della sussidiarietà orizzontale (privati).

D'altro canto l'analisi della legislazione regionale in materia di beni culturali mostra come per lo più le regioni, anche in seguito all'entrata in vigore del d.lg. 112/1998, non abbiano disposto che pochi e poco rilevanti conferimenti di funzioni in favore degli enti locali [11].

Né tantomeno si registrano significativi interventi regionali finalizzati ad un riordino della legislazione in materia di beni culturali dopo la riforma del titolo V Cost.

E' quanto, fra le altre, si riscontra per la regione Campania in relazione alla quale si segnala l'assenza di una legge organica o comunque di un testo che ne ridefinisca le competenze anche in relazione agli enti locali, ma anche di sedi organizzative capaci di assicurare un raccordo con le autonomie, e di strutture interne deputate a svolgere le nuove competenze che le stesse regioni sono legittimate ad esercitare.

Quanto agli interventi legislativi regionali va detto infatti come l'attenzione si sia rivolta verso iniziative settoriali tra le quali quelle più rilevanti restano la l.r. 9 novembre 74 n. 58 "Programma di valorizzazione dei beni culturali nella regione Campania" [12], la l.r. 3 novembre 1974, n. 32, "Prima iniziativa per il censimento dei beni culturali e naturali della regione Campania", e la l.r. 14 gennaio 1983, n. 4, recante "Indirizzi programmatici e direttive per l'esercizio delle funzioni in materia di promozione culturale, educazione permanente, biblioteche e musei". Quest'ultima legge, in particolare, stabiliva le modalità con cui procedere agli stanziamenti finanziari in favore di province e comuni, prevedeva la creazione di sistemi bibliotecari e disciplinava l'istituzione e la relativa gestione dei musei da parte degli enti locali, cui, con la precedente legge 29 maggio 1980, n. 54, erano state devolute le funzioni in tema di musei e biblioteche e interventi per la promozione culturale. A questa ha fatto seguito la l.r. 14 marzo 2003, n. 7, di disciplina organica degli interventi regionali di promozione culturale, cui si deve la previsione di un piano regionale di promozione culturale e un fondo unico per la cultura. Con la l.r. 23 febbraio 2005, n. 12, "Norme in materia di musei e raccolte di enti locali" la regione si è, infine, dotata di una normativa organica in materia di musei.

Del pari va segnalata la debolezza del dato organizzativo, per via della mancanza di strutture interne adeguate al nuovo ruolo riconosciuto alle regioni in materia. Guardando alla struttura regionale si rileva come le competenze regionali in tema di beni culturali siano state imputate a più macrostrutture (turismo e beni culturali, governo del territorio, beni culturali ambientali e paesaggistici, istruzione, educazione permanente, promozione culturale) e poi accorpate nell'unico assessorato "rapporti con la conferenza Stato-regioni, lavori pubblici, opere pubbliche, parcheggi, cave e torbiere, acque minerali e termali, demanio e patrimonio, beni culturali".

Va piuttosto evidenziato come il modello di governo regionale del settore sia stato affidato ad una cospicua attività paranormativa (atti deliberativi e attività negoziale).

Dagli atti deliberativi, in particolare, emerge una riflessione sul tema delle forme di gestione del patrimonio culturale. In particolare [13], con una serie di delibere adottate tra il 2001 e il 2003, la giunta regionale Campana ha costituito la Scabec s.r.l., Società campana per i beni culturali, con lo scopo di "valorizzare il sistema dei beni e delle attività culturali quale fattore dello sviluppo economico della regione Campania" (art. IV statuto), la cui attività viene svolta "prevalentemente a beneficio della regione Campania, ovvero a favore di beni o società di proprietà della regione Campania o da essa controllate".

A detta società, inizialmente a totale partecipazione pubblica, poi divenuta mista (per il 51% alla regione Campania, per il 49% a Campania Arte srl, che ricomprende alcune aziende specializzate nei diversi settori della filiera dei beni culturali) è stata affidata la gestione dei servizi finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artistico della regione.

Tra le attività che la società è deputata a svolgere rientra la gestione diretta di beni e attività culturali, la progettazione e messa in atto di strumenti anche innovativi d'impresa, la progettazione e la realizzazione di piani di promozione integrati e complessivi per la fruizione dei beni e della attività culturali, il monitoraggio delle opportunità di accesso a fondi e agevolazioni finanziarie.

