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Ritrovamenti, scoperte e premi nella più recente giurisprudenza

Il premio ex art. 92 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42: un’importante “messa a punto” in una recente sentenza del Consiglio di Stato

di Costantino Luchetti [*]

Sommario: 1. Il “Tesoro di Como”: cronaca e vicenda giudiziaria di una straordinaria scoperta archeologica. - 2. La sentenza di Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2024, n. 920: a) l’applicazione, in relazione al caso di specie, dell’art. 92 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42. - 3. Continua: b) criteri e parametri per la fissazione del quantum del premio. - 4. Continua: c) l’applicazione nel procedimento previsto dall’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 e delle disposizioni di cui alla legge n. 241/1990. - 5. Continua: d) la non assoggettabilità del premio a ritenuta alla fonte a titolo di imposta ai sensi dell’art. 30 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600. - 6. Considerazioni conclusive.

The premium pursuant to Article 92 of Legislative Decree no. 42 of 22 January 2004: an important ‘fine-tuning’ in a recent Council of State ruling
The contribution analyses the issue of the premium provided for in the event of accidental discovery in the light of a recent Council of State ruling. The central issue concerns the limits within which the owner may also be recognised as discoverer for the purposes of the application of the second paragraph of Article 92 of Legislative Decree no. 42 of 22 January 2004. In this sense, the judgement affirms the principle according to which ‘cuius commoda, eius et incommoda’, which leads to the conclusion that the owner who is also the holder of the building permit and the direct and primary recipient of the Superintendence’s prescriptions may also be considered a discoverer. Other relevant aspects also concern the criteria and parameters for establishing the quantum of the award, the applicability of the provisions of Law No. 241 of 7 August 1990 in the procedure envisaged for the granting of the award and, finally, the non-liability of the award to withholding tax pursuant to Article 30 of Presidential Decree No. 600 of 29 September 1973.

Keywords: Treasure of Como; Council of State, sez. VI, 30 January 2024, no. 920; Art. 92 of Legislative Decree no. 42 of 22 January 2004; the quantum of the premium; Articles 7, 10 and 10-bis of Law no. 241 of 7 August 1990; Art. 30 of Presidential Decree no. 600 of 29 September 1973.

1. Il “Tesoro di Como”: cronaca e vicenda giudiziaria di una straordinaria scoperta archeologica

In una recente sentenza, la sesta sezione del Consiglio di Stato, in relazione a una nota vicenda di cronaca, ha avuto occasione di ritornare, con una serie di importanti “messe a punto”, sui soggetti titolati a ricevere il premio nel caso di ritrovamenti di cose di cui all’art. 10 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 e sulle relative modalità di attribuzione, individuando a tale proposito un serie importante di regole e criteri, su cui è opportuno svolgere qui una prima riflessione [1].

La decisione è scaturita da una vicenda giudiziaria che ha avuto per oggetto il c.d. “Tesoro di Como”, uno straordinario ritrovamento di un migliaio di monete d’oro di epoca tardoantica risalenti al V secolo d.C. e di un certo numero di oggetti minori coevi sempre in oro, scoperti nel 2018 all’interno di un contenitore in pietra ollare venuto alla luce nell’ambito della ristrutturazione a fini residenziali di un compendio immobiliare sito nel territorio del Comune di Como, già denominato “Teatro Cressoni” [2].

A questo proposito, con provvedimento del 9 marzo 2021, il ministero della Cultura aveva determinato l’entità del premio in denaro da riconoscere ai sensi dell’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 alla società proprietaria del sito ove era stato effettuato il ritrovamento. Più precisamente la somma da riconoscere a tale società era stata quantificata, sulla base del documento tecnico della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio, Varese del 7 dicembre 2020, nel 9,25% del valore di stima degli oggetti ritrovati, per una somma complessiva di € 369.041,36 [3].

Ciò aveva dato origine a una serie di articolati rilievi proposti nel ricorso presentato al competente Tar dalla società beneficiaria del premio. Quest’ultima si era anzitutto lamentata che si fosse esclusa la possibilità di considerarla non solo proprietaria, ma anche concessionaria o in subordine scopritore fortuito ai sensi dell’art. 92 del d.lg. n. 42/2004. La parte ricorrente aveva contestato altresì la quantificazione della percentuale del valore di stima operata dalla Soprintendenza in relazione alla Circolare ministeriale del 23 dicembre 1999. Le doglianze riguardavano inoltre l’iter procedimentale seguito (in relazione alla mancata partecipazione procedimentale per la lamentata inosservanza da parte dell’Amministrazione delle previsioni della legge 7 agosto 1990, n. 241), nonché l’assoggettabilità o meno della somma dovutale come premio a ritenuta alla fonte a titolo di imposta ai sensi dell’art. 30 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600. Peraltro la terza sezione del Tar Lombardia aveva rigettato, con la sentenza del 12 aprile 2022, n. 1263, il relativo ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi di censura addotti dalla parte interessata [4].

A seguito dell’atto di appello con cui la società ricorrente riproduceva davanti al Consiglio di Stato i motivi di ricorso in precedenza respinti, la sesta sezione, con la sentenza che qui si commenta, ha riesaminato analiticamente le questioni di diritto sottostanti alla determinazione del premio (ai sensi dell’art. 92 del d.lg. n. 42/2004), alla sua erogazione e al relativo procedimento. Il contenuto della decisione può essere schematizzato in una serie di diversi punti.

2. La sentenza di Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2024, n. 920: a) l’applicazione, in relazione al caso di specie, dell’art. 92 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42

Il nocciolo della questione riguarda dunque più precisamente l’applicabilità del secondo comma dell’art. 92 del d.lg. n. 42/2004, che stabilisce che al proprietario del sito presso il quale è stato effettuato il rinvenimento possa essere attribuito un premio quantificato in una somma di denaro che può raggiungere anche la metà del valore delle cose ritrovate, qualora lo stesso proprietario sia anche lo scopritore fortuito del bene o altrimenti rivesta la qualifica di concessionario dell’attività di ricerca ai sensi dell’art. 89 dello stesso d.lg. n. 42/2004.

