La disciplina giuridica delle attività culturali
Le sfide dello Stato finanziatore di cinema: organizzazione e strumenti adottati in Italia e in Francia
di Maria Giusti [*]
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Un settore strategico e un supporto pubblico eccezionale. - 3. Organizzazione amministrativa, fonti e entità dei finanziamenti. - 4. I molti principi che guidano l’azione statale. - 5. I principali strumenti di finanziamento. - 6. La ricerca di un equilibrio complessivo: le diverse scelte dei due paesi.
Il contributo esamina l'azione dello Stato italiano di finanziamento della produzione cinematografica, comparandola con quella dello Stato francese e mettendo in luce le sfide insite nel sostegno a un'industria culturale. L’analisi evidenzia l'importanza economica e culturale dell’industria del cinema e le ragioni per cui il sostegno al settore sia, entro certi limiti, ammesso a livello europeo e internazionale. Successivamente, vengono analizzate le strutture amministrative, le fonti e l'entità dei finanziamenti nei due Paesi, nonché gli strumenti di sostegno adottati. Infine, si mostra come l'Italia e la Francia, pur adottando strumenti simili, ottengano bilanciamenti finali assai diversi.
Parole chiave: audiovisivo, finanziamento, credito d’imposta, produzione cinematografica.
The challenges of the film-financing state: organization and instruments adopted in Italy and France
This paper examines state involvement in funding film production in Italy, comparing it with the French approach and highlighting the challenges inherent in supporting a cultural industry. The analysis underscores the economic and cultural significance of the film industry and discusses why state funding for this sector is permitted to a certain extent under European and international regulations. It then analyzes the administrative structures, funding sources, and levels of financial support in both countries, as well as the various financing tools they employ. Finally, the paper demonstrates that although Italy and France utilize similar instruments, they achieve different outcomes.
Keywords: audiovisual, funding, tax credit, film production.
Il contributo riguarda l'azione dello Stato italiano di finanziamento di nuove opere cinematografiche [1]. Il caso dell’Italia viene analizzato in comparazione con quello della Francia che costituisce uno punto di riferimento in materia. Il sistema di finanziamento francese, complesso e sofisticato, è considerato infatti uno dei motivi principali per cui il paese possiede l'industria audiovisiva più importante d'Europa, ed è ammirato dagli operatori di cinema stranieri e visto come un modello dai legislatori europei [2]. Questo è vero anche per il legislatore italiano, che nel 2016 ha riformato la materia del finanziamento al cinema ispirandosi per più versi alla normativa francese [3].
L'attività dello Stato come finanziatore del cinema riflette la sua funzione di intermediario finanziario, che raccoglie risorse dai privati tramite imposte e tasse e utilizza poi le somme raccolte per erogare beni e servizi finalizzati al perseguimento di finalità pubbliche. Anche nel caso del cinema, questa attività genera conflitti tra chi si avvantaggia e chi è penalizzato, sollevando complessi problemi di giustizia redistributiva. La questione è spesso oggetto di dibattito presso l’opinione pubblica.
Alcuni ritengono che lo Stato non dovrebbe finanziare il settore. Il tema non è tanto che il benessere sociale sarebbe massimizzato lasciando agire il mercato, quanto piuttosto quello delle condizioni dello Stato italiano. Ha una spesa pubblica elevata ma con una struttura amministrativa i cui problemi vengono continuamente messi in luce, arranca anche nell’assolvere alle sue funzioni primarie. Non riesce a garantire ai propri cittadini e alle proprie imprese servizi di sanità, istruzione e infrastrutture adeguati, ed è quindi inopportuno che si preoccupi di finanziare il cinema. Anche tra coloro che condividono l'intervento dello Stato, non mancano le critiche. Riguardano l'oggetto errato della sua azione di finanziamento: l'idea è che i fondi pubblici spesso finiscono per sostenere progetti che non li meritano, o che comunque non ne hanno bisogno [4].
L'obiettivo del contributo è evidenziare le sfide legate al finanziamento del settore cinematografico, ben intercettate dalle critiche dell’opinione pubblica, che non sempre colgono però la complessità che anima l’azione dello Stato. A questo fine, il lavoro è articolato in cinque paragrafi.
Il primo analizza le ragioni per cui gli aiuti statali al cinema sono parzialmente ammessi a livello europeo e internazionale, nonché quelle per cui Italia e Francia scelgono di avvalersi di questa possibilità e di sostenere il settore.
Il secondo paragrafo esamina l'organizzazione amministrativa dei due Stati come finanziatori del cinema, oltre alle fonti e all'entità dei finanziamenti.
Il terzo e il quarto paragrafo analizzano i principali strumenti di sostegno utilizzati da entrambi i paesi. Ciascuno di questi strumenti è coerente con alcuni dei principi che guidano l’azione di sostegno, ma rischia di entrare in conflitto con altre esigenze, motivo per cui la razionalità complessiva del sistema è perseguita tramite l’integrazione di più interventi simultanei. L'ultimo paragrafo, infine, ripercorre i risultati principali della ricerca ed evidenzia come Italia e Francia, pur utilizzando strumenti di finanziamento simili, ottengano risultati finali assai diversi.
2. Un settore strategico e un supporto pubblico eccezionale
L’audiovisivo costituisce un’industria strategica per l’economia. In Italia, vanta uno dei più alti effetti moltiplicatori, secondo solo a quello di alcuni servizi di trasporto e del comparto delle costruzioni: per ogni euro richiesto di servizi e prodotti audiovisivi, la produzione dell'intera economia cresce quasi del doppio, cioè di 1,97 euro [5]. Secondo le ultime statistiche ufficiali, in aggiunta ai circa sessantacinquemila posti di lavoro che produce direttamente, dall’audiovisivo dipendono oltre centoquattordicimila posti nelle filiere connesse [6]. Peraltro, l’importanza economica del settore audiovisivo non deriva solo dal suo peso diretto in termini di valore aggiunto e di occupati: i film, le serie, i documentari e gli spot pubblicitari contribuiscono anche a favorire altre produzioni tipiche del made in Italy e ad attrarre imprese e investimenti stranieri, nonché a sviluppare il turismo.
L’audiovisivo non rappresenta però solo un motore di crescita economica e sociale; produce anche un impatto culturale, più difficile da misurare in termini quantitativi. Per questo è assunto dal legislatore italiano tra le espressioni della cultura individuabili come beni culturali-attività, al pari della musica, del teatro, della danza, del circo e degli spettacoli viaggianti, che nel loro complesso costituiscono il settore dello spettacolo (qualificato come registrato nel caso dell’audiovisivo e come dal vivo con riferimento agli altri casi) [7].
Il prodotto audiovisivo più antico, il cinema, inizialmente relegato allo status di intrattenimento popolare, nel tempo si è visto riconoscere la qualifica di una forma d’arte. D’altronde, le opere audiovisive sono veicolo di sogni, ideali e speranze; intrattengono, distraggono, fanno pensare, stimolano, informano, persuadono e creano convinzioni. Ciò spiega perché l’audiovisivo, e in particolare il cinema, sia stato talvolta parte della politica estera di alcuni paesi, vedendosi attribuire ruoli di sostegno alle ambizioni egemoniche in determinati momenti storici. Si pensi al periodo della guerra fredda, durante il quale i film americani sono stati utilizzati con funzioni educative e propagandistiche per diffondere i valori della democrazia occidentale [8].
