La conservazione del patrimonio culturale
Lo “scarto” bibliografico tra normativa statale e prassi locali
di Michele Turazza [*]
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La soft law della revisione. - 3. La demanialità delle raccolte. - 4. La normativa statale in materia di revisione delle raccolte. - 5. La normativa locale in materia di revisione delle raccolte: cenni. - 6. Conclusioni.
The bibliographic “discard” between state legislation and local practices
Weeding public library's collections is a critical part of the collections management system. Commonly known as "discard", it requires both cultural and regulatory legitimation. The aim of this article is to illustrate how the provisions, from soft law acts to local government levels, regulate the weeding procedures, focusing on the state legislation and its frequently incorrect application at local level. Through a detailed analysis of the main provisions on the subject, an attempt has been made to propose an interpretation more in line with both the letter and the ratio to which provisions refer.
Keywords: Public libraries; Discard of bibliographic materials; Weeding of library collections; Library collection evaluation.
“Ci sono crimini peggiori del bruciare libri. Uno di questi è non leggerli”.
Prendendo a prestito la celebre frase dello scrittore russo Josif Brodskij, premio Nobel per la letteratura nel 1987, citata in esergo, si potrebbe affermare che “Ci sono crimini peggiori del buttare libri. Uno di questi è non leggerli”. La citazione contiene in nuce il nucleo delle questioni che saranno sommariamente affrontate in questo breve elaborato: lo scarto bibliografico e la sua “legittimazione” (culturale e normativa), la necessità che i libri non rimangano sugli scaffali [1] per garantire la vitalità delle biblioteche come organismi [2] o sistemi aperti [3].
Quando la persona comune sente parlare di libri buttati, distrutti o, detta con linguaggio più specialistico, scartati e mandati al macero, viene colpita da un sussulto emotivo e l’istinto la spinge a storcere subito il naso, prendendo le distanze da tale pratica “barbara”, come se fosse un po’ contro natura: com’è possibile arrivare a distruggere il simbolo, il veicolo per eccellenza della cultura? E come è possibile che, a farlo, siano anche le biblioteche, istituzioni che, storicamente, più di ogni altre, sono deputate proprio alla conservazione e alla trasmissione della conoscenza?
Basta effettuare una ricerca, anche veloce, in rete per scoprire che la procedura dello scarto librario viene stigmatizzata e crea disagio in coloro che non ammettono che un volume non possa più essere utile, o possa in altre parole venire scartato: “Libri gettati come spazzatura, bufera in biblioteca. Il sindaco: non meritavano di restare” [4]: la pratica dello scarto ha sconvolto la piccola comunità di Carate Urio, sul lago di Como. “Libri gettati come spazzatura. Peggio: volumi gettati dalla biblioteca comunale e finiti in discarica” [5]. La denuncia alla stampa è pervenuta da un consigliere di opposizione del piccolo paese, che avrebbe trovato “la biblioteca quasi del tutto svuotata dai libri che erano sugli scaffali. [...] Del triste destino di questi libri, secondo i rappresentanti della lista, nulla avrebbero saputo né il bibliotecario né il responsabile comunale del servizio” [6].
Di “scarto bibliografico atipico” parla invece una nota [7] della Presidente nazionale dell’Associazione Italiana Biblioteche, Rosa Maiello, riferendosi allo smaltimento di materiale bibliografico da parte di un istituto scolastico calabrese, che avrebbe ammucchiato fuori dalla scuola “come spazzatura, numerosi libri, molti testi scolastici nuovi e recenti, alcuni con il cellophane e anche in uso nelle classi [...]. Molti hanno etichetta e il numero di inventario che testimoniano l’appartenenza a una biblioteca scolastica” [8].
Lo sdegno è ancora maggiore quando a “gettare” i libri sono le biblioteche universitarie [9]: “alcuni studenti dell’Università La Sapienza di Roma hanno ritrovato tra i rifiuti diversi libri soprattutto a carattere umanistico. Si trattava di libri gettati dalla biblioteca della stessa Università [...]. Quello che dovrebbe stupire in realtà non dovrebbe essere lo smaltimento dei libri, [ma] la leggerezza con cui delle istituzioni che dovrebbero difendere la cultura, non trovano miglior soluzione che mandarla al macero, trasformando così i libri in rifiuti” [10].
Già da questi brevi stralci di articoli riportati appare evidente come il tema dello scarto bibliografico possa essere considerato come il punctum dolens nella vita di ogni biblioteca. Sono parecchi i “dilemmi” di fronte ai quali si trova, spesso in completa solitudine, il bibliotecario, quando dà avvio all’iter che condurrà alla revisione e allo sfoltimento delle proprie raccolte. Come spiega lucidamente la bibliotecaria Loredana Vaccani in una sua nota monografia [11] è fondamentale inquadrare bene la problematica anche dal punto di vista terminologico. Una preliminare “igiene linguistica” nel nostro caso è necessaria per contribuire a dare una precisa fisionomia e una “legittimità” a procedure la cui esecuzione, per troppo tempo, è stata affidata alla buona volontà degli operatori che spesso sono costretti ad assecondare pressioni e desiderata di assessori completamente a digiuno di qualsiasi nozione biblioteconomica: “Questa varietà nell’utilizzo dei termini - spiega Vaccani - conferma che stiamo parlando di un’operazione alquanto complessa e diversificata e che la nostra semplice definizione di ‘scarto’, oltre a esprimere solo un concetto negativo, è alquanto riduttiva e tecnicamente fuorviante” [12]. Il termine più appropriato che la studiosa individua è “revisione”, che indica “un’operazione biblioteconomica e culturale che, inserita in una catena complessa di tecniche e di professionalità, si conclude a volte con l’allontanamento dei libri dallo scaffale” [13]. Tale procedura trova il proprio fondamento e la propria regolamentazione in una miriade di atti e provvedimenti; anche a livello internazionale, gli organismi rappresentativi delle associazioni di biblioteche si sono pronunciati con apposite linee guida. Nella prima parte del presente elaborato, rimandando al lavoro di Vaccani per una trattazione più esaustiva, si darà sinteticamente conto della soft law [14] che disciplina la revisione delle raccolte bibliografiche e di alcune riflessioni dottrinali in materia.
Scopo delle brevi riflessioni contenute nei rimanenti paragrafi del contributo, invece, è illustrare succintamente la stratificazione normativa che “regola” la materia: sono innumerevoli sia i livelli di governo coinvolti (da quello centrale ai livelli locali) che le tipologie di atti che regolano (rectius: dovrebbero regolare) le procedure di revisione (fonti primarie e secondarie, circolari, carte di servizi, deliberazioni, ecc.).
È d’obbligo a questo punto una premessa metodologica: non essendo veramente possibile, data la quantità di provvedimenti (si ripete: adottati in tutti i livelli di governo e da organi diversi) analizzare tutto il complesso normativo vigente, si è scelto di soffermarsi in particolare su quelli emanati a livello statale e regionale (ove esistenti), accennando soltanto ad alcune significative esperienze a livello locale, codificate nelle carte dei servizi o nelle carte delle collezioni di importanti biblioteche o sistemi bibliotecari.
2. La soft law della revisione
Si è già accennato a due delle cinque leggi formulate dal noto bibliotecario indiano, che fondano l’intera scienza biblioteconomica. In particolare, oltre alla prima e alla quinta, anche le rimanenti sembrano legittimare le procedure di revisione. La seconda legge “I libri sono per tutti. Ad ogni lettore il suo libro” e la terza (speculare) “A ogni libro il suo lettore” sottolineano la necessità che avvenga quanto più possibile quel fecondo “incontro” tra i libri sugli scaffali e i lettori che li cercano. Un libro, infatti, prende vita soltanto quando viene utilizzato (secondo la prima legge) da un lettore, che lo cerca, lo trova e, alla fine, lo toglie dallo scaffale per leggerlo. Tale “incontro”, tra l’altro, deve anche avvenire nel più breve tempo possibile, in quanto la quarta legge impone che il tempo del lettore vada risparmiato. La collocazione “naturale” di un libro non è in biblioteca, immobile su una mensola, ma nelle mani del lettore e il soddisfacimento della sua esigenza informativa o conoscitiva va attuato nel minor tempo possibile, prima che essa svanisca.
Anche il “Manifesto IFLA-UNESCO delle biblioteche pubbliche del 2022” [15] ribadisce che ogni tipo di conoscenza e informazione debba essere messa a disposizione dalle biblioteche pubbliche “prontamente”. “Il materiale - prosegue il manifesto - deve riflettere le tendenze attuali e l’evoluzione della società, nonché la memoria dell’impegno e dell’immaginazione umana [...e] la biblioteca pubblica deve essere organizzata in modo efficace e mantenere standard professionali di funzionamento.” [16]. Tale assunto coincide con uno dei tre elementi che, secondo Luigi Crocetti, rendono pubblica una biblioteca, ossia la contemporaneità [17].
