Territorio e patrimonio culturale
L’ampiezza e i limiti delle potestà regionali nell’ambito della disciplina dei beni paesaggistici ope legis: le aree boschive e forestali
di Davide Tumminelli [*]
Sommario: 1. I beni paesaggistici ope legis: dall’art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431 (legge “Galasso”) all’art. 142 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). - 2. La giurisprudenza della Corte Costituzionale in merito al rapporto tra “ambiente”, “paesaggio” e “territorio” e al conseguente riparto di competenze e funzioni tra Stato e regioni. - 3. Il patrimonio boschivo e forestale e la disciplina di settore. 3.1. Le potestà del legislatore regionale nella tutela paesaggistica del patrimonio boschivo e forestale: la sentenza della Corte Costituzionale 3 giugno 2022, n. 135. - 4. Riflessioni conclusive.
The breadth and limits of regional powers in regulating ope legis landscape assets: wooded and forest areas
Article 9 of the Constitution, referring to “the Republic”, implicitly calls for coordinated action among all the institutional actors for the pursuit of the set objectives. The aim of this paper is to investigate the regional powers in the field of regulating landscape assets ope legis, electing as a field of analysis forest areas, the subject of the recent Constitutional Court sentence no. 135 of 3 June 2022.
Keywords: Article 9 of Italian Constitution; Landscape assets ope legis; Regional powers; Landscape Government; landscape Protections; Forest Areas; Italian Constitutional Court.
1. I beni paesaggistici ope legis: dall’art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431 (legge “Galasso”) all’art. 142 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio)
La legge 8 agosto 1985, n. 431 che convertiva in legge il d.l. 27 giugno 1985, n. 312 (d’ora in avanti legge “Galasso”), disponeva in via generale e astratta che intere categorie di cose immobili, giudicate caratteristiche dell'identità del territorio nazionale, fossero assoggettate direttamente al regime giuridico dei beni paesaggistici, senza un previo e specifico accertamento dell’interesse paesaggistico [1].
Questo intervento normativo, secondo la dottrina [2], aveva avuto il merito di superare una visione frammentaria della tutela del paesaggio propria della legge 29 giugno 1939, n. 1497, diretta prevalentemente alla tutela di singoli beni autonomamente considerati e di introdurre una concezione unitaria dell’intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-conoscitivo protetto dell’art. 9 Cost.
La legge “Galasso”, inoltre, si contraddistingueva per la scelta del legislatore di dotare le aree sottoposte a vincolo di una specifica normativa d’uso ispirata a un approccio improntato alla valorizzazione ambientale mediante l’inclusione delle categorie di beni in piani territoriali paesistici di competenza regionale [3].
Come noto, il vincolo ex lege, come previsto dalla legge “Galasso”, è stato poi ribadito dall’art. 146 del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490 e, successivamente, ripreso dall’art. 142 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (d’ora in avanti “Codice dei beni culturali e del paesaggio” o “CBCP”). L’art. 142, infatti, qualifica specifiche aree come “comunque di interesse paesaggistico” e le assoggetta alle disposizioni del Titolo I, Parte terza CBCP (dedicato appunto alla tutela e alla valorizzazione dei beni paesaggistici).
In dottrina, le aree individuate dall’art. 142 — sviluppando quanto affermato dalla Corte costituzionale [4] — sono state suddivise in tre differenti tipologie: a) situazioni direttamente indicate dal legislatore (“fiumi e torrenti”, “vulcani” etc.); b) situazioni indicate dal legislatore per relationem rispetto ad elementi morfologici/oggettivi (come, ad esempio, le “sponde o i piedi degli argini di fiumi e torrenti per una fascia di 150 metri”); c) situazioni indicate per relationem rispetto a connotazioni giuridiche di elementi morfologici (esemplificative sono le aree identificate nei “territori coperti da boschi e foreste e quelli sottoposti a vincoli di rimboschimento”) [5].
Il riconoscimento ex lege del vincolo paesaggistico per queste aree è stato accompagnato dal mutamento del baricentro della tutela, spostatosi dall’aspetto meramente conservativo a quello di una tutela a “conservazione dinamica” dei beni [6]. Questo cambio di prospettiva è contrassegnato dall’obbligatorietà della pianificazione paesaggistica, intesa, appunto, non come apposizione di meri divieti, ma dotata di contenuto regolatorio e (almeno in parte) della possibilità di individuare le trasformazioni ammissibili [7].
La “nuova” funzione di valorizzazione non è stata però esente da difficoltà e problematiche. Prendendo ad esempio il patrimonio boschivo e forestale – al centro esattamente dell’analisi svolta nel presente contributo –, gli studiosi hanno evidenziato che proprio la previsione dei vincoli ha prodotto un generalizzato dovere di astensione dal compiere una qualsiasi attività all’interno del bosco, portando progressivamente verso uno stato di degrado che ha causato un notevole pregiudizio a quelle stesse funzioni ambientali e paesaggistiche che la legislazione tendeva a salvaguardare [8].
Il complesso quadro normativo e fattuale rende estremamente difficoltosa l’individuazione dei titoli legittimanti di cui all’art. 117 Cost. e, dunque, l’esatta definizione delle competenze legislative e delle funzioni amministrative rilevanti in materia [9]. Esemplificativo di quanto appena affermato è il dibattito giurisprudenziale sui poteri propri delle regioni in ambito paesaggistico, culminato con il riconoscimento del potere regionale di “creare” beni paesaggistici attraverso i piani paesaggistici e di sottoporre i beni a misure di salvaguardia e di utilizzazione ulteriori [10].
Ciò premesso, obiettivo del presente contributo sarà perciò quello di indagare sull’ampiezza e sui limiti delle potestà regionali nell’ambito della disciplina dei beni paesaggistici ope legis, eleggendo come campo d’analisi il patrimonio boschivo e forestale, oggetto della recente sentenza della Corte costituzionale 3 giugno 2022, n. 135. Partendo da un breve excursus circa l’approccio tenuto dal Giudice delle leggi in merito al rapporto tra “ambiente”, “paesaggio” e “territorio” e al conseguente riparto di competenze e funzioni tra Stato e regioni (§ 2), nonché dalla ricognizione dell’attuale disciplina cui sono oggi assoggettate le aree di cui all’art. 142, comma 1, lett. g) CBCP (§ 3), si trarranno alcune considerazioni sui risvolti pratici connessi alla frammentazione del territorio in una pluralità di concetti giuridici, tenendo sempre in considerazione la complessa integrazione dei differenti interessi coinvolti e i vari livelli di amministrazione.
L’art. 9 Cost., richiamando “la Repubblica”, implicitamente parrebbe richiedere un’azione coordinata tra tutti gli attori istituzionali per il perseguimento degli obiettivi fissati. Si proveranno allora ad evidenziare le problematiche connesse alla traduzione in principi e norme di questa impostazione ordinamentale.
2. La giurisprudenza della Corte costituzionale in merito al rapporto tra “ambiente”, “paesaggio” e “territorio” e al conseguente riparto di competenze e funzioni tra Stato e regioni
L’odierno sistema di amministrazione del paesaggio è contrassegnato da un costante rapporto concorrenziale tra Stato, regioni e comuni, dotati di funzioni e poteri differenti e alla continua ricerca di un equilibrio che possa sfociare in un’unica azione corrispondente all’unicità del territorio su cui le situazioni giuridiche trovano la propria materialità.