In sintesi, oltre che beni economici che offrono opportunità per creare ricchezza e occupazione, i film, così come le altre opere audiovisive, sono espressione di patrimonio culturale immateriale e rappresentano mezzi di comunicazione e educazione sociale. Come afferma la Commissione europea, essi rispecchiano la varietà` culturale delle diverse tradizioni degli Stati membri e modellano le società orientandone valori e comportamenti, svolgendo così un ruolo di primo piano nel delineare l’identità europea [9].
È proprio in ragione della dimensione culturale del settore che gli Stati europei - entro certi limiti - sono autorizzati a sostenerlo [10]. I produttori audiovisivi svolgono le loro attività su un palcoscenico internazionale e i finanziamenti nazionali in loro favore sono suscettibili di distorcere e compromettere la concorrenza; tuttavia, gli aiuti di Stato all’audiovisivo non rientrano nel regime previsto dall'art. 107, comma 1, del Tfue [11].
L’industria audiovisiva europea soffre di debolezze strutturali, rappresentate dalla sottocapitalizzazione delle società, dalla frammentazione dei mercati nazionali, dominati da produzioni extraeuropee, e dalla scarsa circolazione transnazionale delle opere. L'elevato rischio associato alla creazione dei contenuti, insieme alla talvolta errata percezione che il settore sia poco redditizio, rende difficile per i produttori ottenere un'adeguata copertura commerciale per intraprendere i loro progetti, creando una dipendenza dagli aiuti di Stato [12]. Il sostegno pubblico è allora “fondamentale per consentire alla cultura e alla capacità creativa di esprimersi rispecchiando la varietà` e la ricchezza della cultura europea” [13].
Si tratta della c.d. eccezione culturale, che è funzionale a garantire la diversità culturale e che opera sulla base di un regime normativo complesso che non ha ancora raggiunto un equilibrio stabile [14]. La sua affermazione si deve soprattutto alla Francia. Difese con forza l’idea che i film non sono “marchandises comme les autres” nella lunga battaglia trade versus culture che si consumò tanto a livello internazionale che all’interno della Comunità Europea (CE) a partire dalla fine della seconda guerra mondiale [15]. La Francia rivendicò il compito degli Stati di correggere le tendenze del mercato per assicurare un’offerta culturale pluralista e diversificata. Sostenne che a un approccio di laissez-faire sarebbero conseguiti una mancanza di film nazionali ed europei e un’invasione di quelli americani, capaci di imporsi nel resto del globo in ragione di fattori economici, politici e linguistici. Si sarebbe trattato, secondo la Francia, di consentire il verificarsi di forme di “imperialismo culturale” da parte degli Stati Uniti, a discapito degli ideali, dei costumi e delle tradizioni europee [16].
Consapevoli della natura strategica del settore e in virtù di questa legittimazione, l’Italia e la Francia, come d’altronde molti altri Stati europei, finanziano il cinema [17]. Riconoscono aiuti per la produzione e la distribuzione di nuove opere, nonché a favore delle sale e delle attività che contribuiscono a promuovere la cultura cinematografica [18].
3. Organizzazione amministrativa, fonti e entità dei finanziamenti
Non esiste una strutturata competente in materia di cinema all'interno del ministero della Cultura francese. Dal 1946 [19], l'istituzione incaricata di elaborare ed attuare le politiche statali in materia è il Centre national du cinéma et de l'image animée (Cnc), ente di diritto pubblico con personalità giuridica, posto sotto l'autorità del ministero della Cultura ma dotato di autonomia organizzativa, regolamentare, contabile e finanziaria [20].
In Italia, le funzioni di supporto al cinema sono svolte invece dalla Direzione generale (Dg) cinema e audiovisivo del ministero della Cultura (Mic), responsabile in materia fin dal 1998. Durante la discussione del progetto che sarebbe divenuto la riforma italiana del 2016, era stato proposto di istituire un'agenzia autonoma simile al Cnc all'interno del Mic italiano. L'obiettivo era rendere più agile e reattiva l'azione dello Stato nel settore, per esempio liberandola dal fardello di un’assunzione e gestione pubblicistica delle risorse umane e strumentali [21]. Si mirava, inoltre, a favorire un’attuazione quanto più completa possibile del principio di separazione tra politica e amministrazione, anche al fine di affrancare la disciplina e gestione degli aiuti dalle oscillazioni derivanti dalla discontinua volontà delle maggioranze di governo [22]. Tuttavia, la proposta non ha avuto seguito, e le funzioni statali in materia di cinema e audiovisivo continuano ad essere esercitate dall’apposita Dg del Mic.
Pur essendo organizzazioni amministrative assai diverse, il Cnc francese e la Dg cinema e audiovisivo italiana svolgono funzioni simili. Riconoscono aiuti economici all’industria, svolgono ispezioni e controlli sui beneficiari dei sostegni, contribuiscono al coordinamento degli aiuti riconosciuti dai diversi livelli di governo e partecipano alla definizione della posizione nazionale presso le istituzioni europee e internazionali. In aggiunta, osservano ed analizzano il settore, producendo studi e rapporti in materia.
Oltre che in termini di strutture amministrative, i casi di Italia e Francia differiscono anche con riguardo alle fonti del finanziamento. Le risorse statali trasferite al cinema provengono sempre dall’imposizione fiscale, ma non necessariamente dai bilanci generali degli Stati. In alcuni casi, sono ideate soluzioni diverse, la cui adozione influenza l’ammontare e la stabilità dei finanziamenti, e può anche incidere sulla percezione dei contribuenti riguardo al peso fiscale correlato.
Il modello adottato in Francia è particolarmente complesso e sofisticato. La maggior parte delle risorse statali trasferite al settore cinematografico proviene da un fondo speciale gestito dal Cnc. Esso è alimentato dal gettito di tasse applicate ai ricavi degli operatori audiovisivi, ovvero di sale cinematografiche, emittenti televisivi, rivenditori di dvd e blu-ray e piattaforme digitali come Netflix [23]. Difatti, fin dal 1948, in Francia vige il principio secondo cui tutti coloro che traggono profitto dallo sfruttamento dei contenuti cinematografici devono contribuire al finanziamento di quelli futuri. Il gettito delle tasse applicate agli operatori non alimenta il bilancio generale dello Stato, ma è assorbito direttamente dal fondo del Cnc, che poi redistribuisce le somme raccolte tra gli operatori del settore.
Grazie a questo sistema, l'entità del sostegno al cinema francese non dipenda dalle condizioni annuali del bilancio dello Stato, né dalla sensibilità dei diversi governi rispetto alle questioni culturali. La quantità di fondi è correlata piuttosto allo stato di salute del settore: maggiori sono i ricavi che registra, maggiori saranno i finanziamenti del Cnc. In teoria, questo sistema dovrebbe favorire anche una migliore accettazione del prelievo, poiché la pressione fiscale riguarda solo coloro che beneficiano poi delle risorse raccolte. Tuttavia, il sistema francese genera diverse perplessità.
