Uno sguardo oltre i confini europei
Patrimonio culturale e pianificazione del territorio nell’ordinamento giuridico della Colombia
di Julián Pimiento Echeverri [*]
Sommario: 1. Premessa. - 2. Il patrimonio culturale come oggetto di protezione e di regolamentazione. - 2.1. La cultura come oggetto di protezione costituzionale 2.2. Le categorie di protezione. - 2.3. Beni di interesse culturale: patrimonio culturale, proprietà pubblica e proprietà privata. - 3. La pianificazione culturale sul territorio. - 3.1. La dichiarazione di interesse culturale come prerequisito per la pianificazione. - 3.2. Gli strumenti di gestione e di protezione. - 3.2.1. Lo strumento principale: il Piano Speciale di Gestione e Protezione (PEMP). - 3.2.2. La disciplina dei beni culturali nella sua dimensione territoriale. - 4. Conclusione.
Cultural Heritage and territorial planning in Colombia’s legal system
The art. No. 70 of Colombian Constitution establishes that the Culture and its various expressions are a fundamental basis for the Nation. Such constitutional rule legitimates the rigid legislation about the safeguard and valorisation of the extraordinary Colombian Cultural Heritage. The complex of these rules is well-known as the so called “Cultural Constitution”. Moving from this approach, the Author examines the various categories included in the Cultural Heritage, the related regulation, and the limits to the property right, which are imposed to enhance the public interest in the preservation and valorisation of such goods. Nevertheless, the Cultural Heritage engraves not only on the property right regime but also on the government of the territory, as the Colombian legislation promotes specific urban plans to protect and enhance the goods of cultural interest, defining an effective system of “cultural planning”.
Keywords: Colombian Cultural Heritage; Territorial Planning; Cultural Constitution.
L’articolo 70 della Costituzione Politica colombiana prevede che “la cultura en sus diversas manifestaciones es fundamento de la nacionalidad”, risultando così palese l’importanza che la Costituzione ha dato alla cultura. È per questo che le diverse manifestazioni culturali trovano una protezione speciale nel testo costituzionale, e dunque non invano si è parlato dell’esistenza di una Costituzione culturale [1].
Esiste un rapporto inscindibile tra cultura e territorio, già solo dimostrato dal fatto che la parola condivide la stessa radice della coltivazione (cultivo [2] in spagnolo), ovvero “ciò che viene dalla terra”. Ma al di là di questo rapporto, esterno all’ambito giuridico, la materializzazione della cultura in diverse categorie del diritto è una garanzia creata dal nostro ordinamento giuridico. Categorie come beni culturali, beni di interesse culturale, piano di gestione speciale, convergono per dare una visione, non della cultura nel territorio, ma dell’organizzazione della cultura nel territorio o, meglio, della cultura come fattore determinante del suo ordinamento.
In questo articolo si intende esplorare quella dimensione della cultura in cui è evidente la confluenza di diversi interessi, di strumenti normativi e di pianificazione. L’obiettivo non è altro che identificare il modo in cui queste manifestazioni culturali si concretizzano nel settore immobiliare, ma in particolare negli spazi urbani come i centri storici, al fine di fornire una prima chiave di lettura sistematica che definisca il patrimonio culturale come un bene autonomo, al di fuori dal patrimonio urbano.
L’argomento non è privo di interesse poiché negli ultimi anni sono state approvate numerose norme a livello locale che cercano di promuovere la tutela dei beni culturali; tuttavia ciò è stato fatto, in molti casi, con una logica strettamente urbana, non ha tenuto conto della natura multidimensionale degli strumenti di gestione e tutela del patrimonio culturale.
A tal fine, in un primo momento sarà affrontato il concetto di patrimonio culturale come bene oggetto di protezione e le modalità di tutela predisposte dal diritto nazionale colombiano (I); in un secondo momento, sarà esaminato il patrimonio culturale come elemento determinante della pianificazione dell’uso del suolo e le relative conseguenze sul piano normativo (II).
2. Il patrimonio culturale come oggetto di protezione e di regolamentazione
Le relazioni tra cultura e territorio sono evidenti, profonde e storiche. La necessità di proteggere le manifestazioni culturali, qualunque sia la loro natura, religiosa, sociologica o storica, è una costante nella storia delle città e dell’urbanistica. Sia nell’epoca romana che nel Medioevo, nelle rivoluzioni liberali e ancora oggi, le manifestazioni culturali definiscono le città, ne delineano e segnano il modo in cui il territorio deve essere gestito nella sua dimensione culturale.
In questa sezione sarà considerata la cultura come oggetto di tutela nell’ordinamento giuridico nazionale colombiano (1), le categorie che compongono il patrimonio culturale, in particolare quelle del patrimonio immobiliare e dell’ambiente urbano (2), e i rapporti tra patrimonio culturale e diritto di proprietà (3).
2.1. La cultura come oggetto di protezione costituzionale
L’ordinamento giuridico colombiano integra un ampio e completo sistema di protezione del patrimonio culturale, in tutte le sue forme e manifestazioni, il cui scopo è di garantirne l’intangibilità e la tutela. Si tratta di un insieme di autorità di diversi livelli e di disposizioni normative concepite su più livelli (locale, nazionale e internazionale), nella cui attuazione sono coinvolti tutti i decisori pubblici, in conformità alla legge 397 del 1997, modificata dalla legge 1185 del 2008 [3].
Allo stesso modo in cui esiste una Costituzione ecologica [4] o economica [5], la Corte costituzionale colombiana ha affermato, seguendo la dottrina, che esiste una Costituzione culturale [6], cioè un insieme di disposizioni nella Costituzione politica relative alla materia culturale e che descrivono una certa visione del costituente nella regolazione delle manifestazioni culturali. Come affermato da Santaella Quintero, “tiene que ver con la decisiva implicación del Constituyente en la predeterminación de los aspectos esenciales del régimen jurídico de protección de los bienes que representan el patrimonio y la herencia cultural del pueblo” [7].
La Corte costituzionale, con sentenza del 2014, ha individuato il contenuto delle disposizioni costituzionali in materia culturale, che, per la loro esaustività, vale la pena di citare in extenso:
“... l’insieme delle disposizioni costituzionali che tutelano la cultura, la sua diversità e il patrimonio culturale come valori essenziali della Nazione è ampio, il che ha permesso a tale blocco normativo di essere qualificato come ‘Costituzione culturale’.
“6.5. In conformità a ciò, in modo generale, la cultura trova fondamento costituzionale: (i) nell’articolo 2º, che indica come scopo essenziale dello Stato facilitare la partecipazione di tutti alla vita culturale della Nazione; (ii) negli articoli 7º e 8º, che impongono allo Stato il dovere di proteggere la diversità e le ricchezze culturali della Nazione; (iii) nell’articolo 44, che definisce la cultura come un diritto fondamentale dei bambini; (iv) nell’articolo 67, che riconosce l’istruzione come un diritto che cerca di rafforzare i valori culturali della Nazione; (v) nell’articolo 70, che obbliga lo Stato a promuovere e incoraggiare l’accesso alla cultura dei colombiani e che riconosce la cultura nelle sue varie manifestazioni come fondamento della cittadinanza; (vi) nell’articolo 71 che impone anche allo Stato l’obbligo di creare incentivi per promuovere le manifestazioni culturali; (vii) all’articolo 95-8 che definisce come uno dei doveri della persona e del cittadino la protezione delle risorse culturali e naturali; e (viii) negli articoli 311 e 313-9, che affidano in particolare ai comuni il miglioramento sociale e culturale dei loro abitanti.