Limitando l’attenzione ai più recenti pronunciamenti dell’International Federation of Library Associations and Istitutions [18], è doveroso soffermarsi sulle “Linee guida per i servizi bibliotecari per ragazze e ragazzi 0-18” [19] secondo cui, tra gli obiettivi delle biblioteche per ragazzi, rientra quello di “fornire l’accesso a un’ampia gamma di risorse e mezzi informativi appropriati” [20] dovendo la collezione essere “invitante, attuale, in buone condizioni e organizzata in modo intuitivo” [21]. A tal fine “è importante che le raccolte di una biblioteca vengano revisionate e sviluppate su base continuativa per assicurare che tutte le ragazze e i ragazzi della comunità abbiano una scelta di materiali nuovi di alta qualità e risorse che riflettano la cultura della comunità così come quella del resto del mondo” [22].
Le “Linee guida IFLA/UNESCO per lo sviluppo del servizio bibliotecario pubblico” [23] considerano la revisione parte integrante del ciclo di sviluppo delle raccolte. È assai significativo, ai nostri fini, il par. 4.4: “Le raccolte sono complementari ai servizi e non vanno considerate fini a sé stesse, a meno che il loro scopo primario e dichiarato sia la conservazione dei documenti per le generazioni future. Grandi raccolte non significa buone raccolte, soprattutto nel mondo digitale di oggi. L’adeguatezza delle raccolte ai bisogni della comunità locale è più importante della loro consistenza” [24]. Innanzitutto, si sottolinea come le raccolte delle biblioteche di pubblica lettura (considerazioni parzialmente diverse meriterebbero le biblioteche di conservazione) non debbano essere considerate in modo autoreferenziale, come un “bene in sé”, ma siano strettamente collegate ai servizi offerti dalle biblioteche stesse ossia, in altre parole, all’uso, più o meno intenso, che i lettori ne fanno. Inoltre, viene esplicitamente sfatato il luogo comune dell’equivalenza tra grande biblioteca e buona biblioteca: non sempre una biblioteca che possiede un ricco patrimonio librario in termini quantitativi offre servizi anche qualitativamente elevati, soprattutto nei casi in cui i volumi non escono mai dai suoi confini per essere letti, restandovi invece confinati. Infatti, “una raccolta più piccola ma di alta qualità verrà usata più di una grande raccolta con un’alta percentuale di libri vecchi, logori e obsoleti, in cui i titoli più recenti si perdono tra quelli di scarso interesse. Se si utilizzano opere di consultazione non aggiornate si rischia di dare all’utente informazioni inesatte” [25]. In tal caso, secondo il pensiero crocettiano, venendo meno l’elemento della “contemporaneità”, si snaturerebbe anche l’essenza della biblioteca che cesserebbe di essere considerata “pubblica”, proprio perché incapace di soddisfare le esigenze informative attuali dei componenti della propria comunità di riferimento.
La necessità del continuo aggiornamento dei materiali disponibili è esplicitamente confermata anche nel paragrafo 4.5.1: “le raccolte della biblioteca sono una risorsa dinamica che richiede l’afflusso costante di materiale nuovo e l’eliminazione di materiale superato per garantire che rimangano in sintonia con i bisogni della comunità e a un livello accettabile di precisione” [26].
A livello dottrinale, molti studiosi si sono interrogati sulle modalità più adeguate di gestione delle raccolte, concordando in sostanza sul fatto che essa non consista sempre in un “processo inevitabilmente cumulativo, come siamo abituati a credere sulla base della tradizione bibliotecaria italiana”, tutta sbilanciata verso la conservazione, purtroppo spesso “assunta come una prescrizione dogmatica infallibile” [27]. Serrai avverte che “l’idea ottusa che la ricchezza di una raccolta sia rappresentata da una quantità piuttosto che da un uso [e] la destinazione prevalente delle biblioteche a depositi di testimonianze sul passato [...] hanno contribuito a fare delle biblioteche pubbliche italiane degli scrigni bibliografici piuttosto che dei centri di propulsione culturale” [28].
Quando si parla di incremento delle raccolte, secondo Serrai, non è sufficiente soffermarsi sull’aspetto quantitativo, come sembrerebbe suggerire il termine utilizzato, poiché vi sono due facce: “quella della conservazione e quella dell’allontanamento o dello scarto, resi necessari dall’invecchiamento del materiale librario, in modo particolare di quello scientifico” [29]. Col prevalere della “religione conservazionale” si otterrebbe l’esito opposto a quello sperato, poiché essa condurrebbe inevitabilmente e paradossalmente più “alla rovina del patrimonio bibliografico che al suo salvataggio” [30].
Insiste sulla componente qualitativa di sviluppo delle raccolte anche Granata, la quale, tra le varie denominazioni utilizzate per indicare le procedure di scarto, considera il termine “revisione” il più adeguato, in quanto non mette “in evidenza gli effetti più drastici legati all’idea di una eliminazione materiale dei documenti” [31], possibilità che, evidenzia anche Vaccani [32], si presenta soltanto come ultima ratio in casi ben delimitati e disciplinati. Per “revisione”, Granata intende la procedura necessaria a seguito di “un ripensamento generale in merito all’opportunità che determinati documenti, a distanza di tempo dal loro ingresso nelle collezioni, ne facciano ancora parte”, al fine di “riequilibrare costantemente il profilo documentario delle raccolte” [33] del cui sviluppo rappresenta pertanto una fase costitutiva e necessaria.
3. La demanialità delle raccolte
Prima di abbozzare un tentativo di descrizione del sistema normativo vigente in tema di revisione delle raccolte bibliografiche, è opportuno soffermarsi sinteticamente sul tema della demanialità delle raccolte, poiché imprescindibile per comprendere alcune problematiche interpretative sorte attorno alla necessità di autorizzazione per poter procedere allo “scarto” di talune tipologie di documenti.
È fondamentale partire dall’analisi di alcune disposizioni chiave del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d’ora in poi: “Codice”), decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e del Codice civile (c.c.), che, considerate congiuntamente, consentono di fugare alcuni dubbi su nozioni fondamentali, dando vita però al contempo ad altre questioni interpretative non di poco conto che toccano anche il tema della revisione.
Ai sensi dell’art. 10 del Codice, per “beni culturali” si intendono “le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico” (comma 1), ed inoltre “[...] c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, ad eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all'articolo 47, comma 2, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616” [34] (comma 2). Un primo problema interpretativo riguarda l’oscura locuzione “raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche...”, su cui ci si soffermerà nel prosieguo della trattazione. Infine, sono annoverate tra i beni culturali (art. 10 c. 3, lett. c) anche “le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale” quando sia intervenuta l’apposita dichiarazione che ne attesti, appunto, l’interesse culturale (cd. biblioteche “notificate”).
Tali beni culturali, così come definiti - qualora rientranti nelle tipologie indicate nell’art. 822 c.c. e appartenenti allo Stato, alle regioni e altri enti pubblici territoriali (come ad es. i comuni) - costituiscono il demanio culturale (art. 53 c. 1). Il Codice non si preoccupa pertanto di fornire una definizione di demanio culturale, rinviando per questo alla disciplina contenuta nel c.c. e limitandosi soltanto a precisare che “i beni del demanio culturale non poss[a]no essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei limiti e con le modalità previsti dal presente codice” (art. 53 c. 2). L’inalienabilità è poi espressamente imposta (art. 54), tra le altre categorie, per le raccolte delle biblioteche.
Per la nozione di demanio, dunque, è necessario riferirsi alla disciplina contenuta nel Codice civile [35], secondo cui fanno parte del demanio pubblico “le raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche” sia nel caso appartengano allo Stato (art. 822 c. 2) che quando siano di proprietà di province e comuni (art. 824 c. 1). Oltre al criterio soggettivo, cioè l’essere di proprietà di un ente pubblico territoriale, per essere considerati come demaniali i beni devono soddisfare anche il criterio oggettivo della loro necessaria destinazione al soddisfacimento di un pubblico interesse, ossia che siano destinati all’uso pubblico. Autorevole dottrina sottolinea il fatto che l’uso pubblico deve rappresentare proprio la finalità ultima del bene demaniale, perché questo possa essere considerato tale: “Non basta, infatti, che un bene sia destinato a soddisfare un interesse pubblico per avere natura demaniale, ma occorre che quel bene non possa avere altra destinazione e che quell’interesse pubblico non possa essere soddisfatto se non con quel bene: è il rapporto di necessità finale, dunque, quello che caratterizza la demanialità” [36]. Si può dunque affermare che senza uso pubblico non si può parlare di demanialità, essendo l’uno caratteristica costitutiva dell’altra.