La prima è legata alla convinzione, assai diffusa, secondo cui il cinema francese non è finanziato da fondi pubblici. Poiché le risorse sono assorbite direttamente dal Cnc senza transitare per il bilancio generale dello Stato, in molti sostengono che la Francia non finanzia l'industria del cinema. Si limiterebbe, piuttosto, a svolgere una funzione regolatoria, imponendo un risparmio agli operatori cinematografici e redistribuendo poi le somme così raccolte tra quegli stessi operatori attraverso il Cnc [24]. Secondo questa interpretazione, la Francia avrebbe uno dei programmi di finanziamento al cinema più contenuti d’Europa. Si tratta di una prospettiva non condivisibile. I fondi che l'industria riceve dal Cnc, un'istituzione pubblica che opera sotto l'autorità del Mic, possono non rappresentare un costo monetario diretto per lo Stato, ma sono sicuramente un costo in termini di opportunità; lo Stato accetta di rinunciare alle somme destinate al Cnc per finanziare qualcosa di diverso dall’audiovisivo.
In secondo luogo, la sussistenza di un legame diretto tra il sostegno dello Stato e lo stato di ricchezza del settore cinema è difficile da condividere. Non è chiaro perché un’industria debba ricevere sempre più fondi man mano che cresce. Questo approccio può finire per danneggiare anche la stessa industria. Negli anni 2002-2012, la sproporzione tra il livello degli aiuti di Stato e le effettive necessità del settore ha portato a una sorta di “inflazione” all'interno del cinema francese. Si è assistito, infatti, a un aumento considerevole dei costi di produzione dei film francesi, in larga parte attribuibile alla crescita dei compensi degli attori; ricevevano paghe più alte per partecipare a progetti nazionali destinati al mercato francese che quando erano parte del cast di film americani con prospettive di distribuzione globale [25].
L'approccio dell'Italia è diverso da quello della Francia. Prima della riforma del 2016, le risorse che lo Stato italiano destinava al cinema provenivano da varie fonti. La principale era il “Fondo Unico per lo Spettacolo” (Fus), finanziato annualmente dal bilancio generale attraverso la legge finanziaria, e chiamato a sostenere non solo il cinema, ma anche gli altri comparti del settore dello spettacolo. Come sottolineato dalla Corte dei Conti, “La diversa provenienza delle risorse destinate al sostegno del settore, da un lato, ha costituito un elemento di poca leggibilità` dell'onere pubblico complessivo sopportato dal bilancio statale per il cinema, e, dall'altro, un obiettivo ostacolo per la valutazione dell'efficacia dell'azione di sostegno con riferimento alla complessiva strategia finanziaria di intervento nel settore” [26].
La riforma del 2016 ha superato questi problemi, istituendo il “Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo”, che dovrebbe costituire l’unica fonte di supporto [27]. Esso è finanziato dal bilancio generale dello Stato, guardando però al reddito degli operatori audiovisivi: più alte sono le somme incassate dallo Stato dalle imposte applicate al settore, più alte dovrebbero essere le risorse che lo Stato gli trasferisce per la creazione futura. Difatti, la legge del 2016 ha stabilito che la dotazione del fondo va parametrata ogni anno all’11% delle entrate Ires e Iva dell’audiovisivo, fermo restando che non deve scendere sotto una certa soglia [28]. Ne consegue che il gettito delle tasse applicate agli operatori audiovisivi alimenta il bilancio generale dello Stato e contribuisce a sostenere le spese pubbliche, un approccio diverso da quello osservato in Francia. Tuttavia, la sua entità è considerata nel calcolo delle risorse da trasferire al fondo per il cinema e l’audiovisivo.
Nonostante le differenze, la strategia oggi adottata in Italia persegue obiettivi simili a quelli della Francia. La ratio è ancorare il finanziamento a parametri predefiniti, tutelando l’audiovisivo dalle fluttuazioni annuali del bilancio statale e dal variare della sensibilità politica per la cultura. Si tratta, inoltre, di migliorare l'accettazione dei prelievi stabilendo un collegamento tra le tasse pagate dagli operatori e i finanziamenti trasferiti al settore.
L’analisi dei dati mostra che la legge 220/2016 ha rafforzato il contributo finanziario dello Stato italiano, che oggi trasferisce all’audiovisivo almeno 700 milioni di euro ogni anno (fig. 1). Di conseguenza, è aumentata la percentuale di risorse al settore sul totale di quelle destinate dallo Stato alle attività culturali, di intrattenimento e religiose: si è passati dal 3,15% nel 2015 all’8% nel 2021 [29]. Si tratta di un valore comparabile a quello che si registra tradizionalmente in Francia (9/11%) [30], dove però i finanziamenti all’audiovisivo continuano ad essere maggiori in termini assoluti, raggiungendo circa un miliardo di euro ogni anno (fig. 1).
Fig. 1. Evoluzione dei
finanziamenti all’industria audiovisiva in Italia e in Francia (2009-2022).
Fonte: Elaborazione di dati della Dg cinema e audiovisivo
per l’Italia, e di dati del Cnc, della Cour des Comptes e della Commission des
finances, de l’économie générale et du contrôle budgétaire per la Francia. Dati
in milioni di euro.
4. I molti principi che guidano l’azione statale
Una volta esaminate strutture amministrative, fonti e entità dei finanziamenti nei due paesi, è possibile analizzare come vengono allocate le risorse, ovvero quali progetti cinematografici beneficiano del finanziamento [31]. Si tratta di una questione spesso oggetto di dibattito presso l’opinione pubblica [32].
Secondo alcuni, lo Stato italiano finanzia film privi di meriti culturali e artistici. Altri ritengono, invece, che finanzierebbe opere troppo di “nicchia” la cui domanda è limitata, e proviene peraltro dalla parte più ricca e istruita della società. In altri termini, l’azione dello Stato darebbe luogo a effetti di redistribuzione all’inverso. C’è anche chi afferma, al contrario, che lo Stato finanzia film troppo “commerciali”: i soldi di tutti non dovrebbero essere utilizzati per supportare operatori già forti e di successo. In Italia, per esempio, il sostegno finanziario ai cinepanettoni ha suscitato polemiche riguardo all'allocazione dei fondi pubblici.
Si tratta di critiche comprensibili. L’Italia, come d’altronde la Francia, fa effettivamente tutto questo: finanzia film dal valore culturale e artistico controverso, opere di nicchia e progetti commerciali. D’altronde, difficilmente potrebbe fare altrimenti, dati gli obiettivi eterogenei e complessi che si propone di raggiungere e le sfide che si annidano nella promozione di un’industria culturale.
Sebbene gli aiuti di Stato all’audiovisivo siano legittimati a livello europeo dall’esigenza di salvaguardare la diversità culturale, il supporto a un settore che è insieme arte e industria richiede di considerare entrambe le dimensioni. Un sistema di valori che neghi l’importanza del sostrato economico a favore di quella artistico rischia di compromettere la piena valorizzazione di quest’ultimo. Un pittore o un poeta possono creare capolavori anche nella solitudine dei loro studi, affidandosi unicamente al loro talento e alla loro creatività. I film e le serie televisive sono invece il frutto di un lavoro collettivo di carattere industriale: perché autori e registi possano esprimere la loro ambizione artistica e raggiungere un pubblico, è necessario che sussistano infrastrutture adeguate, budget di produzione e promozione e che nell’ambiente spesso caotico dei set si coordinino molteplici professionisti con competenze diverse e attrezzature tecnologiche [33]. In sintesi, il supporto è giustificato da ragioni culturali ma non può prescindere dal prestare attenzione alla solidità della base industriale del settore: questo non è funzionale solo a generare occupazione e ricchezza ma anche all’impatto culturale e artistico.