“6.6. Per quanto riguarda specificamente la difesa del patrimonio culturale e archeologico e il regime costituzionale di protezione, il suo fondamento deriva direttamente dal (ix) l’articolo 63, che sancisce che il patrimonio archeologico della Nazione e gli altri beni determinati dalla legge sono inalienabili, imprescrittibili e non trasferibili e, in particolare, (x) dell’articolo 72, che prevede che il patrimonio culturale della nazione sia protetto dallo Stato, stabilendo che il patrimonio archeologico e gli altri beni culturali che costituiscono l’identità nazionale appartengono alla nazione e sono inalienabili, non usucapibili e non assoggettabili ad esecuzione forzata. In piena armonia con tali disposizioni, (xi) l’articolo 313-10 dello stesso Ordine Superiore, attribuisce ai Consigli Comunali la funzione di emettere le norme necessarie per il controllo, la conservazione e la difesa del patrimonio ecologico e culturale del Comune, mentre (xii) l’articolo 333 lascia alla legge la delimitazione della portata della libertà economica quando lo esigano l’interesse sociale, l’ambiente e il patrimonio culturale della Nazione.
“6.7. Come ha sottolineato questa Corporazione, l’insieme delle disposizioni costituzionali citate mostra che, senza dubbio, “la tutela del patrimonio culturale della Nazione ha una particolare importanza nella Costituzione, perché costituisce un segno o un’espressione della cultura umana, di un tempo, di circostanze o di modi di vita che si riflettono nel territorio, ma che ne oltrepassano i limiti e le dimensioni”, Per questo, “la salvaguardia statale del patrimonio culturale della Nazione ha senso in quanto, dopo un processo di formazione, trasformazione e appropriazione, esprime “identità di un gruppo sociale in un momento storico”
“6.8. Pertanto, in più occasioni, la Corte ha sottolineato non solo l’importanza del suddetto regime costituzionale di protezione, ma anche l’obbligo che incombe su chiunque, in particolare sullo Stato, di garantire la conservazione e il recupero dei beni che costituiscono tale patrimonio culturale e archeologico. Ha ricordato questa Corte che, a tal fine, è la stessa Carta politica che impone allo Stato il dovere di proteggere il patrimonio culturale della Nazione (C.P. art. 72), pur riconoscendo ai beni che ne fanno parte il carattere di inalienabilità, non usucapibilità e non sottoponibilità ad espropriazione forzata” [8].
Pertanto, sono numerose le disposizioni normative che nel testo costituzionale sono funzionali a regolamentare e proteggere le diverse manifestazioni culturali. Si tratta di norme che riguardano il ruolo svolto dalla cultura a livello nazionale, gli strumenti di protezione e di garanzia e la ripartizione delle competenze. Al riguardo si può ritenere che la cultura sia un elemento essenziale della nazionalità colombiana, in quanto ne definisce gli elementi centrali; inoltre, essa può essere considerata sotto più profili, perché oltre ad essere uno degli scopi primari dello Stato nonché un diritto fondamentale, la sua protezione e promozione configura un dovere delle autorità pubbliche e dei cittadini. Ancora, da un punto di vista materiale, il patrimonio culturale, nei suoi vari aspetti e nelle sue manifestazioni, gode di una speciale protezione costituzionale, sia attraverso l’applicazione del trittico di protezione sia mediante l’applicazione di meccanismi di compressione del diritto di proprietà privata. In ogni caso, la protezione del patrimonio culturale pone un limite all’esercizio delle attività economiche da parte dei privati.
Quindi vale la pena ribadire quanto affermato dal Consiglio di Stato, secondo cui “il dovere dello Stato, in relazione alla protezione dei beni che costituiscono il patrimonio culturale, si estende dall’ambito nazionale a quello territoriale e comprende tutte le autorità che il legislatore ha previsto di coinvolgere nella formulazione dei programmi di gestione e conservazione dei beni di interesse culturale, tra le quali figurano principalmente il ministero della Cultura e gli enti territoriali” [9].
Dal punto di vista normativo, quindi, l’architettura costituzionale della protezione della cultura, garantisce un “ampio potere del legislatore di elaborare meccanismi per la sua protezione e salvaguardia” [10]. Anche se è vero che, nel settore della protezione del patrimonio culturale, vi è un’importante influenza di organi, in particolare l’UNESCO, e di strumenti di natura internazionale, come la Convenzione sulla protezione del patrimonio mondiale, Culturale e Naturale adottata a Parigi nel 1972, che è stata recepita nell’ordinamento nazionale con la legge 45 del 1983.
Ora, se la cultura è un oggetto di tutela costituzionale, l’elemento attraverso il quale essa viene salvaguardata e promossa sul piano giuridico è quello del Patrimonio culturale, che comprende la regolamentazione concreta delle diverse manifestazioni culturali, materiali e immateriali. Infatti, “il patrimonio culturale della Nazione costituisce una categoria ampia concepita dalla Costituzione; all’interno di questo genere, a loro volta, si trovano diverse specie o sottocategorie di beni che, pur accomunati dal valore identitario per l’intera popolazione nazionale, quindi meritevoli di tutela da parte dello Stato, presentano o possono presentare regimi giuridici differenziati. Ciò accade in considerazione delle loro particolarità (fisiche, giuridiche, storiche, geografiche o di percezione socioculturale), per cui spetta al legislatore, nell’ambito delle sue competenze, precisare gli aspetti non direttamente previsti dalla Costituzione in relazione alla normativa applicabile a ciascuna sottocategoria di beni [11].
Allora, esiste un regime costituzionale della cultura, che si concretizza normativamente in diversi ambiti (internazionale, nazionale e territoriale), con un elemento prevalente: il patrimonio culturale. Nella prossima sezione lo studio si soffermerà su questo specifico oggetto di protezione.
2.2. Le categorie di protezione
L’ordinamento giuridico colombiano, come in molti Paesi, riconosce diverse categorie di beni soggetti al regime giuridico proprio del patrimonio culturale [12]. In particolare, si riconosce l’esistenza di tre categorie: il patrimonio culturale materiale, il patrimonio culturale immateriale e il patrimonio archeologico, che a sua volta compone il patrimonio culturale sommerso. Queste categorie saranno semplicemente utilizzate come un quadro concettuale generale, necessario per comprendere la regolazione della dimensione culturale del territorio, per cui ne saranno descritti esclusivamente il contenuto e la regolamentazione, senza pretese di svilupparle in modo esaustivo.
a. Il patrimonio culturale materiale (PCM) è costituito da due componenti principali, a seconda che si tratti di beni mobili o immobili. Tra i beni mobili considerati come parte del PCM, secondo il ministero della Cultura colombiano rientrano “dipinti, disegni e sculture, placche commemorative, fotografie, incisioni, litografie e lastre originali, oggetti liturgici e utilitari, abbigliamento religioso e secolare, arredo religioso e domestico, oggetti scientifici, e strumenti musicali, armi, francobolli postali e fiscali, iscrizioni, monete, banconote, francobolli registrati e medaglie, nonché materiale bibliografico ed emerografico appartenenti a musei pubblici e privati o ad enti pubblici” [13].
Il patrimonio culturale mobile (PCMo), che è stato oggetto di una protezione particolare antecedenti all’entrata in vigore della Costituzione del 1991 [14], nonché di politiche specifiche che intendono garantirne l’intangibilità. La tutela di questa categoria di beni culturali è avvenuta per buona parte del XX secolo, attraverso la creazione di musei e il rafforzamento delle organizzazioni preposte alla loro tutela, come la Commissione dei Monumenti, da un lato, e, dall’altro, attraverso il divieto di sottrarre dal paese i beni che lo compongono, come preoccupazione principale in questa materia.
Con l’entrata in vigore della Costituzione politica il patrimonio culturale mobile è stato oggetto di un inventario - molti dei beni che lo compongono sono in proprietà di privati - rivolto ad assicurare operazioni di salvaguardia più efficaci mediante la definizione nel 2013 di una politica per la protezione del patrimonio culturale immobiliare, i cui principi sono: il coordinamento, l’articolazione e la cooperazione, la corresponsabilità e la partecipazione, l’inclusione, l’accesso e la copertura, le nuove tecnologie e l’innovazione. Inoltre, è stato creato un quadro normativo più adeguato alla tutela del patrimonio culturale, attraverso l’armonizzazione e la semplificazione delle disposizioni normative applicabili e l’individuazione dei fattori di sostenibilità che ne garantiscano la perennità e, in particolare, la promozione degli investimenti privati attraverso il rafforzamento delle competenze amministrative.