In sostanza, con la costituzione di Scabec si è inteso dar vita ad un soggetto in grado di gestire beni, attività e servizi culturali, anche al di là della semplice gestione dei servizi aggiuntivi.

Questa particolare attenzione alle forme di valorizzazione e gestione del patrimonio culturale emerge anche dagli strumenti regionali di attuazione della programmazione europea dei fondi strutturali e dalle scelte operate in sede di programmazione negoziata.

Ed è proprio per la finalità di far convergere le risorse regionali con quelle di cui all'Asse 2 "Risorse Culturali" del Por Campania 2000-2006 [14], che viene stipulata, secondo il modello c.d. a cascata proposto dagli strumenti di programmazione negoziata, dapprima -il 16 febbraio 2000-, l'Intesa Istituzionale di programma tra regione Campania e Governo e successivamente - il 6 febbraio 2001 -, l'accordo di programma quadro tra Mibac e regione Campania (in seguito APQ) cui fa seguito l'accordo in esame.

In particolare, con l'APQ, regione e Mibac si propongono di "sostenere la conoscenza, la conservazione, la fruizione, la valorizzazione e la promozione dei beni, delle attività e servizi culturali nel territorio regionale" e di realizzare un programma di interventi finalizzati ad incidere sul processo di sviluppo economico-sociale della regione "in un contesto di considerazione integrata delle risorse e di più generale sviluppo dei rapporti di collaborazione istituzionale ed operativa" (art. 2).

Nelle intenzioni dei sottoscrittori, l'accordo è finalizzato "a ricondurre in un quadro unitario di programmazione il complesso degli strumenti e delle risorse comunitarie, nazionali e regionali rese disponibili per il perseguimento dei medesimi obiettivi di sviluppo, ai diversi livelli della strategia di valorizzazione dei beni culturali".

Tra le principali linee strategiche, l'AQP prevede il ricorso a forme di programmazione ed attuazione concertata di interventi tesi alla valorizzazione del patrimonio storico - culturale e paesistico-ambientale della regione, di sistemi di servizi culturali - territoriali o tematici, delle attività di catalogazione e gestione coordinata delle relative banche dati, l'individuazione di forme di cooperazione ai fini della tutela, conoscenza, valorizzazione e gestione del patrimonio librario e documentario in ambito regionale. Un percorso finalizzato, tra le altre, alla definizione di modelli di gestione comune, anche con carattere innovativo, per alcuni siti culturali (Castel S.Elmo Napoli e Reggia di Caserta), con l'eventuale coinvolgimento di altri soggetti pubblici e/o privati, eventualmente nelle forme del project financing.

L'accordo, in sostanza, vuol rappresentare una forma di "partenariato programmatico e operativo" (art. 3) e si caratterizza per un ambito di intervento piuttosto ampio (che va dalla valorizzazione del patrimonio culturale e paesistico - ambientale a quella del patrimonio librario, dai "sistemi di servizi culturali", alle attività di catalogazione) e per la previsione di modelli di gestione comune di alcuni siti monumentali, con l'eventuale coinvolgimento di altri soggetti pubblici o privati.

La scelta va dunque nel senso della ricerca di una strategia comune finalizzata a dare attuazione ai principi di collaborazione e cooperazione che costituiscono già, secondo le indicazioni provenienti dal d.lg. 112/1998 e dal d.lg. 490/1999, modello privilegiato di esercizio delle attività/funzioni di valorizzazione.

Più precisamente, l'accordo quadro sembra andare oltre l'ambito del recupero e della valorizzazione dei beni culturali in senso stretto, giungendo fino alla catalogazione e gestione di banche dati in una logica di rete.

Emerge, in definitiva, l'attenzione verso una tipologia di relazioni di tipo cooperativo che, sia pure ancora rivolte al sostegno economico di singole iniziative di recupero o valorizzazione, apre alla sperimentazione di modelli gestionali innovativi (C. Elmo Napoli e Reggia di Caserta).