Lo Stato promotore di audiovisivo combina così l’aiuto per ragioni di bisogno e di merito a favore delle piccole imprese con il premio all’efficienza delle imprese già affermate, mirando contemporaneamente ad incrementare il pluralismo e la diversità culturale e il rafforzamento della base industriale del settore. Allo stesso tempo, lo Stato ricerca un difficile equilibrio tra l’esigenza di “orientare” le dinamiche e la logica di mercato, che dovrebbero essere difatti contenute dal richiamo all’eccezione culturale, e quella di seguire in modo acritico quella stessa logica e quelle stesse dinamiche. Occorre, infatti, evitare lesioni alla libera determinazione delle espressioni artistiche e forme paternalistiche di dirigismo culturale, nel rispetto del dettato costituzionale. L’art. 9, comma 1, ai sensi del quale «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica», va letto in combinato disposto con l’art. 33, comma 1, che dichiara la libertà dell’arte [34].
5. I principali strumenti di finanziamento
Gli strumenti di finanziamento più importanti nei due paesi sono gli aiuti selettivi, gli aiuti automatici e i crediti d'imposta. I primi due sono qualificabili come aiuti diretti, dato che consistono nel trasferimento diretto di denaro da parte dell'amministrazione all’industria per la creazione di nuovi film. I crediti d'imposta costituiscono invece aiuti indiretti: non si traducono nell’elargizione diretta di fondi, ma si manifestano come vantaggi fiscali per incentivare i produttori a sviluppare nuovi film.
Gli aiuti selettivi vengono assegnati da commissioni di esperti all'interno dell'amministrazione per la realizzazione di progetti che faticano a ottenere finanziamenti sul mercato (come opere prime e seconde) ritenuti però rilevanti dal punto di vista culturale e artistico [35]. Questi strumenti mirano, infatti, a facilitare l'accesso al mercato di operatori competenti ma privi di mezzi, arricchendo la diversità e la “qualità” dell'offerta cinematografica.
Per quanto capaci di soddisfare obiettivi importanti, gli aiuti selettivi presentano anche delle problematiche. Il rischio principale attiene alla natura necessariamente discrezionale delle valutazioni degli esperti. Il legislatore, sia in Italia che in Francia, ha stabilito dei principi che i soggetti incaricati di assegnare gli aiuti selettivi devono rispettare, ancorandone il giudizio a criteri prestabiliti. Tuttavia, questi ultimi rimangono fisiologicamente vaghi, con la conseguenza che le valutazioni delle commissioni costituiscono giudizi soggettivi e opinabili. Non esistono, infatti, modi oggettivi per determinare cosa abbia o meno valore artistico e culturale, e non è quindi possibile giudicare la legittimità delle scelte dei giudici, e pertanto l’assenza di forme di clientelismo o altre patologie. Il processo di allocazione degli aiuti selettivi porterà sempre a critiche circa progetti che non sono stati finanziati ma avrebbero dovuto esserlo, o che hanno beneficiato di aiuti immeritati [36].
Un ulteriore rischio degli aiuti selettivi è quello di usare fondi pubblici per consentire ai registi e agli operatori del settore di effettuare le loro scelte a prescindere da quelle del grande pubblico, generando benefici solo per una nicchia ristretta.
I contributi automatici rappresentano premi in denaro assegnati ai produttori di film di successo da reinvestire nella realizzazione di nuovi film. L’entità del sostegno dipende dal successo dei film precedenti, misurato secondo criteri predefiniti dalla legge [37]. Maggiore è il successo del film precedente, maggiore è il sostegno statale per un nuovo film. Gli aiuti automatici scongiurano quindi i rischi insiti nelle forme di valutazione discrezionale, e incoraggiano gli operatori di successo a continuare a produrre nuovi film, permettendo loro di pensare in modo più ambizioso per i progetti futuri.
Tuttavia, anche gli aiuti automatici presentano dei rischi: possono premiare le case di produzione per la realizzazione di film con impatti artistici e culturali controversi, generando critiche per il finanziamento di film “troppo commerciali”. Un’ulteriore preoccupazione è che gli aiuti automatici violino il principio per cui i finanziamenti pubblici devono avere un effetto addizionale [38], ovvero favorire attività che in mancanza non sarebbero realizzate o lo sarebbero in misura minore di quella ritenuta più confacente all’interesse pubblico. Premiando chi ha già successo, e quindi anche gli operatori che hanno maggiore facilità nel reperire finanziamenti sul mercato, gli aiuti automatici possono finire per finanziare film che verrebbero prodotti anche in mancanza di supporto pubblico.
I crediti d'imposta permettono di limitare un problema comune agli aiuti automatici e selettivi: quello di interferire con il libero sviluppo della cultura. Si tratta di un rischio particolarmente evidente nel contesto degli aiuti selettivi, dove la valutazione e la scelta dei progetti sono effettuate da commissioni che potrebbero finire per dettare gli orientamenti dell'industria al posto del mercato. Tuttavia, esso esiste anche nel contesto degli aiuti automatici. La definizione a monte di canoni che danno successivamente corpo a scelte pressoché meccaniche consente di evitare che le valutazioni siano effettuate con riferimento a singole opere, distanziando così la politica e l'amministrazione dall'espressione artistica. Tuttavia, dei condizionamenti permangono: non si assiste a una sparizione della scelta ma solo a una sua riassunzione in mano al legislatore che detta i criteri, poi rigidi nella loro applicazione da parte dell’amministrazione.
Se la sottoposizione al giudizio delle commissioni di esperti può spingere gli aspiranti al sostegno a conformarsi ai loro gusti e alle loro inclinazioni, la predisposizione di criteri normativi finisce comunque per stabilire presupposti interni ed esterni cui devono aspirare i progetti. Il rischio, anche per il legislatore mosso dalle migliori intenzioni, è quello di appore nuovi vincoli. Si pensi agli effetti prodotti dal reference system introdotto dal c.d. decreto Urbani in Italia [39]. Per ridurre l'arbitrarietà delle scelte delle commissioni ministeriali incaricate di scegliere i titoli da finanziare, il legislatore introdusse dei criteri di valutazione oggettivi. Tra questi, l’affidabilità economica dimostrata in passato dal produttore e i meriti artistici e culturali del cast artistico del progetto, rappresentati per esempio dalla partecipazione a festival e l’ottenimento di premi. In questo modo, lo Stato finì per incoraggiare i produttori, interessati ad ottenere punteggi elevati, ad ingaggiare sceneggiatori, attori e registi affermati, generando un effetto conservativo e soffocando l'emergere di nuovi talenti, in contrasto con gli obiettivi che dovrebbero animare il sostegno pubblico al settore [40].