Ancora, il patrimonio culturale materiale immobile (PCMI) è definito come il bene o l’insieme dei beni immobili che “possiedono valori che costituiscono legami di appartenenza, identità e memoria per una comunità e che testimoniano l’identità culturale nazionale”. Il regime giuridico del PCMI è contenuto principalmente nella legge 397 del 1997, modificata dalla legge 1185 del 2008, il Decreto Unico Regolamentare 1080 del 2015, e nella Risoluzione 0983 del 2010. Il patrimonio culturale materiale immobile si divide in due ambiti: i) gruppo urbano, che a sua volta è classificato in a. settori urbani [15] e b. spazio pubblico [16] e ii) gruppo architettonico [17]. Questa categoria è costituita da centri urbani, siti storici, patrimonio urbano, spazi pubblici, patrimonio archeologico e patrimonio architettonico.
b. Il patrimonio culturale immateriale (PCI): in numerose occasioni il patrimonio culturale, in quanto categoria giuridica, si manifesta al di fuori dello stretto ambito dei beni materiali. È pertanto consentita la protezione di talune manifestazioni al fine di proteggere talune espressioni artistiche, culinarie, festive, ecc. La legge generale sulla Cultura si è occupata di definire il patrimonio culturale immateriale nell’articolo 11, paragrafo 1, secondo il quale:
“Il patrimonio culturale immateriale è costituito, tra l’altro, da manifestazioni, pratiche, usi, rappresentazioni, espressioni, conoscenze, tecniche e spazi culturali che le comunità e i gruppi riconoscono come parte integrante del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio genera sentimenti di identità e crea legami con la memoria collettiva. Esso è trasmesso e ricreato nel tempo in funzione del suo ambiente, della sua interazione con la natura e la sua storia e contribuisce a promuovere il rispetto della diversità culturale e della creatività umana”.
Pertanto, la nozione di patrimonio culturale non ha lo scopo di riferirsi a un patrimonio particolare; nello specifico caso del patrimonio immateriale, inoltre, si tratta di creare meccanismi che consentano di concretizzare l’interesse generale attraverso meccanismi di protezione rivolti a garantire il mantenimento dei valori che tali beni e/o manifestazioni rappresentano [18]. In questo modo, “il patrimonio immateriale riflette l’identità, il senso di appartenenza e un senso di continuità storica” [19] sia nella forma che nel contenuto del suo regime giuridico e dei meccanismi di protezione; si tratta di una categoria sostanzialmente diversa dal patrimonio materiale, in quanto il carnevale di Barranquilla e il Campidoglio Nazionale non possono essere protetti con i medesimi strumenti. Si è pertanto ritenuto che la protezione del PCI richiede un approccio volto a favorire l’“insieme di misure volte a garantire la continuità delle manifestazioni culturali di una comunità o collettività” [20].
Nel caso del patrimonio culturale immateriale, il sistema di protezione è attivato dall’inclusione della manifestazione culturale nell’Elenco rappresentativo del patrimonio culturale Immateriale della Nazione (LRPCIN) [21], istituito dalla legge 1185 del 2008, al fine di applicare una figura simile al meccanismo di rappresentatività contenuto nell’elenco rappresentativo del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, creato nel 2003 dall’UNESCO. La LRPCIN è divisa nei seguenti campi, che si identificano con le manifestazioni di cui si cerca di garantire la protezione: lingue e tradizione orale; organizzazione sociale; conoscenza tradizionale della natura e dell’universo; medicina tradizionale; produzione tradizionale; tecniche e tradizioni associate alla fabbricazione di oggetti artigianali; arti popolari; eventi festivi e ludici; eventi religiosi tradizionali a carattere collettivo; conoscenze e tecniche tradizionali associate all’habitat; cultura culinaria; patrimonio culturale immateriale associato agli spazi culturali [22].
Oltre a quanto precede, uno degli aspetti particolarmente sensibili sono le ragioni che permettono di accogliere l’inclusione di qualche manifestazione nella LRPCIN, per cui sono stati stabiliti i seguenti criteri: pertinenza, rappresentatività, rilevanza, natura e identità collettiva, validità, equità e responsabilità. Questi ultimi due criteri sono particolarmente rilevanti in quanto, da un lato, “l’uso, il godimento e i benefici derivanti dalla manifestazione siano giusti ed equi nei confronti della comunità o della collettività identificata, tenendo conto degli usi e delle consuetudini tradizionali e del diritto consuetudinario delle comunità locali” e “la manifestazione in questione non violi i diritti umani, i diritti fondamentali o i diritti collettivi, la salute umana o l’integrità degli ecosistemi”.
Svolto il relativo procedimento, di cui al Decreto Regolamentare Unico n. 1080 del 2015, mediante un atto amministrativo la manifestazione oggetto della decisione è inclusa nella LRPCIN, mettendo così in atto la tutela costituzionale e legale, che ha vocazione di unicità. Tra queste, l’obbligo di progettare e attuare un Piano Speciale di Salvaguardia.
c. Il patrimonio archeologico: il patrimonio archeologico risponde ad una natura diversa dalle due categorie analizzate in precedenza. Mentre il PCM ricade sui beni pubblici o privati e il PCI su attività pubbliche o private, il patrimonio archeologico, quale risulta dal secondo periodo dell’articolo 70 della Costituzione Politica –”Il patrimonio archeologico e altri beni culturali che costituiscono l’identità nazionale, appartengono alla Nazione e sono inalienabili, non usucapibili e non sottoponibili ad esecuzione forzata” - e dell’art. 4.c della legge 397 di 1997 - “I beni che costituiscono il patrimonio archeologico appartengono alla Nazione” - è di esclusiva appartenenza pubblica.
In questo caso, quindi, viene riconosciuta la proprietà originaria dello Stato. A tal proposito, il Consiglio di Stato, in una sentenza del 2005, ha affermato che il “Costituente del 1991 in modo inequivocabile ha posto a capo della Nazione la proprietà di una categoria specifica di beni che altrimenti sarebbero suscettibili di appropriazione individuale [...] In tal modo, tutti gli altri diritti (possesso, uso, godimento, ecc.) sono subordinati a quello di proprietà che rimane in capo alla Nazione” [23].
Il patrimonio archeologico è costituito dalle “vestigia derivanti dall’attività umana e dai resti organici e inorganici che, mediante i metodi e le tecniche propri dell’archeologia e di altre scienze correlate, permettono di ricostruire e far conoscere le origini e i percorsi socioculturali passati e ne garantiscono la conservazione e il restauro” [24].
In questa categoria si trova, d’altra parte, il patrimonio sommerso, che ha generato interessanti dibattiti giurisprudenziali [25], in particolare per la situazione del Galeone San José, forse il più importante naufragio dell’epoca, importante al punto tale da consigliare la definizione di una legislazione speciale, particolarmente rigorosa. Di fronte all’imminenza dell’incontro del naufragio, il Governo Nazionale ha promosso la legge 1675 del 2013, in cui è stato così definito il patrimonio culturale sommerso:
“ARTICOLO 2o. DEL PATRIMONIO CULTURALE SOMMERSO. Il Patrimonio Culturale Sommerso, conformemente agli articoli 63 e 72 della Costituzione Politica, fa parte del patrimonio archeologico ed è di proprietà della Nazione. Fatto salvo l’articolo 6 della legge 397 del 1997, il Patrimonio Culturale Sommerso è composto da tutti i beni risultanti dall’attività umana, che sono rappresentativi della cultura che si trovano permanentemente immersi in acque interne, fluviali e lacustri, nel mare territoriale, nella zona contigua, nella zona economica esclusiva e sulla piattaforma continentale e insulare, e altre zone delimitate dalla linea di base. Fanno parte di questo patrimonio i resti organici e inorganici, gli insediamenti, i cimiteri e tutte le prove fisiche di gruppi umani scomparsi, resti umani, specie nautiche costituite da navi o manufatti navali e le loro dotazioni, i loro resti o parti, dotazioni o elementi giacenti all’interno di queste, qualunque sia la loro natura o stato, e qualunque sia la causa dell’immersione, affondamento, naufragio”.
