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Canoni e corrispettivi per l'uso e la riproduzione dei beni culturali: prime riflessioni sul d.m. 161/2023

Note a margine [*]

di Marco Cammelli [**]

Side notes
The Author pulls the strings of the conference organized by Aedon concerning ministerial decree no. 161/2023.

Il d.m. 161/2023 del MiC ha sollevato molte critiche e problemi: ma le prime talvolta sono opposte (troppo o troppo poco) mentre i secondi sono riferibili sia all’intervento che a ragioni preesistenti. Distinguere è importante non solo per la chiarezza concettuale ma anche per capire meglio se e come rapportarsi al provvedimento, considerando che a quanto risulta lo stesso MiC sarebbe intenzionato a riprendere il decreto apportando modifiche non secondarie.

Sul punto gli interventi hanno registrato prevalenti posizioni critiche, sia da chi ritiene irriducibile il contrasto tra misure del genere rispetto alle libertà (di manifestazione del pensiero, di ricerca, di pluralismo e circolazione delle idee) sancite dalla Carta costituzionale sia da chi, pur senza pregiudiziali negative di partenza, subordina innovazioni del genere a interventi di maggiore ampiezza diretti a modificare in profondità il quadro di riferimento, ivi compresa la disciplina legislativa vigente, e le condizioni organizzative e operative necessarie per dare concretezza alle misure adottate.

Scorrendo gli interventi pubblicati in questa sezione, il lettore potrà constatare direttamente i diversi aspetti considerati critici: dai rapporti con la vigente normativa (non solo del Codice dei beni culturali e del paesaggio ma anche di fonti sovranazionali) alle criticità di contenuto e di procedimento, senza escludere gli interrogativi che nascono sulle ricadute in termini di relazioni pubblico-privato, pubblico statale-pubblico non statale, centro-sistemi locali, o le lacune in ordine agli aspetti operativi e agli oneri prevedibili che ne conseguono, con inevitabili riflessi sullo squilibrio che ne può derivare tra entrate attese e risorse effettivamente acquisite.

Detto questo, però è altrettanto giusto riconoscere che il problema da cui nasce il d.m. c’è ed è serio e che le considerazioni critiche, spesso giuste, che si muovono debbono partire o almeno fare i conti con questo dato. Il che tra l’altro consente di rispondere ad un altro quesito emerso sui media in queste settimane (perché? perché ora?): semplicemente perché il problema non è eludibile. E quando le cose stanno così c’è una cosa più grave del fare errori: non fare nulla.

In questi anni, infatti, la forte accelerazione dovuta all’azione combinata dell’evoluzione tecnologica (e digitale in particolare) e aumento di domanda, ormai planetaria e di varia natura, di immagini del patrimonio culturale ha reso la disciplina dell’art. 108 Codice (peraltro già datata nel 2004) del tutto obsoleta. Nell’ampio spazio che si è aperto fiorisce di tutto, dalla inventiva di singole sedi locali a soluzioni improvvisate, dall’ingresso in forza di grandi player del digitale (Google e altri) a pronunce giurisdizionali di grande impatto e di incompleta maturazione concettuale.

In breve, al di là di enfasi forse non proprio necessarie (v. atto di indirizzo del Ministro, gennaio 2023 o di misure certo da affinare non c’è dubbio che il settore, investito da intense ed eterogenee domande, ha necessità di dare una risposta che richiede il ripensamento di regole, intensi investimenti, buona gestione, buona comunicazione. Tanto più che il Codice è ricco di rinvii ad atti di indirizzo del ministero cruciali per l’intero sistema, rimasti però lettera morta cominciando da quelli previsti in tema di conservazione e di valorizzazione.

Perciò averci provato, e in un ambito particolarmente complesso anche perché spesso ancorato al diffuso postulato che solo le istituzioni pubbliche e la fiscalità generale dovrebbero provvedere a ciò che è necessario in questo ambito, con il corollario che le risorse non andrebbero richieste ai singoli perché la relativa fruizione è un diritto e non è accettabile riceverle da altre realtà (specie profit) perché andrebbero tenute a distanza per lo stesso motivo, è un dato da sottolineare e da riconoscere all’intervento.

Il resto però è decisamente problematico ed è auspicabile che sia largamente ripensato.

Si tratta infatti di un terreno complesso ma decisivo non solo per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale i cui presupposti, cruciali per interventi non estemporanei e per l’affidamento dei soggetti chiamati a collaborare con le istituzioni, sono in mano al pubblico e in particolare allo Stato, di cui il MiC è il principale (anche se non esclusivo) protagonista.