Va detto tuttavia che il sistema posto in essere, al di là delle enunciazioni di intenti, non si è ancora tradotto nella definizione di modelli organizzativi, la cui individuazione viene demandata a successivi strumenti, con l'eventuale costituzione di strutture tecnico-organizzative a tanto deputate.

3. L'accordo di programma tra Mibac e regione Campania: finalità

In definitiva, se va riconosciuto alla regione Campania il merito di aver avviato una riflessione sulla valorizzazione-gestione del patrimonio culturale, è però da dire che a sollecitare interrogativi è e resta il profilo relativo alle forme organizzative.

La pressocché totale riscrittura degli artt. 112 e 115 del Codice ad opera del d.lg. 156/2006 diviene quindi occasione e spunto per ridare impulso alla sperimentazione di gestioni innovative e per ripensare il modello cooperativo di cui all'APQ, rapportandolo al nuovo contesto organizzativo-ordinamentale proposto dal legislatore.

Ed in effetti, la previsione di un "sistema di valorizzazione" articolato su più livelli di negoziazione - anche con riferimento ad ambiti territoriali circoscritti -, l'ulteriore previsione di cui all'art. 112 della possibilità di demandare l'elaborazione e lo sviluppo di detti piani strategici ad "appositi soggetti giuridici" aperti alla partecipazione di privati proprietari di beni culturali e di soggetti no profit, la stessa possibilità di conferire a detti soggetti l'uso dei beni oggetto di valorizzazione, hanno dato ulteriore impulso alla ricerca di nuove forme di valorizzazione e gestione.

All'origine di questo nuovo accordo non sembrano, dunque, esservi difficoltà attuative dipendenti dalle applicazioni che sono state fatte dell'AQP, ma evidentemente la volontà di favorire la realizzazione di un quadro decisionale in cui le politiche di valorizzazione dei beni culturali si raccordino alle esigenze di conservazione e restauro ed alle politiche di sviluppo economico del territorio.

Un sistema che, presentato come primo esempio di federalismo dei beni culturali [15], nelle intenzioni dei sottoscrittori è deputato a divenire "il nucleo oggettivo attorno al quale sviluppare linee strategiche, programmi d'azione, studi di fattibilità e di progettazioni di attività di offerta alla pubblica fruizione e valorizzazione del complesso dei beni preso in considerazione" [16]. Si tratta di finalità che i sottoscrittori si propongono di conseguire attraverso futuri accordi. Del pari, ad interventi successivi è demandata, nelle more dello sviluppo di forme innovative di gestione, la previsione di "modalità di gestione in collaborazione tra Stato e regione Campania di alcuni siti culturali di particolare rilievo" [17].

Il riferimento è evidentemente ai nuovi scenari delineati dall'art. 112 del Codice. Quando poi si passi dalle enunciazioni di principio all'analisi del contenuto e della struttura dell'accordo, emerge, in realtà, come quest'ultimo non presenti significativi elementi di rottura rispetto ai precedenti accordi, dei quali riprende lo schema, riaffermando principi e regole propri della programmazione negoziata.

4. Segue: struttura e contenuto

Ed in effetti l'accordo in esame sembra espressione proprio del sistema di programmazione negoziata. Esso costituisce, secondo la citata logica c.d. a cascata che caratterizza gli strumenti della programmazione negoziata, un ulteriore livello di programmazione rispetto all'intesa e all'APQ, attraverso il quale ministero e regione "definiscono le strategie e gli obiettivi comuni di valorizzazione, conservazione, gestione e fruizione che afferiscono ad aree suscettibili di valorizzazione integrata" (art. 1).

Volendo distinguere il piano di interessi rappresentato dall'accordo in commento da quelli dei suoi antecedenti necessari (intesa istituzionale e APQ) sembra rilevarsi una tendenza dell'accordo in esame a concentrarsi sui siti individuati e sulla conservazione e valorizzazione degli stessi.

I sottoscrittori si propongono dunque di promuovere la conoscenza, sostenere la conservazione e assicurare le migliori condizioni di utilizzazione, fruizione pubblica dei siti coinvolti attraverso un'azione programmatica comune che coinvolga, sia pure in una seconda fase, anche gli enti locali e i privati interessati.

