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Gli sviluppi della disciplina sugli incentivi al mecenatismo

di Leonardo Zanetti


Sommario: 1. Il quadro di riferimento. - 2. L’ampliamento della sfera dei destinatari delle donazioni. - 3. La precisazione delle utilità ricavabili dal donatore.



1. Il quadro di riferimento

Tra le principali misure di sostegno al mecenatismo culturale va senz’altro annoverata la disciplina introdotta dall’art. 38 della legge 21 novembre 2000, n. 342, a cui si è già dedicato uno specifico approfondimento su questa rivista [1]. In estrema sintesi, tale disciplina consente di dedurre dal reddito d’impresa le erogazioni liberali destinate ad organismi operanti nel settore culturale, fermo restando che questi ultimi possono essere chiamati - qualora l’importo complessivo delle donazioni agevolate superi la soglia annuale prefissata - a versare all’erario una quota delle somme percepite [2].

Pur essendo rimasta invariata la normativa di rango legislativo, negli ultimi mesi la disciplina in esame ha conosciuto un importante sviluppo, per quanto riguarda le disposizioni attuative dettate con decreto ministeriale. Infatti, il d.m. 11 aprile 2001 è stato sostituito (e implicitamente abrogato) dal d.m. 3 ottobre 2002, che costituisce lo spunto per queste note.

E' opportuno premettere che, benché dal punto di vista formale l’ultimo decreto costituisca un provvedimento a sé stante e non un intervento di modifica del decreto originario, in realtà l’uno riproduce quasi per intero i contenuti dell’altro, anche sotto il profilo della formulazione letterale, con la sola eccezione di alcune specifiche previsioni. L’opzione del ministero a favore della stesura di un nuovo testo, anziché della modifica del testo precedente, sembra ispirata all’intento di evitare possibili difficoltà di coordinamento e di lettura del quadro normativo, e non corrisponde ad evidenti discontinuità per quanto riguarda gli scopi e i principi dello strumento considerato. Questa scelta, per molti versi condivisibile, probabilmente dipende anche dalla circostanza che l’incentivo in esame abbia già cominciato a trovare qualche attuazione pratica [3], e al contempo abbia dato luogo a talune incertezze e difficoltà [4], così da sconsigliare interventi regolativi troppo drastici.

Dunque, passando ai contenuti, sembra sufficiente limitarsi a segnalare le principali innovazioni apportate dal d.m. 3 ottobre 2002 rispetto al d.m. 11 aprile 2001, ribadendosi che si tratta di "messe a punto" del sistema, ancorché di un certo rilievo, più che di inversioni di rotta.

In particolare, si possono individuare almeno tre principali innovazioni [5]: a) l’inclusione, tra i possibili destinatari delle donazioni agevolate, dei soggetti privati che non abbiano beneficiato in precedenza di contributi pubblici, alla condizione che possiedano i corrispondenti requisiti (e con la precisazione, in realtà pleonastica, che ciò vale anche per gli organismi al primo anno di attività); b) l’inclusione tra i destinatari delle donazioni, inoltre, dei soggetti privati che comunque svolgano attività in materia culturale e artistica; c) la previsione secondo cui possono considerarsi erogazioni liberali anche le elargizioni che diano luogo ad un "pubblico ringraziamento" del beneficiario al mecenate.

 

2. L’ampliamento della sfera dei destinatari delle donazioni

Circa i primi due aspetti innovativi, deve rilevarsi come la nuova versione della disciplina ministeriale si proponga di estendere la cerchia dei possibili destinatari delle erogazioni liberali, cerchia che la disciplina anteriore configurava in modo apparentemente estensivo, visto il gran numero di categorie menzionate, ma sostanzialmente restrittivo, visto che tali categorie ruotavano intorno a ben pochi ambiti: quello degli enti pubblici e semi-pubblici (intendendo a quest’ultimo proposito gli organismi aventi natura giuridica privata ma fortemente legati a pubbliche amministrazioni, attraverso rapporti di partecipazione, indirizzo, controllo); quello dei soggetti in toto privatistici, e tuttavia qualificati dall’aver ricevuto contributi pubblici entro i cinque anni precedenti [6], oppure dalla titolarità o gestione di beni culturali di particolare pregio - quali musei e raccolte - e sempre che si tratti di beni vincolati e che ne sia prevista l’apertura al pubblico. Sicché, le strutture private "semplici", ossia prive di tali specifici fattori di qualificazione, rimanevano escluse dalla possibilità di avvalersi del beneficio. Ed è proprio a tali figure che si rivolge il nuovo decreto, facendo in modo che anch’esse siano in grado di percepire le donazioni agevolate [7].