Questa definizione comporta una serie di conseguenze che cercheremo di esporre brevemente qui di seguito [26]: a. l’integrazione del patrimonio immerso nel patrimonio archeologico della Nazione, che lo trasforma automaticamente in complesso di beni di proprietà dello Stato; b. si applica il criterio della rappresentatività come elemento determinante della qualificazione di patrimonio archeologico; c. la definizione si applica generalmente a tutti i tipi di corpi idrici, ossia si tratta di un concetto estensivo dei beni sommersi, non limitato alle acque marittime; d. comporta un concetto estensivo di patrimonio, poiché trascende il concetto di beni per accogliere ogni evidenza fisica di gruppi umani, anche i suoi resti; e. tuttavia, la legge 1672 del 2013 impone un limite temporale, che era stato abbandonato nel sistema nazionale dal 2008, ovvero 100 anni per identificare il contenuto del patrimonio culturale sommerso.
Il dibattito centrale che tale disposizione normativa ha suscitato riguarda direttamente i criteri stabiliti dal legislatore per identificare il patrimonio culturale, che sono definiti nella stessa legge: rappresentatività, singolarità, ripetizione, stato di conservazione, importanza scientifica e culturale. Si è cercato di escludere dall’applicazione della legge le monete e i lingotti d’oro al fine di consentirne la commercializzazione, esclusioni che sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale nelle sentenze C-264 del 2014 e C-553 del 2014.
Questo panorama delle diverse categorie che compongono il patrimonio culturale permette di comprendere la portata concreta del modo in cui le diverse manifestazioni della cultura sono protette. Nel caso specifico di cui al presente articolo, occorre porre l’accento sulla dichiarazione dei beni di interesse culturale, sulla loro natura giuridica e sui loro effetti sul diritto di proprietà.
2.3. Beni di interesse culturale: patrimonio culturale, proprietà pubblica e proprietà privata
La legge 397 del 1997 stabilisce che la “dichiarazione di interesse culturale può ricadere su un bene materiale specifico o su una raccolta o un insieme specifico in cui la dichiarazione contiene le misure appropriate per conservarlo come unità indivisibile” (art. 4.b) e, d’altra parte, che i beni che integrano il patrimonio culturale della Nazione “possono appartenere, a seconda dei casi, alla Nazione, a enti pubblici di qualsiasi ordine o a persone naturali o giuridiche di diritto privato” (art. 4.c.). Pertanto, il Patrimonio culturale è una categoria rivolta alla promozione dell’interesse generale [27], che si concretizza nella dichiarazione di bene d’interesse generale. Tale dichiarazione comporta una limitazione del diritto di proprietà, pubblico o privato, come sottolineato dalla Corte costituzionale:
“La giurisprudenza costituzionale ha sottolineato che la dichiarazione di un bene come parte integrante del patrimonio culturale della Nazione comporta una serie di restrizioni al diritto di proprietà e di imposizione di oneri per i proprietari di tale bene, i quali incidono sulla disponibilità e quindi sull’uso o sulla destinazione che viene impressa al bene per scopi di conservazione e di protezione’. Tuttavia, tali restrizioni trovano piena giustificazione costituzionale, proprio per l’importanza che riveste per lo Stato, la comunità e il singolo, la conservazione e la cura del patrimonio culturale della Nazione, in particolare, se si considera che la Colombia è un paese multietnico e pluriculturale e che, in quanto tale, possiede manifestazioni culturali diverse, che devono essere protette, conservate e divulgate affinché siano testimonianza dell’identità culturale nazionale, nel presente e nel futuro” [28].
Pertanto, il patrimonio culturale rappresenta una categoria rivolta all’interesse generale [29], che definisce un regime giuridico applicabile a beni pubblici e privati, con cui si intende adeguare l’uso del singolo bene al concreto raggiungimento dell’obbiettivo di tutelare la cultura [30]. Viene messo in atto uno speciale regime giuridico il cui scopo è quello di realizzare la “salvaguardia, conservazione, recupero, protezione, sostenibilità e divulgazione” del patrimonio culturale, ma in nessun caso viene imposta l’applicazione di quello che è stato chiamato il trittico di tutela, costituito dalle regole di inalienabilità [31], imprescrittibilità e non trasferibilità, e la conseguente riserva del patrimonio archeologico in capo alla Nazione, patrimonio che dunque permane di appartenenza pubblica, come sopra osservato.
L’idea che il patrimonio culturale sia una categoria di interesse pubblico, e non un bene di proprietà pubblica, è stata anche avallata dalla Corte costituzionale, la quale nella sentenza del 2006 ha affermato che “la protezione del patrimonio culturale della Nazione implica, al tempo stesso, la restrizione dei diritti, quali le libertà economiche e di disposizione dei beni di proprietà privata, ma va considerato che il controllo statale su beni che non sono di proprietà dello Stato (artt. 58 e 333 della Carta) non può essere generalizzato” [32]. Successivamente, è stato specificato che:
“La destinazione all’interesse culturale non rende inalienabili, non usucapibili e non sottoponibili ad espropriazione forzata i beni privati oggetto di dichiarazione, che sono invece soggetti ad un regime giuridico speciale di limitazione dei poteri di disposizione; essi godranno dei benefici determinati dalla legge come equivalente tariffario degli oneri loro imposti. I beni pubblici di interesse culturale sono sottoposti al trittico di protezione per determinazione dell’articolo 10 della legge 397 del 1997” [33].
In generale, ma non in modo assoluto, tutti i sistemi di protezione del patrimonio culturale implicano una dichiarazione formale da parte della pubblica amministrazione - cioè un atto amministrativo che dichiara il bene come soggetto al regime del patrimonio culturale, oppure di inclusione nell’elenco del patrimonio culturale immateriale –, la concretizzazione di un meccanismo di difesa e di conservazione - regime di licenza e di sanzione - e, infine, un regime di gestione (ad esempio i Piani speciali per il loro sfruttamento).
Qui il legislatore ha utilizzato la tecnica della declinazione all’interesse generale, al fine di attribuire alle autorità locali e nazionali, incaricate di tutelare le diverse manifestazioni culturali, la funzione di integrare i beni pubblici e privati nella stessa categoria al fine di dirigerne la gestione con regole comuni, in particolare attraverso regolamenti urbanistici generali o strumenti di pianificazione intermedia, denominati Piani Speciali di Gestione e Protezione. Questa facoltà è presente in tutte le autorità amministrative, ma in particolare in quelle che appartengono al settore Cultura a livello nazionale e agli enti territoriali [34], per espressa disposizione costituzionale [35].
Nel caso dei beni di interesse culturale, come nel caso di altre categorie di interesse generale, “solo l’atto amministrativo che ordina l’iscrizione nel registro dei beni di interesse culturale determina l’applicazione del regime giuridico specificamente concepito dalla legge generale sulla cultura”. Tuttavia, “il fatto che una manifestazione culturale non sia dichiarata patrimonio culturale della Nazione non conduce alla sua mancanza di protezione” [36], come affermato dalla Corte costituzionale. La dichiarazione, come è stato detto, non implica che il bene fuoriesca dall’ambito del commercio, ma contiene una serie di importanti restrizioni del diritto di proprietà, che sono contenute nella legge e nel Piano Speciale di Gestione e Protezione, la cui inosservanza dà luogo alle misure sanzionatorie, anche penali, previste dall’ordinamento giuridico.
Mutando prospettiva, e guardando al livello locale, si nota chiaramente l’incidenza della regolamentazione del patrimonio culturale sul diritto di proprietà e sul governo del territorio; nella prossima sezione saranno considerate le competenze e le condizioni necessarie per integrare un bene immobile nel Patrimonio Culturale, attraverso la categoria BIC, per poi esaminare il regime dell’ordinamento culturale del territorio.