I crediti d'imposta aiutano a mitigare queste problematiche perché promuovono l'intera industria cinematografica [41], consentendo al settore di evolvere autonomamente, senza interferenze da parte delle autorità pubbliche e forme paternalistiche di dirigismo culturale. Difatti, l'aspetto distintivo di questi aiuti è che il loro rilascio non richiede un giudizio di merito da parte dello Stato. Perché i progetti possano beneficiare dei crediti di imposta, è in sostanza sufficiente che non abbiano natura pornografica o di incitazione alla violenza e che presentino un legame con il paese che riconosce l’incentivo. È vero che le opere devono essere “culturalmente ammissibili” agli aiuti, ma i criteri previsti a tal fine sono così generici che è difficile immaginare progetti incapaci di soddisfarli.
Tuttavia, anche i crediti d'imposta non sono esenti da critiche. L'assunto su cui si basano, ovvero che l'intera industria sia meritoria di per sé, così come il ritiro dell'amministrazione e la fuga dalla discrezionalità che ne consegue, comportano dei rischi. Come gli aiuti automatici, i crediti di imposta possono finire per finanziare prodotti che sarebbero forse in grado di stare con le loro sole forze sul mercato, nonché contenuti di “qualità” incerta. In effetti, con gli aiuti indiretti lo Stato finisce per seguire in modo abbastanza acritico le dinamiche e la logica del mercato, ovvero quelle dinamiche e quella logica che il richiamo alla eccezione e alla diversità culturale dovrebbe invece contenere.
6. La ricerca di un equilibrio complessivo: le diverse scelte dei due paesi
Dall’analisi è emerso che l’Italia e la Francia si avvalgono dell’eccezione culturale per sostenere attivamente il settore del cinema, di cui riconoscono l'importanza sia economica che culturale. L’impegno dello Stato italiano in materia è aumentato con la riforma del 2016, che ha portato a un significativo incremento delle risorse destinate all’industria. Ispirandosi al modello francese, l’Italia ha creato un legame tra lo stato di salute del cinema e l’entità dei finanziamenti. Questo metodo risponde a esigenze importanti: mira a garantire che l’entità delle risorse non dipenda dalle condizioni annuali del bilancio dello Stato né dalla mutevole sensibilità della politica verso le questioni culturali.
Tuttavia, si tratta di un metodo che apre diversi problemi. In particolare, solleva questioni in materia di equità redistributiva, dato che comporta che l’industria del cinema contribuisca in modo limitato al finanziamento di altre spese pubbliche. Inoltre, può portare a stanziamenti eccessivi rispetto alle reali necessità del settore, con il rischio di causare fenomeni inflattivi al suo interno.
Lo studio ha inoltre mostrato che l’azione di entrambi gli Stati finanziatori è improntata a molteplici direttive: promuovere la qualità e la diversità dell’offerta, rafforzare il tessuto industriale del settore per consentirgli di innovare e competere a livello internazionale, e non compromettere la libera autodeterminazione della cultura cinematografica. I diversi principi alla base dell’azione di sostegno spiegano la molteplicità di meccanismi di finanziamento adottati dai due paesi. Ogni strumento è coerente con alcune direttive, ma può anche confliggere con altre esigenze. Ne deriva che ciascuno è intrinsecamente imperfetto e che tutti sono necessari per mitigare i problemi generati dagli altri. Pertanto, gli Stati cercano di raggiungere un equilibrio attraverso l'integrazione di molteplici interventi simultanei e coordinati.
Benché gli strumenti adottati siano simili nei due paesi, l’equilibrio raggiunto è assai diverso. In Italia, le risorse erogate con strumenti indiretti sono cresciute progressivamente negli ultimi anni, mentre quelle trasferite in modo diretto sono diminuite. Di conseguenza, i crediti d'imposta assorbono oggi la maggior parte dei fondi italiani (fig. 2). Anche in Francia, le risorse concesse in modo indiretto sono cresciute negli ultimi anni. Tuttavia, a differenza dell'Italia, la Francia trasferisce ancora in via diretta la maggior parte dei fondi (fig. 2).
Il differente peso assunto dall’aiuto diretto e indiretto nei due paesi testimonia che il sostegno italiano è maggiormente indiscriminato: l’Italia rinuncia più della Francia a stabilire cosa sia o meno meritevole. L’importanza dei tax credit avvicina peraltro il sostegno italiano al cinema a quello per le altre attività produttive prive di un’analoga valenza culturale. Difatti, il ricorso alla fiscalità con lo scopo di incentivare l’economia, pur essendo un fenomeno piuttosto recente in Italia, nel corso del tempo ha assunto un’importanza crescente, superiore a quello delle sovvenzioni [42]. In qualche modo, l’eccezione culturale giustifica il sostegno al cinema, ma non influisce significativamente sulle modalità con cui è realizzato.
La scelta italiana a favore degli aiuti indiretti non è, però, necessariamente criticabile. È infatti coerente con importanti esigenze. Innanzitutto, quella di semplificare l’attività della pubblica amministrazione. A differenza della Francia, l'Italia non dispone di un'agenzia dedicata al cinema con autonomia finanziaria e regolatoria e una struttura adeguata a gestire programmi di sostegno articolati. In Italia, dove l'amministrazione statale in materia di cinema soffre dei problemi che affliggono la pubblica amministrazione nel suo complesso, c'è più bisogno di meccanismi che non richiedono l’esercizio di scelte programmatiche e di attuazione complesse.
Il ricorso a meccanismi indiretti si spiega inoltre con l’esigenza di limitare le problematiche del sostegno diretto. Si tratta di evitare che le imprese che aspirano all’aiuto siano indotte ad assecondare gusti e inclinazioni delle commissioni incaricate di selezionare i progetti da finanziare nel contesto degli aiuti selettivi, oppure ad adeguare le proprie attività per conformarsi ai parametri di merito previsti per l’accesso agli aiuti automatici. Questi effetti contrastano con il principio costituzionale per cui l’azione dello Stato di promozione della cultura non deve compromettere il libero sviluppo della cultura stessa.
L’utilizzo degli aiuti indiretti è anche funzionale ad evitare ulteriori rischi propri del sostegno diretto, in particolare di quello selettivo. Si tratta di soddisfare l’esigenza, che si è manifestata con tutti gli strumenti di incentivo alle attività produttive private, di scongiurare le logiche dello “stato negoziale” e i “meccanismi spartitori” frequenti in passato [43]. Nel caso del cinema, il problema deriva soprattutto dalla mancanza di criteri oggettivi circa cosa sia meritevole da un punto di vista culturale e artistico, circostanza che comporta la natura fortemente discrezionale del potere dell’amministrazione di valutare il merito dei progetti che competono per accedere alle risorse, e la conseguente impossibilità di giudicare le scelte dei giudici.
In sintesi, l'approccio prevalentemente automatico e indiretto adottato dall’Italia si basa su solide ragioni teoriche e pratiche. Tuttavia, anche i tax credit sono strumenti imperfetti. Come già detto, il presupposto su cui si basano, ovvero che l'intera industria sia meritoria di per sé, così come il ritiro dell'amministrazione e la fuga dalla discrezionalità che ne consegue, non sono necessariamente condivisibili. I crediti d'imposta possono finire per finanziare prodotti che sarebbero forse in grado di stare sul mercato con le proprie forze, nonché contenuti di qualità incerta.