In tal senso va vista anzitutto la previsione secondo cui l’incentivo si applica anche quando l’erogazione liberale è effettuata a favore di un soggetto che non abbia mai fruito di contributi pubblici, e che però sia in possesso dei corrispondenti requisiti [8]. Peraltro la finalità di estendere l’incentivo si contempera con la volontà di riservarlo a figure comunque "qualificate", ove la "qualificazione" ancora una volta viene parametrata sui presupposti per l’accesso ai fondi pubblici. Senonché tali presupposti vengono verificati non già ex post, alla luce dei finanziamenti ottenuti nelle annate precedenti, bensì ex ante, in base alla astratta possibilità di ottenerne nell’anno in corso. Il che viene a premiare le iniziative culturali che si presentino come non particolarmente radicate (da qui l’esplicito riferimento, seppur ridondante, agli organismi che si trovano nel primo anno di attività) ma che siano ugualmente in grado di raggiungere risultati apprezzabili secondo la normativa in tema di contributi pubblici [9].

Ciò, a parere di chi scrive, evidenzia ancor più il rilievo della previsione secondo cui l’incentivo è applicabile pure nei casi in cui il destinatario della donazione svolge sic et simpliciter "attività dirette a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte, così come definite dall’art. 148 ss. decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998" [10]. Infatti quest’ultima previsione considera necessario e sufficiente il fine culturale, indipendentemente dal possesso dei requisiti per l’accesso ai fondi pubblici. Si tratta di un importante mutamento qualitativo, poiché si ammette che il mecenatismo (agevolato) possa esercitarsi nei confronti di tutti gli organismi privati con vocazione culturale, per il solo fatto che sussista tale vocazione, e senza che vengano in rilievo condizioni diverse e aggiuntive, come quella - sicuramente indicativa, ma non passibile di assolutizzazione - costituita dall’attitudine a fruire di risorse pubbliche. In altri termini, si attenua non poco la coloritura pubblicistica dell’incentivo, che può trovare applicazione anche a favore di realtà del tutto estranee al circuito dei finanziamenti pubblici: non solo nel senso di non averne mai beneficiato, ma anche nel senso di non essere progettate e valutabili secondo i relativi parametri. E si può immaginare che si verificherà un corrispondente mutamento quantitativo, giacché la platea dei potenziali percettori delle erogazioni liberali viene ad essere ampliata notevolmente [11].

 

3. La precisazione delle utilità ricavabili dal donatore

La terza innovazione introdotta dalla nuova disciplina ministeriale riguarda invece un profilo del tutto diverso. Come si è accennato, essa consiste nella previsione secondo cui possono considerarsi erogazioni liberali anche le donazioni che danno luogo ad un "pubblico ringraziamento" a favore del donatore da parte del destinatario. Questa disposizione, apparentemente secondaria, in realtà risulta di notevole rilievo. Infatti, uno dei principali problemi - giuridici e pratici - posti dalla normativa in materia riguarda la linea di demarcazione tra mecenatismo e sponsorizzazione: le erogazioni di denaro, per godere dell’incentivo, devono essere dettate da liberalità, ossia non possono rientrare in un rapporto a prestazioni corrispettive; tuttavia, ben difficilmente dei soggetti imprenditoriali [12] sono disponibili ad un impegno economico in mancanza della possibilità di conseguire delle utilità specifiche almeno sotto il profilo del ritorno d’immagine. Si tratta dunque di stabilire se, e in quale misura, il soggetto finanziatore che intenda qualificare il proprio intervento come erogazione liberale e non come sponsorizzazione, in modo da fruire dell’incentivo, possa associare la propria immagine all’iniziativa finanziata.

La disposizione in discorso dà una risposta affermativa, e al contempo rigorosa, a tale quesito: in positivo, consente al destinatario della contribuzione di formulare - come detto - un "pubblico ringraziamento" all’autore delle contribuzioni stesse; in negativo, sembra implicitamente precludere ogni ulteriore forma di sfruttamento dell’iniziativa a fini di immagine. Senza entrare nei dettagli applicativi, che vanno rimessi ai cultori del diritto tributario, si può ritenere che risulti confermata la correttezza della prassi consistente nell’evidenziare il nominativo dell’azienda donatrice su manifesti e opuscoli inerenti alle iniziative finanziate; e che, all’opposto, venga sancito il divieto per l’impresa di menzionare tali interventi nell’ambito delle proprie campagne promozionali, ancor più se in associazione con singoli prodotti. A ben vedere si tratta di soluzioni che erano già state affacciate in via interpretativa, con largo anticipo rispetto all’adozione del recente decreto ministeriale [13]. Tuttavia, visto che l’intera materia del mecenatismo e delle sponsorizzazioni offre attualmente ben poche certezze [14], e considerata la delicata fase di sperimentazione in cui tuttora si trova lo specifico incentivo qui in esame, il recepimento nel dato positivo va nella direzione della definitiva messa a regime dello strumento, a tutto vantaggio della sua "appetibilità" per gli operatori.

 

 

 



Note

[1] L. Zanetti, Gli strumenti di sostegno alla cultura tra pubblico e privato: il nuovo assetto delle agevolazioni fiscali al mecenatismo culturale, in Aedon, n. 2/2001. Sia consentito rinviare a tale contributo per un più ampio inquadramento dell’istituto e per l’analisi di dettaglio della disciplina positiva.

[2] Attualmente è previsto che il contributo all’erario si calcoli dapprima ripartendo proporzionalmente tra tutti i beneficiari la soglia di esenzione, e quindi applicando il prelievo del 37% alla parte eccedente.