La suddivisione del territorio in differenti titoli legislativi discende principalmente dalle ampie discussioni degli anni ’80 sulla potestà legislative in materia di parchi naturali, vincoli idrogeologici, pianificazione paesaggistica etc. Quest’ultime confluirono nella più ampia questione sulla configurabilità di una materia “ambientale” e sulla conseguente potestà legislativa che fu presto risolta in favore dello Stato [11]. In seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, la materia “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali” (cui è prevalentemente ricondotta la tutela paesaggistica) fu confermata di competenza esclusiva statale e fu presto inclusa da dottrina e giurisprudenza tra le materie c.d. “trasversali” [12], mentre la “nuova” materia del “governo del territorio” fu ricompresa tra le materie di legislazione concorrente [13].
La coniugazione e integrazione dell’attività delle diverse amministrazioni è resa oggi ancor più ardua dalla moltitudine di interessi che l’azione amministrativa connessa al territorio è tenuta a valutare, ponderare e curare. Come noto, ciò emerge chiaramente già nella stessa nozione di “governo del territorio” per come definita, da ormai almeno un decennio, dal Consiglio di Stato, che proprio con riferimento alla complessità dell’attività amministrativa inerente al territorio medesimo ha affermato che quest’ultima deve sempre tenere conto: delle potenzialità edificatorie dei suoli; dei valori ambientali e paesistici; delle esigenze di salute degli abitanti; delle esigenze economico-sociali della comunità radicata nel territorio; del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione del futuro sulla propria stessa essenza [14]. Una moltitudine di interessi e valori in gioco, dunque, afferenti però a un territorio che è sì differenziabile, ma essenzialmente unico, come recentemente ribadito dalla Corte costituzionale [15].
Per risolvere l’inevitabile complicazione [16] scaturente dalla frammentazione di un unico elemento in una moltitudine di ambiti di competenza [17], la Corte costituzionale ha da sempre utilizzato un criterio gerarchico per l’individuazione degli interessi pubblici sottesi allo svolgimento di specifiche attività [18], e, seguendo questa impostazione, il paesaggio – qualificato da tempo quale valore costituzionale “primario” e “assoluto” [19] – è stato generalmente ricondotto alla disciplina statale [20].
Cosicché, proprio in relazione alle specifiche prerogative statali afferenti alla tutela paesaggistica [21], la Corte ha avuto modo di affermare che quest’ultima “precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali” [22]. Al contempo, però, il sacrificio delle potestà legislative regionali, ogniqualvolta ci si trovi nell’ambito di applicazione del CBCP, dovrebbe essere assicurato, secondo i giudici costituzionali, da “forme di coordinamento” proprio in considerazione dell’unitarietà del territorio [23].
Alle regioni, dunque, oltre alla partecipazione nelle sedi di coordinamento preposte, spetta il compito, tramite il piano paesaggistico regionale, di produrre prescrizioni cogenti per gli strumenti urbanistici degli enti locali e immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi (ai sensi dell’art. 145, comma 3, del CBCP). Il piano paesaggistico diviene, dunque, “strumento di ricognizione del territorio oggetto di pianificazione non solo ai fini della salvaguardia e valorizzazione dei beni paesaggistici, ma anche nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dell’uso consapevole del suolo, in modo da poter consentire l’individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio” [24]. A tale ruolo svolto sul piano delle funzioni amministrative, si affianca una residuale competenza legislativa. La legge regionale deve, infatti, disciplinare, secondo l’art. 145, comma 4, del CBCP, “le procedure di adeguamento degli altri strumenti di pianificazione e le connesse misure di governo del territorio in linea con le determinazioni del nuovo piano paesaggistico [...] o, nell’attesa dell’adozione, secondo le modalità concertate e preliminari alla sua stessa adozione” [25].
Questa soluzione, apparentemente piana, è però talvolta messa in crisi, da un lato, dalla dottrina, e, dall’altro, dalla stessa legislazione di settore.
Sotto il primo profilo, va infatti ricordato che non è mancato chi, tra gli studiosi, ha commentato negativamente l’approccio serbato dalla Corte costituzionale, sostenendo che la materia del paesaggio fosse (ormai) da ricomprendersi all’interno di quella del “governo del territorio” e quindi nell'alveo delle competenze concorrenti, alla luce anche del ruolo che la pianificazione urbanistica svolge nel nostro ordinamento [26]. Tale posizione fortemente critica è stata comunque avversata da quanti hanno sostenuto che lo stesso CBCP contiene diverse disposizioni tali da assicurare il coinvolgimento degli enti territoriali nel processo di pianificazione paesaggistica, nel rispetto degli stessi principi di sussidiarietà e di partecipazione delle collettività coinvolte [27].
Ciò che appare comunque pacifico in dottrina è che l’intero sistema di amministrazione del paesaggio sia caratterizzato da un “multiforme dualismo” [28]; dualismo che emergerebbe chiaramente proprio dall’impostazione del CBCP e che di fatto produrrebbe una forte distinzione, separazione e frammentazione delle competenze [29].
Venendo così al secondo profilo, per quanto riguarda in particolare la disciplina delle aree (e delle situazioni corrispondenti) previste oggi all’art. 142, il tentativo di dirimere gli inevitabili conflitti di competenza è certamente aggravato dal processo giuridico di qualificazione normativa di tali aree, il quale spesso richiede di rinviare ad un’ulteriore fonte normativa esterna (come nel caso del patrimonio forestale).
Questi ambiti spaziali per loro natura, infatti, risultano essere il centro di ulteriori interessi diversi e multiformi, pubblici e privati [30], che afferiscono, a loro volta, a un numero consistente di materie legislative di competenza esclusiva, concorrente o residuale delle Regioni.
Per risolvere, allora, quello che in dottrina è stato definito un “cortocircuito” di competenze [31] è intervenuta ancora una volta la Corte costituzionale, che con la sentenza 18 aprile 2008, n. 105 ha definito le competenze regionali e statali relativamente a specifici beni paesaggistici ope legis. In quell’occasione, la Corte riconobbe che la competenza residuale delle regioni in materia di “boschi e foreste” dovesse essere riferita alla sola “funzione economico-produttiva”, in quanto su unici beni della vita possono insistere due o più beni giuridici, scindibili e differentemente considerabili. Nello specifico, la Corte affermò che sul bene “bosco” insistono due distinti beni giuridici: uno di natura ambientale e uno di carattere patrimoniale. Di conseguenza, la competenza regionale in materia di boschi e foreste si riferirebbe alla sola funzione economico-produttiva, incontrando per il resto i limiti invalicabili posti dallo Stato a tutela dell'ambiente [32].
Anche in questa decisione incentrata su specifici profili, dunque, la Corte ha ridimensionato le attribuzioni regionali nell’ambito di una materia legislativa intersecatasi con la disciplina dei beni previsti all’art. 142 CBCP. La disciplina di boschi e foreste è così stata ricondotta in gran parte al potere legislativo dello Stato in funzione della competenza esclusiva prevista dall’art. 117, lett. s), Cost.
3. Il patrimonio boschivo e forestale e la disciplina di settore
Boschi e foreste rappresentano porzioni rilevanti del territorio italiano. Essi risultano importanti, oltre che per l’innata concezione ambientale e paesaggistica, anche per la loro funzione produttiva e per il contributo significativo dato all’industria turistica del nostro Paese [33].