Un primo tema da indagare (ed è il primo punto della questione qui considerata) è dunque se e in quali casi al proprietario del terreno possa attribuirsi anche la posizione di concessionario. A questo proposito dalla disposizione dell’art. 89 risulta chiaramente che, qualora il ministero, invece di effettuare in proprio l’attività di ricerca ai sensi dell’art. 88, comma 1 [5], ritenga di affidarne ad altri soggetti l’esecuzione e eventualmente al proprietario stesso ai sensi del quinto comma, debba comunque procedere con “l’adozione di un formale provvedimento di concessione il quale, oltre a disporre il trasferimento dell’esercizio del diritto a svolgere la suddetta attività, impartisca le disposizioni cui il concessionario è obbligato ad attenersi” [6].

Concordando con la sentenza di prime cure del Tar Lombardia anche il Consiglio di Stato ha escluso che alla società proprietaria del terreno e committente dell’attività di scavo possa riconoscersi la posizione di concessionario. Nel caso concreto nessun atto formale di concessione era intervenuto a beneficio della parte ricorrente, dovendosi altresì escludere la possibilità di individuare nel comportamento dell’Amministrazione un provvedimento implicito i cui inderogabili presupposti, come già rilevato dal Tar Lombardia, consistono, secondo la giurisprudenza, nella presenza di “una manifestazione chiara di volontà dell'organo competente” e nella conseguente “possibilità di desumerne in modo non equivoco una specifica volontà provvedimentale nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile della presunta manifestazione di volontà” [7].

Sotto questo profilo il Consiglio di Stato evidenzia, anche più nettamente di quanto in precedenza fatto dal Tar, come lo status di concessionario non possa prescindere dal rilascio di un espresso titolo concessorio, cui non possono in nessun caso sostituirsi, come avvenuto nel caso di specie, semplici indicazioni, impartite dalla Soprintendenza, inerenti allo svolgimento materiale delle attività edilizie autorizzate e consistenti nella prescrizione secondo cui le opere di scavo si sarebbero dovute svolgere sotto il controllo di un “operatore archeologo”, il quale avrebbe dovuto, a sua volta, compiere la sua attività sotto la direzione scientifica della stessa Soprintendenza [8]. Appare del tutto ragionevole dunque concludere che nel caso di specie le opere di scavo autorizzate non erano funzionali alle attività previste dall’art. 89 del d.lg. n. 42/2004, con l’inevitabile conseguenza che il ritrovamento di beni archeologici scaturitone non possa che considerarsi il risultato di una scoperta fortuita, come tale regolata dall’art. 90 del d.lg. n. 42/2004 [9].

La posizione del Consiglio di Stato diverge tuttavia da quella in precedenza accolta dal Tar quanto alla possibilità di riconoscere alla società proprietaria il ruolo di scopritore fortuito ai sensi del secondo comma dell’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 (è la questione centrale ai fini della decisione adottata). Il Tar aveva infatti anche escluso che in capo alla società proprietaria potesse essere riconosciuta tale qualifica, sulla base della considerazione secondo cui il premio deve ritenersi spettante a colui che per primo entra in relazione materiale con il reperto, con la conseguenza che, qualora il ritrovamento sia effettuato dall’appaltatore di un’opera, sia piuttosto quest’ultimo di regola il beneficiario del premio [10].

Nel caso di specie risultava che la prescritta denuncia del ritrovamento ai sensi dell’art. 90, primo comma, del d.lg. n. 42/2004, era stata compiuta dalla società specializzata in scavi archeologici incaricata dalla proprietà di sovrintendere e di effettuare i lavori di scavo e che la domanda di corresponsione del premio (peraltro respinta dall’Amministrazione) era stata altresì avanzata da altra società appaltatrice che a sua volta aveva realizzato l’intervento insieme alla prima. Il Tar concludeva lamentando fra l’altro il fatto che in tale contesto, caratterizzato dalla presenza di un committente e di due appaltatori, non risultava possibile neppure chiarire chi fosse stato il reale scopritore materiale del reperto e chi fosse il soggetto che, in qualità di scopritore, potesse essere legittimato a pretendere l’applicazione a proprio favore della previsione del primo comma, lettera c) dell’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 [11].

Diversa la posizione del Consiglio di Stato che riconosce alla proprietà anche la condizione di soggetto scopritore in quanto, una volta accertato che le attività di scavo erano state svolte direttamente, seppur attraverso la materiale esecuzione da parte di soggetti incaricati, ne sarebbe derivata a lei stessa la diretta imputazione del ritrovamento, essendo venuta a trovarsi nello stesso tempo nella condizione di proprietaria del bene e di titolare delle attività di intervento. A conferma di ciò si rileva in particolare che le indicazioni in merito allo svolgimento delle attività di scavo risultavano essere state formulate dall’Amministrazione alla stessa società proprietaria (sia pure in via mediata attraverso la società dante causa) altresì titolare dei permessi edilizi, tutte circostanze queste che si ritiene debbano comportare come conseguenza la diretta imputabilità degli esiti connessi alle attività stesse (e quindi specificamente dei ritrovamenti) [12].

Da ciò si giunge alla conclusione che esistano nella fattispecie “elementi tali da poter integrare i presupposti di cui all’art. 92 comma 2, in quanto la parte proprietaria dell’immobile risulta qualificabile come scopritore della cosa, attraverso le attività materiali di esecuzione del titolo edilizio di cui è titolare la stessa società proprietaria, destinataria diretta e primaria altresì delle prescrizioni della Soprintendenza”, rilevando altresì che l’incertezza sull’identificazione del reale scopritore dei reperti, evidenziata dal Tar, deve indurre d’altra parte a confermare che la condizione di scopritore fortuito possa “ben individuarsi in capo al proprietario, titolare del permesso sulla base del quale erano in corso le attività materiali, allo stesso imputabili sia giuridicamente che materialmente, anche alla luce del fatto che la stessa proprietà è il soggetto passivo delle prescrizioni archeologiche degli organi ministeriali a ciò deputati” [13].

3. Continua: b) criteri e parametri per la fissazione del quantum del premio

La discussione non si arresta tuttavia alla qualificazione o meno del proprietario a vedersi riconosciuta anche la condizione di scopritore fortuito, ma riguarda anche la quantificazione del premio.