Inoltre, un sostegno eccessivamente generalizzato e indiscriminato comporta il rischio di disperdere le risorse tra un gran numero di progetti. Finanziare molti contenuti con somme modeste per singolo progetto può risultare problematico. Come discusso, sono necessarie storie ambiziose, cast importanti e budget di produzione e promozione significativi affinché le opere possano effettivamente raggiungere un pubblico. Ed è evidente che l'incontro tra i titoli finanziati e i contribuenti rappresenta un risultato fondamentale.
Tuttavia, è importante considerare, in conclusione, che l'eventuale insuccesso dei film finanziati non indica necessariamente l’inefficacia dell’azione dello Stato. Per valutare appieno l’intervento pubblico, non è sufficiente un’analisi dei risultati economici dei contenuti sostenuti; occorre considerare tutti gli effetti che ne derivano, valutandoli in un’ottica di lungo termine. Per esempio, il finanziamento di opere di scarso successo può essere utile per consentire a giovani autori di sperimentare e acquisire esperienza e maturità, preparando così il terreno per la realizzazione di contenuti importanti in futuro.
Fig. 2. Evoluzione del
sostegno in via diretta e indiretta al settore audiovisivo in Italia e Francia.
Fonte: Elaborazione di dati della Dg cinema e audiovisivo
per l’Italia, e di dati del Cnc, della Cour des Comptes e della Commission des
finances, de l’économie générale et du contrôle budgétaire per la Francia.
Note
[*] Maria Giusti, assegnista di ricerca all’Università degli Studi della Tuscia, Via S. Carlo 32, 01100 Viterbo, maria.giusti@unitus.it.
[1] Il cinema è il comparto dell’audiovisivo che ricomprende i film destinati a un primo sfruttamento nelle sale cinematografiche. Nella sua accezione più ampia, l’audiovisivo è invece identificato con l'insieme di tutte le filiere specializzate nella produzione, distribuzione e commercializzazione di contenuti narrativi audio e video associati (come film, serie televisive, documentari, spot pubblicitari e video online).
[2] L’audiovisivo francese raggiunge infatti i risultati migliori con riferimento agli indicatori usati tradizionalmente per misurare lo stato di salute del settore: il numero di film prodotti e il loro costo medio; le presenze e gli incassi nelle sale; la quota di mercato occupata dai titoli nazionali; il numero di sale e di schermi disponibili; la capacità di circolazione dei film nazionali all'estero e, infine, la partecipazione a festival e il conseguimento di premi e riconoscimenti.
[3] Legge 14 novembre 2016, n. 220. L'approvazione di questa nuova legge, organica e di sistema, ha suscitato un nuovo interesse per l’azione di finanziamento dello Stato a favore del cinema. Sono apparsi infatti diversi contributi in materia, tra cui: A. Averardi, Gli ausili pubblici al settore cinematografico tra eccezione culturale e regole di mercato, in Munus, 2019, 1, pag. 259 ss.; E. Bruti Liberati, La regolazione promozionale del cinema, dell'audiovisivo e dello spettacolo dal vivo tra logica di mercato e “diversità” culturale, in Rivista della regolazione dei mercati, 2019, 2, pag. 214 ss. e L. Casini, “Il nastro dei sogni”? Il diritto (pubblico) del cinema e dell'audiovisivo, in Aedon, 2017, 3. Ulteriori analisi sono state pubblicate nel primo numero di Aedon del 2018. Per quanto riguarda contributi più risalenti, il principale punto di riferimento è rappresentato da A. Orsi Battaglini, L'intervento economico statale per il cinema, in Intervento pubblico e libertà di espressione nel cinema, nel teatro e nelle attività musicali, a cura dell’Istituto per la documentazione e gli studi giuridici, Milano, 1974, pag. 3 ss. Per un’analisi approfondita dell’azione di finanziamento, anche di natura storica, sia consentito rinviare a M. Giusti, Lo Stato promotore di cinema in Italia e in Francia, Milano, 2024.
[4] Per una discussione critica sugli incentivi statali alla cultura, si veda Aa.Vv., Kulturinfarkt. Azzerare i fondi pubblici per far rinascere la cultura, Venezia, 2012. Sebbene focalizzate sul contesto tedesco, le osservazioni degli autori - manager culturali e amministratori pubblici - circa l'eccessiva estensione delle funzioni della politica culturale, gli ostacoli all’innovazione provocati da strutture pubbliche elefantiache e costose, e l'esigenza di ridimensionare i finanziamenti e rivedere i criteri per la loro attribuzione risultano, infatti, significative per il più ampio dibattito sul ruolo del settore pubblico in materia di promozione della cultura.
[5] Cassa depositi e prestiti, La filiera cine-audiovisiva italiana per l’economia e l’occupazione, 2022.
[6] Ibidem.
[7] In materia, C. Barbati, Istituzioni e spettacolo. Pubblico e privato nelle prospettive di riforma, Padova, Cedam, 1996.
[8] Come notato da A. Bernardini, Le collaborazioni internazionali nel cinema europeo, in Storia del cinema mondiale, I L’Europa. Miti, luoghi, divi, (a cura di) G.P. Brunetta, Torino, 1999, pag. 1035. In materia, T. Shaw e D.J. Youngblood, Cinematic Cold War: The American and Soviet struggle for hearts and minds, Kansas, 2014.
[9] Commissione Europea, Comunicazione relativa agli aiuti di Stato a favore delle opere cinematografiche e di altre opere audiovisive, 15 novembre 2013.
[10] Cfr. ibidem, nonché l’art. 54 del Regolamento di esenzione per categoria della Commissione del 17 giugno 2014, n. 651.
[11] In materia di aiuti di Stato, A. Alemanno, Aiuti di Stato (dir. com.) e A. Tonetti Ausili finanziari, entrambi in Cassese, S. (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, rispettivamente a pag. 192 ss. e pag. 550 ss. Si veda anche E. Triggiani, Aiuti di Stato (diritto dell’Unione europea), in Enciclopedia del diritto, Milano, 2013, pag. 19 ss.
[12] Commissione Europea, Comunicazione.
[13] Ibidem.
[14] Un lavoro fondamentale sulla relazione tra l’eccezione e la diversità culturale è F. Benhamou, Les Dérèglements de l'exception culturelle. Plaidoyer pour une perspective européenne, Parigi, 2011.
[15] La letteratura scientifica sul dibattito “trade versul culture” e sul ruolo essenziale esercitato in materia dalla Francia è ampia. Tra i molti, J. Buchsbaum, Exception taken: How France Has Defied Hollywood's New World Order, New York, 2017.
[16] Jacques Delors, allora presidente della Commissione europea, durante le Assises européennes de l'audiovisuel, disse: “culture is not a piece of merchandise like others... we cannot treat culture as we treat frigidaires or even cars. Laissez-faire, the market, they are not sufficient. Thus, one can say without hypocrisy: no protections and no laissez-faire. To our American friends, [...], I would like to pose simply one question: do we have the right to exist? Have we the right to perpetuate our traditions, our patrimony, our languages?” (così riportato, tra gli altri, da J. Buchsbaum, Exception taken, pag. 60).
[17] Per un’analisi degli aiuti al cinema in altri paesi europei, oltre alle numerose pubblicazioni dell’Osservatorio europeo dell’audiovisivo, si veda: P.C. Murschetz, R. Teichmann, e M. Karmasin, Handbook of State aid for Film, Berlino, 2016.