3. La pianificazione culturale sul territorio
Hector Santaella, in un celebre lavoro sull’assetto del territorio, afferma “in quanto spazio fisico di esecuzione di competenze riconosciute ad autorità responsabili della gestione e realizzazione di interessi settoriali diversi, sul territorio convergono interessi, attori, logiche e priorità tra le più disparate” [37]. In questo articolo si individuano tre modelli di gestione del territorio, quello urbanistico, quello ambientale e quello minerario; è possibile però aggiungere anche quello culturale. Da un lato, infatti, si vuole sostenere che, attualmente, il concetto di pianificazione culturale del territorio trascenda quello strettamente urbanistico e, dall’altro, che esistono strumenti autonomi, propri della disciplina della pianificazione culturale, che trascendono i meccanismi propri del diritto urbanistico.
È importante sottolineare che, nelle seguenti riflessioni, non si farà riferimento a tutte le manifestazioni della cultura, nemmeno a quelle considerate come patrimonio culturale immateriale, che sono locali e indiscutibilmente legate al territorio, perché ciò amplierebbe notevolmente la portata del lavoro; semplicemente, saranno considerate quelle manifestazioni che si concretizzano in beni immobili e che incidono sulla categoria “ordinamento territoriale”, cioè quella che emerge dalla dichiarazione di Bene di Interesse Culturale (1) che motiva l’adozione di un Piano Speciale di Gestione e Protezione (2), e che attiva un insieme di conseguenze dal punto di vista della sua protezione giudiziaria e amministrativa (3).
3.1. La dichiarazione di interesse culturale come prerequisito per la pianificazione [38]
La dichiarazione di Bene di interesse culturale (BIC) integra il bene stesso nella categoria del Patrimonio Culturale; ciò determina la nascita di un regime di protezione della cultura che incide in modo decisivo sulla gestione del bene e sull’assetto del territorio. Pertanto, affinché un bene immobile possa essere considerato parte integrante del patrimonio culturale, è necessario che esso sia preventivamente dichiarato come BIC. Esistono condizioni di competenza, procedurali e sostanziali che determinano la fondatezza di tale dichiarazione.
La competenza a dichiarare un bene come BIC appartiene a diversi livelli di decisione territoriale, ragion per cui esistono BIC nazionali, dipartimentali, distretti e municipali. Tuttavia, si tratta di decisioni che coinvolgono diverse autorità amministrative, di ordine nazionale e locale, secondo la regolamentazione del Sistema nazionale del Patrimonio culturale della Nazione, attualmente regolamentato dal DRU No. 1080 del 2015. In tal modo, si crea un sistema globale di competenze che incidono sulle decisioni in materia di assetto territoriale e altre direttamente sul patrimonio.
La verità è che questa pluralità di competenze, pur concepita in una logica di sistema, non ha risolto i dubbi circa le competenze delle autorità locali e la portata delle misure che possono essere esercitate per la protezione, né ha chiarito la difficile articolazione degli strumenti di pianificazione e di controllo. In effetti, in un’altra occasione si è potuto osservare che, si tratta di “un insieme di istituzioni, di regole e di principi organizzati e interconnessi che contribuiscono a un determinato fine, in questo caso la salvaguardia, la conservazione, il recupero, la protezione, la sostenibilità e la divulgazione del patrimonio culturale, la cui distribuzione delle competenze nella pratica si è rivelata complessa e non coordinata” [39].
Di fronte alla consapevolezza che il Piano di Ordinamento Territoriale, Plan de ordenamiento territorial, (POT) è il principale strumento di gestione del territorio, come si vedrà in seguito, le norme in materia di protezione culturale sono determinanti per l’ordinamento del territorio, perché “il POT è un atto amministrativo che è gerarchicamente subordinato alle norme giuridiche relative al patrimonio culturale” [40]. Ma su questo specifico aspetto si tornerà più avanti.
Dal punto di vista procedurale, lo Stato, attraverso il Ministero della Cultura e previo concerto con il Consiglio dei Monumenti Nazionali, è responsabile della dichiarazione e della gestione dei monumenti nazionali e dei BIC di carattere nazionale. Sul piano locale, la competenza appartiene agli enti territoriali del livello comunale, distrettuale, dipartimentale - attraverso l’operato dei sindaci e dei rispettivi governatori - nonché agli enti dei territori e delle comunità indigene, previo concerto con gli enti periferici del Consiglio dei monumenti nazionali se esistenti, o, in mancanza, con l’ente delegato dal Ministero della cultura. Ne deriva che, da un lato, esistono BIC nazionali, dipartimentali, distretti e municipali, e, dall’altro, che uno stesso bene può essere considerato BIC su diversi di questi livelli. In altre parole, “uno stesso bene immobile potrebbe vantare simultaneamente la dichiarazione come BIC di carattere nazionale e allo stesso tempo la dichiarazione comunale, distrettuale, dipartimentale o delle autorità indigene e delle comunità nere, o soltanto una di queste” [41].
La procedura di dichiarazione di un BIC, sia in ordine nazionale che territoriale, implica le seguenti fasi:
a. L’inserimento nell’elenco indicativo dei candidati a BIC da parte dell’autorità competente che effettua la dichiarazione, previa identificazione dei criteri e dei valori che ne giustificano la dichiarazione.
b. L’autorità competente per la dichiarazione stabilisce se il bene richiede un Plan Especial de Manejo y Protección (PEMP), cioè il Piano speciale di gestione e protezione, sulla base delle informazioni contenute nell’elenco indicativo.
c. Il Consiglio nazionale del patrimonio culturale per quanto riguarda i beni a livello nazionale, o il rispettivo Consiglio dipartimentale o distretto del patrimonio culturale, a seconda dei casi, emette il proprio parere sulla dichiarazione e sul PEMP, se le caratteristiche del bene lo richiedono.
d. Se il parere del Consiglio del patrimonio culturale è favorevole, l’autorità procederà alla dichiarazione, mediante un atto amministrativo che si considera di natura mista, trattandosi di un atto amministrativo di carattere generale, ma con effetti particolari e specifici nei confronti dei proprietari di beni immobili di proprietà privata oggetto della dichiarazione.
e. Lo stesso atto amministrativo approva il PEMP, se richiesto [42].
f. Sia la dichiarazione di BIC sia l’esistenza del PEMP devono essere trascritte nel registro immobiliare corrispondente al bene immobile o immobile interessato dalla misura [43], al fine di conferire la relativa pubblicità.
g. La revoca della dichiarazione può essere effettuata solo dall’autorità che l’ha decretata, previa verifica della perdita delle qualità che l’hanno inizialmente motivata.
La dichiarazione come BIC deve essere fatta prendendo in considerazione i criteri di valutazione stabiliti a tal fine dal ministero della Cultura, che sono definiti e regolamentati nel DRU No. 1080 del 2015. È importante ricordare che uno stesso bene può riunire tutti o alcuni dei valori o basarsi su uno o più criteri di valutazione.