La loro natura composita, oltre a far emergere dubbi in merito alle competenze legislative, ha fatto comparire questi beni, forse non a caso, anche nell’elenco contenuto dalla proposta di legge elaborata dalla “Commissione Rodotà” nel giugno 2007, finalizzata ad introdurre, quale tertium genus a fianco ai beni privati e pubblici, la speciale categoria dei “beni comuni” [34]. Con questa espressione, come noto, la Commissione faceva riferimento alle “cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona” [35].
Sono stati diversi gli interventi legislativi atti a coniugare le diverse esigenze, facendone spesso prevalere una piuttosto che le altre. I principali sono sicuramente: il r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267, risalente all’inizio dello scorso secolo e oggi ancora in vigore, contenente un corpo normativo ampio e la prima apposizione del vincolo per scopi idrogeologici; il d.lg. 18 maggio 2001, n. 227 [36] destinato proprio a innovare l’impostazione del decreto degli anni ’20 e oggi abrogato in virtù dell’art. 18 del d.lg. 3 aprile 2018, n. 34 (d’ora in avanti “Testo unico forestale”), che risulta essere l’ultimo ampio intervento di disciplina della materia e che persegue l’obiettivo di riunire la normativa di settore in un’unica organica disciplina e adeguarla alla “Strategia forestale europea” e alle “Strategie nazionali di sostenibilità e di tutela della biodiversità” [37].
Proprio gli ultimi due atti normativi citati hanno innovato notevolmente il quadro normativo sotto vari aspetti.
Innanzitutto, per quanto riguarda la specifica definizione di quanto ricompreso nel concetto “patrimonio boschivo e forestale”, l’art. 2 del d.lg. n. 227/2001 ha uniformato i termini “bosco”, “foresta” e “selva” [38], definendoli sinonimi. È stato quindi superato il dibattito sui tre concetti derivato dall’assenza di una definizione legislativa e che aveva visto la dottrina maggioritaria ritenere che, a differenza della foresta, il bosco fosse circoscritto a quelle aree ove l’uomo riusciva a svolgere la propria opera [39].
Il “Testo unico forestale”, all’art. 3, comma 3, ha riproposto l’unificazione dei concetti e aggiornato la definizione, stabilendo che “sono definite bosco le superfici coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento stesso articolo”. Va evidenziato che questa definizione viene espressamente ritenuta valida per tutto il territorio nazionale nelle materie di competenza esclusiva dello Stato (compresa la normativa a tutela del paesaggio). Viene invece prevista la possibilità, per le regioni e le province autonome (nelle materie di rispettiva competenza), di adottare una diversa definizione, a condizione che non venga diminuito il livello di tutela ambientale e di protezione paesaggistica assicurate al patrimonio forestale dalla definizione nazionale (art. 3, comma 4) [40].
Il secondo aspetto innovativo attiene a quanto già rilevato da parte della dottrina, ossia che il d.lg. n. 34/2018 si sia limitato a delineare una serie di norme di principio in tema di protezione del paesaggio e dell’ambiente nelle aree boschive e forestali, garantendo alle regioni ampie potestà decisionali nell’attuazione della normativa, tanto sul piano legislativo quanto su quello amministrativo [41]. Il nuovo “Testo unico forestale”, infatti, pare perseguire l’obiettivo di coordinare i livelli di competenze diversi attraverso “orientamenti ed indirizzi volti a creare linee guida di comportamento più omogenee nel governo dei beni forestali tra “materie” oltremodo interconnesse” [42].
L’approccio assunto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 105/2008 viene dunque notevolmente innovato dal legislatore statale. La competenza delle regioni in materia di “boschi e foreste” smette di essere limitata alla sola funzione economico-produttiva, ma si estende, seppur nel rispetto di “indirizzi” e “linee guida” statali, anche all’altro “bene giuridico” (quello ambientale-paesaggistico) che insiste sull’unico bene della vita identificato dalla Corte costituzionale nell’entità “bosco”.
Com’è evidente, le problematiche che derivano dall’applicazione concreta di questi concetti sono inevitabilmente collegate ai rapporti tra azione dei legislatori regionali, effettività ed efficacia della pianificazione paesaggistica e rapporto tra quest’ultima e la pianificazione urbanistica.
Va sottolineato, inoltre, che il “Testo unico forestale” affida alle regioni un’ampia capacità decisionale per la creazione di “nuove” aree qualificate ai sensi dell’art. 142 lett. g) CBCP, senza alcuna previa consultazione con le autorità statali competenti (i Ministeri) [43]. Le regioni oggi possono, perciò, non solo modificare la geografia delle aree boschive, ma anche, ai sensi dell’art. 8, comma 4, lett. b), creare patrimonio boschivo e forestale su terreni non boscati. Come osservato in dottrina, dunque, le regioni ad oggi possono agire con rilevanti effetti sia sulla tutela, sia sulla valorizzazione del paesaggio [44]. Di conseguenza, viene a crearsi un interesse paesaggistico che si forma secondo una diversa ed ulteriore modalità rispetto a quelle elencate dal CBCP [45].
Tenendo ben presente il contesto normativo cui si è fatto cenno, la sentenza della Corte costituzionale 3 giugno 2022, n. 135, può fornire ulteriori spunti interpretativi utili ad individuare l’ampiezza e i limiti delle potestà regionali nell’ambito della disciplina del patrimonio boschivo e forestale in quanto bene paesaggistico ex lege, laddove le regioni intervengano non sul piano amministrativo, ma direttamente sul piano legislativo modificando la disciplina e/o individuando ulteriori aree oggetto di tutela.
3.1. Le potestà del legislatore regionale nella tutela paesaggistica del patrimonio boschivo e forestale: la sentenza della Corte costituzionale 3 giugno 2022, n. 135
Considerando l’orientamento dei giudici di legittimità costituzionale già evidenziato, la recentissima pronuncia della Corte costituzionale offre l’occasione per verificare quanto la qualificazione del paesaggio come bene “primario” e “assoluto” e comunque sempre di competenza statale, possa influire sul potere di una regione di autodeterminarsi non solo in merito alle aree forestali e boschive direttamente individuabili sulla base del dispositivo dell’art. 142 CBCP, ma anche relativamente ad aree ulteriori a cui il legislatore regionale ha riconosciuto tutela.
In proposito va evidenziato che alcune regioni, sia prima dell’entrata in vigore della legge “Galasso”, sia successivamente, tramite l’esercizio delle competenze legislative connesse a quella ambientale o nell’esercizio delle loro potestà nei casi di regioni a statuto speciale, si erano dotate di una propria disciplina a tutela delle aree di interesse paesaggistico individuate dal legislatore statale [46].
Ciò, secondo una logica incrementale delle tutele, ha portato a ritenere gli interventi regionali legittimi tutte quelle volte in cui il legislatore regionale produceva un arricchimento delle tutele o del catalogo dei beni paesaggistici. La presenza delle discipline richiamate, però, pone l’interrogativo su come valutare l’azione legislativa di una regione che, dopo aver previsto un vincolo ulteriore rispetto a quelli “cristallizzati” nell’art. 142 CBCP, scelga, poi, con un nuovo intervento legislativo di eliminarlo. In altre parole, si tratta di stabilire se sussista nell’ordinamento italiano un principio generale di “irrevocabilità dei vincoli di tutela paesaggistica”.
Nella decisione in commento il quadro risultava ancor più complesso in virtù della qualità della regione resistente. È bene chiarire sin da subito, infatti, che la Regione Sicilia, in base allo statuto speciale, gode di competenza primaria nelle materie “urbanistica” e “tutela del paesaggio” [47], salvo, come noto, il rispetto del limite delle norme di riforma economico-sociale [48].