Si tratta di finalità la cui realizzazione è rimessa a successivi accordi esecutivi da stipularsi per singoli ambiti territoriali che prevedano, anche con la partecipazione delle competenti soprintendenze, l'elaborazione di piani strategici di sviluppo culturale che dovrebbero costituire il documento di riferimento per tutte le attività da svolgersi negli ambiti così come individuati.

L'accordo in commento elenca i singoli interventi (art. 1), i siti e le aree che ne costituiscono oggetto, sia pure "in prima applicazione ed in via sperimentale", indicandone ventritrè tra cui l'ambito dei Campi Flegrei, l'isola di Capri, il Museo storico di Nola, l'area archeologica di Velia e Certosa di Padula".

Si tratta di un ambito di applicazione piuttosto ampio, non tanto sotto il profilo quantitativo, quanto per la rilevanza dei complessi monumentali e siti archeologici coinvolti.

Rispetto a detti siti, i sottoscrittori si sono impegnati a definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione e gestione, riservando di stipulare, nelle more dell'attuazione dell'art. 112 del Codice, specifici accordi applicativi volti a definire forme di gestione in collaborazione dei medesimi.

Tra le linee strategiche l'accordo indica: il "miglioramento della conservazione dei beni oggetto dell'accordo e delle aree connesse", la "sperimentazione di nuovi modelli di fruizione e valorizzazione, da attuarsi compatibilmente con i diversi assetti di gestione in essere"; "la creazione di attività strumentali e di valorizzazione e di servizi strumentali comuni" a tutto il patrimonio regionale.

Nell'ambito di tali linee strategiche le parti hanno convenuto di porsi obiettivi comuni finalizzati, oltre che al completamento dei restauri già avviati, a rilanciare i siti campani attraverso la sperimentazione di servizi comuni in rete e l'implementazione del sistema Campania Artecard come sistema unico di prenotazione e prevendita on line di visite ed eventi culturali regionali ed interregionali, la progettazione di modelli di utilizzazione di immobili di interesse culturale secondo criteri di efficienza e redditività a supporto del turismo culturale come strutture ricettive o sedi di attività idonee a valorizzare le tradizioni artigianali ed enogastronomiche, la realizzazione di una programmazione condivisa di manifestazioni ed eventi espositivi, la realizzazione di azioni condivise a carattere sperimentale volte alla diffusione della conoscenza del patrimonio culturale campano nelle scuole.

Lo spettro degli obiettivi dell'accordo appare abbastanza ampio sebbene alcuni di essi rappresentino in realtà la prosecuzione di lavori già iniziati precedentemente alla stipula dello stesso. In proposito, si pensi oltre al completamento dei restauri già avviati in seguito ad ulteriori accordi attuativi dell'APQ, all'implementazione del sistema Campania Artecard [18]. Non è nuovo neppure il riferimento alla progettazione e realizzazione concertata di sistemi di servizi culturali, già presente fin dall'Intesa istituzionale di programma.

Costituisce indice della portata meramente programmatica dell'accordo anche la circostanza che non si faccia riferimento alle risorse finanziarie, prevedendo esclusivamente che quelle "necessarie per assicurare ai Piani di sviluppo la loro attuazione saranno determinate nei singoli accordi attuativi, relativi a ciascun sito o complesso di beni".

Va detto, tuttavia, che nell'accordo viene in qualche modo promossa una cultura dell'innovazione gestionale che mira ad integrare le politiche di conservazione con quelle di valorizzazione/fruizione dei beni culturali, promuovendo al contempo la conoscenza del patrimonio culturale locale e lo sviluppo dell'artigianato locale per la creazione di un sistema turistico-culturale.

Quanto alla fase di attuazione, l'accordo prevede l'istituzione di un apposito organo, il comitato per l'attuazione dell'accordo, presieduto a rotazione annuale dal direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania e dal coordinatore dell'area turismo e beni culturali della regione, composto dai primi due quali membri di diritto e da atri sei membri, di cui tre nominati dal ministro e altri tre dalla regione.