Nel caso di specie nel redigere il relativo provvedimento l’Amministrazione si era attenuta alle indicazioni della Circolare ministeriale del 23 dicembre 1999, con cui il ministero aveva dettato i criteri per la determinazione dei premi da assegnare ai privati in caso di ritrovamento di reperti archeologici, autolimitando così l’ampia discrezionalità che le norme gli attribuiscono e prevedendo al proposito una griglia di ipotesi a ciascuna delle quali viene ricollegata una specifica percentuale. Più precisamente l’Amministrazione aveva ritenuto di dover dare in particolare rilievo a due aspetti della fattispecie: a) il fatto che gli scavi archeologici erano stati realizzati nell’interesse del privato e a spese di quest’ultimo; b) il fatto che comunque l’opera di interesse privato era stata terminata nonostante il ritrovamento [14].

A tal proposito parte ricorrente aveva obiettato che i criteri fissati dalla Circolare - fra l’altro in un momento precedente all’entrata in vigore del d.lg. n. 42/2004 - sarebbero incongrui sia perché non sarebbero configurabili a norma dell’art. 88 dello stesso d.lg. situazioni di scavo archeologico effettuato nell’interesse del privato, sia perché l’ipotesi presa in considerazione, nella parte in cui si prevede che gli scavi siano realizzati a spese del privato, sarebbe contraddittoria rispetto alla voce (il punto 2) nel quale la previsione è collocata, posto che tale voce si riferisce ai casi in cui gli scavi comportino oneri per l’Amministrazione. A fronte di tali argomentazioni il Tar aveva rilevato anzitutto che l’ipotesi di un ritrovamento che si verifichi, non già nel corso di una attività di ricerca, ma in occasione di scavi compiuti nell’interesse privato si verifica normalmente nei fatti (così come anche nel caso concreto) senza che ciò comporti alcun contrasto con la previsione contenuta nell’art. 88 del d.lg. n. 42/2004, che pure riserva in generale al ministero l’attività di ricerca dei beni archeologici. A ciò lo stesso Tar aggiungeva che la circostanza che la previsione presa in considerazione fosse inserita in una voce più generale riguardante il caso in cui le opere si siano svolte con oneri a carico dell’Amministrazione (punto 2) non sarebbe stata comunque sufficiente a far escludere l’applicabilità dei criteri individuati dalla Circolare stessa, posto che le griglie ivi prefissate presentano comunque una loro intrinseca logicità, ricollegando percentuali più elevate alle ipotesi in cui il privato abbia eseguito gli scavi a proprie spese rispetto a quelli in cui vi sia stato invece l’intervento finanziario dell’Amministrazione [15].

Sul punto il Consiglio di Stato correttamente non si pronuncia, ritenendo che le considerazioni svolte in materia di applicazione del secondo comma dell’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 comportino l’assorbimento del relativo motivo di appello, in quanto relative a una percentuale (un quarto del valore) diversa da quella ritenuta applicabile. Il problema peraltro permane in relazione ai criteri indicati dall’Amministrazione e criticati da parte ricorrente, essendo la questione comunque rilevante in sede di ridefinizione del premio. A questo proposito va segnalato che la fattispecie così come ridisegnata dal Consiglio di Stato implicherà piuttosto l’applicazione dei criteri indicati dalla Circolare al punto 1 (e non di quelli di cui al punto 2), circostanza che dovrà indurre a fissare l’entità del premio in una somma massima pari al 50% del valore stimato, sempreché siano stati correttamente compiuti tutti gli adempimenti richiesti e salvo la detrazione di eventuali spese e in specie quelle richieste per il restauro delle cose ritrovate [16].

Sotto questo profilo va infatti ricordato che la corresponsione del premio non solo postula un’attività amministrativa volta ad accertare e verificare le condizioni normativamente necessarie per la sua attribuzione (circostanze che incidono sull’an dell’attribuzione stessa) [17], ma, in relazione all’indicazione del quantum rispetto al tetto massimo indicato dal legislatore, sarà altresì nella discrezionalità dell’amministrazione la facoltà di tenere conto, oltre che dei parametri indicati al punto 2 della già citata Circolare ministeriale, del livello di collaborazione prestato dalla società proprietaria, del comportamento da essa tenuto circa nell’assolvimento degli obblighi prescritti dall’art. 90, commi 1 e 2 in relazione alla denuncia del ritrovamento e alla conservazione delle cose ritrovate, nonché della rilevanza storica, scientifica e artistica di queste ultime [18]. In questo quadro, e con questi limiti, sarà possibile una rideterminazione del quantum entro il limite del ‘tetto’ massimo del 50% del valore di stima fissato dall’Amministrazione a norma dell’art. 93 del d.lg. n. 42/2004 e peraltro non oggetto di contestazione nel caso di specie [19].

4. Continua: c) l’applicazione nel procedimento previsto dall’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 e delle disposizioni di cui alla legge n. 241/1990

Un ulteriore aspetto, di natura esclusivamente procedurale (il terzo nella nostra disamina, ma il primo in ordine logico perché riguardante la necessità del coinvolgimento partecipativo del soggetto inciso dall’attività amministrativa in oggetto), riguarda la necessaria applicazione nel procedimento previsto dall’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 delle disposizioni di cui alla legge n. 241/1990. Tale necessità, stabilita ai sensi degli artt. 7 (in caso di avvio ex officio), 10 e 10-bis (in caso di iter avviato dal privato) di tale ultima legge, disattesa dall’Amministrazione e non ritenuta vincolante nel caso di specie dalla precedente pronuncia del Tar, viene invece opportunamente considerata inderogabile dal Consiglio di Stato che ha piuttosto ritenuto che l’applicazione delle regole in materia debba essere comunque garantita “quale espressione del principio generale che impone di integrare la normativa di settore con le regole che garantiscono la partecipazione del soggetto inciso dall’attività autoritativa” dell’Amministrazione quale certamente è quella prevista dagli artt. 92 e 93 del d.lg. n. 42/2004 che “chiaramente descrivono un procedimento complesso che il ministero è tenuto ad avviare, non solo su istanza di parte, ma anche d'ufficio, laddove, ricevuta la denuncia di ritrovamento, disponga di tutti gli elementi necessari per concluderlo, formulando la proposta di premio all’avente diritto” [20].

5. Continua: d) la non assoggettabilità del premio a ritenuta alla fonte a titolo di imposta ai sensi dell’art. 30 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600

Un ultimo punto considerato (per certi aspetti secondario rispetto alle questioni precedenti) riguarda infine l’assoggettabilità del premio previsto dall’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 a ritenuta alla fonte a titolo di imposta ai sensi dell’art. 30 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 [21]. Nel caso di specie la ritenuta era stata applicata dall’Amministrazione e secondo il Tar ciò era avvenuto legittimamente.