Ciò detto, le argomentazioni espresse dalla Corte nella sentenza possono assumere una valenza precipua anche (e a maggior ragione) nei confronti delle regioni ordinarie. E ciò, del resto, specie all’indomani della riforma costituzionale di cui alla legge cost. n. 11 febbraio 2022, n. 1, tramite la quale la tutela dell’ambiente ha trovato riconoscimento esplicito nella Costituzione italiana, anche negli artt. 9 e 41 [49]. La riforma, che nei primi commenti ha visto sollevare sia questioni critiche [50], che osservazioni positive [51], pare infatti rafforzare quella concezione “primaria” degli interessi paesaggistici e ambientali già riconosciuta da tempo e interpretata nella direzione dell’esclusività delle competenze statali. Le regioni tutte, dunque, sono chiamate oggi a esercitare le proprie potestà in un contesto contrassegnato da forti limiti e sempre più tendenze accentratrici e la Corte costituzionale, in un quadro in cui cresce l’incertezza, è chiamata costantemente a individuare punti di equilibrio e di coordinamento che restano labili.
Nel caso di specie, la vicenda era incentrata principalmente sull’art. 12 della legge della Regione Siciliana 3 febbraio 2021, n. 2, nella parte in cui modificava la legge regionale del 13 agosto 2020, n. 19 [52].
La Regione Sicilia, già negli anni ’70 aveva adottato una propria disciplina a tutela dei boschi con l.r. 12 giugno 1976, n. 78. Il primo comma dell’art. 15 della legge citata, alla lettera e), aveva previsto nelle aree boschive e forestali e nelle aree attigue a queste, in virtù dell’individuazione di una “zona di rispetto” di ulteriori 200 metri decorrenti dai limiti esterni dell’area, l’impossibilità di eseguire costruzioni [53]. Questa previsione era stata lievemente modificata dalla l.r. 6 aprile 1996, n. 16 [54], che oltre a confermare l’ulteriore vincolo paesaggistico ex lege nella “zona di rispetto” (ormai aggiuntivo a quello previsto dalla legge “Galasso”), aveva previsto alcune deroghe all’inedificabilità nell’area [55].
Successivamente a queste scelte legislative, chiaramente ispirate a una logica di tutela paesaggistica regionale “aggravata”, il legislatore siciliano ha però recentemente cambiato radicalmente approccio e previsto ai commi 5 e 6 [56] dell’art. 37 della l.r. n. 19/2020, l’abrogazione integrale dell’art. 10 della l.r. n. 16/1996 e l’eliminazione di alcune parole dell’art. 15, primo comma, lettera e), della l.r. n. 78/1976, producendo, di fatto, l’eliminazione sia del vincolo paesaggistico sulle “zone di rispetto”, sia il divieto di “nuove costruzioni” all’interno dei boschi e delle “zone di rispetto”.
L’intervento legislativo è stato impugnato dal Governo con l’intento di evitare l’eliminazione della disciplina regionale di maggior rigore. L’Avvocatura di Stato ha sostenuto che l’eliminazione del vincolo paesaggistico sulle “zone di rispetto” precedentemente individuate dalla regione, violasse, tra i tanti [57], l’art. 9 Cost. e l’art. 14, lettera n) dello statuto speciale. Più nello specifico, l’art. 140, comma 2, CBCP [58] era considerato esplicazione diretta del precetto costituzionale in quanto norma di grande riforma economico-sociale [59].
Nella questione di costituzionalità viene dunque richiesto alla Corte di utilizzare una norma riferita all’apposizione di un vincolo paesaggistico tramite la dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi degli artt. 136 ss. CBCP come parametro interposto al fine di ritenere illegittima una disciplina che rimodula un vincolo paesaggistico imposto ex lege.
L’accoglimento di una siffatta interpretazione avrebbe in concreto riconosciuto la sussistenza, nel nostro ordinamento, di un “principio di irrevocabilità dei vincoli paesaggistici ex lege” e la conseguente impossibilità da parte dei legislatori regionali di abbassare il livello di tutela nelle aree legislativamente individuate, anche qualora la tutela fosse stata estesa ad aree non direttamente riconducibile al bosco.
Questi profili sono stati rigettati dalla Corte costituzionale. I giudici hanno infatti evidenziato che l’art. 140 comma 2 non possa in nessun caso esprimere un principio generale dell’ordinamento riferito ai legislatori regionali. Infatti, come la dottrina afferma da tempo, vi è notevole differenza tra l’apposizione del vincolo in “via amministrativa” e l’apposizione operata direttamente dal legislatore. In quest’ultimo caso l’amministrazione è chiamata a valutare solo se e in quali termini spaziali ricorrono sul territorio le situazioni paesaggistiche astrattamente previste, senza dovere (e potere) procedere a quella ponderazione di interessi tipica della discrezionalità amministrativa [60]. Ne deriva l’inapplicabilità dell’art. 140, comma 2, a una fattispecie radicalmente diversa [61].
La Corte ha respinto anche l’ulteriore critica mossa dal Governo, secondo cui, l’abrogazione delle norme inerenti alle “zone di rispetto” avrebbero ampliato l’area di applicazione del condono edilizio (consentendolo anche per opere altrimenti non condonabili) e invaso la competenza esclusiva statale in materia di “ordinamento penale” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Secondo i giudici costituzionali, invece, l’intervento legislativo regionale rispetta i limiti dei poteri di intervento della regione in materia di condono edilizio, poiché non incide sulle scelte di principio relative all’an, al quando e al quantum della sanatoria amministrativa (né sul regime penale dei relativi abusi), ma soltanto sulla più precisa definizione secundum legem dei presupposti della disciplina statale sul condono [62]. È chiaro che questa considerazione non può essere estesa alle costruzioni realizzate direttamente all’interno delle aree boschive, che, come si evidenzierà, non possono essere legittimate ad nutum dal legislatore regionale.
Detto della legittimità dell’abrogazione dello specifico e ulteriore vincolo paesaggistico previsto dalla legislazione regionale siciliana con riferimento alle “zone di rispetto”, la Corte si è quindi espressa sull’abrogazione della normativa regionale che prevedeva il divieto di nuove costruzioni all’interno delle aree boschive e forestali.
Le norme regionali abrogate, secondo il Giudice delle leggi, vanno lette dando valore primario alla funzione anticipatoria dei contenuti della pianificazione paesaggistica, obbligatoria per tutto il territorio nazionale in base agli artt. 135 e 143 CBCP. Tali norme, nella motivazione della decisione, vengono qualificate come misure di salvaguardia del patrimonio boschivo in attesa della disciplina di protezione specifica disposta con la prescritta pianificazione [63]. Infatti, mentre le “zone di rispetto” individuate dal legislatore regionale risultavano evidentemente come aree esterne al confine delle zone occupate da boschi e foreste (come individuati sulla base della definizione fornita dal d.lg. n. 34 del 2018 e richiamati all’art. 142, comma 1, lettera g), CBCP), la riduzione della tutela interna alle aree incide direttamente sull’ambito di tutela dettato a livello statale.
Questa considerazione, calata nella concretezza del quadro normativo siciliano, assume un valore ancor più pregnante: a giugno 2022 i piani paesaggistici erano stati approvati solo per sette delle nove province. I piani approvati, inoltre, non contenevano alcuna autonoma disciplina d’uso per le aree vincolate, ma un mero rinvio alla norma poi abrogata dal legislatore regionale (art. 10 l.r. n. 16/1996). Venuta meno quest’ultima disposizione, dunque, tutte le aree boschive siciliane sarebbero rimaste prive di una qualsivoglia forma di protezione, almeno fino all’approvazione dei piani mancanti e alla revisione di quelli esistenti.