I beni del demanio pubblico sono inalienabili, non possono cioè formare oggetto di negozi giuridici di diritto privato, diretti ad esempio a trasferirne la proprietà a persone diverse dallo Stato o a costituire a favore delle medesime servitù o altri diritti reali; non sono inoltre soggetti ad usucapione, né ad esecuzione forzata. Soggetti ad un regime differente sono i beni patrimoniali, ossia (art. 826 c.c.) quei beni non demaniali che appartengono allo Stato, alle province e ai comuni: essi sono costitutivi del patrimonio dell’ente che ne detiene la proprietà.
L’art. 829 c.c. regola il passaggio di beni dal regime demaniale a quello patrimoniale che, per quanto riguarda i beni delle province e dei comuni, è disposto con apposito provvedimento amministrativo, pubblicato nelle forme e nei modi di legge. Si ritiene che negli Enti locali il provvedimento in questione, detto di “sdemanializzazione”, debba essere adottato con determinazione del dirigente - o del funzionario responsabile del servizio, qualora l’Ente non abbia la dirigenza -, trattandosi di atto che, ai sensi dell’art. 107 c. 2 del d.lg. 267/2000 [37], non è ricompreso espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente (cioè sindaco, giunta e consiglio comunale) e che non rientra tra le funzioni del segretario o del direttore generale. Naturalmente, a monte di tale atto è necessario che vengano previamente adottate con deliberazione della giunta comunale direttive o linee guida che disciplinino più o meno analiticamente le operazioni di revisione e i criteri per la scelta del materiale bibliografico oggetto di scarto [38].
Soltanto dopo l’adozione del provvedimento di “sdemanializzazione”, mutando il regime giuridico dei beni (da demaniali a patrimoniali), è possibile procedere con le destinazioni alternative dei volumi individuati, che verranno tolti dagli scaffali e utilizzati in altri modi, donati, venduti a prezzi simbolici oppure, come extrema ratio, mandati al macero [39].
4. La normativa statale in materia di revizione delle raccolte
Dopo essersi soffermati sulla soft law che legittima la revisione come momento fondamentale del ciclo di sviluppo delle raccolte e dopo aver accennato al tema della demanialità delle stesse - con le conseguenze che tale status comporta in ordine alla loro indisponibilità - è giunto il momento di analizzare la disposizione che nel nostro ordinamento fonda le procedure di scarto (si utilizza in questa sede proprio il termine “scarto”, poiché è quello presente nel testo normativo): si tratta dell’art. 21 del Codice, che disciplina gli interventi sui beni culturali soggetti ad autorizzazione del ministero, tra i quali è ricompreso (al comma 1 lett. d) “[...] lo scarto di materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche, con l’eccezione prevista dall’art. 10, comma 2, lettera c), e delle biblioteche private per le quali sia intervenuta la dichiarazione ai sensi dell’articolo 13”. Tale disposizione è l’esito di un’integrazione, avvenuta ad opera del d.lg. 156/2006 [40], poiché nel testo originario del Codice, all’art. 21, non era presente alcun riferimento ai beni librari delle biblioteche.
L’art. 21 ricomprende quindi sia le biblioteche pubbliche che quelle private (soltanto qualora siano state dichiarate di interesse culturale, le cd. biblioteche “notificate”), ma prevedendo espressamente, per le prime, l’eccezione di cui all’art. 10 c. 2 lett. c) del Codice, e cioè delle “raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all’articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616”. Questa disposizione, ad oggi vigente nel testo riportato, è frutto di due modifiche, avvenute a distanza di poco tempo: a fini di completezza si riportano tutti i testi normativi susseguitisi nel tempo.
La disposizione originaria del Codice (art. 10 c. 2 lett. c) ricomprendeva tra i beni culturali tutte “le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico”, così dando rilievo all’elemento soggettivo dell’Ente proprietario [41]. Con il d.lg. 156/2006 si è aggiunta l’eccezione relativa alle “raccolte delle biblioteche indicate all'articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e di quelle ad esse assimilabili”, spostando l’attenzione sulla tipologia di raccolte presenti nelle biblioteche di cui al d.p.r. 616/1977 - ossia le biblioteche popolari, le biblioteche del contadino nelle zone di riforma e i centri bibliotecari di educazione permanente - e in altre a queste assimilabili: “Si tratta di strutture di promozione di pubblica lettura, sorte nel tempo da iniziative di vari soggetti, talvolta senza solida base normativa (talvolta, anzi, sulla scorta di mere circolari ministeriali) e sovente latitanti sino alla inesistenza come il servizio nazionale di lettura” [42].
L’estrema varietà delle biblioteche, individuate tra l’altro in un’altra epoca da un decreto assai risalente nel tempo, e la difficoltà di delinearne precisamente la tipologia hanno spinto il legislatore delegato all’ulteriore modifica dell’articolo in commento, ad opera del d.lg. 62/2008 [43], che ha riferito l’eccezione a quelle raccolte “che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all’articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616” (abrogando l’inciso sulle biblioteche assimilabili): vengono dunque in rilievo le funzioni assolte da quella particolare tipologia di raccolte le quali, oggi, compongono la maggior parte del patrimonio delle biblioteche di pubblica lettura degli Enti locali.
In assenza di ulteriori previsioni normative sulla portata dell’eccezione di cui si è appena detto, resta la difficoltà, per gli operatori che periodicamente sono chiamati ad effettuare operazioni di revisione, di individuare con chiarezza quali tipologie di raccolte sono sussumibili tra il materiale bibliografico tutelato, il cui scarto necessita di preventiva autorizzazione e quali, invece, sono escluse dalla tutela; chiarire tale questione si rivela fondamentale, poiché possono venire in rilievo anche precise forme di responsabilità da parte dei pubblici dipendenti che dispongono lo scarto di materiali tutelati in assenza della prescritta autorizzazione.
Fino al 2015 il Codice prevedeva che le funzioni di tutela dei beni librari non statali fossero attribuite alle regioni [44]: da qui lo sforzo esegetico di alcune di esse per arrivare a chiarire il senso dell’inciso “raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche”, delimitando in tal modo la deroga alla necessità di autorizzazione per lo scarto. A titolo esemplificativo, la regione Veneto aveva inteso il riferimento alle raccolte delle biblioteche di cui al d.p.r. 616/1977 “attualizzandolo” alle raccolte correnti delle biblioteche degli enti locali, cioè a quelle “costituite esclusivamente al fine di garantire le esigenze d’istruzione, formazione, svago e crescita personale dei suoi utenti e che non comprendano opere che rivestono carattere di rarità e pregio” [45], interpretazione fatta propria anche dalla regione speciale Friuli Venezia Giulia.
Per quanto riguarda le biblioteche tenute a richiedere l’autorizzazione, si è visto come la disposizione in commento le individui in quelle “pubbliche”, pertanto si ritiene siano senz’altro soggette all’obbligo le biblioteche degli enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni), delle aziende sanitarie, le biblioteche scolastiche e universitarie e delle università [46], le biblioteche di proprietà di altri enti pubblici (anche non territoriali) e le biblioteche appartenenti a privati, qualora dichiarate di interesse culturale. La procedura di scarto autorizzato non è invece prevista per i soggetti privati senza fine di lucro (ad es. fondazioni, associazioni, istituzioni religiose), né per le biblioteche che non siano state dichiarate di interesse culturale, ma l’eventuale eliminazione di materiale bibliografico da parte di tali enti richiede comunque che sia previamente verificata la sussistenza o meno dell’interesse culturale (ai sensi dell’art. 12 del Codice).
Relativamente all’organo competente al rilascio dell’autorizzazione, è necessario distinguere se si tratti di biblioteche pubbliche statali o appartenenti ad altri enti pubblici (come ad es. i comuni).
Con riferimento alle prime [47], l’art. 21 del Codice individua il ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo (Mibact) [48], che esercita le funzioni di tutela sui beni culturali di appartenenza statale. In attuazione di tale disposizione, la direzione generale per le Biblioteche, gli Istituti Culturali ed il Diritto d’Autore ha adottato con apposito decreto le linee guida per le procedure di revisione nelle biblioteche pubbliche statali [49], secondo cui, ai sensi dell’art. 1, è ammesso lo scarto per le seguenti tipologie di materiale: giornali, quotidiani, periodici; gazzette e bollettini ufficiali; repertori, enciclopedie e dizionari; manuali scolastici e universitari e materiale didattico in genere; pubblicazioni a fogli e/o fascicoli mobili soggette ad aggiornamento periodico; volumi mutili o posseduti in più copie; basi dati su supporti magnetici od ottici; microfilm e microfiches; ristampe; materiale cosiddetto minore quali annunci economici e di vendite, annunci pubblicitari, bollettini, ecc. Resta in ogni caso escluso dallo scarto il materiale considerato antico, raro o di pregio, nonché quel materiale conservato a titolo di deposito legale [50].