Quest’ultimo aveva infatti ritenuto che il premio di cui all’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 “rientri nell’ampia categoria dei premi comunque diversi da quelli su titoli”, escludendo corrispondentemente che l’incremento patrimoniale derivante da tale premio “debba essere trattato diversamente dagli altri incrementi collegati alla sorte cui fa specifico riferimento la sopra citata norma” [22]. Anche a questo proposito il Consiglio di Stato indica una direzione diversa che trova una sua pregnante giustificazione nella natura stessa del premio. A questo proposito il giudice d’appello rileva infatti che se si prescinde dalla “coincidenza terminologica” va tuttavia esclusa, nel caso del premio ex art. 92 d.lg. n. 42/2004, ogni dipendenza dalla sorte (come invece nel caso del premio che sia conseguenza da una vincita, da un pronostico o da una scommessa), trattandosi piuttosto di un ristoro rispetto a un “bene che, pur ritrovato nell’ambito di una proprietà privata, per motivi di superiori interessi pubblici è destinato allo Stato”.

6. Considerazioni conclusive

A conclusione dell’ampia descrizione che precede devono trarsi alcune considerazioni sulla portata della decisione in oggetto. Non particolarmente problematiche sono le questioni collaterali prese in considerazione dal Consiglio di Stato, su cui tutte la soluzione accolta appare incontestabile. Ci riferiamo anzitutto alla necessità di integrare la normativa di settore prevista dall’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 con le disposizioni di cui alla legge n. 241/1990, giustamente ritenute espressione di un principio generale volto a garantire la partecipazione del soggetto inciso dall’attività autoritativa dell’Amministrazione, principio certamente indefettibile anche nel caso della procedura di attribuzione del premio ex art. 92 e di definizione della stima delle cose ritrovate ex art. 93 dello stesso d.lg. n. 42/2004. Altrettanto deve dirsi per la soluzione di escludere il premio ex art. 92 dall’applicazione della ritenuta alla fonte a titolo di imposta ai sensi del comma 1 dell’art. 30 del d.p.r. n. 600/1973 che è certamente consonante con la natura stessa e la funzione del premio.

Indipendentemente dal fatto che lo si consideri come compensativo di un mancato acquisto della proprietà e come rivolto a fornire un indennizzo per il depauperamento sofferto per un atto legittimo della pubblica amministrazione [23] o altrimenti se, secondo un più recente orientamento giurisprudenziale, lo si ritenga piuttosto volto a incentivare alla consegna delle cose ritrovate [24], appare comunque fuori discussione che vada esclusa ogni assimilazione alle fattispecie considerate dall’art. 30 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, che hanno invece la comune caratteristica di dipendere dalla sorte, sia che vi si faccia riferimento in termini di vincita, di pronostico o di scommessa.

Certamente più delicata è invece la questione che riguarda il nucleo centrale della decisione assunta dal Consiglio di Stato che è quello dell’individuazione del soggetto cui possa riconoscersi la qualificazione di scopritore nel caso in cui il ritrovamento avvenga, come spesso avviene, ad opera di una ditta appaltatrice incaricata di sovrintendere e di eseguire i lavori di scavo. Il tema in discussione riguarda dunque l’individuazione in concreto del beneficiario qualora siano presenti una pluralità di soggetti che possano potenzialmente aspirare al premio di cui all’art. 92 del d.lg. n. 42/2004 in qualità di scopritore fortuito. L’innovatività della sentenza sta in particolare nell’aver dato rilievo determinante alla posizione del soggetto destinatario diretto e primario delle prescrizioni della Soprintendenza in quanto titolare del titolo edilizio legittimante all’intervento, sulla base della pragmatica giustificazione argomentativa secondo cui onori e oneri devono essere nel caso ritenuti strettamente congiunti (“cuius commoda, eius et incommoda”). Sotto questo profilo una presunta distinzione fra titolarità e scoperta materiale andrebbe cioè ad alterare un equilibrio che giustifica la scelta compiuta dai giudici, laddove, come già accennato, da parte di una giurisprudenza da tempo prevalente non si era mancato piuttosto di evidenziare che la ragione per la concessione del premio allo scopritore era da rinvenirsi nel fatto che su quest’ultimo gravano gli obblighi e le responsabilità di cui all’art. 90 del d.lg. n. 42/2004 e che la ratio sottesa alla concessione del premio per lo scopritore fortuito debba essere considerata quella di evitare il rischio che quest’ultimo, invece di denunciare la scoperta, potesse occultarla, trattenendo il bene ritrovato per porlo poi eventualmente illegalmente in commercio [25].

Rispetto a questo quadro la scelta del Consiglio di Stato si è ora significativamente discostata, spostando l’elemento determinante dell’aspettativa al premio dalla materialità della scoperta alla titolarità dell’intervento, fino al punto di porre in secondo piano gli stessi obblighi previsti dall’art. 90, considerato il fatto che in questo caso la denuncia era stata piuttosto compiuta da una delle società appaltatrici, circostanza evidentemente ritenuta recessiva rispetto a quelle altre ora considerate determinanti (essere destinatari delle prescrizioni della Soprintendenza e titolari del titolo edilizio). Si tratta di una soluzione che può destare qualche perplessità perché appunto implicitamente mette in discussione l’impostazione da tempo assunta dalla giurisprudenza circa la stessa ratio della concessione del premio allo scopritore, che, con un significativo revirement, viene piuttosto espressamente qualificato come “un indennizzo a titolo di ristoro per gli effetti derivanti dall’attività autoritativa di incameramento di un bene che, pur ritrovato nell’ambito di una proprietà privata, per motivi di superiori interessi pubblici è destinato allo Stato”.