[3] Da un lato, sono state diramate le opportune istruzioni applicative, tra cui la circolare congiunta dell’agenzia delle Entrate e del ministero per i Beni e le Attività culturali in data 31 dicembre 2001. Dall’altro lato, si sono registrate alcune pronunce relative a profili più specifici, come la risoluzione dell’agenzia delle Entrate n. 181/E del 13 novembre 2001, in Guida agli enti locali, n. 46/2001, 60 (con cui, rispondendo ad un apposito interpello, l’amministrazione finanziaria ha confermato l’applicabilità dell’incentivo all’erogazione effettuata da parte di una società di capitali a favore di un comune, e finalizzata all’ampliamento di una biblioteca scolastica).

[4] Segnalate anche dalla stampa: per tutti, si veda A.Che., Contributi con sconto, ma la partenza è lenta, in il Sole-24 ore, 26 agosto 2002.

[5] Benché le premesse del d.m. 3 ottobre 2002, nell’indicare le ragioni che hanno indotto alla revisione della disciplina originaria, si limitino a menzionare soltanto il primo dei tre profili in esame.

[6] Sebbene in queste note per semplicità di esposizione si parli di finanziamenti "pubblici", in realtà la normativa vigente si riferisce soltanto ai finanziamenti previsti da fonti legislative, siano esse statali o regionali (si veda attualmente l’art. 1, lettere d), e), f), del d.m. 3 ottobre 2002).

[7] La circostanza che le innovazioni riguardino solo i soggetti privati, e non anche gli enti pubblici, si spiega con le previsioni - trasfuse immutate dal vecchio al nuovo decreto ministeriale - secondo cui le pubbliche amministrazioni operanti in materia culturale sono ammesse al beneficio semplicemente in forza del loro status soggettivo, senza che siano necessari specifici elementi oggettivi. Pertanto d’ora innanzi, nel riferire circa l’ampliamento della portata applicativa dell’incentivo, si darà per scontato che ciò interessi soltanto la sfera dei privati.

[8] Tale previsione compare nell’art. 1, comma 1, lettere d) ed e), del d.m. 3 ottobre 2002. Si osservi peraltro che entrambe le disposizioni si riferiscono non già a tutti i contributi previsti con legge statale o regionale, bensì soltanto a quelli configurati dalle due principali leggi dello Stato (precisamente, la legge 30 aprile 1985, n. 163, istitutiva del Fondo unico per lo spettacolo, e la legge 17 ottobre 1996, n. 534, sui finanziamenti alle istituzioni culturali).

[9] In realtà, l’attuazione operativa di questa previsione sembra destinata a porre non pochi problemi. Si noti che l’astratta possibilità di valersi di contributi pubblici può essere valutata soltanto sul piano fattuale, proprio perché non è assistita da nessuna attestazione amministrativa. Si noti altresì che l’incentivo fiscale di cui ci stiamo occupando vede un intervento dell’autorità non sotto forma di autorizzazione preventiva, ma soltanto in sede di controllo successivo, sub specie dell’eventuale accertamento tributario. Con il paradosso, almeno stando alla lettera della norma, per cui l’attitudine di un certo organismo o progetto culturale ad accedere ai contributi pubblici, che ordinariamente viene valutata dal ministero per i beni e le attività culturali, allorché rileva come astratto presupposto per la fruizione dell’incentivo fiscale viene valutata dall’amministrazione finanziaria: il che non sembra tener conto adeguatamente né delle specializzazioni professionali necessarie, né dell’esigenza di uniformità di giudizio.

[10] Questa previsione è contenuta nell’art. 1, comma 1, lettera i), del d.m. 3 ottobre 2002. Peraltro la menzione della disciplina di cui al d.lg. n. 112/1998, seppur evocativa dell’ambito di riferimento, non sembra ineccepibile, giacché rinvia ad una disciplina dettata con specifico riguardo alle funzioni pubbliche, più che alle attività private, in materia di cultura (e di spettacolo).

[11] In definitiva, l’unico discrimine tra esperienze ammissibili ed esperienze non ammissibili al mecenatismo agevolato consiste nella struttura organizzativa del destinatario delle donazioni: infatti, tutte le fattispecie di diritto positivo, incluse quelle introdotte da ultimo, richiedono esplicitamente tanto la personalità giuridica quanto l’assenza del fine di lucro, oltre che - naturalmente - l’operatività nel campo della cultura (o dello spettacolo).

[12] Si ricordi nuovamente che, alla luce della normativa in vigore, le contribuzioni a sostegno della cultura sono deducibili solo dal reddito d’impresa, e non anche dai redditi personali.

[13] Il riferimento è a M. Giua, Il punto su mecenatismo e sponsorizzazioni culturali, in Corriere tributario, 2001, 415 ss., spec. 416.

[14] Per una approfondita analisi delle sponsorizzazioni nella pubblica amministrazione specie di livello locale, e anche per riferimenti alle relative categorie privatistiche, si veda G. Piperata, Sponsorizzazioni e appalti pubblici degli enti locali, in Rivista trimestrale degli appalti, 2002, 67 ss.



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