Affinché il materiale possa essere scartato è necessario (art. 3) che si verifichi almeno una delle seguenti condizioni:
a) Deterioramento del bene tale da renderne impossibile la fruizione;
b) Presenza di almeno una copia sostitutiva, anastatica, in fotoriproduzione o digitale;
c) Incoerenza con le raccolte della biblioteca procedente.
Il Decreto individua anche analiticamente la procedura da seguire. Le biblioteche che intendono procedere allo scarto bibliografico devono inoltrare le loro proposte alla competente direzione generale, corredate da un verbale redatto da una Commissione consultiva interna nel quale illustrare le motivazioni dello scarto e gli obiettivi da raggiungere in ordine al tipo di biblioteca e alle peculiarità delle sue raccolte; devono inoltre allegare l’elenco completo del materiale, sia cartaceo che elettronico, da scartare, con tutti i necessari elementi identificativi e l’attestazione delle verifiche che attestino la presenza delle condizioni legittimanti lo scarto stesso.
L’autorizzazione, rilasciata con decreto del direttore generale, dà titolo alla biblioteca richiedente di apportare le necessarie scritture nel registro cronologico d’entrata, di dedurre il valore inventariale del materiale scaricato dal patrimonio e di apportare le necessarie modifiche sui cataloghi e gli inventari.
Prima di proseguire nella disamina della normativa a seguito del passaggio allo Stato dell’esercizio delle funzioni di tutela sui beni librari di proprietà non statale, merita un cenno anche quanto stabilito dal decreto n. 1052/2014 relativamente allo scarto bibliografico dei materiali pervenuti per deposito legale alle due biblioteche nazionali centrali di Roma e Firenze [51], adottato in risposta alle crescenti difficoltà di conservazione delle ingenti quantità di documenti inviati, dovute alla carenza delle risorse necessarie e di spazi idonei [52]. Il primo articolo del decreto riporta una serie di tipologie di documenti “non rilevanti”, per i quali è previsto lo scarto generalizzato (a determinate condizioni), in quanto pervenuti in più copie oppure incompleti a tal punto da renderne impossibile la fruizione o, infine, poiché privi di qualsivoglia valenza culturale, come, ad esempio: le pubblicazioni di interesse limitato a cerchie ristrette di associati edite in più lingue (deve essere conservata solo l’edizione italiana); le agenzie di stampa; le monografie o i prodotti multimediali pervenuti in più copie perché distribuiti in allegato a più testate di giornali o periodici del medesimo gruppo editoriale (ne deve essere conservata solo una copia); le cartine topografiche e stradali aventi come scopo principale la diffusione di informazioni di carattere pubblicitario. Per le tipologie documentarie elencate nel secondo articolo [53], invece, le due Biblioteche Nazionali Centrali sono tenute a verificare caso per caso la congruità delle stesse rispetto alle finalità del deposito legale, acquisendole soltanto quando ne venga riconosciuto il valore documentario rispetto alla cultura e alla vita sociale italiana.
Come accennato in precedenza, ai sensi dell’art. 5 comma 2 del Codice, nella sua formulazione originaria, le funzioni di tutela su manoscritti, autografi, raccolte librarie, libri stampe, incisioni, non appartenenti allo Stato erano state attribuite alle regioni. A seguito dell’abrogazione di tale comma nel 2015 [54], l’esercizio delle funzioni di tutela è tornato allo Stato anche per i beni librari di proprietà non statale. In assenza di una disciplina transitoria, la cessazione dell’operatività delle Soprintendenze bibliografiche regionali [55] ha comportato per il ministero della Cultura un insostenibile aggravio di procedimenti da gestire, dal momento che la direzione generale Biblioteche e Istituti Culturali di tale dicastero non presentava alcuna articolazione territoriale, operando solamente a livello centrale.
Per far fronte alla situazione, sfruttando la possibilità prevista dall’art. 5 comma 3 del Codice [56], il 26 ottobre 2015 è stato sottoscritto un accordo di collaborazione tra la direzione generale citata e la direzione generale Archivi [57], sulla base del quale (art. 1) “la Direzione generale biblioteche e istituti culturali, per l’attività istruttoria necessaria alla predisposizione degli atti finali si avvale delle Soprintendenze Archivistiche competenti per territorio [...] per lo svolgimento delle seguenti funzioni finora svolte dalle Soprintendenze bibliografiche regionali in materia di beni bibliografici di proprietà non statale: [...] c) autorizzazione allo spostamento anche temporaneo dei beni bibliografici e allo scarto [...]”.
L’accordo prevede inoltre che le attività istruttorie dei procedimenti richiamati siano effettuate dalle soprintendenze archivistiche competenti per territorio con la collaborazione di bibliotecari individuati e messi a disposizione dalla competente direzione generale Biblioteche e Istituti Culturali.
Allo scopo di dare piena attuazione alla riorganizzazione delle strutture del ministero dei Beni e delle Attività Culturali, nel 2016 [58] sono state istituite le soprintendenze archivistiche e bibliografiche con competenze in materia di tutela del patrimonio bibliografico non statale, sia per quanto riguarda la fase istruttoria dei procedimenti che per l’adozione dell’atto finale: dal 2016, dunque, l’atto autorizzativo allo scarto è rilasciato da queste strutture, istituite in ogni regione (ad eccezione che nelle regioni a statuto speciale Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia. Nella regione Trentino Alto-Adige, invece, la soprintendenza archivistica e bibliografica del Veneto e del Trentino Alto-Adige svolge esclusivamente funzioni in materia di beni archivistici).
Dopo aver illustrato sommariamente l’excursus normativo che ha condotto all’accentramento in capo al ministero, per il tramite delle soprintendenze archivistiche e bibliografiche, delle funzioni di tutela dei beni bibliografici non appartenenti allo Stato, è possibile a questo punto dar conto della disciplina che regola le procedure di scarto, prevista dalla circolare n. 102 della direzione generale Biblioteche e Istituti Culturali dell’allora Mibact [59]. Tale atto, dopo aver riconosciuto la sinergia delle diverse esperienze e professionalità impegnate nell’azione di tutela bibliografica, venutasi a creare dopo la riorganizzazione ministeriale, fornisce alcune indicazioni utili come orientamento e riferimento nell’istruttoria dei seguenti procedimenti, al fine di uniformare il lavoro delle Soprintendenze: accertamento di interesse culturale di un bene bibliografico; scarto di materiale bibliografico; autorizzazione ad interventi di restauro; autorizzazione all’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere (spolverature, digitalizzazioni, ecc.).
Tra le attività soggette a tutela, che necessitano di autorizzazione preventiva ministeriale, il Codice include il procedimento di scarto bibliografico per tutto il materiale appartenente alle biblioteche pubbliche, con l’eccezione illustrata in precedenza, e alle biblioteche private dichiarate di interesse culturale. I criteri previsti dalla circolare sono i seguenti:
1) È necessario individuare almeno cinque localizzazioni negli Opac italiani, di cui almeno una nella Regione;
2) Nel caso di collane o periodici, oltre alla localizzazione, deve essere considerata anche la consistenza della collana o del periodico in modo da valutare l’eventuale integrazione delle raccolte di altre biblioteche sul territorio;
3) È opportuno valutare la presenza di altre copie nella stessa biblioteca o nello stesso sistema bibliotecario urbano;
4) È da considerare anche lo stato di conservazione del documento bibliografico quando questo sia gravemente mutilo o comunque danneggiato al punto che ne sia notevolmente compromesso il normale utilizzo;
5) L’esemplare, oggetto di scarto, non deve essere caratterizzato da elementi che ne attestino l’unicità o la rarità, quali, ad esempio, caratteristiche editoriali, di produzione, di provenienza. Anche la presenza di note di possesso di rilevante interesse o una legatura di pregio sono elementi che concorrono alla valutazione del pregio dell’opera;
6) Non deve far parte di specifici fondi o raccolte di cui sia importante mantenere l’integrità; la data di pubblicazione non deve essere antecedente a 50 anni (art. 10 c. 5 del Codice) [60];
7) La pubblicazione non deve essere pervenuta per deposito legale.
La circolare detta anche le condizioni da valutare per la dichiarazione dell’interesse culturale di una raccolta bibliografica (art. 10 c. 3 lett. c) del Codice) e per il riconoscimento del carattere di rarità o pregio di un bene librario (art. 10 c. 4 lett. d) del Codice).