Questo, secondo la Corte, si sarebbe tradotto in un irragionevole e arbitrario abbassamento del livello di tutela del paesaggio, con violazione degli artt. 3 e 9 Cost. e nel contrasto della disciplina censurata con l’obbligo di pianificazione paesaggistica, espresso negli artt. 135 e 143 CBCP [64]. Considerata, infatti, la necessità di un’adeguata disciplina vincolistica dei boschi come corollario dell’obbligo di pianificazione paesaggistica, l’eliminazione delle regole minime di limitazione dell’uso edificatorio delle suddette aree, si riduce nella violazione del riparto di competenze tra Stato e regione e nello sforamento dei precisi limiti individuati per le regioni a statuto speciale per via dello “svuotamento” della protezione concreta dei beni paesaggistici in questione dettata da norme fondamentali di grande riforma economico-sociale [65]. Da queste considerazioni non può che derivare la declaratoria di illegittimità costituzionale dei commi 5 e 6 dell’art. 37 della l.r. n. 19/2020.
Considerata la grande innovazione apportata al diritto del paesaggio dalle previsioni della legge “Galasso” che per prime avevano previsto un vincolo paesaggistico su aree direttamente individuate (o individuabili) in base al dettato legislativo, in conclusione al contributo va evidenziato che, nonostante una giurisprudenza costituzionale estremamente restrittiva sulle potestà regionali, le regioni sono riuscite a ritagliarsi uno spazio sempre maggiore e oggi, perlomeno nel contesto analizzato, godono di diverse prerogative.
Queste prerogative vengono però costantemente a scontrarsi con la difficile coniugazione e integrazione dell’attività delle diverse amministrazioni sul territorio e con la moltitudine di interessi pubblici e privati che l’azione amministrativa è tenuta a curare.
L’approccio dei giudici costituzionali, inoltre, rischia di essere rafforzato dalla recente riforma costituzionale che ha interessato gli artt. 9 e 41 Cost. e che pare aver ribadito quella concezione “primaria” legata ad alcuni specifici interessi intesa negli anni in senso fortemente statalista.
Calando queste considerazioni in un ambito concreto come quello inerente al patrimonio boschivo, in cui le regioni hanno visto riconoscersi di recente maggiori poteri in seguito all’adozione del nuovo “Testo unico forestale” e persino il potere di “creare” autonomamente nuove aree sottoposte a vincolo paesaggistico [66], la Corte costituzionale è stata chiamata ad esprimersi sulla possibilità, per quelle regioni che nel corso degli anni si sono dotate di una disciplina a maggior tutela delle aree di interesse paesaggistico individuate dal legislatore statale, di tornare sui propri passi e diminuire nuovamente la portata delle proprie previsioni.
La Corte ha categoricamente negato, con argomentazioni del tutto condivisibili, la sussistenza nel nostro ordinamento di un principio generale di “irrevocabilità dei vincoli di tutela paesaggistica”. Nel farlo, però, il Giudice delle leggi ha mantenuto il proprio approccio in tema di tutela paesaggistica (che continua ad essere considerata interesse “primario” dell’ordinamento) e ha stabilito che la possibilità di autodeterminarsi per il legislatore regionale in merito alla tutela delle aree boschive e forestali non possa mai spingersi sino a un abbassamento della protezione concreta dei beni paesaggistici dettata a livello statale.
Dalla lettura della sentenza si percepisce chiaramente l’attuale complessità e delicatezza dell’amministrazione del territorio, nonché la problematicità del criterio delle materie per l’allocazione di poteri legislativi. La Corte costituzionale, in questo contesto, è chiamata a svolgere costantemente un’azione equilibratrice nella veste di “arbitro” ordinatore.
La vicenda trattata, esemplificativa di una perdurante conflittualità tra Stato, regioni ed enti locali, pare però ribadire la necessità di una riorganizzazione del “potere di governo del territorio”, al fine di raggiungere una coerente e razionale gestione sostenibile del territorio, già auspicata in dottrina [67], che tenga conto ad unisono di tutti gli elementi territoriali in un’unica e armoniosa azione pianificatoria ove sia possibile inglobare una visione di ampio respiro non collegata a singole e contingentate linee di intervento o a differenti logiche settoriali.
Note
[*] Davide Tumminelli, è dottorando in Diritto amministrativo, Università degli Studi di Ferrara, Corso Ercole I d'Este 37, 44121 Ferrara, davide.tumminelli@unife.it.
[1] L’art. 1 della legge n. 431/1985 recitava: “Sono sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497: a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare; b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi; c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna; d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole; e) i ghiacciai e i circhi glaciali; f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi; g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento; h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici; i) le zone umide incluse nell'elenco di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448; l) i vulcani; m) le zone di interesse archeologico [...]”.
Sul tema si vedano: P. Forte, F. Rota, Art. 142, in, Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, 2019, pag. 1247 ss.; G. Sciullo, I vincoli paesaggistici ex lege: origini e ratio, in Aedon, 2012, 1-2; P. Carpentieri, Art. 142, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) G. Leone, A.L. Tarasco, Padova, 2006, pag. 876 ss.; S. Amorosino, I vincoli paesistici ex lege n. 431 del 1985: concetti normativamente indeterminati e valutazioni amministrative, in Riv. giur. ed., 1996, 6, pag. 171 ss.
[2] T. Alibrandi, G. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, pagg. 89-90.
[3] G. Sciullo, I vincoli paesaggistici ex lege: origini e ratio, cit.
[4] Corte cost. 27 giugno 1986, n. 151, in cortecostituzionale.it, ove, al par. 4 del Considerato in Diritto, viene evidenziato che le categorie di beni vincolati ex lege sono individuate “secondo tipologie paesistiche ubicazionali o morfologiche”.
[5] R. Fuzio, Art. 142, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, 2012, pag. 1070.
[6] Il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha confermato che, per mezzo del piano paesaggistico, vada effettuata una ricognizione delle aree individuate nell’art. 142, nonché la determinazione delle prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione (art. 143, comma 1, lett. c), CBCP). Cfr. S. Civitarese Matteucci, P. Urbani, Diritto Urbanistico. Organizzazione e rapporti., Torino, 2020, pag. 232.
[7] È il caso, ad esempio, delle previsioni di cui all’art. 135 del CBCP che prevede la possibilità per i piani paesaggistici di individuare gradazioni di tutela che vanno dalla previsione di assoluta non trasformabilità dei luoghi, alla previsione di un regime simile a quello urbanistico ordinario. O, per quanto riguarda la disciplina di dettaglio, si veda quanto prescritto dall’art. 143, lett. c) che prevede, con riferimento a determinate aree oggetto di vincoli ex lege, la realizzazione di opere e interventi sulla base della verifica della conformità delle previsioni del piano paesaggistico e dello strumento urbanistico, nell’ambito del procedimento di rilascio del titolo edilizio senza necessità di autorizzazione. Questi casi “derogatori” sono stati comunque subordinati alla stipulazione dell'Intesa tra regione, ministero dei Beni e delle Attività culturali e ministero dell'Ambiente ai sensi dell'art. 143, comma 2 del CBCP, prevedendo proprio in questa sede la conciliazione dei vari interessi sottesi agli ambiti di competenza statali e regionali.