Ed è altrettanto sicuro che tutto questo sarà possibile per il MiC solo con solide forme di cooperazione con le altre amministrazioni pubbliche e con l’eterogeneo ma cruciale mondo dei privati, dalle comunità di riferimento al volontariato, dalle imprese alle autorità ecclesiastiche per i beni culturali di interesse religioso.

Ma veniamo all’esito di questo incontro. Il dibattito ha più volte intersecato due opzioni che, stando agli elementi emersi, mi sono sembrate prevalenti.

La prima più radicale, richiederebbe la sospensione dell’attuazione del d.m. in modo da aprire un esame e un ripensamento completo e approfondito fino a giungere ad una disciplina della materia in modo più adeguato e organico.

La cosa non pare persuasiva e realistica non solo per la scarsa possibilità di un suo accoglimento ma perché nel frattempo, un tempo sicuramente non breve, si aprirebbero scenari problematici perché ritornerebbe in vigore il d.m. precedente del 1994, che però non tiene conto né del Codice né delle modifiche ‘liberalizzatrici’ dell’art. 108 intervenute nel 2014 e nel 2017, al punto che l’art. 1 dello stesso d.m. sembra sottoporre a concessione ogni tipo di riproduzione. E oltretutto si verrebbe così a prolungare quella situazione di incertezza e di varietà di comportamenti sulla quale il d.m. - pur con tutti gli aspetti critici sottolineati - ha inteso intervenire.

Per la seconda opzione, anche considerando la reiterata intenzione da parte del MiC di tornare sul decreto apportando modifiche non marginali, si tratterebbe invece di mettere in parallelo due linee di intervento che consentano di affrontare gli aspetti più problematici senza arrestare il processo avviato.

Nell’immediato e lungo la prima linea, a parte la correzione di refusi o elementi superati, andrebbero le messe a punto più urgenti: la questione delle pubblicazioni e la previa verifica di compatibilità ex art. 2, comma 2. Un chiarimento interpretativo di quest’ultima, infatti, se si aderisce alla lettura che ne dà Girolamo Sciullo secondo cui tale disposizione, correttamente intesa alla luce dell’art. 108, finirebbe per avere una portata più circoscritta di quella generalmente denunciata perché andrebbe limitata fondamentalmente alle sole riproduzioni per utilizzi con fini di lucro, sarebbe sufficiente a ridurre drasticamente gli effetti che ne derivano evitando la necessità di una modifica normativa.

In parallelo ma in un tempo medio e più disteso, andrebbero invece affrontati temi altrettanto necessari che richiedono però una riflessione più ampia: come “governare” (in termini di tempi, criteri, scelte, modalità attuative) i punti di interdipendenza più delicati tra questo intervento e altri soggetti (musei pubblici non statali), altre politiche di settore (ricerca, scuola, turismo) o semplicemente altre modalità di provvista risorse (mecenatismo, sponsorizzazioni); il decisivo piano operativo, e cioè la copertura amministrativa di queste funzioni e la scala territoriale a cui affidarne la necessaria modularità e articolazione; le sperimentazioni possibili e le aree di flessibilità e differenziazione.

Il che, tra l’altro, richiede anche una valutazione sul ruolo che in sede decentrata potrebbe essere giocato anche a questo proposito dagli istituti di autonomia speciale (per lo più musei), la cui rete copre ormai l’intero territorio nazionale.

Se è così, si coglie agevolmente che gli elementi critici del d.m. non sono tanto il fatto di essere intervenuto in materia, ma di averlo fatto con una angolazione ristretta e per così dire in solitudine, caricandosi di un compito che è risultato inevitabilmente più gravoso.

Dunque, il punto non è arretrare ma affrontare una serie di elementi e di implicazioni che sono cruciali e che richiedono aperture e messe a punto su più versanti: il dato normativo (Codice vigente), quello organizzativo (copertura amministrativa, forme di cooperazione, controlli), le stesse basi concettuali dell’immagine e del relativo significato prima ancora delle conseguenti utilizzazioni e tutele giuridiche.

 

Note

[*] Attualità - Valutato dalla Direzione.

[**] Marco Cammelli, emerito di Diritto Amministrativo dell’Università di Bologna, Via Zamboni, 33, 40126, Bologna, marco.cammelli@gmail.com.

 

 

 



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