Ciò che colpisce è l’assenza, nelle linee guida, di ogni riferimento all’eccezione prevista nell’art. 10 c. 2 lett. c), e richiamata espressamente dall’art. 21 c. 1 lett. d) del Codice, in ordine all’esclusione dalla necessità di autorizzazione allo scarto per determinate tipologie di raccolte, cioè di quelle “correnti”, che “assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all’articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616”, come meglio illustrato in precedenza. Come interpretare la mancanza di ogni richiamo a tale eccezione? Una dimenticanza? O considerarla consapevolmente tamquam non esset?
Accortosi dell’assenza di una disciplina specifica per la revisione delle raccolte correnti, probabilmente qualche zelante direttore di biblioteca, per il tramite delle soprintendenze, ha inoltrato alla direzione generale dei quesiti in ordine alla corretta gestione di tali procedure.
La risposta non si è fatta attendere. Una circolare della stessa direzione generale biblioteche e istituti culturali [61], che detta ulteriori linee guida di attuazione dell’art. 5 del d.m. n. 44/2016, specifica che: “[...] a seguito di alcune richieste di chiarimento pervenute [...] riguardo lo scarto di materia bibliografico appartenente a biblioteche civiche o comunali, si ribadisce la necessità di autorizzare tale attività anche a fronte di patrimoni esigui o correnti” (sic!).
Se nulla quaestio relativamente all’esiguità del patrimonio bibliografico, dal momento che non è la quantità dei beni a determinare o meno la necessità di autorizzazione allo scarto, lascia alquanto perplessi la previsione dell’obbligatorietà della richiesta di essere autorizzati per lo scarto delle raccolte correnti, poiché un’interpretazione sistematica di due disposizioni (i più volte citati artt. 10 c. 2 lett. c) e 21 c. 1 lett. d) del Codice) ne consente espressamente l’esclusione.
Trattandosi di fonte primaria (un decreto legislativo) non vi è dubbio che la disciplina del Codice prevalga su quanto stabilito da una semplice circolare, ma al di là delle questioni meramente teoriche, resta la difficoltà per i bibliotecari di individuare con chiarezza i casi in cui l’autorizzazione allo scarto è assolutamente necessaria da quelli in cui non sarebbe prevista, nonostante la circolare la richieda.
5. La normativa locale in materia di revisione delle raccolte: cenni
Non rimane ora che concludere questo breve excursus normativo con un fugace richiamo a ciò che prevedono “fonti” e prassi di enti territoriali locali, ossia regioni e comuni, e università. Pur nella consapevolezza che il rilascio dell’autorizzazione allo scarto bibliografico è ormai da anni di competenza dello Stato, che la esercita per il tramite delle soprintendenze archivistiche e bibliografiche, si è preferito accertarsi dell’eventuale adozione di linee guida in materia a livello regionale o, comunque, che la legislazione regionale non prevedesse discipline in contrasto con quella statale [62]. A tal fine, considerato che non sempre i siti istituzionali delle regioni vengono costantemente aggiornati, in particolare per quanto riguarda gli atti non legislativi, si è proceduto a inoltrare una richiesta di accesso civico al settore cultura (o strutture equivalenti con competenze in materia di biblioteche di enti locali) di tutte le regioni italiane, comprese quelle a statuto speciale, e alle due province autonome di Trento e Bolzano, per “ottenere copia delle linee guida (o atti equivalenti anche diversamente denominati) che disciplinano le procedure di scarto di materiale bibliografico e di revisione delle raccolte delle Biblioteche nella regione in indirizzo” [63]. Si dà schematicamente conto dei risultati di questa indagine, per punti dedicati alle singole regioni [64]:
1) provincia autonoma di Bolzano: invio della normativa provinciale sulle biblioteche; il regolamento concernente le biblioteche pubbliche (art. 7 c. 5) dispone in materia di scarto del materiale deteriorato e obsoleto per garantire l’attualità del patrimonio. Le carte delle collezioni delle singole biblioteche disciplinano lo scarto (es. “Revisione delle collezioni e scarto” della Carta delle collezioni della Biblioteca civica di Bolzano [65]).
2) regione Campania: rinvio alla soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania, competente territorialmente.
3) regione Emilia-Romagna: rinvio alla soprintendenza archivistica e bibliografica dell’Emilia-Romagna, competente territorialmente.
4) regione speciale Friuli Venezia Giulia: invio del link alla pagina web del sito istituzionale con il procedimento da seguire per lo scarto bibliografico, che riproduce sostanzialmente quello statale.
5) regione Liguria: rinvio alla soprintendenza archivistica e bibliografica della Liguria, competente territorialmente per la disciplina in vigore dopo il passaggio delle competenze allo Stato in materia di tutela di beni librari non statali. In precedenza, la Regione aveva disciplinato analiticamente i criteri per le autorizzazioni allo scarto di materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche con delibera di giunta [66].
6) regione Lombardia: rinvio alla soprintendenza archivistica e bibliografica della Lombardia, competente territorialmente.
7) regione Piemonte: rinvio alla soprintendenza archivistica e bibliografica del Piemonte e della Valle d’Aosta, competente territorialmente.
8) regione speciale Sardegna: indicazione del link del sito istituzionale contenente tutte le informazioni sullo scarto di materiale bibliografico delle biblioteche sarde [67]; in questa pagina è disponibile anche il “Regolamento per l’autorizzazione allo scarto di materiale bibliografico” [68], unitamente alla modulistica.
9) regione speciale Sicilia: la regione siciliana non ha mai emanato linee guida per lo scarto del materiale bibliografico; in regione si applica lo scarto inventariale qualora un volume divenga inutilizzabile e previa autorizzazione del dipartimento dei beni culturali della regione.
10) regione Toscana: non esistono linee guida regionali sullo scarto e la revisione rivolte in via generale alle biblioteche toscane. Rinvio alla soprintendenza archivistica e bibliografica della Toscana, competente territorialmente.
11) provincia autonoma di Trento: risposta mediante colloquio telefonico in cui è stato precisato che le procedure di scarto bibliografico nelle biblioteche trentine sono disciplinate dalle carte delle collezioni adottate dalle singole biblioteche; è in corso uno studio per arrivare a una standardizzazione delle procedure a livello provinciale [69].
12) regione Umbria: risposta mediante colloquio telefonico in cui è stato precisato che non esistono linee guida regionali.
13) regione speciale Valle d’Aosta: invio della carta delle collezioni della biblioteca regionale di Aosta, che dispone in merito alle politiche di acquisizione, conservazione e svecchiamento delle raccolte (in fase di revisione).
14) regione Veneto: rinvio alla soprintendenza archivistica e bibliografica del Veneto, competente territorialmente.
Con riguardo alla regione Veneto, è ancora reperibile sul sito istituzionale il file elaborato prima del 2015 [70] dall’allora ufficio sovrintendenza ai beni librari regionale, contenente i criteri per lo scarto applicati fino al trasferimento delle relative competenze allo Stato, che fornisce un’idea di come questa regione avesse disciplinato la procedura. La richiesta di autorizzazione era obbligatoria quando le pubblicazioni rientravano in uno o più dei seguenti casi: erano periodiche; avevano una data di pubblicazione superiore ai 30 anni; rivestivano carattere di rarità e/o pregio; avevano attinenza “locale”, cioè erano pubblicazioni di autore, soggetto, editore, possessore (provenienza) veneti, o comunque legate al territorio regionale ed espressione dei suoi aspetti culturali, ambientali e sociali. In tal caso veniva esclusa l’operatività del principio del silenzio-assenso, cioè era necessario che il competente ufficio si esprimesse con il rilascio esplicito di autorizzazione.
Diversamente avveniva quando lo scarto poteva avvenire senza autorizzazione: la biblioteca era comunque tenuta all’invio delle liste del materiale bibliografico da scartare, ma, trascorsi 30 giorni senza un pronunciamento dell’ufficio regionale, avrebbe potuto procedere allo scarto, senza attendere oltre (operava cioè il silenzio-assenso). I casi sono i seguenti: data di pubblicazione inferiore a 30 anni; senza carattere di rarità o pregio; non appartenenza a fondi specialistici o storicizzati; senza attinenza locale; esistenza di almeno tre localizzazioni nel catalogo della rete bibliotecaria di appartenenza o del bacino territoriale di riferimento.
Al fine di verificare che a livello territoriale le modalità e i criteri per lo scarto contenuti nella richiamata circolare n. 102 non fossero stati declinati diversamente dalle varie soprintendenze ai beni archivistici e bibliografici, si è provveduto ad inviare richiesta di accesso civico alle varie sedi, richiedendo eventuali linee guida, circolari o altri atti comunque denominati, in materia di revisione delle raccolte. Dalle risposte pervenute emerge un quadro omogeneo, senza differenze di applicazione, com’è tipico quando l’Ente competente appartiene all’amministrazione centrale e le sue articolazioni sul territorio non godono di alcun margine di autonomia, come nel caso delle Soprintendenze.