I criteri di valutazione sono:
1. Anzianità | Determinata dalla data o dall’epoca di origine o dalla costruzione del bene. |
2. Autore | Identificazione dell’autore, degli autori o del gruppo che hanno lasciato testimonianza della loro produzione, associata a un’epoca, stile o tendenza. |
3. Autenticità | Determinata dallo stato di conservazione del bene e dalla sua evoluzione nel tempo. Si riferisce alla sua costituzione originale e alle trasformazioni e agli interventi successivi, che devono essere chiaramente leggibili. Le trasformazioni o alterazioni della struttura originaria non devono alterarne il carattere. |
4. Costituzione del bene | Riguarda i materiali e le tecniche di costruzione o di lavorazione. |
5. Forma | Si riferisce agli elementi compositivi e ornamentali del bene rispetto alla sua origine storica, alla sua tendenza artistica, stilistica o di design, con lo scopo di riconoscerne l’uso e il senso estetico. |
6. Stato di conservazione | Condizioni fisiche del bene che si riflettono, tra l’altro, nei materiali, nella struttura, nella spazialità o nella volumetria. Tra le condizioni che lo determinano vi sono l’uso, la cura e il mantenimento del bene. |
7. Contesto ambientale | Si riferisce alla costituzione e alla realizzazione del bene in relazione all’ambiente e al paesaggio. |
8. Contesto urbano | Si riferisce all’inserimento del bene come unità individuale, in un settore urbano consolidato. Occorre analizzare caratteristiche quali il profilo, il design, le finiture, la volumetria, gli elementi urbani, l’organizzazione, gli elementi pieni e vuoti e il colore. |
9. Contesto fisico | Si riferisce al rapporto del bene con il suo luogo di ubicazione. Analizza il suo contributo alla conformazione e sviluppo di un sito, città o paesaggio. Se il bene si trova all’interno di un immobile, occorre verificare se è stato concepito come parte integrante di quest’ultimo e/o se è stato associato ad una nuova destinazione e funzione rilevanti all’interno dell’edificio. |
10. Rappresentatività e contestualizzazione socioculturale | Si riferisce al significato culturale che il bene ha nella misura in cui crea legami emotivi nella società. Rivela il senso di appartenenza di un gruppo umano sui beni del suo habitat, in quanto comporta riferimenti collettivi di memoria e di identità. |
I criteri di valutazione di cui sopra consentono di attribuire valori ai beni quali:
1. Valore storico | Un bene ha valore storico quando è costituito in documento o testimonianza per la ricostruzione della storia, così come per la conoscenza scientifica, tecnica o artistica. È il legame diretto del bene con epoche, processi, eventi e pratiche politiche, economiche, sociali e culturali, gruppi sociali e persone di particolare importanza a livello mondiale, nazionale, regionale o locale. |
2. Valore estetico | Un bene possiede valore estetico quando si riconosce in questo attributo una qualità artistica, o di design, che riflettono un’idea creativa nella sua composizione, nella tecnica di lavorazione o costruzione, come pure nelle tracce di utilizzo e di utilizzo lasciate dal passare del tempo. Questo valore è legato alla valutazione delle caratteristiche formali e fisiche del bene e alla sua materialità. |
3. Valore simbolico | Un bene ha valore simbolico quando manifesta modi di vedere e di percepire il mondo. Il valore simbolico ha un forte potere di identificazione e di coesione sociale. Il simbolo mantiene, rinnova e attualizza desideri, emozioni e ideali costruiti e interiorizzati che collegano tempi e spazi di memoria. Questo valore si riferisce al collegamento del bene con processi, pratiche, eventi o attività significativi per la memoria o lo sviluppo costante della comunità. |
Si tratta quindi di atti complessi nella loro formazione, in cui prevalgono le considerazioni tecniche quanto alla provenienza della dichiarazione. La preesistenza di una dichiarazione di BIC è quella che porta al rilascio e all’attuazione di un Piano Speciale di Gestione e Protezione, come determinante dell’ordinamento del Territorio.
3.2. Gli strumenti di gestione e di protezione
La dichiarazione di un BIC comporta l’applicazione di un regime di gestione e di protezione e, di norma, implicherà la formulazione di un PEMP, strumento principale nella gestione del patrimonio culturale (2.1), nonché una disciplina propria, la quale incide sul rilascio delle licenze, sul regime sanzionatorio e sulla sua tutela giurisdizionale (2.2).
3.2.1. Lo strumento principale: il Piano Speciale di Gestione e Protezione (PEMP)
Dal punto di vista costituzionale, la funzione di assetto del territorio è espressione dell’autonomia degli enti territoriali, in base alla quale è garantita l’autonomia del territorio e sono gestiti principalmente interessi generali di natura locale [44]. Pertanto, anche se si basa sui principi di concorrenza e coordinamento [45] a causa dei diversi interessi generali nazionali e locali che lo riguardano [46], il titolare della competenza nel sistema giuridico colombiano sarà, almeno nel settore urbanistico [47], l’ente territoriale interessato. Tuttavia, tale titolarità può diventare diffusa o condivisa, a seconda dell’origine e del fondamento della limitazione e dell’ambito concreto di discrezionalità nella determinazione del legislatore in materia [48]. In ogni caso, tenuto conto dell’ampio utilizzo della pianificazione come strumento di gestione territoriale, e in generale amministrativa, il rilascio dello strumento dipenderà dalla titolarità dell’interesse che si intende regolare e, per il caso in esame, dell’autorità che ha dichiarato il BIC.
Nell’ordinamento giuridico colombiano, come in tanti altri, l’assetto del territorio rientra in strumenti di pianificazione che, basati su una logica di obiettivi a medio, breve e lungo termine, contengono regole generali e particolari, che permettono di determinare e dirigere lo sviluppo degli interessi che confluiscono nel territorio [49]. Tali strumenti generali di pianificazione (POT, PBOT o EOT) dovrebbero, nella maggior parte dei casi, essere attuati mediante strumenti di pianificazione intermedia (unità di pianificazione zonale, piani parziali) o integrati con strumenti di pianificazione settoriale (Piani Maestri e PEMP, tra gli altri), per poter raggiungere i compiti stabiliti, che saranno poi definiti attraverso specifici sviluppi urbanistici, autorizzati normalmente mediante licenze.
Attualmente, è chiaro che tali strumenti richiamano vari tipi di attività amministrative, quali la polizia amministrativa, l’intervento dello Stato sul mercato immobiliare, la promozione di attività economiche o la garanzia dei diritti fondamentali e collettivi attraverso la protezione o la fornitura di infrastrutture [50].
È chiaro, allora, che questa funzione incide su numerose attività umane che si svolgono sul territorio e, pertanto, sui diritti degli amministrati. La verità, tuttavia - e su questo punto occorre la massima precisione - l’obiettivo stesso dell’attività di assetto del territorio è la definizione e delimitazione del contenuto dei diritti degli amministrati, in particolare quello di proprietà, al fine di rispettare gli interessi generali, locali e nazionali, settoriali o globali, per cui “non si tratta di semplici limitazioni amministrative al diritto di proprietà, ma di definirne il contenuto” [51].
Questi strumenti di pianificazione diventano lo strumento più importante per definire - appunto - il contenuto del diritto di proprietà. Il legislatore non ha più il ruolo principale nella caratterizzazione del contenuto del diritto, perché questo ruolo è in capo all’amministrazione, anzi all’amministrazione tecnica, poiché l’organo politico (il Congresso) crea solo lo strumento, ma le decisioni saranno prese da quest’ultima [52]. La stabilità del contenuto del diritto varia rapidamente, senza che vi sia un maggiore controllo politico e diventi meno accessibile al cittadino, che dovrà ricorrere a regolamentazioni settoriali concrete e specializzate per verificare la giustificazione di una determinata limitazione, senza realmente arrivare a comprenderla. Il contenuto del diritto di proprietà è oggi nelle mani dei tecnici incaricati della protezione dell’ambiente, dell’urbanistica, dello sviluppo agricolo e del patrimonio culturale.
Questa importante trasformazione, la scissione del contenuto del diritto di proprietà e la sua gestione attraverso strumenti di pianificazione, hanno cambiato anche la metodologia degli interventi normativi. Se, tradizionalmente, si diceva che il cittadino fosse legato in modo negativo alla legalità, può fare tutto ciò che non è vietato, oggi, almeno per quanto riguarda il diritto di proprietà immobiliare, il legame è positivo, può fare solo quello che il Piano di Gestione gli permette di fare.
Una volta stabiliti gli aspetti teorici dei PEMP, si possono analizzare due delle sue dimensioni più importanti: da un lato, la loro qualificazione come determinanti dell’ordinamento territoriale, dall’altro, gli aspetti procedurali e sostanziali.