[8] M. Mauro, L’impresa selvicolturale alla luce del decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 “Testo unico in materia di foreste e filiere forestali”, Firenze, 2020, pag. 10.
[9] A. Crosetti, Paesaggio e natura: la governance in uno Stato multilivello, in Trattato di diritto dell’ambiente. La tutela della natura e del paesaggio, Milano, 2014, pag. 163 ss. Si segnala che in dottrina è attualmente aperto un dibattito in merito alla natura stessa della tutela inerente alle norme del CBCP. Nello specifico, una parte degli studiosi, rimasti ancorati all’approccio storico al tema, continua a sostenere che i vincoli paesaggistici abbiano natura puramente ambientale. La dottrina recente, però, sulla base anche dell’approccio adottato dalla “Convenzione europea del paesaggio”, sostiene che la tutela paesaggistica si sia ormai affrancata dalla tutela ambientale, abbia assunto una propria autonomia e sia strettamente connessa alla natura culturale delle aree su cui è apposto il vincolo. Cfr. N. Ferrucci, Il bosco alla luce del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in AAVV, I diritti della terra e del mercato agroalimentare, I, Milano, 2016, pagg. 611-613.
[10] Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2011, n. 1366, in giustizia-amministrativa.it.
[11] S. Civitarese Matteucci, M. De Donno, Governo del territorio e ambiente, in, Diritto dell’ambiente, (a cura di) G. Rossi, Torino, 2021, pag. 223.
[12] Questo concetto, coniato in dottrina (e poi utilizzato anche in giurisprudenza), ha permesso di qualificare alcune materie previste dall’art. 117, come titolo legittimante di interventi trasversali dello Stato nelle materie di competenza residuale regionale. Cfr. G. Falcon, Modello e “transizione” nel nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, 2001, 6, pag. 1252 ss.
[13] Sull’intreccio di competenze tra le materie legislative “ambientale” e quella inerente al “governo del territorio” si vedano: S. Civitarese Matteucci, L. Passeri, Il regime di tutela delle bellezze naturai alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali e delle innovazioni normative, in Riv. giur. amb., 2001, 5, pag. 662 ss.; F. Fracchia, Sulla configurazione giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di solidarietà ambientale, in Dir. econ., 2002, pag. 215 ss.; G. Cangelosi, Tutela dell’ambiente e territorialità dell’azione ambientale, Milano, 2009; L. Perfetti, Premesse sulle nozioni giuridiche di ambiente e paesaggio. Cose, beni, diritti e simboli, in Riv. giur. amb., 2009,1, pag. 1 ss.; P. Chirulli, I rapporti tra urbanistica e discipline differenziate, in Trattato di diritto del territorio, vol. I, (a cura di) F.G. Scoca, P. Stella Richter, P. Urbani, Torino, 2018, pag. 20 ss.; P. Dell’Anno, Diritto dell’ambiente, Padova, 2018, pag. 7 ss.; P. Urbani, Per una critica costruttiva dell’attuale disciplina del paesaggio, in Dir. econ., 2020, 1, pag. 41 ss.; S. Civitarese Matteucci, M. De Donno, Governo del territorio e ambiente, in, Diritto dell’ambiente, cit., pag. 221 ss.
[14] Cons. Stato, 10 maggio 2012, n. 2710, in giustizia-amministrativa.it.
[15] Corte cost., 5 maggio 2021, n. 219, par. 4.1, in astrid-online.it.
[16] Sulla differenza tra complessità e complicazione amministrativa si veda: M. Bombardelli, Alcune considerazioni sulla complessità amministrativa (... che è diversa dalla complicazione!), in ridiam.it, 2018.
[17] In merito alla c.d. frammentazione del reale ad opera del diritto, si veda: B.L. Boschetti, La de-strutturazione del procedimento amministrativo: nuove forme adattative tra settori e sistemi, Pisa, 2018, pagg. 59-63. Questa frammentazione, secondo l'autrice, è il risultato del tentativo del sistema giuridico di adattare le materie legislative alle “strutture del mondo” che presentano caratteristiche peculiari e spesso impossibili da inquadrare nel riparto delle competenze legislative.
[18] Corte cost., 24 maggio 2005, n. 383, in cortecostituzionale.it.
[19] Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151, in cortecostituzionale.it.
[20] Secondo la Corte costituzionale, sul territorio “gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni” (Corte cost. 7 luglio 2007, n. 367); In questo senso anche: Corte cost. 30 marzo 2018, n. 66 e Corte cost. 22 luglio 2021, n. 164, tutte in cortecostituzionale.it.
[21] Sulla nozione di paesaggio si veda in primis A. Predieri, Paesaggio, in Enc. dir., Giuffrè, Milano, 1981, pag. 506 ss., secondo il quale la nozione va ricercata in discipline extra giuridiche, dovendosi con tale concetto intendere la “forma del territorio”, frutto dell’interazione tra uomo e natura. Per quanto riguarda l’evoluzione del concetto giuridico nell’ordinamento italiano, si vedano, senza pretesa di esaustività: O. Sepe, La tutela delle bellezze naturali e del paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1962, pag. 1054 ss.; A.M. Sandulli, La tutela del paesaggio nella costituzione, in Riv. giur. ed., 1967, 2, pag. 71 ss.; G.F. Cartei, La disciplina del paesaggio: tra conservazione e fruizione programmata, Torino, 1995; S. Civitarese Matteucci, Il paesaggio nel nuovo Titolo V Parte II della Costituzione, in Riv. giur. amb., 2003, 2, pag. 253 ss.; G. Ceruti, La protezione del paesaggio nell’ordinamento italiano: evoluzione. Una proposta per il terzo millennio, in Riv. giur. amb., 2012, 1, pag. 1 ss.; A. Calegari, Riflessioni in tema di tutela dell’ambiente e del paesaggio nell’esperienza giuridica italiana, in Riv. giur. urb., 2014, 2, pag. 208 ss.
[22] Corte cost. n. 367/2007.
[23] Corte cost. n. 219/2021.È in questa prospettiva, secondo la Corte, che il CBCP, all’art. 143, comma 2, ha previsto la possibilità, per le regioni, di stipulare intese con specifici Ministri “per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici [...] precisando che il contenuto del piano elaborato congiuntamente forma oggetto di apposito accordo preliminare e che lo stesso è poi approvato con provvedimento regionale”.
[24] Corte cost., 23 luglio 2018, n. 172, in cortecostituzionale.it.
[25] Corte cost., 15 aprile 2019, n. 86, in cortecostituzionale.it.
[26] Cfr. A. Serritiello, Verso la revisione del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Profili critici e punti di forza del sistema di amministrazione del paesaggio, in Aedon, 2013, 3; In particolare, in dottrina, sin dall’indomani dell’approvazione del CBCP, era stato osservato che la disciplina del paesaggio parrebbe risultare particolarmente limitativa delle attribuzioni degli enti locali (si vedano: F. Merloni, L'impossibile equilibrio tra governo del territorio e pianificazioni di tutela di settore, in Le Regioni, 2007, pag. 1194; M. Immordino, La dimensione "forte" della esclusività della potestà legislativa statale sulla tutela del paesaggio nella sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2007, in Aedon, 2008, 1; P. Stella Richter, La disciplina del paesaggio, in Diritto al paesaggio e diritto del paesaggio, (a cura di) W. Cortese, Napoli, 2008, pag. 17; R. Chieppa, Vecchie problematiche e nuove questioni in tema di piani e autorizzazioni paesaggistiche dopo il d.lg. 26 marzo 2008, n. 63, in Aedon, 2008, 3; C. Marzuoli, Il paesaggio nel nuovo Codice dei beni culturali, in Aedon, 2008, 3. Più di recente: P. Chirulli, Urbanistica e interessi differenziati: dalle tutele parallele alla pianificazione integrata, in Dir. amm., 2015, 1, pag. 50 ss.