Dalle linee guida reperite, si nota infatti una costante: la sostanziale mancata considerazione della deroga alla necessità dell’autorizzazione per le raccolte correnti, di cui al già citato combinato disposto degli artt. 10 c. 2 lett. c) e 21 c. 1 lett. d) del Codice oppure un’interpretazione strettamente letterale (senz’altro non in linea con la ratio della disposizione) che ne annulla de facto la portata.
Ad esempio, le “Linee guida agli scarti bibliografici” pubblicate dalla Soprintendenza dell’Emilia-Romagna, dispongono che “L’autorizzazione [debba] essere richiesta per scartare qualsiasi libro, periodico o documento bibliografico o multimediale, anche moderno o di acquisto recente” [71]. Medesima previsione, espressa ancor più chiaramente, è contenuta nel documento “Scarto di materiale bibliografico” ricevuto dalla Soprintendenza Toscana: “L’autorizzazione preventiva è richiesta anche per effettuare la dismissione delle raccolte correnti delle biblioteche degli enti locali, costituite esclusivamente al fine di garantire le esigenze di istruzione, formazione, svago e crescita personale degli utenti” cioè proprio di quelle tipologie di raccolte costituenti la gran parte del patrimonio delle biblioteche di pubblica lettura.
Di (apparente) diverso avviso la soprintendenza del Piemonte che, nella pagina web dedicata allo scarto bibliografico, pur riportando correttamente l’eccezione prevista dal Codice [72], sembra darne un’interpretazione letterale, dal momento che immediatamente dopo, precisa che “L’autorizzazione deve essere richiesta per scartare monografie, periodici o altri materiali, anche moderni o di acquisto molto recente”, i quali spesso coincidono proprio con le raccolte correnti, cioè quelle che il Codice esclude dall’autorizzazione. Anche le “Linee guida” del Lazio [73] citano l’eccezione con riferimento al d.p.r. 616/1977, ossia “biblioteche popolari, biblioteche del contadino nelle zone di riforma, centri bibliotecari di educazione permanente”, concludendo però che “conseguentemente tutte le biblioteche pubbliche, che non ricadono nell’eccezione prevista, e le biblioteche private [notificate] devono sempre chiedere preventivamente alla Soprintendenza archivistica e bibliografica l’autorizzazione a scartare monografie, periodici ed altro materiale librario”. La stessa disciplina è prevista nelle linee guida della Soprintendenza pugliese.
Conferma esplicita dell’adesione all’interpretazione letterale è contenuta nelle “Linee guida” della Liguria [74], le quali precisano che “l’eccezione prevista all'articolo 10, comma 2, lettera c) del Codice (raccolte che assolvono alle funzioni delle [...] biblioteche popolari, biblioteche del contadino nelle zone di riforma, centri bibliotecari di educazione permanente) non risulta riferibile ad alcuna biblioteca esistente in Liguria”. Non esistendo in Liguria alcuna biblioteca del contadino nelle zone di riforma né biblioteca popolare, l’eccezione del Codice non si applica.
Un quadro, dunque, omogeneo, pur nella sensibile diversità delle formulazioni le quali però conducono al medesimo esito: la necessità di autorizzazione per ogni tipologia di materiale bibliografico, in ossequio a un’interpretazione letterale, ma distorta e restrittiva, dell’eccezione, che limita la sua operatività alle sole tipologie di biblioteche puntualmente ed espressamente richiamate dal d.p.r. n. 1977 (sarebbe a tal proposito interessante indagare sulla reale esistenza di biblioteche del contadino nelle zone di riforma e di biblioteche popolari) anziché riferirla, come sarebbe più corretto e anche più aderente alla lettera della stessa disposizione, alle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche di cui allo stesso d.p.r., e cioè alle raccolte cd. correnti, così come individuate da alcune regioni quando era loro attribuita la competenza in materia di tutela del patrimonio bibliografico non statale.
Da non dimenticare, inoltre, che il Codice, nella sua formulazione “intermedia” [75] prevedeva anche altre biblioteche “assimilabili” a quelle richiamate dal d.p.r. 616/1977, ritenendo pertanto queste ultime soltanto un’esemplificazione di massima delle finalità di alcuni tipi di biblioteche (come correttamente avevano argomentato le regioni, individuandole in quelle di pubblica lettura degli enti locali) e non un’elencazione tassativa di tipologie di istituti della cui effettiva esistenza, tra l’altro, è lecito dubitare [76].
Rimane ora da accennare, sia pur brevemente, alla revisione nelle biblioteche delle università. Pur essendo anche tali Enti, infatti, soggetti alla disciplina statale di cui si è dato ampiamente conto, sembra opportuno verificare se eventuali linee guida adottate prevedano limitazioni allo scarto ulteriori, dovute alla specificità delle loro collezioni e della loro utenza, costituita in prevalenza da studenti e ricercatori [77].
Degne di nota sono le articolate “Linee guida per la revisione e lo scarto dei materiali librari e dei documenti multimediali delle Biblioteche dell’Ateneo” in vigore presso l’università degli studi di Palermo [78] che prescrivono venga effettuata una dettagliata analisi [79] del posseduto bibliografico prima di dare avvio a qualsiasi attività di revisione, con particolare riferimento allo stato di conservazione dei documenti, al grado di obsolescenza, alla rispondenza delle esigenze degli utenti e al grado di utilizzo negli ultimi cinque anni. In particolare, la revisione delle collezioni deve tendere alle seguenti finalità: individuazione del materiale danneggiato, non consultabile e non fruibile, in modo da procedere allo scarto; possibilità di collocare a scaffale chiuso il materiale più obsoleto o meno richiesto, o di valutare l’eventuale dono o scambio con altre biblioteche o istituzioni pubbliche o private interessate; scarto del materiale duplicato che ogni biblioteca possiede in molteplice copia e che risulta non più consultato da cinque o più anni (a seconda dell’area disciplinare e della tipologia di pubblicazione) dall’immissione del record bibliografico nell’Opac di Ateneo; scarto delle copie non necessarie del materiale bibliografico presente in copia multipla anche in altre biblioteche dell’Ateneo. Sono esclusi dallo scarto i libri pubblicati prima del 1900 (mentre verrà posta particolare attenzione ai materiali con data di pubblicazione fino al 1950); i documenti rari e di pregio; i libri appartenenti a collezioni o fondi speciali. Di estremo interesse, poiché costituente l’essenza di ogni procedura di revisione [80], è la prescrizione secondo la quale ogni biblioteca dovrà assicurare adeguata sostituzione del materiale scartato con nuovi documenti che incrementino e attualizzino il patrimonio in modo coerente. Una volta effettuata la revisione, la biblioteca è tenuta ad inviare la lista del materiale individuato per lo spostamento a magazzino e per lo scarto al Consiglio scientifico di riferimento, che entro un mese dovrà formulare eventuali osservazioni, in assenza delle quali la revisione diventa operativa e la biblioteca potrà di conseguenza richiedere la necessaria autorizzazione alla sezione per i beni bibliografici e archivistici della soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Palermo, ai sensi del d.lg. n. 42/2004, la quale rilascerà il nulla osta allo scarto, eventualmente distinguendo le opere che possono essere assegnate ad un’altra biblioteca pubblica da quelle che possono essere eliminate.
Secondo le “Linee guida per la revisione delle collezioni cartacee” dell’università di Bologna [81], corrette pratiche di revisione sono necessarie per il miglioramento dell’erogazione dei servizi, l’ottimizzazione degli spazi e dei costi di gestione. Dopo aver individuato le finalità delle operazioni di revisione, che sono sostanzialmente le stesse di quelle dell’ateneo di Palermo, le linee guida in esame subordinano lo scarto bibliografico dei materiali cartacei all’accertamento dell’assenza di vincoli di legge; al rispetto dei fondi di riconosciuto valore storico e culturale; all’integrità di collezioni e fondi di particolare pregio; alla garanzia di una adeguata tutela di almeno una copia unica cartacea di ciascuna edizione delle monografie e della collezione di ciascun periodico (anche mediante la sua conservazione in un magazzino di deposito di cui si auspica l’istituzione); alle scelte delle singole biblioteche, effettuate dai loro comitati scientifici, sulla base dell’uso e delle esigenze dei propri utenti, in un’ottica di collaborazione e coordinamento all’interno delle aree del sistema bibliotecario di ateneo; alla sostenibilità degli oneri derivanti dalle operazioni di scarto (scarto inventariale, trasporto ed eliminazione del materiale stesso).