[18] Come già detto in apertura, questo contributo si focalizza sul solo supporto alla produzione. Ciò dipenda da più ragioni. Innanzitutto, le caratteristiche degli aiuti alla produzione influenzano quelle degli aiuti dedicati alle altre fasi. Inoltre, la produzione rappresenta il comparto che tradizionalmente ha ricevuto il sostegno più significativo nei due paesi. D’altronde, è il momento più costoso del processo cinematografico in Europa, nonché quello in cui sono determinate la natura e la qualità del film; si tratta, quindi, della fase più adatta in cui intervenire per uno Stato che persegue obiettivi culturali.
[19] Loi n°46-2360 du 25 octobre 1946 portant creation du Centre National.
[20] Art. L 111-1 del Code du cinéma et de l’image animée. Si tratta, più precisamente, di un établissement public à caractère administratif. Questa qualifica è attribuita a diverti enti in Francia, tutti accomunati da due elementi: costituiscono persone giuridiche di diritto pubblico cui sono riconosciute forme peculiari di autonomia per adempiere a una missione di carattere generale; operano sotto il controllo di amministrazioni statali o locali specializzate nel loro settore di attività (sicurezza o impiego, per esempio).
[21] Esistono molti studi che individuano i mali della pubblica amministrazione italiana e individuano proposte di riforma. Il punto di partenza è il Rapporto sui principali problemi dell’Amministrazione dello Stato di Massimo Severo Giannini, trasmesso alle Camere nel 1979 e ripubblicato sulla Rivista trimestrale di diritto pubblico nel 1982. Vi hanno fatto seguito numerose analisi svolte nell’ambito del Progetto finalizzato sulla pubblica amministrazione finanziato dal Cnr (Pfpa), nonché il Rapporto sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni di Sabino Cassese del 1993. Per i tempi più recenti, si vedano i contributi pubblicati sul fascicolo n. 4 del 2021 della Rivista trimestrale di diritto pubblico, dedicato a “La riforma della pubblica amministrazione: problemi e proposte”.
[22] La letteratura sul principio di separazione fra politica e amministrazione e sulla sua attuazione in Italia è molto ampia. Tra i principali testi di riferimento: M. Gola, Riflessioni in tema di responsabilità` politica e amministrazione pubblica, Milano, 1998; F. Forte, Il principio di distinzione tra politica e amministrazione, Milano, 2005; F. Merloni, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale. Il modello italiano in Europa, Bologna, 2006; Aa. Vv., Venti anni di “politica e amministrazione” in Italia, (a cura di) L. Casini, Bologna, 2017.
[23] La tassa sugli incassi delle sale cinematografiche (Tsa) è stata introdotta nel 1948. Il suo gettito deriva principalmente dai biglietti venduti per vedere film americani, che generano la parte maggioritaria degli incassi al botteghino in Francia, così come negli altri paesi europei. In questo modo, la Francia ha trasformato Hollywood, dal principale rivale del cinema francese, nel suo principale finanziatore: più blockbuster vengono distribuiti, maggiore è il pubblico delle sale francesi e, quindi, l’entità di aiuti riconosciuti al cinema nazionale. La tassa sui servizi televisivi (Tst) è stata istituita nel 1984, e ha permesso di trasformare il secondo principale “avversario” del cinema francese (la televisione) in un suo fondamentale finanziatore. Alla Tsa e alla Tst, la legge finanziaria del 1993 ha aggiunto la tassa sulle vendite di video (Tsv), che si applica ai rivenditori di dvd e blu-ray e, dagli anni 2000, anche alle piattaforme digitali.
[24] Questa rappresentazione è stata costantemente difesa nel corso del tempo. Secondo due autori francesi di uno studio del 1979 sul settore del cinema, “non lo si dirà mai abbastanza, il cinema francese non è né aiutato né sovvenzionato. Esso beneficia di un sistema di autofinanziamento che ha inventato, per il quale il Parlamento ha fatto una legge” (J. Roux e R. Thevenet, Industrie et commerce du film en France, Thoiry, 1979, pag. 128). Pascal Kamina, uno dei maggiori esperti di diritto pubblico del cinema francese, afferma che “il sostegno dello Stato all'industria cinematografica non consiste, come talvolta si afferma, in sovvenzioni pubbliche (come accade in alcuni paesi), ma nella ridistribuzione agli attori del mercato delle entrate realizzate dai film durante il loro sfruttamento nei vari canali di distribuzione” (P. Kamina, Cadre administratif. Régime juridique des activités cinématographiques, in JCl. Proprieté littéraire et artistique, 2019). Secondo l'economista Laurent Creton, “per la maggior parte, le misure di sostegno al settore cinematografico e audiovisivo non dipendono dal bilancio dello Stato [...]. Esiste un sistema di risparmio forzato per i professionisti [...]” (L. Creton, L'économie du cinéma en 50 fiches, Parigi, 2020, pag. 126). Per Dominique Boutonnat, presidente del CNC dal 2019, “l'ingegnosità [del sistema francese] è che non costa nulla - o quasi nulla - al contribuente [...]” (D. Boutonnat, Rapport sur le financement privé de la production et de la distribution cinématographiques et audiovisuelles, 2018, pag. 195).
[25] Cour des Comptes, Les soutiens à la production cinématographique et audiovisuelle: des changements nécessaires, 2014.
[26] Corte dei Conti, La gestione delle risorse del fondo unico per lo spettacolo destinate al settore cinematografico (anni 2010-2016), 2019, pag. 37.
[27] Art. 13 della legge n. 220/2016.
[28] L’art. 13 della legge n. 220/2016 nella versione originaria fissava la dotazione minima annuale del Fondo a 400 milioni di euro. Negli anni successivi, questo importo è stato più volte adeguato. La dotazione annuale minima è stata portata a 650 milioni di euro dalla legge di bilancio per il 2021 (art. 1, par. 583, let. A) della l.), e poi a 750 da quella per il 2022 (art. 1, comma 348, della l.). Successivamente, è intervenuta la legge di bilancio per il 2024, che ha ridotto la dotazione di 50 milioni di euro (art. 1, comma 538 della l.).
[29] Elaborazione da parte dell’autore di dati di Eurostat (General government expenditure by function).
[30] Ibidem.
[31] Il riconoscimento di ciascun aiuto è subordinato alla presenza di specifiche condizioni di eleggibilità. Alcune, però, devono ricorrere per tutti gli aiuti, e ciò in entrambi i paesi. In primo luogo, l'opera non deve rientrare nelle categorie esplicitamente escluse dai benefici (contenuti pornografici o di incitazione alla violenza o all'odio) e deve avere un carattere “cinematografico”, cioè un legame speciale con il canale di distribuzione della sala. In caso contrario, il richiedente deve fare domanda per gli aiuti destinati alla produzione di altri tipi di prodotti audiovisivi. In secondo luogo, solo le opere che superano un test culturale possono accedere agli aiuti. Questo test è declinato in modo diverso a seconda del tipo di aiuto. In alcuni casi, l'opera deve raggiungere un punteggio minimo rispettando alcuni criteri culturali, in altri la valutazione è rimessa a un comitato di esperti. È inoltre fondamentale che l'opera abbia un legame con il paese che fornisce l'aiuto, misurato in base a criteri che rappresentano un compromesso tra il desiderio dei due Stati di sostenere la propria economia nazionale e la necessità di rispettare i principi europei a tutela delle libertà fondamentali del mercato interno. Infine, occorre che l'opera, una volta realizzata, sia oggetto di un deposito. L'obiettivo è garantire che una copia dei film che hanno ricevuto finanziamenti sia in possesso dell'ente responsabile della conservazione del patrimonio cinematografico - il CNC in Francia, la Cineteca Nazionale in Italia - in modo da preservarla per le future generazioni.