Tale impostazione appare fra l’altro dissonante rispetto alle riflessioni sulla natura del premio contenute in un’altra, quasi contemporanea, sentenza della stessa VI sezione del Consiglio di Stato (la n. 207 del 2024), ove, citando e riprendendo testualmente Cass., sez. un., 11 marzo 1992, n. 2959, si afferma che “sul punto (quanto cioè alla corresponsione del premio, n.d.r.) merita rammentare che già da tempo la giurisprudenza ha chiarito che il premio previsto dalle norme in esame non ha funzione indennitaria: non intende, cioè, compensare il proprietario, o il concessionario di ricerca o lo “scopritore”, di eventuali perdite subite e, in particolare, per il fatto che a questi soggetti è sottratta la proprietà dei beni culturali” (paragrafo 16.10) [26].

Ci troviamo quindi di fronte, sia pure con riferimento a una particolare fattispecie, a una sorta di ritorno al passato che pur trova una sua nuova linfa nella logica stringente di tipo compensativo (“cuius commoda, eius et incommoda”) che si pone alla base della dichiarata opportunità di gratificare con il premio per il ritrovamento lo stesso soggetto cui sono imposti limiti e prescrizioni nello svolgimento dell’intervento da cui il ritrovamento stesso è scaturito.

 

Note

[*] Costantino Luchetti, dottore di ricerca in Diritto amministrativo presso l’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Via Zamboni 3, 40126 Bologna, costantinoluchetti@gmail.com.

[1] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2024, n. 920 (Pres. Montedoro, Est. Ponte), sul ricorso numero di registro generale 207 del 2023, proposto da Officine Immobiliari S.r.l., contro Ministero della Cultura, Sabap per le Province di Como Lecco Monza e Brianza Pavia Sondrio e Varese e Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese per la riforma della sentenza Tar Lombardia, sez. III, 12 aprile 2022, n. 1263.

[2] Il ritrovamento ha avuto ampia risonanza mediatica sulla stampa e in rete. Per un ampio resoconto relativo alle sue modalità e per una descrizione dettagliata e analitica degli oggetti ritrovati (appunto in gran parte solidi di epoca tardoromana coniati nel periodo che va da Arcadio [aa. 395-408] a Anicio Olibrio [a. 472]) cfr. AA.VV., Il tesoro di Como Via Diaz 2018, (a cura di) G. Facchinetti, in Notiziario del Portale numismatico dello Stato, 2022, 16, pag. 5 ss.

[3] Per la determinazione dell’entità del premio, l’Amministrazione si era attenuta a quanto stabilito nella circolare ministeriale n. 21109 del 23 dicembre 1999 (vedila in rete all’indirizzo https://dgabap.cultura.gov.it/wp-content/uploads/2021/11/5-Circolare-n.-21109-del-23-dicembre-1999.pdf), con cui il MiBAC, al fine di limitare la discrezionalità della stessa Amministrazione e per garantire una tendenziale uniformità nella quantificazione dei premi, aveva predeterminato una griglia di ipotesi relativa a ogni possibile tipologia di ritrovamento, collegando ciascuna di esse a una specifica percentuale del valore di stima delle cose ritrovate.

[4] Cfr. Tar Lombardia, sez. III, 12 aprile 2022, n. 1263, sul ricorso numero di registro generale 799 del 2021, proposto da Officine Immobiliari S.r.l., contro Ministero della Cultura e Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese, per l’annullamento del provvedimento del Ministero della Cultura prot. 7706 del 9 marzo 2021 con oggetto “COMO (CO), via Diaz ex Teatro Cressoni. Attribuzione premio di rinvenimento ex artt. 92 e 93 del d.lg. 42/2004 e richiesta di accettazione della proposta di premio”, nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e, comunque, connesso al predetto atto e, in particolare, dell'atto della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio, Varese, prot. 35830 del 7 dicembre 2020, intitolato “COMO, Via Diaz: reperti e strutture di varie epoche - Relazione scientifica e amministrativa ai fini della determinazione del premio ai sensi dell'art. 92 del d.lg. 42/2004”.

[5] Art. 88, comma 1 d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42: “Le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il ritrovamento delle cose indicate all’articolo 10 in qualunque parte del territorio nazionale sono riservate al Ministero”. Sull’attribuzione al ministero delle competenze di cui all’art. 88, comma 1 v. l’ampia discussione di B. Lubrano, Commento all’art. 88, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, 2019, pag. 852 s. Per un accenno, con riferimento alla preferenza da darsi alla formulazione che contemplava lo Stato (come ancora nell’art. 85, comma 1 del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490) piuttosto che a quella attuale che fa riferimento al ministero, anche in relazione all’affermarsi del principio della sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma 4 della Costituzione, v. C. Marzuoli, Commento all’art. 88, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Commento, (a cura di) M. Cammelli, Bologna, 2007, pag. 368. In senso contrario però G. Calderoni, Commento agli artt. 88-93, in Codice dei beni culturali e del paesaggio (Prima parte), Commentario, (a cura di) G. Trotta, G. Caia e N. Aicardi, in Le nuove leggi civili commentate, XXVIII, 5-6, 2005, pag. 1392, che sottolinea invece come l’attribuzione della riserva al ministero di effettuare ricerche archeologiche nel comma 1 dell’art. 88 sia coerente con quanto disposto nel comma 2 dello stesso articolo che non poteva che attribuire al ministero la possibilità di ordinare l’occupazione temporanea degli immobili ove devono eseguirsi le ricerche o le opere di cui al comma 1 (in questo senso già l’art. 85, comma 2 del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490).

[6] Così testualmente già Tar Lombardia, sez. III, 12 aprile 2022, n. 1263. Art. 89, commi 1 e 2 d.lg. n. 42/2004: “Il Ministero può dare in concessione a soggetti pubblici o privati l’esecuzione delle ricerche e delle opere indicate nell’articolo 88 ed emettere a favore del concessionario il decreto di occupazione degli immobili ove devono eseguirsi i lavori. 2. Il concessionario deve osservare, oltre alle prescrizioni imposte nell’atto di concessione, tutte le altre che il Ministero ritenga di impartire. In caso di inosservanza la concessione è revocata”.