Da questa breve disamina sulla normativa vigente in tema di revisioni del patrimonio bibliografico delle biblioteche, sia statali che di altri enti territoriali, sono emersi alcuni punti fermi che ci si limita a riportare, essendo stati già ampiamente illustrati nel corso della trattazione.
In primo luogo, le procedure di revisione non sono solo opportune, ma anche necessarie, al fine di garantire la vitalità delle biblioteche, in particolare di quelle di pubblica lettura, che devono essere sempre in grado di fornire informazioni aggiornate e affidabili ai propri utenti. In quanto sistema aperto, se la biblioteca viene privata di scambi continui con l’ambiente in cui opera, inizia un lento processo di decadimento che la porterà, prima o poi, a diventare un mero deposito di libri, statico, chiuso, cioè l’esatto opposto dell’essenza di una biblioteca.
Da un punto di vista culturale, dunque, è proprio l’obiettivo ultimo delle biblioteche a legittimare le rivalutazioni periodiche delle raccolte, col loro aggiornamento, il ritiro dagli scaffali del materiale obsoleto o deteriorato e la sua destinazione ad altri utilizzi o al macero. Il sistema normativo che disciplina lo “scarto” bibliografico si presenta solo apparentemente lineare, non essendo stati risolti alcuni nodi critici di cui si è dato conto. In particolare, se a livello di principi generali non sussistono particolari problemi, dal momento che la disciplina soft law sembra sufficientemente chiara, quando si scende nel concreto lavoro quotidiano dei bibliotecari, si presentano alcune questioni che i centri decisionali a vari livelli non sono stati in grado, finora, di chiarire del tutto.
Ciò che desta subito l’attenzione di un interprete attento è la marcata discrasia tra ciò che dispone il Codice dei beni culturali nelle disposizioni più volte richiamate sopra e la disciplina attuativa contenuta in diverse circolari e linee guida. Se da un lato viene infatti stabilita un’eccezione alla necessità dell’autorizzazione per lo scarto di materiali bibliografici in base alle funzioni svolte da determinate raccolte (e non, come intendono le Soprintendenze, in base alla tipologia di biblioteca), dall’altro questa previsione sembra restare lettera morta, dal momento che, nei fatti, l’autorizzazione deve essere richiesta sempre. Ciò comporta un notevole appesantimento delle incombenze quotidiane dei bibliotecari, in particolare di quelli operanti nelle biblioteche di pubblica lettura degli enti locali che sovente scontano significativi tagli di personale e scoperture di organico. Pur non avendo potuto trattare in questa sede il ciclo della revisione nella sua interezza, è evidente come esso richieda un notevole dispendio di risorse, sia umane che strumentali, e che la previsione di un’autorizzazione generalizzata per tutto il materiale bibliografico potrebbe, a causa delle difficoltà di gestione di un’ampia mole di volumi, causare ritardi e interruzioni dei servizi, in particolare nelle piccole realtà.
Senza considerare, tra l’altro, l’accentramento delle competenze in capo alle Soprintendenze archivistiche e bibliografiche, che, coi pochi mezzi a disposizione, sono tenute ad analizzare liste infinite di beni librari, con detrimento della qualità del lavoro svolto; in altre parole sarebbe più opportuno che le poche risorse disponibili fossero destinate all’analisi della natura dei beni “veramente” culturali, al fine di verificare la sussistenza delle condizioni legittimanti il loro scarto, anziché essere disperse nella lettura di file molto estesi composti, il più delle volte, da dati relativi a libri che un’applicazione corretta del dettato normativo consentirebbe di sottoporre a revisione anche senza autorizzazione.
Naturalmente, essendo necessario contemperare le esigenze di tutela dei beni culturali con quelle di speditezza dei lavori di revisione delle raccolte, l’autorizzazione dovrebbe essere richiesta, oltre che nei casi di beni rientranti senz’altro nel novero di quelli soggetti a tutela, anche qualora sorgano dei dubbi. In tutti gli altri casi, però, si ritiene che i bibliotecari sarebbero perfettamente in grado di selezionare i materiali da scartare e concludere processi periodici di revisione delle raccolte in piena autonomia e indipendenza, guidati soltanto da criteri biblioteconomici.
È auspicabile, pertanto, che si incentivi la formazione degli operatori sulle modalità di revisione e rivalutazione delle raccolte e, al contempo, che le associazioni di categoria si impegnino affinché venga data corretta attuazione alla disciplina prevista nel Codice dei beni culturali. A livello istituzionale, potrebbero per prime provare ad aprire la strada a modifiche della disciplina le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, che godendo di una maggiore autonomia nel campo della tutela dei beni librari non statali, potrebbero ad esempio approvare criteri guida sulle revisioni che prevedano l’esclusione della necessità dell’autorizzazione allo scarto per le raccolte correnti delle biblioteche di pubblica lettura degli enti locali.
Note
[*] Michele Turazza, funzionario amministrativo presso un ente locale e cultore di Diritto pubblico e amministrativo nell’Università di Verona, Via Carlo Montanari 9, 37122 Verona, michele.turazza@univr.it.
[1] La prima legge della biblioteconomia, secondo Ranganathan è la seguente: “I libri sono fatti per essere usati”. Sul punto, cfr. S.R. Ranganathan, Le cinque leggi della biblioteconomia, Firenze, Le Lettere, 2019, pag. 19 ss.
[2] “La biblioteca è un organismo che cresce” è la quinta legge; Ibidem, pagg. 283 ss. Sulla fortuna del pensiero di Ranganathan in Italia: Leggere Ranganathan, a cura di M. Guerrini, Roma, Aib, 2011.
[3] Per un approfondimento della teoria della biblioteca come “sistema aperto”: G. Solimine, Introduzione allo studio della biblioteconomia, Manziana, Vecchiarelli, 1995 (rist. 2022), pagg. 195-209.
[4] “Libri gettati come spazzatura, bufera in biblioteca. Il sindaco: non meritavano di restare”, 30 giugno 2022.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] R. Maiello, Libri buttati, che brutto esempio a Reggio Calabria, 20 luglio 2020.
[8] Ibidem.
[9] F. Giannini e I. Baratta, Quando le biblioteche (soprattutto quelle universitarie) distruggono i libri, 8 luglio 2014.
[10] Ibidem
[11] L. Vaccani, Revisione delle raccolte, Roma, Aib, 2019.
[12] Ibidem, pag. 6.
[13] Ibidem, pagg. 6-7. Talvolta, al fine di evitare fastidiose ripetizioni, si utilizzerà comunque il termine “scarto”, che tra l’altro si rinviene anche in larga parte delle linee guida e della normativa che lo regola.
[14] Pur in assenza di una definizione comunemente accettata in dottrina, possiamo intendere per soft law l’insieme degli atti privi di efficacia vincolante diretta nei confronti dei destinatari e, dunque, non dotati di sanzioni conseguenti alla loro mancata o scorretta applicazione.
[15] Ifla/Unesco, “Manifesto IFLA-UNESCO delle biblioteche pubbliche 2022”, Aib studi, 62(2), pagg. 431-434 reperibile su: doi.org/10.2426/aibstudi-10097.
[16] Ibidem.
[17] Gli altri due sono la generalità e la gratuità. Cfr. L. Crocetti, Il nuovo in biblioteca, Roma, Aib, 1994, pagg. 49-57.
[18] www.ifla.org.
[19] Ifla, Carolynn Rankin (cur.), “Linee guida IFLA per i servizi bibliotecari per ragazze e ragazzi 0-18”, II ed., 2018, ed. it.
[20] Ibidem, pag. 6.
[21] Ibidem, pag. 12.
[22] Ibidem, pag. 13.
[23] Ifla/Unesco, “The public library service: IFLA/Unesco guidelines for development”, 2001, ed. it., reperibili su: www.ifla.org/wp-content/uploads/2019/05/assets/hq/publications/archive/the-public-library-service/pg01-it.pdf.
[24] Ibidem, pag. 66.
[25] Ivi, pagg. 66-67.
[26] Ivi, pag. 67.
[27] A. Serrai, Guida alla biblioteconomia, Milano, Sansoni, 1997 (rist. 2001), pag. 53.
[28] Ibidem.
[29] Ibidem, pag. 54.
[30] Ivi.
[31] G. Granata, Introduzione alla biblioteconomia, Bologna, Il Mulino, 2009, pag. 143.
[32] L. Vaccani, Revisione, cit., pag. 6 e 36-37.
[33] G. Granata, Introduzione, cit., pagg. 143-144.
[34] La formulazione della lett. c) deriva dalle modifiche apportate dall’art. 2 del d.lg. n. 156/2006 e dall’art. 2 del d.lg. n. 62/2008.