Nello stesso senso, la legge 388 del 1997 riconosce il patrimonio culturale, sia urbano che rurale, stabilendo che i Piani di Organizzazione Territoriale devono includere le determinanti legate alla tutela del patrimonio culturale e storico di ciascuno di quei territori. Tale riconoscimento è dato anche nell’ambito del decentramento tecnico, amministrativo e finanziario stabilito dalla Costituzione Politica, che ha stabilito la determinazione del regime di uso del suolo e la pressione fiscale in materia immobiliare a capo degli enti territoriali. In effetti, la legge 388 del 1997, nel suo articolo 10, stabilisce:
“Fattori determinanti dei piani territoriali: nell’elaborazione e nell’adozione dei rispettivi piani di assetto territoriale, i comuni e i distretti devono tener conto dei seguenti fattori determinanti, che costituiscono norme di gerarchia superiore, nei rispettivi settori di competenza, conformemente alla Costituzione e alle leggi:
(...)
2. Le politiche, le linee guida e i regolamenti in materia di conservazione, preservazione e utilizzo delle aree e degli immobili considerati patrimonio culturale della Nazione e dei dipartimenti, compresi quelli storici, artistici e architettonici, conformemente alla legislazione pertinente”.
Non vi è quindi dubbio che le norme che le disposizioni sulla conservazione, la preservazione e l’uso delle aree e degli immobili dichiarati come BIC prevarranno al momento dell’adozione, della modifica o dell’adeguamento dei Piani di Ordinamento Territoriale dei Comuni e dei Distretti.
La legge definisce il PEMP come “lo strumento di gestione del patrimonio culturale attraverso il quale sono stabilite le azioni necessarie per garantirne la protezione e la sostenibilità nel tempo” [53]. In questo modo il PEMP “si consolida come lo strumento per eccellenza, non solo per la protezione, ma anche per l’attuazione delle azioni necessarie al recupero integrale dei beni di interesse culturale (BIC) e alla loro sostenibilità nel tempo, trasformandoli in valore aggiunto per lo sviluppo socioeconomico delle comunità” [54].
Risulta chiara la funzione che i EPMP svolgono nell’ordinamento territoriale, per effetto della dichiarazione di BIC di un immobile o di un gruppo di immobili: l’ente pubblico che deve gestire il bene - Comune o Distretto - deve adottare un piano in cui devono essere definite le condizioni necessarie per la sua gestione e protezione. È un atto amministrativo di natura mista, che è inquadrato come un complesso di regole sulla gestione del territorio comunale e come strumento di pianificazione intermedio.
La legge 1185 del 2008 e il DRU 1080 del 2015 determinano il contenuto del PEMP, pur con alcune differenze:
Requisiti |
Requisiti |
a. L’area interessata
b. La zona di influenza c. Il livello consentito di intervento d. Le condizioni di gestione e. Il piano di divulgazione |
a. Area affettata
b. Zona di Influenza c. Livello consentito di Intervento: d. Condizioni di
utilizzo: e. Piano di divulgazione |
Il PEMP indica l’area interessata, la zona di influenza, il livello di intervento consentito [55] e le condizioni per la gestione del BIC.
Seguendo lo scopo di questo testo, mi riferirò nello specifico al PEMP dei Centri Storici e dei Monumenti nello Spazio Pubblico, quale manifestazione più significativa della gestione e tutela dei BIC nel territorio. Pertanto, in conformità con le disposizioni dell’art. 2.4.1.3.1. della DRU 1080 del 2015, la formulazione del PEMP corrisponde alle Autorità Distrettuali o Comunali del territorio in cui si trovano; invece, nel caso dei Monumenti Nazionali, la competenza spetta al Ministero della Cultura.
Sebbene non esista una procedura specifica e regolamentata per emettere la PEMP - come nel caso del POT –, ci alcuni passaggi che devono essere seguiti, che generalmente corrispondono a due fasi principali: da un lato, l’analisi e la diagnosi e, dall’altro, la proposta globale.
La fase di analisi deve contenere uno studio storico e una valutazione del BIC con gli opportuni livelli di intervento, tre tipologie di diagnosi e una sintesi: la fisica spaziale (che comprende i seguenti temi: contesto urbano e territoriale, struttura urbana, ambiente, spazio pubblico, accessibilità e mobilità, usi del suolo, abitazione, infrastrutture stradali e servizi pubblici, attrezzature), la diagnosi socio-economica e la diagnosi giuridico-istituzionale (che, a sua volta, contiene la valutazione del quadro giuridico e la valutazione istituzionale e finanziaria).
La sintesi della diagnosi deve comprendere l’individuazione di zone omogenee (che porteranno alla definizione dei settori urbani normativi), la classificazione degli immobili, l’identificazione dei conflitti urbani, architettonici, legali, l’identificazione delle principali esigenze di conservazione del centro storico e di progettazione del suo valore e l’elaborazione della carta di formazione catastale.
A partire dalla diagnosi, viene formulata la proposta integrale, il cui contenuto deve corrispondere a quanto stabilito dalla legge 1185 del 2008. Una volta formulata la proposta integrale, si rinvia per approvazione [56], con tutta la documentazione di supporto, al Ministero della Cultura, previo concetto del Consiglio Nazionale del Patrimonio.
Dopo la procedura interna, il ministero della Cultura deve rilasciare la decisione di approvazione del PEMP che, per entrare in vigore, deve essere pubblicata nella Gazzetta ufficiale. Le autorità competenti effettuano ispezioni tecniche annuali per monitorare l’attuazione del PEMP, come previsto all’art. 2.4.1.3.4, paragrafo 1.
Al di là degli aspetti procedurali e di competenza, ritengo opportuno sottolineare tre aspetti di particolare importanza.
In primo luogo, è chiaro che il contenuto del PEMP non consente di definirlo uno strumento strettamente urbano o monumentale. Il grande vantaggio di questo Piano è che mira a regolamentare i Centri Storici in tutte le loro dimensioni, cioè non ha solo lo scopo di proteggere gli edifici o gruppi di edifici dichiarati BIC, ma anche di proteggere le diverse manifestazioni socioculturali che sono oggi presenti. Per questo la visione del PEMP che la legge si propone di garantire è multidimensionale, trascende l’architettura e allo stesso tempo tutela il patrimonio culturale in tutte le sue dimensioni, una delle quali, ma non l’unica, quella dell’urbanistica e dell’uso del suolo.
Questa natura multidimensionale ha, in secondo luogo, conseguenze in relazione alla sua approvazione e tracciamento. Da un lato, a differenza di quanto accade con il POT, il PEMP non prevede una procedura di partecipazione dei cittadini a carattere vincolante, sebbene, come stabilito dal Ministero della Cultura, “è necessario sviluppare una strategia di comunicazione e di partecipazione attiva con la comunità (particolare e istituzionale) del sito. La strategia di partecipazione e di comunicazione deve poter continuare dopo il rilascio dell’atto amministrativo adottato dal PEMP”. Tuttavia, questo non è un meccanismo di partecipazione particolarmente incisivo, poiché l’ente competente è libero di redigere il PEMP, secondo le sue considerazioni tecniche. Non è nostra intenzione sostenere che maggiore è la partecipazione, migliori sono gli standard, perché la questione è piuttosto tecnica e la partecipazione dei cittadini potrebbe effettivamente non avere grande peso; tuttavia, il PEMP è uno standard multidimensionale che cerca di regolare tutte le dimensioni del Patrimonio Culturale in territorio e correggere comportamenti dannosi e, per questo motivo, richiede meccanismi di consultazione con la collettività.
Il terzo aspetto, legato a quanto sopra osservato, riguarda il fatto che il deficit di partecipazione nel procedimento di adozione del PEMP può generare problemi, in ragione del suo rango superiore e condizionamento del POT, adottato da una struttura dell’Ufficio del Sindaco, con la partecipazione del Ministero della Cultura. Questa situazione può generare disparità normativa tra il POT - un piano “di lungo periodo” –, con un’importante componente politica, e il PEMP, con un contenuto più tecnico e che è prevalente rispetto alle norme “politiche”, situazione che può essere aggravata se considera che il PEMP determinerà l’uso del suolo in aree importanti della città.