[7] Cfr. per le parole virgolettate Cons. Stato, sez. V, 15 aprile 2019, n. 2433. La stessa sentenza del Tar Lombardia aveva precisato al proposito che secondo la giurisprudenza “la figura del provvedimento implicito... è configurabile quando l'amministrazione, pur non adottando formalmente un provvedimento, ne determina univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un comportamento conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale corrispondente”, citando al proposito, oltre alla già ricordata sentenza del Consiglio di Stato del 2019, anche Tar Lazio, sez. IV, 20 gennaio 2022, n. 670. Sulla nozione di atto amministrativo implicito e sulla questione della sua compatibilità con i principi generali dell’ordinamento e in particolare con il principio di legalità si è spesso confrontata la dottrina: sul punto v., fra gli altri, N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001, in specie pag. 35 ss.; G. Morbidelli, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, 4, pag. 703 ss.; V. M. Donofrio, Poteri amministrativi impliciti e principio di legalità: una convivenza dai fragili equilibri, in ildirittoamministrativo.it, 2014, pag. 11 ss. Sul punto, per un efficace quadro di sintesi sulle caratteristiche e sulle criticità del provvedimento implicito e con ampi riferimenti alla giurisprudenza precedente a quella qui ricordata v. anche A. Gualdani, La Madonna del Parto di Piero della Francesca: tra l'enigma sulla proprietà e le plurime vicende sul luogo della sua fruizione, in Aedon, 2015, 3, § 3.1.

[8] Sul punto v. Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2024, n. 920, paragrafi da 4.2 a 4.6.1 e in specie quanto più specificamente rilevato ai paragrafi 4.4 e 4.5: “L’art. 89 del codice Urbani prevede non a caso che al rilascio formale del titolo di concessionario... segua l’emissione, a favore del concessionario individuato, del decreto di occupazione degli immobili ove devono eseguirsi i lavori, nonché - soprattutto, ai fini della presente causa - l’obbligo di osservare, oltre alle prescrizioni imposte nell'atto di concessione, tutte le altre che il Ministero ritenga di impartire, pena la revoca della concessione. 4.5. Nel caso di specie mancano sia il titolo formale che l’imposizione ed assunzione degli obblighi specifici, risultando formulate unicamente indicazioni generali inerenti lo svolgimento materiale delle attività edilizie autorizzate per la ristrutturazione dell’immobile ex teatro Cressoni. A quest’ultimo riguardo, infatti, dalla nota prodotta risulta come la Soprintendenza, dopo aver evidenziato che ‘l’immobile è ubicato in zona a rischio di ritrovamenti archeologici tanto di età romana che di età medievale’, si sia limitata a prescrivere che “tutte le opere di scavo dovranno avvenire con controllo di operatore archeologo”. Ciò non può certo qualificarsi in termini di concessione di attività di scavo di competenza ministeriale.

[9] Cfr. a questo proposito l’altrettanto recente sentenza di Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 2024, n. 207, ove, nel quadro di un’ampia riflessione sull’istituto del premio ex art. 92 d.lg. n. 42/2004, si fissano le caratteristiche della scoperta fortuita (v. paragrafo 16.4.3): La nozione di scoperta fortuita viene quindi ricavata in via residuale, dovendosi considerare tale ogni rinvenimento intervenuto al di fuori di un programma di scavi archeologici: da tale impostazione consegue che la scoperta di cose di interesse artistico-archeologico rimane “fortuita” anche laddove avvenga nell'ambito di un'attività di ricerca o di scavo, purché quest’ultima non sia finalizzata al ritrovamento di beni del genere di quelli concretamente ritrovati (come avverrebbe, ad esempio, qualora durante una campagna di scavi per la ricerca di reperti di epoca romana fossero trovati resti di uomini o di animali di epoca preistorica). Il criterio teleologico, quindi, distingue il negativo il ritrovamento fortuito, il quale, per tale ragione, viene a connotarsi come un ritrovamento che avviene “per caso”, e come tale non era previsto o prevedibile.

[10] Non è peraltro da tempo in discussione che beneficiario del premio possa essere anche una persona giuridica che si trovi nelle situazioni indicate dall’art. 92, commi 1 e 2. La qualità di scopritore fortuito non è infatti necessariamente da attribuire alla persona fisica che rinviene la cosa, ma può essere infatti piuttosto attribuita al soggetto cui è riferibile l’attività nel corso del quale la scoperta è avvenuta (cfr. in specie Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2006, n. 5091).

[11] Per le vicende della scoperta e per il coinvolgimento delle due società di scavo e lo svolgimento dei fatti che avrebbe determinato la singolare situazione in cui una prima società avrebbe inoltrato la prescritta denuncia ex art. 90, comma 1, mentre la seconda avrebbe avanzato domanda di corresponsione del premio ex art. 92 comma 1, lettera c) in qualità di scopritore, v. diffusamente Tar Lombardia, sez. III, 12 aprile 2022, n. 1263.

[12] Secondo il Consiglio di Stato essenziale per il riconoscimento della qualifica di scopritore fortuito è dunque l’individuazione del soggetto destinatario delle indicazioni in merito allo svolgimento delle attività di scavo, in quanto titolare dei permessi ad operare l’intervento edilizio nel cui ambito sia avvenuto il ritrovamento. Significativo a questo proposito che si escluda che “la presunta distinzione fra titolarità e materiale esecuzione” possa impedire “la diretta imputabilità alla stessa proprietaria degli esiti connessi alle attività stesse”, concludendo significativamente il ragionamento citando il noto brocardo “cuius commoda, eius et incommoda” (paragrafo 4.8).

[13] Sul punto specificamente Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2024, n. 920, paragrafi 4.9 e 4.10. Sotto il profilo esaminato, sia pure con riferimento a diverse fattispecie, il Consiglio di Stato prende dunque le distanze da un precedente orientamento segnato dalla già ricordata sentenza della sez. VI, 4 settembre 2006, n. 5091, ove piuttosto si qualificava come scopritore il soggetto (anche in quel caso si trattava di una persona giuridica) che avesse assolto gli obblighi di denuncia e custodia di cui all’art. 90, comma 1. L’orientamento più recente tende piuttosto a valorizzare il ruolo di chi risulti diretto interlocutore dell’Amministrazione e degli obblighi imposti da quest’ultima, indipendentemente dalla materiale esecuzione degli adempimenti imposti dalla legge a seguito della scoperta.

[14] Erano state cioè prese particolarmente in considerazione le situazioni indicate alla lettera c (spese a carico degli interessati) e a (realizzazione di quanto previsto) del punto 2 della circolare.