Ed è proprio al comitato che viene in definitiva affidata l'intera attività istruttoria e dunque i compiti di predisporre i documenti tecnici per l'elaborazione dei singoli accordi esecutivi, individuare le modalità per la redazione dei singoli piani strategici di sviluppo culturale e reperire le risorse necessarie, studiare e proporre la costituzione, con funzioni di "cabina di regia", di un soggetto appositamente costituito, partecipato dai soggetti sottoscrittori dell'accordo e dagli enti locali territorialmente competenti nonché da fondazioni bancarie di cui all'art. 121 del Codice ed aperto alla partecipazione di altri soggetti pubblici e privati no profit, affidare alla regione la redazione di piani per i servizi di rete, verificare la rispondenza all'accordo dei singoli piani di sviluppo di valorizzazione, proponendo le eventuali modifiche e/o integrazioni che si rendessero necessarie. E' inoltre previsto che il comitato per l'attuazione dell'accordo svolga attività di fund raising (art. 5, comma 3, lett. f) "al fine di ulteriormente allargare la platea dei soggetti pubblici e privati".

L'accordo fornisce anche delle indicazioni per la redazione dei piani di sviluppo territoriali strategici e per i modelli di gestione prescrivendo che gli stessi debbano garantire l'adeguatezza delle condizioni di assetto e sistemazione dei beni, sia rispetto alle esigenze di conservazione e sicurezza, sia rispetto agli obiettivi di valorizzazione e di fruizione, la conformità delle attività di fruizione e valorizzazione dei siti oggetto dell'accordo agli standards di qualità previsti dal d.m. 22 maggio 2001, recante "Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei".

Va rilevato che difetta nell'accordo, salvo che per la previsione di un incontro annuale di verifica ed eventuale aggiornamento, un'articolata disciplina dei monitoraggi sull'attuazione e la previsione di poteri sostitutivi e/o sanzionatori e di strumenti di risoluzione di eventuali patologie dello stesso che dovessero verificarsi in corso di esecuzione.

Unico strumento approntato per il caso di inadempimento degli impegni assunti è la facoltà delle parti firmatarie non inadempienti di chiedere al comitato la risoluzione dell'accordo e la cessazione degli effetti dei conferimenti dei beni, eventualmente disposti a termini dell'articolo 115 del Codice.

Il che non può che indebolirne la portata obbligatoria, risultante peraltro dall'espressa previsione del suo carattere "vincolante per le parti sottoscrittrici" (art. 7, primo comma).

Sempre al comitato viene rimesso il potere di individuare soluzioni condivise per superare eventuali divergenze che dovessero sorgere in sede di esecuzione.

Nell'adempimento dell'accordo le parti si sono impegnate ad attuarne i contenuti secondo il principio di leale collaborazione, utilizzando a tal fine forme di immediata comunicazione e di stretto coordinamento, con il ricorso, in particolare, a strumenti di semplificazione amministrativa e di snellimento dei procedimenti di decisione e di controllo, anche favorendo il coinvolgimento dei soggetti pubblici o privati la cui azione sia rilevante per il loro perseguimento, ad approvare la carta della qualità dei servizi di cui al d.m. 18 ottobre 2007.

L'accordo contiene infine una clausola (art. 10) di salvaguardia che prevede che i beni culturali oggetto dello stesso rimangano, a tutti gli effetti, assoggettati al regime giuridico loro proprio, sia per quel che riguarda il profilo dominicale, sia per quel che attiene alla loro ascrizione al patrimonio culturale e che il ministero mantenga la funzione di tutela sui beni oggetto dell'accordo.

5. Notazioni conclusive

Guardando alle singole disposizioni dell'accordo emerge in definitiva un modello che, come si è detto, stenta a generare un sistema di governace dei beni culturali, quale quello prefigurato dagli artt. 112 e 115 del Codice.

In altri termini, quello che emerge è uno scenario le cui potenzialità restano in gran parte indefinite.

Si consideri sotto un primo profilo che l'oggetto principale dell'accordo è la definizione di strategie e obiettivi comuni di valorizzazione, conservazione, gestione e fruizione dei siti monumentali indicati, che perseguano anche "l'integrazione nel processo di valorizzazione, di infrastrutture e settori collettivi collegati" e si prefiggano il coinvolgimento, secondo principi di sussidiarietà orizzontale, di altri soggetti pubblici e privati, istituzionali e non. Un obiettivo che tuttavia viene perseguito solo in parte e solo nella prima direzione, quella cioè della definizione di strategie e obiettivi comuni di valorizzazione, conservazione e gestione dei siti individuati, ma non anche nella loro attitudine a produrre risorse economiche, come viene sottolineato nelle linee programmatiche.