[32] Tra i molti, G. Gazzanni, Altro che cinema culturale, fiumi di soldi statali per tutti, in La Notizia, 9 gennaio 2014; M. Castoro, Il cinema si mangia i soldi dell’arte, in La Notizia, 4 marzo 2014; F. Cavazzoni, Allo Stato piace noioso: come sono i film fatti con i soldi pubblici, in Il Giornale, 13 settembre 2017; D. Di Sanzo, Soldi pubblici agli amici per pellicole da flop, in Il Giornale, 25 novembre 2023. Si veda anche R. Perotti, Status quo. Perché in Italia è così difficile cambiare le cose (e come cominciare a farlo), Milano, 2016, secondo cui “Anche da un punto di vista sociale, sono soldi spesi male: la maggior parte va ai grandi produttori, ai registi e agli attori già ricchi e famosi” (pag. 94). Per le critiche più recenti, si veda la trasmissione Porta a Porta andata in onda martedì 10 settembre 2024, in cui Bruno Vespa ha parlato di case cinematografiche che hanno beneficiato di contributi “non spesi benissimo” e auspicato che venga portata avanti un’opera di “pulizia” con riguardo ai finanziamenti al settore. Si veda anche la risposta dell’industria del cinema (Cinema, produttori: A “Porta a Porta” data immagine distorta nostra filiera industriale, in AgenziaCult, 11 settembre 2024).
[33] D’altronde, come notato, “the motion pictures depend, to a greater extent than any other art, upon machinery” (A.R. Fulton, The machine,in T. Balio The American film industry, pag. 27). Proprio questa circostanza spiega perché il cinema non abbia visto la luce prima del ventesimo secolo, la c.d. Machine Age, nonostante il tentativo di rappresentare l’illusione del movimento attraverso le immagini sia antichissimo.
[34] L’apparente contrasto tra questi due principi (come può l’azione statale di sviluppo della cultura non confliggere con la necessità che sia la stessa cultura ad autodeterminarsi?) è stato risolto da tempo nel senso di una loro “integrazione in una enunciazione a carattere unitario [...]: cioè`, nell’affermazione che l’ordinamento statale democratico attraverso la loro accettazione tutela lo sviluppo libero della cultura” (E. Spagna Musso, Lo Stato di cultura nella Costituzione italiana, Napoli, 1961, pag. 56). In altri termini, l’art. 33 Cost. non indica solo le modalità` tramite cui l’intervento pubblico deve svolgersi - senza compromettere la naturale evoluzione della cultura - ma anche la sua stessa ratio giustificatrice. “L’intervento pubblico sulla cultura serve a renderla libera. Ciò` significa che a giudizio dei costituenti l’espressione culturale non è libera, senza il supporto dell’amministrazione pubblica” (M. Ainis, Cultura e politica, Padova, 1991, pag. 114).
[35] Gli aiuti selettivi italiani sono disciplinati dall’art. 26 della legge n. 220/2016, e dal relativo decreto attuativo. Gli aiuti selettivi francesi sono regolati dagli artt. da 211-97 a 211-155 del Règlement général des aides financières adottato dal CNC e allegato al Code du cinéma et de l’image animée.
[36] Si considerino le polemiche sorte in Italia per il film “C’è ancora domani” (2023) di Paola Cortellesi, cui le commissioni ministeriali non hanno riconosciuto contributi selettivi e che è stato poi acclamato dal pubblico e dalla critica. Si pensi anche alla controversia sorta in Francia rispetto a “Les Miserables” (2019) di Ladj Ly: il progetto non ottenne il principale aiuto selettivo francese, l'advance sur recette, nonostante la sua qualità artistica e culturale, che sarebbe stata testimoniata dal fatto che il film vinse poi il Premio della Giuria a Cannes e quattro César. In effetti, la Commissione dell'advance sur recette francese è costantemente criticata, spesso con l’accusa di sostenere progetti commerciali non bisognosi di aiuto, e altre volte con quella di finanziare progetti per un’élite culturale senza prospettive di redditività. Cfr. L. Creton, Économie du cinema, Parigi, 2020, pag. 99.
[37] In Italia, la disciplina degli aiuti automatici è dettata dagli articoli 23, 24 e 25 della legge n. 220/2016, e specificata dal relativo decreto attuativo. In Francia, gli aiuti automatici sono regolati dagli articoli da 211-23 a 211-96 del Règlement del Cnc.
[38] Perché un sostegno pubblico sia necessario ed efficiente, devono essere rispettate diverse condizioni. In primo luogo, deve esservi un fallimento del mercato, nel senso che il mercato deve essere incapace di raggiungere da solo obiettivi socialmente desiderabili. In aggiunta, è necessario che i benefici derivanti dall’incentivo, come l’aumento dell’occupazione e della produttività, superino i costi. Tra i costi da considerare, quelli sostenuti dalla pubblica amministrazione per gestire l’incentivo e dall’industria per interagire con l’amministrazione, nonché quelli che derivano dal fatto che l’impresa si dedica non solo alla sua attività imprenditoriale ma anche all’ottenimento dell’incentivo, con una possibile riduzione della crescita dell’economia complessiva. Infine, occorre che l’incentivo cambi la condotta degli operatori, promuovendo attività che, in sua mancanza, l’industria non svolgerebbe o svolgerebbe in misura minore. Ulteriori linee guida per una buona politica di sostengo alle attività produttive evidenziano la necessità di coinvolgere il settore privato nell’assunzione dei rischi, di minimizzare le distorsioni della concorrenza e di realizzare valutazioni ex post circa l’impatto delle misure. Cfr., tra gli altri: F. Giavazzi, M. D’Alberti, A. Moliterni e F. Schivardi, Rapporto alla Presidenza del Consiglio: Analisi e raccomandazioni sui contributi pubblici alle imprese, 2012.
[39] D.lg. 22 gennaio 2004, n. 28.
[40] M. Cucco e G. Manzoli, Il Cinema di Stato. Finanziamento pubblico ed economia simbolica nel cinema italiano contemporaneo, Bologna, 2017.
[41] In Francia, il credito di imposta alla produzione cinematografica è regolato dall’art. 220-sexies del Code général des impôts e dagli artt. da D. 331-1 a D. 331-18 del Code du cinéma et de l’image animée. In Italia è regolato dall'art. 15 della legge n. 220/2016 e dal relativo decreto attuativo.
[42] A. Averardi, Potere pubblico e politiche industriali, Napoli, 2018.
[43] Su queste logiche, G. Amato, Economia, politica e istituzioni in Italia, Bologna, 1976 e N. Bellini, Stato e industria nelle economie contemporanee, Roma, 1996.