[15] Al di là dell’intitolazione “Scavi archeologici eseguiti nell’interesse del proprietario per sua finalità, comportanti oneri per l’Amministrazione con impiego di mezzi, personale etc.”, il punto 2 stabilisce infatti percentuali differenziate in riferimento al caso in cui le spese siano a carico dello Stato (caso A), vi abbiano partecipato gli interessati (caso B) o siano invece totalmente a carico di questi ultimi (caso C), prevedendo, qualora l’opera progettata sia stata realizzata (caso a), percentuali di premio pari rispettivamente all’1%, al 6,25% e al 9,25% della stima delle cose ritrovate. La previsione del caso C, benché certamente non perfettamente coordinata con l’intitolazione, regolamenta dunque, e in termini sufficientemente logici come rilevato dal Tar (che ha rigettato il rilievo invero un po’ capzioso e formalistico di parte ricorrente), anche il caso in cui lo scavo sia stato eseguito senza oneri a carico dell’Amministrazione.

[16] In base al punto 1 della Circolare ministeriale, dedicato espressamente alle scoperte fortuite, alla società proprietaria potrà spettare un premio entro il limite del 25% del valore di stima delle cose ritrovate (v. infra, nt. 19) in qualità di ‘rinvenitore’ e altrettanto in qualità di proprietario, il tutto sempreché abbia adempiuto correttamente agli obblighi di denuncia e di custodia cui all’art. 90, comma 1 e ogni caso detratte le spese incombenti sull’Amministrazione. Anche in questo caso la redazione della Circolare è comunque non felice. Sembrerebbe infatti che al proprietario che sia anche ‘rinvenitore’ spetti solo il 25%, ma tale lettura è in evidente contrasto con il tenore dell’art. 92, comma 2.

[17] Cfr. già Cass., sez. un. 11 marzo 1992, n. 2959, in Giust. civ. 1993, I, pag. 2229 e ss., che in proposito attribuisce all’Amministrazione una valutazione che non è solo di carattere tecnico, ma risulta altresì ampiamente discrezionale. Recentemente Tar Lazio, Roma, sez. II-quater, 14 aprile 2018, n. 4129 ha ribadito che la corresponsione del premio implichi comunque “una preventiva valutazione discrezionale concernente l’an” riprendendo in questo senso testualmente Tar Lazio, Roma, sez. II-quater, 27 febbraio 2014, n. 2334. Analogamente anche Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2013, n. 116, che ha affermato che la corresponsione del premio postula comunque un’attività amministrativa volta ad accertare e verificare le condizioni normativamente necessarie per la sua attribuzione (fortuità della scoperta e assolvimento degli obblighi di cui all’art. 90, comma 1). Sul punto, per la possibilità che l’Amministrazione al termine dell’istruttoria decida di non riconoscere il premio qualora il comportamento dovuto non risulti positivamente riscontrato, v. E. Furno, Commento all’art. 92, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, cit., pag. 894 s. (con ulteriori riferimenti a questo stesso orientamento della giurisprudenza meno recente).

[18] I parametri indicati dalla Circolare ministeriale, benché la fattispecie non sia riconducibile al punto 2, rimangono infatti pur sempre rilevanti nell’ambito dell’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione (e in particolare la circostanza che comunque il ritrovamento non abbia precluso il completamento dell’intervento). Quanto al comportamento tenuto nell’assolvimento degli obblighi prescritti dall’art. 90 potrà essere considerato non tanto l’assolvimento stesso di tali obblighi (in mancanza si entrerebbe, come già rilevato, nella sfera dell’an circa la corresponsione del premio), quanto piuttosto le modalità e la diligenza nel loro assolvimento. Si pensi ad esempio alla facoltà di rimozione prevista dall’art. 90, comma 2 che implica la necessità di garantire la sicurezza e delle cose ritrovate e alla facoltà, ivi prevista, di richiedere, se necessario, l’ausilio della forza pubblica.

[19] Il fatto che la percentuale indicata dal legislatore costituisca un “tetto” massimo è reso esplicito dal testo dell’art. 92, comma 2 (e ugualmente già da quello del comma 1). Sulla questione v. Tar Umbria, sez. I, 6 dicembre 2016, n. 752, che peraltro inopinatamente ritiene che, nel caso disciplinato dall’art. 92, comma 2, la percentuale del premio possa oscillare da un minimo del 25% (in virtù della disposizione del comma 1) a un massimo del 50%. In realtà la disposizione che qui interessa fissa esclusivamente il “tetto” massimo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 2021, n. 4466, in riforma dell’appena citata sentenza del Tar Umbria), rimanendo per il resto nella discrezionalità dell’Amministrazione la fissazione della percentuale del premio rispetto al valore di stima. Sul punto non corrispondente al dettato normativo neppure il punto 1 della Circolare ministeriale che individua nel 25% un valore fisso (per la necessità di correggerne il tenore come riferibile al ‘tetto’ massimo v. infatti supra, nt. 16).

[20] Più precisamente l’Amministrazione aveva testualmente affermato che “per il procedimento di determinazione del premio, non è prevista la partecipazione dell’interessato”. Il Tar Lombardia nel caso di specie aveva invece ritenuto sufficiente che la Soprintendenza avesse comunque ammesso un esperto di parte a visionare i beni ritrovati nella settimana immediatamente precedente all’emanazione del provvedimento e ciò benché non fosse poi comunque intervenuta un’adeguata valutazione degli elementi forniti dalla parte stessa.

[21] Art. 30, comma 1, d.p.r. n. 600/1973 come modificato dall’art. 6 legge 7 luglio 2016, n. 122: I premi derivanti da operazioni a premio assegnati a soggetti per i quali gli stessi assumono rilevanza reddituale ai sensi dell'articolo 6 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, gli altri premi comunque diversi da quelli su titoli e le vincite derivanti dalla sorte, da giuochi di abilità, quelli derivanti da concorsi a premio, da pronostici e da scommesse, corrisposti dallo Stato, da persone giuridiche pubbliche o private e dai soggetti indicati nel primo comma dell'articolo 23, sono soggetti a una ritenuta alla fonte a titolo di imposta, con facoltà di rivalsa, con esclusione dei casi in cui altre disposizioni già prevedano l'applicazione di ritenute alla fonte...