L'unica forma di attenzione rivolta alla interazione tra offerta culturale e sviluppo del territorio si rinviene in sede di definizione degli obiettivi, con riferimento alla progettazione di modelli di utilizzazione di immobili di interesse culturale a supporto del turismo culturale.

In sostanza, viene proposto un sistema di valorizzazione che rinuncia almeno per il momento a porsi come parte di un'azione più ampia finalizzata allo sviluppo del territorio. E ciò pur nell'ambito di una politica regionale che sembra orami promuovere l'integrazione intersettoriale delle politiche ambientali culturali e turistiche da un lato, e i trasporti, le attività produttive ed i sistemi urbani e la sicurezza, dall'altro [19].

Per altro verso, la circostanza per la quale l'accordo sembra riproporre quelli che erano apparsi i limiti delle pregresse esperienze di programmazione negoziata, lasciando così irrisolti i due principali problemi connessi all'identificazione dei ruoli tanto degli enti territoriali sub-regionali quanto dei privati, dà la misura dei condizionamenti che ancora affliggono il "come " delle scelte regionali.

In sostanza, ancora una volta viene proposto un modello di integrazione verticale Stato - regione in cui, al di là di mere enunciazioni di principio, gli enti locali sono richiamati esclusivamente in relazione a successivi accordi attuativi, mentre rispetto ai privati non emerge alcuna forma di coinvolgimento, salvo che per la previsione di cui all'art. 5 dell'accordo concernente l'eventuale partecipazione, insieme a ministero, regione ed enti locali, di soggetti privati non profit, alla costituzione di "soggetti" con funzione di "cabina di regia" di cui alla lett. c) comma terzo del medesimo art. 5. Una soluzione quest'ultima, che riprende la previsione di cui al comma 5 dell'art. 112, e con essa le incertezze che la connotano [20].

A ciò si aggiunga che, se questa seconda generazione di accordi di programma prende le mosse da un rinnovato interesse del legislatore verso strumenti a finalità di sviluppo, l'esperienza appena analizzata indica però che la ricerca di nuove forme/modalità di collaborazione resta per lo più ancora un'opzione solo teorica.

Certamente degne di rilievo appaiono le potenzialità dischiuse dall'accordo esaminato in relazione all'auspicato ricorso a forme di collaborazione di tipo più o meno strutturato (cabine di regia, comitato per l'attuazione, art. 5), ma restano ancora indefinite, in quanto solo annunciate, "forme di gestione comune" dei siti con carattere innovativo.

Le considerazioni che precedono valgono anche a fugare quelle perplessità sollevate all'indomani della sottoscrizione dell'accordo in ordine alla possibilità che il trasferimento alla regione di tutte le competenze inerenti la gestione dei siti coinvolti possa determinare la conseguente sottrazione al ministero di ogni prerogativa sui medesimi beni anche in tema di vigilanza e tutela [21].

Ed in effetti, si è visto come l'accordo in commento non introduca affatto elementi di novità rispetto all'assetto delle competenze in tema di tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali di appartenenza pubblica risultante dalle indicazioni della Corte costituzionale e poi recepito dalle disposizioni del Codice.

Quanto all'altra questione, pure indicata tra le criticità dell'accordo, afferente il rischio che al passaggio della gestione dei siti alla regione faccia seguito un affidamento diretto della stessa dalla regione a Scabec spa, va detto che "una lettura 'comunitariamente orientata'" [22] delle indicazioni codicistiche "non osta a che ad un'entità mista [quale nella specie Scabec spa] possano essere assegnati [...] compiti di gestione dei beni culturali ad essa conferiti in uso" sempre che, come nel caso di Scabec spa, il partner privato sia stato scelto con gara [23].

Sicché, paradossalmente, proprio in relazione a quest'ultimo profilo, l'accordo sembrerebbe costituire espressione dei più recenti scenari annunciati in tema di forme di gestione.