[35] Libro III, Titolo I, Capo II; artt. 822 ss. c.c.
[36] R. Resta, Dei beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici, agli enti ecclesiastici, in Commentario del codice civile, (a cura di) A. Scialoja e G. Branca, vol. 3, 1968, pag. 72, il quale con riferimento alle raccolte di musei, archivi e biblioteche, precisa (Ibidem, p. 94) che “la regola della demanialità investe la raccolta nel suo complesso, non già i singoli oggetti mobili che la compongono e che, se avulsi nei modi di legge dalla raccolta stessa, si sottraggono al regime del pubblico demanio e si considerano beni del patrimonio indisponibile”.
[37] Rubricato: Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (Tuel).
[38] Sui criteri di scelta del materiale da scartare, cfr. L. Vaccani, Revisione, cit., pagg. 21-26.
[39] Sui possibili esiti della revisione e le destinazioni del materiale “scartato”: Ibidem, pagg. 31-37.
[40] Rubricato: Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali.
[41] Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) A. Angiuli e V. Caputi Jambrenghi, Torino, Giappichelli, 2005, pagg. 60 ss.
[42] Così G. Morbidelli, voce Beni culturali, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, Giuffrè, 2006, pag. 118.
[43] Rubricato: Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali.
[44] Art. 5 c. 2 del Codice: “Le funzioni di tutela previste dal presente codice che abbiano ad oggetto manoscritti, autografi, carteggi, documenti, incunaboli, raccolte librarie non appartenenti allo Stato o non sottoposte alla tutela statale, nonché libri, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato, sono esercitate dalle regioni” (testo originario).
[45] www.regione.veneto.it/web/cultura/dettaglio-news?articleId=154350.
[46] Sulla differenza tra biblioteche universitarie e biblioteche delle università, v. G. Montecchi e F. Venuda, Manuale di biblioteconomia, Milano, Bibliografica, 2013, pagg. 52-56.
[47] Elencate e disciplinate nel d.p.r. 5 luglio 1995, n. 417 Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali.
[48] Dal 26 febbraio 2021 la denominazione muta in ministero della Cultura (indicato con l’acronimo Mic).
[49] Decreto n. 931 del 6 novembre 2013: www.librari.beniculturali.it/it/Attivita/scarto-del-materiale-bibliografico. In questa pagina web si trovano anche i moduli da compilare per richiedere l’autorizzazione allo scarto.
[50] V. infra per la disciplina dello scarto dei documenti pervenuti per deposito legale nelle Biblioteche Nazionali Centrali.
[51] Decreto della direzione generale per le Biblioteche, gli Istituti Culturali ed il Diritto d’Autore n. 1052 del 15/12/2014, reperibile su: www.librari.beniculturali.it/it/documenti/DepositoLegale/Decreto_di_scarto_sul_deposito_legale_.pdf.
[52] Sul punto, v. S. Loasses S. e L. Pannunzio, Il Decreto di scarto del materiale pervenuto per deposito legale, in Accademie & Biblioteche d’Italia, Anno IX, n. 3-4/2014, pagg. 69-73.
[53] A livello esemplificativo: agende, diari scolastici, calendari; riviste di enigmistica e sudoku; riviste contenenti prevalentemente programmi televisivi; notiziari di aziende; cataloghi di agenzie di viaggi.
[54] Ad opera del d.l. n. 78/2015 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125/2015.
[55] Per una storia delle Soprintendenze bibliografiche e del complesso rapporto tra regioni e biblioteche, v. A. Petrucciani, Regioni e biblioteche: un'occasione mancata, Treccani, 2015, reperibile qui: www.treccani.it/enciclopedia/regioni-e-biblioteche-un-occasione-mancata_%28L%27Italia-e-le-sue-Regioni%29/; A. De Pasquale, Il ritorno allo Stato della tutela bibliografica, in Aedon, 2017, 1.
[56] Art. 5 c. 3 Codice: “Sulla base di specifici accordi od intese e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, di seguito denominata «Conferenza Stato-regioni», le regioni possono esercitare le funzioni di tutela su manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, libri, stampe e incisioni, carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi negativi e matrici, non appartenenti allo Stato”.
[57] Il testo dell’accordo è reperibile qui: https://www.librari.beniculturali.it/it/documenti/2015-Settembre-Dicembre/Accordo_DGBIC-DGA.pdf.
[58] Con decreto ministeriale n. 44 del 23 gennaio 2016, reperibile al seguente link: https://storico.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/feed/pdf/DM%20del%2023%20gennaio%202016-imported-56987.pdf.
[59] Circolare n. 102 del 27 settembre 2016, reperibile al link: https://www.sa-lom.archivi.beniculturali.it/fileadmin/risorse/documenti_pagine/Biblioteche/DGBIC-_Circolare_102.pdf.
[60] Dopo le modifiche apportate al Codice dalla legge n. 124/2017, le pubblicazioni che possono essere soggette a procedimento di scarto solo quelle la cui esecuzione non risalga a oltre 70 anni (art. 10 c. 5 del Codice).
[61] Circolare n. 17 del 21 dicembre 2017, reperibile al link: www.librari.beniculturali.it/it/documenti/2018-Aprile-Giugno/circolare-17.pdf.
[62] Un utile compendio della legislazione regionale in materia di biblioteche è curato da Aib e reperibile sul sito, al link seguente: www.aib.it/attivita/legislazione/legislazione-regionale/.
[63] Le richieste di accesso civico sono state inviate tramite posta elettronica certificata nel mese di luglio 2022.
[64] Dalle regioni non riportate in elenco non è pervenuta alcuna risposta.
[65] www.comune.bolzano.it/UploadDocs/31425_CARTA_DELLE_COLLEZIONI_2021_ITA.pdf. Sul ruolo e le caratteristiche delle carte delle collezioni, è fondamentale la lettura di S. Dinotola, Lo sviluppo delle collezioni nelle biblioteche pubbliche, Milano, Bibliografica, 2020.
[66] Regione Liguria, delibera di giunta regionale n. 1401 del 23 novembre 2012, reperibile al link: www.burl.it/ArchivioFile/B_000000170312512000.pdf
[67] www.sardegnabiblioteche.it/index.php?xsl=2814&s=2&v=9&na=1&n=12&c=95134.
[68] Reperibile al link: https://www.sardegnabiblioteche.it/documenti/2_90_20220113132520.pdf.
[69] www.provincia.tn.it/Servizi/Autorizzazione-allo-scarto-bibliografico.
[70] https://repository.regione.veneto.it/public/6b3a810467fee0db935380669f5b50df.php?lang=it&dl=true.
[71] www.sa-ero.archivi.beniculturali.it/fileadmin/template/allegati/scarto/Linee_guida_scarti_bibliografici.pdf.
[72] “All’articolo 10, comma 2, lettera c) del Codice è prevista un’eccezione solo per le raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all'articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, ossia biblioteche popolari, biblioteche del contadino nelle zone di riforma, centri bibliotecari di educazione permanente”.
[73] Linee guida ricevute dalla Soprintendenza del Lazio in risposta all’istanza di accesso civico.
[74]www.sa-liguria.beniculturali.it/images/Linee_guida_per_lo_scarto_di_materiale_bibliografico_agg_sett_2020.pdf.
[75] Dovuta al correttivo di cui al d.lg. 156/2006.
[76] La necessità del richiamo a un atto del 1977 per individuare alcune tipologie di biblioteche è tra l’altro indicativa della difficoltà definitoria che incontra l’interprete nel momento in cui cerchi di operare una classificazione delle biblioteche.
[77] Non sono molti gli Atenei ad aver pubblicato sui rispettivi siti istituzionali (ad esempio nella sezione “Atti generali” della sezione “Amministrazione trasparente”) i documenti contenenti circolari o indicazioni operative sullo scarto bibliografico e, da una rapida indagine telefonica, è risultato che nella maggior parte dei casi non sia stata nemmeno prevista una disciplina specifica, ma ci si limiti a fare riferimento alle disposizioni generali previste per tutte le biblioteche pubbliche.
[78] Linee guida prot. 13403/2022 reperibili qui: https://www.unipa.it/biblioteche/.content/documenti/Testo-linee-guida-revisione-collezioni-biblioteche-20220204_ftoDG.pdf.
[79] Di cui dovrà essere dato conto in una apposita griglia di valutazione, il cui schema è allegato alle linee guida medesime.
[80] V. supra, cap. 2.
[81] Reperibili qui: https://sba.unibo.it/it/allegati/allegati-per-chi-siamo/linee-guida-per-la-revisione-delle-collezioni-cartacee/@@download/file/Linee_guida_revisione_collezioni.pdf.