[27] G.F. Cartei, Autonomia locale e pianificazione del paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2013, 3, pag. 741.
[28] P. Marzaro, Pianificazione paesaggistica e beni paesaggistici: la centralità del procedimento nella duplicità del sistema, in Riv. giur. urb, 2013, 1-2, pag. 1.
[29] P. Marzaro, Paesaggio e autonomie territoriali, ovvero sulla necessarietà della dimensione paesaggistica del territorio, in Governo del territorio e Autonomie territoriali, (a cura di) G. Sciullo, Bologna, 2010, pag. 85 ss.
[30] Corte cost., 18 aprile 2008, n. 105, in cortecostituzionale.it. In dottrina, cfr. A. Crosetti, Beni forestali, ambiente, territorio e paesaggio nel nuovo t.u.f., in Riv. giur. ed., 2019, 2, pagg. 113-118.
[31] A. Crosetti, Beni forestali, ambiente, territorio e paesaggio nel nuovo t.u.f., in Riv. giur. ed., 2019, 2, pag. 115.
[32] Corte cost., 18 aprile 2008, n. 105, in giurcost.org.
[33] Sull’utilizzo economico-commerciale di boschi e foreste, si vedano: A.M. Sandulli, Boschi (voce), in Enc. dir, Milano, 1959, pag. 617 ss.; A. Abrami, Le funzioni del bosco: appunti sulla rilevanza del diritto forestale, in Riv. dir. agr., 1983, pag. 206 ss.; M. Magni, Il ruolo del bosco per l’economia e l’ambiente, in Econ. mon., 2002, 5, pag. 55 ss.; S. Carmignani, La nuova gestione del bosco tra funzionalizzazione, sostenibilità e interesse pubblico, in Commentario al Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali (d.lg. 3 aprile 2018, n. 34), (a cura di) N. Ferrucci, Milano, pag. 27 ss.
[34] Cfr. C. Miccichè, Beni comuni: risorse per lo sviluppo sostenibile. Contributi di diritto amministrativo, Napoli, 2018.
[35] La proposta di legge è consultabile al seguente link: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.page?contentId=SPS47624&previsiousPage=mg_1_12_1 (si veda in particolare l’art. 1, comma 3, lett. c) della proposta). Sulla categoria dei beni comuni, in dottrina, si vedano: P. Maddalena, I beni comuni nel codice civile, nella tradizione romanistica e nella Costituzione della Repubblica italiana, in Giur. cost., 2011, pag. 2613 ss.; G. Arena, C. Iaione (a cura di), L’Italia dei beni comuni, Roma, 2012; S. Nespor, L’irresistibile ascesa dei beni comuni, in Federalismi.it, 2013; A. Lucarelli, Beni comuni. Contributo per una teoria giuridica, in Costituzionalismo.it, 2014, 3; P. Maddalena,La nozione di “beni comuni”, nel contesto di una revisione costituzionale degli assetti proprietari previsti dal codice civile, in Giustiziainsieme.it, 2021; G. Arena, M. Bombardelli (a cura di), L’amministrazione condivisa, Trento, 2022. Per la concezione del patrimonio forestale come “bene comune” si veda: G. Torelli, il patrimonio forestale come “bene comune”, in Sylva. Città, nature, avamposti, (a cura di) S. Marini, V. Moschetti, Milano, 2022, pagg. 94-102.
[36] Questo intervento legislativo fu inteso nell’ottica di coniugare la politica forestale nazionale e regionale all’obiettivo internazionalmente condiviso della “Gestione forestale sostenibile” (Forest Europe 1993) e alle indicazioni comunitarie nella “Strategia forestale europea” del 1998 (1999/C56/01). Cfr. A. Forti, Commento alla nuova “legge di orientamento forestale” d.lg. 227/2001, in Nuovo dir. agr., 2001, pag. 438 ss.
[37] Per consultare i primi commenti in dottrina al nuovo “Testo unico forestale” si vedano: A. Crosetti, Beni forestali, ambiente, territorio e paesaggio nel nuovo t.u.f, cit., pag. 113 ss.; N. Ferrucci, Il nuovo testo unico in materia di foreste e filiere forestali, in Dir. agroalim., 2018, 2, pag. 265 ss.; A. Abrami, La nuova legislazione forestale nel decreto 3 aprile 2018, n. 34, in Riv. dir. agr., 2018, 1, pag. 101 ss.; R. Gallia, Problematiche ambientali nella pianificazione territoriale. Il nuovo testo unico in materia di boschi e foreste, in Riv. giur. mezz., 2018, 4, pag. 1107 ss.; G. Torelli, Il patrimonio forestale nel recente Testo unico: le vicende della valorizzazione tra strategie di pianificazione ed assetti dominicali, in Federalismi.it, 2021, 6, 244 ss.
[38] In merito allo specifico termine “selva” si vadano: G. Piperata, Stato amministrativo e il paradigma della selva, in Sylva. Città, nature, avamposti, cit., pagg. 68-73 e F. Cortese, Il diritto selvaggio: un’introduzione, ivi, pagg. 54-67.
[39] F. Adornato, La definizione di bosco e/o foresta, in Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, (a cura di) L. Costato, Padova, 2003, pag. 1143.
[40] La giurisprudenza ha ribadito che l’eventuale definizione di foresta o bosco ad opera della legge regionale e contrastante anche in minima parte con la nozione “statale” non possa essere utilizzata, ai fini della tutela paesaggistica, perché in questo caso contrasterebbe con una funzione costituzionalmente riservata allo Stato (Corte Cass., sez. III penale, 23 Gennaio 2007, n. 1874, in ambientediritto.it). Cfr. R. Gallia, Problematiche ambientali nella pianificazione territoriale. Il nuovo testo unico in materia di boschi e foreste, in Riv. giur. mezz., 2018, 4, pag. 1111.
[41] G. Torelli, Il patrimonio forestale nel recente Testo unico: le vicende della valorizzazione tra strategie di pianificazione ed assetti dominicali, cit., pag. 246.
[42] A. Crosetti, Beni forestali, ambiente, territorio e paesaggio nel nuovo t.u.f., cit., pag. 118.
[43] G. Torelli, Il patrimonio forestale nel recente Testo unico: le vicende della valorizzazione tra strategie di pianificazione ed assetti dominicali, cit., pag. 250. L’autore, nel contributo citato, descrive e commenta ampiamente il procedimento che le regioni sono obbligate a seguire qualora vogliano avvalersi di tale facoltà.
[44] G. Piperata, Paesaggio, in Il diritto del patrimonio culturale, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Bologna, 2020, pag. 249 ss.
[45] G. Torelli, Il patrimonio forestale nel recente Testo unico: le vicende della valorizzazione tra strategie di pianificazione ed assetti dominicali, cit., pag. 252.