Si tratta, in ogni caso, di profili rispetto ai quali incidono le incertezze dello stesso dato codicistico in relazione alla identificazioni dei ruoli di privati ed enti territoriali e le scelte o meglio, per quanto si è detto [24], le mancate scelte, del legislatore regionale, ma che certamente esprimono ancora una volta l'impossibilità di rintracciare sedi e soluzioni ulteriori a quelle che possono ricondursi alla legge statale, atte ad avviare un nuovo rapporto con i territori e con i soggetti che vi operano.

 

Note

[1] Un'altra applicazione del nuovo "sistema di valorizzazione integrata" di cui alla riforma del 2006 è rappresentata dall'accordo stipulato tra Mibac e regione Veneto. Cfr. C. Barbati, Governo del territorio, beni culturali e autonomie: luci ed ombre di un rapporto, in Aedon, n. 2/2009.

[2] Cfr. C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Il diritto dei beni culturali, Bologna 2006, 169 ss.

[3] Cfr. L. Zanetti, Gli accordi di programma quadro in materia di beni e attività culturali, in Aedon, n. 3/2000; S. Foà, L'accordo di programma quadro tra il ministero per i Beni e le Attività culturali e la regione Piemonte, in Aedon, n. 2/2001.

[4] Art. 2, comma 203, lett. a), legge 23 dicembre 1996, n. 662. Cfr. G. Rivosecchi, Patti territoriali, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Agg., Torino 2005, 584-5.

[5] Cfr. L. Zanetti, Gli accordi di programma quadro in materia di beni e attività culturali, cit. il quale rileva come "nella prassi gli a.p.q. tendono a venir configurati come mezzi di programmazione intermedia, da portarsi ad esecuzione mediante strumenti quali gli accordi di programma 'semplici', e non come figure immediatamente operative". Cfr. più approfonditamente infra.

[6] Cfr. sul sistema di concertazione di cui all'art. 112, M. Cammelli, Introduzione, in M. Cammelli, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna 2006, 30 ss.; G. Severini, Commento all'art. 112, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2006, 736 ss.

[7] M. Cammelli, Introduzione, in M. Cammelli, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., 30 ss.

[8] G. Severini, Commento all'art. 112, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., 741

[9] Il Codice, infatti, nella sua prima versione aveva indicato nel metodo consensuale, il "modello di elezione per lo svolgimento coordinato, armonico ed integrato di attività e servizi di valorizzazione dei beni culturali pubblici" in grado di superare, facendo leva sul principio di collaborazione, "ogni possibile contrapposizione e/o rivendicazione di competenze" tra lo Stato e gli enti pubblici territoriali, e nell'accordo di programma lo strumento operativo per la realizzazione dell'auspicata concertazione, con ciò connotandosi rispetto ai precedenti interventi di settore per aver ampliato, con l'espressa previsione dell'accordo, gli strumenti per l'attuazione di tale modello. E' dunque nel passaggio dal vecchio testo dell'art. 112 a quello risultante dalle modifiche introdotte dal d.lg. 156/2006 che gli accordi acquisiscono una connotazione ulteriore.

[10] C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Il diritto dei beni culturali, Bologna 2006, 117.

[11] Cfr. C. Tubertini, La disciplina delle attività culturali nella legislazione regionale: un nuovo bilancio, in Aedon, n. 1/2007.

[12] Con la quale veniva disposto un piano di programmazione degli interventi di restauro, acquisto e valorizzazione.

[13] Ci si riferisce alle deliberazioni n. 7143 del 21 dicembre 2001, n. 312 del 1 febbraio 2002, n. 6265 del 20 dicembre 2002 e n. 623 del 14 febbraio 2003.

[14] L'Asse 2, finalizzato alla tutela, conservazione e valorizzazione delle risorse e dei valori storico-culturali della regione - ha individuato, nell'ambito della Misura 2.2 del POR, quali ambiti specifici di intervento per la valorizzazione dei territori campani ad alta valenza culturale i Progetti Integrati "Grandi Attrattori Culturali" e "Itinerari Culturali"-

[15] C. Barbati, Governo del territorio, beni culturali e autonomie: luci ed ombre di un rapporto, cit., la quale sottolinea come l'accordo sia stato presentato "con enfasi, in tutta probabilità eccessiva, come primo esempio di federalismo dei beni culturali".