[22] Quanto alla competenza in materia, il Tar Lombardia, argomentando dal fatto che, in base a recente giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. un., 15 settembre 2017, n. 21523; Cass. civ., sez. un., 7 luglio 2017, n. 16833), per riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario ed escludere invece quella del giudice tributario si debba dare da un lato rilievo alla mancanza di un atto impositivo rientrante nella tipologia di cui all’art. 19 del d.lg. 31 dicembre 1992, n. 546, dall’altro alla sussistenza di un rapporto privatistico fra sostituto e sostituito nel quale vengano in rilievo posizioni di diritto soggettivo, aveva ritenuto che, nel caso di specie, la giurisdizione appartenesse appunto al giudice amministrativo in quanto la controversia relativa alla legittimità della ritenuta era sorta “nell’ambito di un rapporto pubblicistico nascente da un provvedimento amministrativo” e con riferimento dunque a una posizione di interesse legittimo. La qualificazione della pretesa al premio come interesse legittimo, nonostante la diversa dizione dell’art. 92, comma 2 (Il proprietario dell’immobile che abbia ottenuto la concessione prevista dall’articolo 89 ovvero sia scopritore della cosa, ha diritto ad un premio...), è ormai pacificamente accolta da dottrina e giurisprudenza, tenuto conto del fatto che la decisione dell’Amministrazione circa l’attribuzione e la quantificazione del premio si configura come certamente inserita in un ambito di discrezionalità amministrativa.

[23] Quanto alla natura e alla funzione del premio in un primo tempo, partendo da una concezione essenzialmente privatistica e più tradizionale, la giurisprudenza meno recente si è orientata nel ritenere che ad esso si dovesse attribuire natura di corrispettivo o comunque indennitaria: In particolare, per la funzione compensativa del premio rispetto al mancato acquisto della proprietà o comunque del mancato incremento patrimoniale, anche con riferimento alla normativa del tesoro secondo il diritto comune, rispetto alla quale il diritto speciale deroga negando l’acquisto reale sia al proprietario che allo scopritore v. Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 1954, n. 3623, in Giust. civ., 1954, I, pag. 2447, Cass., sez. un., 27 gennaio 1977, n. 401, in Giust. civ. 1977, I, pag. 1600 ss.

[24] Soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso si è affermata infatti una nuova concezione circa la natura essenzialmente pubblicistica del premio, concezione che ha portato all’affermazione dell’idea che esso costituisca un incentivo alla consegna delle cose ritrovate in un quadro di collaborazione con la pubblica amministrazione, circostanza che ha coerentemente indotto il legislatore, già nella redazione dell’art. 89, comma 1, lettera c) del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490, a inserire la precisazione relativa agli obblighi di conservazione e di custodia attualmente previsti dall’art. 90, comma 1 del d.lg. n. 42/2004. Tale orientamento risale nelle sue prime manifestazioni a Cass. civ., sez. I, 13 luglio 1979, n. 4081, in Giust. Civ. 1979, I, pag. 2043 ss. e successivamente a Cass. pen, sez. II, 18 settembre 1989, n. 12246, in Riv. pen. 1990, pag. 586. In questo stesso senso si è poi pronunciata Cass., sez. un., 11 marzo 1992, n. 2959, in Giust. civ. 1993, I, pag. 2229 ss., che, muovendo dal presupposto che le cose oggetto del ritrovamento appartengono fin dall’origine allo Stato, ha escluso sia la natura di corrispettivo del premio per la perdita della proprietà che sarebbe patita dal proprietario del suolo e per la perdita della remunerazione sofferta ex  art. 930 c.c. dal ritrovatore, sia quella indennitaria per il depauperamento del patrimonio dei predetti attraverso un atto legittimo dell’amministrazione, non riconoscendosi in capo ai privati un precedente diritto degradato o sacrificato per effetto di un sopravvenuto provvedimento ablatorio. Tale orientamento giurisprudenziale è stato successivamente condiviso dalla giurisprudenza amministrativa, cfr. in particolare Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2004, n. 3492 (quindi di poco successiva all’entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio), in Riv. giur. ed., 2004, I, pag. 2031 ss., che ha a sua volta sottolineato come la previsione del premio persegua lo scopo di indurre il privato ad un’attività di collaborazione consona all’interesse pubblico e che pertanto il premio possa essere riconosciuto solo dopo che il comportamento richiesto allo scopritore sia stato portato a effetto e riconosciuto come meritorio e come anzi la stessa determinazione quantitativa del premio debba essere rapportata alla meritevolezza o esemplarità del comportamento.

[25] Tale orientamento giurisprudenziale considera la corresponsione del premio come funzionale da un lato a ricompensare chi con la propria scoperta abbia contribuito all’arricchimento del patrimonio culturale nazionale, dall’altro e soprattutto a impedirne la dispersione che ne deriverebbe qualora lo scopritore, invece di consegnarle, si appropriasse delle cose oggetto del ritrovamento. In questo senso per la configurazione del premio come incentivo alla consegna delle cose ritrovate e quindi come funzionale a una forma di attiva collaborazione con l’amministrazione v. anche Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2005, n. 11796 in Foro amm., Cons. Stato, 2005, pag. 1684. In senso analogo, ma con una coloritura più accentuata nel senso di disincentivare condotte illegali sotto il profilo del commercio dei reperti archeologici, v. altresì Cons. giust. amm. reg. Sic., 12 aprile 2007, n. 353, secondo cui la ratio del premio di rinvenimento di beni archeologici consiste nel creare una convenienza reale (non simbolica) per i soggetti, che a vario titolo si trovino a contatto con beni archeologici, a non occultare i ritrovamenti e a non cedere alla tentazione del commercio illegale dei relativi reperti.

[26] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 2024, n. 207 (Pres. Montedoro, Est. Ravasio), sul ricorso numero di registro generale 5743 del 2021, proposto da Brun e Garzelli contro Ministero per i beni e le attività culturali - Soprintendenza per i Beni Archeologici della Campania e Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, per la riforma della sentenza Tar Campania, sez. II, Salerno, 14 dicembre 2020, n. 1928. Il thema decidendum era in questo caso specificamente quello inerente all’eventuale aspettativa al premio del proprietario, che non sia anche concessionario di ricerca o “scopritore fortuito”, rispetto al ritrovamento avvenuto a opera delle autorità competenti. In particolare, ai fini dell’erogazione del premio, si è ritenuto necessario, nel caso specifico, un comportamento collaborativo, che possa valutarsi utile al ritrovamento e da valutarsi secondo criteri di meritevolezza.

 

 

 



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