[46] Su un piano comparato si segnala che, nell’ordinamento spagnolo, la Costituzione assegna allo Stato, ai sensi dell’art. 149, comma 23, la legislazione fondamentale sui boschi, miglioramenti forestali e pascoli, ma specifica anche che la competenza statale va esercitata senza pregiudizio della facoltà delle Comunità Autonome di fissare norme protettive addizionali. Proprio tale previsione ha permesso un costante coordinamento tra la legislazione statale e quella autonomica e di evitare conflitti come quello tra Governo e Regione Sicilia oggetto della sentenza analizzata. Cfr. B. Lozano Cutanda, Introducion al derecho ambiental y la intervencion administrativa para la proteccion del medio ambiente, in B. Lozano Cutanda, Juan-Cruz Alli Turrillas, Administracion y legislacion ambiental, Madrid, 2022, pagg. 162-164.
[47] In virtù dall’art. 14, lettere f) e n), del r. d.lg. 15 maggio 1946, n. 455 convertito in legge cost. 26 febbraio 1948, n. 2.
[48] La Corte costituzionale ha ribadito in plurime occasioni che le regioni a statuto speciale (e le due province autonome) nell’esercizio delle proprie competenze devono sempre rispettare le prescrizioni legislative statali di carattere generale qualificabili come “riforme economico-sociali”. Per quanto riguarda la competenza legislativa nella materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost., “comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali [...] le norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto [...] degli enti ad autonomia differenziata nell’esercizio delle proprie competenze” (Corte cost., 25 ottobre 2017, n. 229), nello stesso senso: Corte cost., 19 novembre 2002, n. 536; Corte cost., 10 febbraio 2006, n. 51; Corte cost., 29 maggio 2009, n. 164, tutte in www.cortecostituzionale.it.
[49] La riforma, da un lato, ha aggiunto un nuovo terzo comma all’art. 9 Cost., secondo cui la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, e, dall’altro, ha modificato l’art. 41, secondo e terzo comma, Cost. L’attuale formulazione della norma prevede che “l’iniziativa economica privata [...] non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.
[50] Ad esempio, F. Cortese, Nuovi principi costituzionali e ridefinizione dello spazio operativo degli enti locali, in Munus, 2022, 2, pagg. VI-VII, ove l’autore evidenzia che per la prima volta si è rotto il tabù secondo cui le riforme costituzionali non potessero mai riguardare la prima parte della Costituzione, a lungo ritenuta immutabile (per di più per inserire la tutela dell’ambiente che era ormai pacificamente riconosciuta già come principio costituzionale fondamentale per via dell’interpretazione data dalla Corte cost.) o anche C. Sartoretti, La riforma costituzionale “dell’ambiente”: un profilo critico, in Riv. giur. ed., 2, 2022, pagg. 136-137, in cui l’autrice evidenzia che il problema legato alla tutela ambientale, nel nostro ordinamento, non risulta legato a un mancato riconoscimento espresso a livello costituzionale del valore “ambiente”, ma piuttosto nella disordinata inflazione di leggi e regolamenti, spesso poco efficaci.
[51] Cfr. I. Nicotra, L’ingresso dell’ambiente in Costituzione, un segnale importante dopo il Covid, in Federalismi.it, 2021.
[52] Le parti di cui è contestata la legittimità costituzionale recitano, nello specifico: “nella Regione si applica il decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 e successive modificazioni” (comma 4); “l’articolo 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 è abrogato” (comma 5); “alla lettera e) del comma 1 dell’articolo 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, le parole da “dal limite” fino a “forestali e” sono soppresse” (comma 6).
[53] L’articolo citato, nel suo testo originario prevedeva che “ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali debbono osservarsi, in tutte le zone omogenee ad eccezione delle zone A e B, in aggiunta alle disposizioni vigenti, le seguenti prescrizioni: [...] e) le costruzioni debbono arretrarsi di metri 200 dal limite dei boschi, delle fasce forestali e dai confini dei parchi archeologici”.
[54] Le prescrizioni di maggior rilievo, per ciò che qui interessa, contenute nell’art. 10 della l.r. n. 16/1996 erano: la previsione di un divieto di nuove costruzioni “all’interno dei boschi e delle fasce forestali”, nonché “entro una zona di rispetto [...] dal limite esterno dei medesimi” (comma 1); la variazione dell’estensione della “zona di rispetto” (da 50 a 200 metri) in base alle superfici dei boschi (commi 2 e 3); la previsione di alcune deroghe al vincolo d’inedificabilità e alcune precisazioni circa il suo ambito di applicazione; l’assoggettamento “di diritto” al vincolo paesaggistico delle zone di rispetto di cui ai commi da 1 a 3 (comma 11).
[55] Era prevista, ad esempio, la possibilità di costruire infrastrutture necessarie allo svolgimento delle attività proprie dell'amministrazione forestale e infrastrutture connesse all'attraversamento di reti di servizio di interesse pubblico e strutture connesse alle stesse.
[56] Come sostituiti dall’art. 12 della l.r. n. 2/2021.
[57] Gli altri articoli costituzionali ritenuti violati erano: artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettere l), m) e s).
[58] Il quale prescrive che “La dichiarazione di notevole interesse pubblico [...] costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo”. La norma disciplina specificatamente i rapporti tra il provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico e il procedimento di formazione/revisione del piano paesaggistico e non fa alcun riferimento, invece, ai vincoli individuabili tramite un mero accertamento come quelli di cui all’art. 142 CBCP. Cfr. M.A. Quaglia, A. Rallo, Art. 140, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 1052 ss. (in special modo pagg. 1058-1059).
[59] Corte cost. 3 giugno 2022, n. 135, considerato in diritto, par. 5.1, in cortecostituzionale.it.
[60] M. Immordino, Vincolo paesaggistico e regime dei beni, Padova, 1991, pag. 126 ss.; G. Sciullo, I vincoli paesaggistici ex lege: origini e ratio, cit., par. 3.
[61] Corte cost., n. 135/2022, considerato in diritto, par. 5.1.1. Nella sentenza è chiarito che nell’ipotesi della dichiarazione di vincolo ex lege, “frutto [...] di un apprezzamento di natura lato sensu politico-discrezionale e operato in via generale e astratta, dei caratteri di rilevante interesse paesaggistico di determinate categorie di beni [...] un divieto di revocabilità non solo non può essere desunto dalla disposizione che regola una fattispecie profondamente diversa [...] ma finirebbe per comportare un’ingiustificata e potenzialmente irragionevole restrizione degli spazi di scelta del legislatore in materia”. Nello stesso paragrafo la Corte evidenzia che l’estensione alla legge di una tale regola di irrevocabilità potrebbe addirittura produrre l’effetto di scoraggiare scelte regionali di potenziamento della tutela poiché il legislatore regionale potrebbe essere indotto a non compiere scelte simili nel timore di non poter più ritornare sui suoi passi, nemmeno ove una rinnovata ponderazione degli interessi lo esigesse.
[62] Cfr. Corte cost., 5 aprile 2018, n. 68, in cortecostituzionale.it.
[63] Come evidenziato anche in altri precedenti della Corte cost., infatti, in attesa dell’approvazione dei piani, parrebbe essere “necessario salvaguardare la complessiva efficacia del piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali” (Corte cost., 21 aprile 2021, n. 74, considerato in diritto, par. 3.2.2). In questo senso anche: Corte cost., 23 novembre 2021, n. 219, entrambe in cortecostituzionale.it.
[64] Corte cost. 3 giugno 2022, n. 135, considerato in diritto, par. 5.2.1.
[65] Ibidem.
[66] V. supra par. 3.
[67] L. Di Giovanni, La pianificazione paesaggistica e la gestione integrale del territorio, Napoli, 2021, pagg. 347-348.