[16] Così la premessa dell'accordo.

[17] Ibidem.

[18] Il progetto relativo alla "Napoli art card" risale ai dd.mm. 18 febbraio 2002 e 25 giugno 2002, concernenti il progetto di vendita della "Napoli Art card campi Flegrei" nei musei statali di Napoli e nel complesso archeologico dei Campi Flegrei, ed è stato prorogato con d.m. 5 febbraio 2003. Con quest'ultimo decreto è stata altresì avviata la sperimentazione del progetto relativo alla utilizzazione di due nuove tipologie di carte musei, denominate "Campania Art card tre giorni con trasporti e "Campania art card sette giorni senza trasporti" per l'ingresso agevolato in alcune sedi espositive della Campania ed in particolare nei musei statali ivi indicati.

[19] Il dato emerge dal programma operativo per l'intervento comunitario del Fondo europeo di sviluppo regionale per il periodo 2007-2013. Detto documento peraltro evidenzia uno schiacciamento delle politiche culturali rispetto a quelle turistiche con l'obiettivo di rendere il patrimonio naturalistico e culturale un elemento di crescita economica.

[20] Cfr. G. Sciullo, Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore beni culturali: una svolta dopo il d.lg. 156/2006, in Aedon, n. 2/2006, il quale rileva come la riformulazione degli artt. 112 e 115 del Codice non incoraggi la partecipazione dei privati agli interventi di valorizzazione, ciò per via del mancato inserimento dei privati profit tra i soggetti che legittimati a prendere parte tanto alla programmazione degli interventi quanto a entrare nella composizione dei "soggetti giuridici " cui può essere affidata l'elaborazione dei piani di sviluppo culturale. Il che, secondo l'autore, si pone in antitesi con il principio dell'integrazione degli interventi proposto dall'art. 112.

[21] Le perplessità sono espresse dalla UIL Beni culturali in un comunicato stampa pubblicato all'indomani della sottoscrizione dell'accordo e concernono per un verso un'asserita violazione da parte dell'intesa di "un obbligo Costituzionale poiché il Mibac, aggirando tutte le norme del Codice dei Beni culturali, non garantisce la tutela. In più non può affidare siti alla regione quando gli stessi sono tenuti aperti e tutelati dalle risorse proprie del Mibac" e per altro verso il rischio che l'accordo celi un passaggio della gestione dei siti dal ministero alla regione e da questa alla Scabec spa, con ogni conseguenza in ordine alla perdita dei posti di lavoro del personale ministeriale ivi presente, cfr. comunicato stampa della segreteria nazionale UIL Beni ed Attività culturali Accordo Ministero-Regione Campania: un inciucio da respingere proclamata la mobilitazione del personale della Campania contro lo smantellamento dei beni culturali, in www.patrimoniosos.it.

[22] L'espressione è di G. Sciullo, Novità sul partenariato pubblico-privato nella valorizzazione dei beni culturali, in Aedon, n. 2/2009.

[23] Cfr. G. Sciullo, Novità sul partenariato publico-privato nella valorizzazione dei beni culturali; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 15 ottobre 2009, causa C-196/08 Acoset con la quale la Corte ha sancito la conformità al diritto comunitario di affidamenti da parte di pubbliche amministrazioni di appalti o di servizi effettuati senza gara nei confronti di spa miste da esse costituite con privati, qualora "costituite specificamente al fine della fornitura di detto servizio e con oggetto sociale esclusivo, nella quale il socio privato sia selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica, previa verifica dei requisiti finanziari, tecnici, operativi e di gestione riferiti al servizio da svolgere e delle caratteristiche dell'offerta in considerazione delle prestazioni da fornire, a condizione che detta procedura di gara rispetti i principi di libera concorrenza, di trasparenza e di parità di trattamento imposti dal Trattato per le concessioni". Cfr. art. 15 d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 20 novembre 2009, n. 166 che, nel modificare l'art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha previsto che l'affidamento dei servizi pubblici locali possa avvenire anche nei confronti di società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità, "le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento".

[24] Cfr. infra, par. 2.

 

 



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