3.2.2. La disciplina dei beni culturali nella sua dimensione territoriale
Un’altra conseguenza della dichiarazione BIC consiste nella specializzazione del regime di intervento nell’immobile. Quando il PEMP non è richiesto o non è stato adottato [57], gli interventi devono essere approvati dall’autorità nazionale o territoriale competente, a seconda del tipo di dichiarazione in questione, come presupposto obbligatorio per il rilascio delle licenze urbanistiche nel BIC e quelli adiacenti [58].
Per quanto riguarda il controllo degli interventi, l’ordinamento giuridico ha previsto un sistema di protezione che integra un regime generale sanzionatorio e penale al fine di proteggere l’intangibilità del patrimonio, la cui applicazione - tipicità e illegalità - dipende anche dalla categoria di patrimonio che viene protetta.
Sono stati elaborati regimi sanzionatori speciali [59] al fine di garantire in modo specifico il rispetto di questo tipo di beni giuridici tutelati. È importante sottolineare che, nel caso del patrimonio culturale, le sanzioni sono particolarmente elevate [60], cioè sono inversamente proporzionali alla debole capacità tradizionale dello Stato di proteggere il patrimonio culturale.
In base alle norme che stabiliscono la tutela del patrimonio culturale, è dovere dei proprietari dei beni che sono dichiarati beni di interesse culturale: 1) realizzare solo gli usi consentiti dalla legge e compatibili con il carattere di BIC; 2) garantire la tutela dei motivi che hanno condotto alla dichiarazione di un bene d’interesse culturale; 3) richiedere i permessi e le autorizzazioni corrispondenti per l’esercizio delle attività private.
Tali obblighi trovano un riferimento in attività vietate nel Codice Nazionale di Polizia e Convivenza e la loro configurazione dà luogo all’applicazione delle misure correttive, ai sensi dell’articolo 115 di tale codice, ai sensi delle quali:
“ARTICOLO 115. COMPORTAMENTI CONTRARI ALLA PROTEZIONE E ALLA CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE. Oltre a quanto previsto dall’articolo 15 della legge 397 del 1997, modificato dall’articolo 10 della legge 1185 del 2008, i seguenti comportamenti costituiscono una minaccia per il patrimonio culturale e non devono pertanto essere commessi:
(...)
2. Violare le disposizioni relative alla conservazione, alla preservazione e all’uso delle aree e degli immobili di interesse culturale conformemente alle leggi nazionali e ai piani speciali di gestione e protezione (PEMP) approvati dal ministero della Cultura o dall’autorità competente; norme che sono di rango superiore ai Piani di Ordinamento Territoriale.
3. Intervenire, nei termini stabiliti dal secondo punto dell’articolo 11 della legge 397 del 1997, modificato dall’articolo 7 della legge 1185 del 2008, su un bene di interesse culturale o di patrimonio architettonico, senza la licenza o l’autorizzazione dell’autorità che ha effettuato la dichiarazione o senza la consulenza in materia di ristorazione di personale autorizzato.
(...)
7. Omettere o non compiere le azioni necessarie di adeguata manutenzione che competono al possessore, detentore o proprietario di un immobile o mobile dichiarato come Bene di Interesse Culturale, in modo che ciò comporti un deterioramento della struttura dell’immobile e metta a rischio i valori culturali, storici, architettonici, archeologici, patrimoniali, culturali, urbanistici o paesaggistici dell’immobile.”
È inoltre importante tener conto del fatto che la destinazione del patrimonio culturale comporta l’imposizione di misure correttive proprie della protezione specializzata, ma anche di quelle generalmente applicabili alla violazione dell’ordinamento urbanistico [61].
Infine, per quanto riguarda il regime di tutela giudiziaria, si deve tener conto del fatto che, a causa della qualificazione del patrimonio culturale come diritto collettivo, nel sistema colombiano si apre la possibilità di avviare un’azione popolare per far cessare qualsiasi attività pubblica o privata che possa riguardarlo o per ripristinare gli effetti nocivi che potrebbero essere stati causati [62]. La sentenza pronunciata in seguito all’esercizio di tale azione “può contenere un ordine di fare o di non fare, può condannare al risarcimento del danno qualora sia stato leso un diritto o un interesse collettivo a favore dell’ente pubblico non colpevole che li detiene a carico, e esigere l’esecuzione di comportamenti necessari per riportare le cose allo stato precedente alla violazione del diritto o dell’interesse collettivo, quando sia fisicamente possibile” [63].
L’azione di esecuzione sui beni di interesse culturale avente per oggetto l’effettivo rispetto di leggi o atti amministrativi direttamente connessi alla protezione e difesa dei BIC può essere intentata da chiunque. Analogamente, esistono precedenti in merito all’utilità dell’azione di tutela “in via transitoria, quando è presentata in relazione al rilascio di una licenza di costruzione che riguarda uno o più beni del patrimonio culturale, in particolare quando questi sono beni di interesse culturale e quando, con l’azione delle autorità amministrative, si può causare un danno irreparabile in diritti come il giusto processo e la partecipazione” [64]; in questo caso, è possibile chiedere, la deroga e la sospensione della licenza di costruzione a titolo provvisorio.
In conclusione, è chiaro che, nell’ordinamento costituzionale colombiano, la cultura ha una protezione speciale, a tal punto che parte della giurisprudenza ha riconosciuto l’esistenza di una Costituzione culturale. Tale protezione si concretizza attraverso la figura del patrimonio culturale, che si integra, dal punto di vista materiale, a partire dalla destinazione di Bene di Interesse Culturale. Questa categoria, a sua volta, è alla base della strutturazione della gestione della cultura nel territorio, attraverso i Piani Speciali di Gestione e Protezione. La tutela del patrimonio culturale è determinante dell’ordinamento territoriale, lo definisce e lo delinea, ma ne trascende, poiché si tratta di interessi che, pur essendo radicati in autorità dei diversi livelli decisionali, contengono l’identità nazionale.
Tuttavia, l’articolazione tra gli strumenti non è sempre chiara, né semplice. Le esperienze in materia di rilascio dei PEMP variano notevolmente da un comune all’altro e non esiste un sostegno finanziario deciso dalle autorità nazionali per garantire alternative adeguate a una protezione sempre più rigorosa.
Per questo è necessario passare da una logica di gestione a una di valorizzazione, in cui il patrimonio culturale possa contribuire al sostegno finanziario delle città e sia percepito non come un onere significativo per il proprietario e la città, che vede limitato il suo suolo edificabile, ma come fonte di ricchezza, in una logica di sostenibilità e di sfruttamento economico e sociale [65]; in cui si possono utilizzare figure come il recupero del patrimonio urbano [66] e meccanismi finanziari che permettano di garantire un’adeguata condivisione degli oneri e dei benefici.
Questo approccio è uno tra i molteplici modi in cui la cultura si manifesta nel territorio, non necessariamente il più importante; ma il suo studio può servire da base per vedere come si concreta qualcosa di così etereo in strumenti di gestione del territorio che, senza dubbio, trascendono l’urbanistica. Il riconoscimento dell’autonomia della dimensione culturale del territorio è oggi un imperativo, poiché la cultura è una risorsa molto presente in questo Paese.
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Consejo de Estado, Sección Primera, sentencia del 29 de octubre de 1996, Exp. S-404.
Consejo de Estado, Sala de Consulta y Servicio Civil, concepto del 12 de junio de 2003, Rad. 1491.
Consejo de Estado, Sección Primera, sentencia del 5 de febrero de 2009, Exp. AP-864.
Consejo de Estado, Sección Tercera, Subsección A, sentencia del 9 de mayo de 2012, Exp. 21906.
Consejo de Estado, Sección Primera, sentencia del 10 de mayo de 2012, Exp. 76001-23-31-000-2010-01459-01(AP).
Consejo de Estado. Sala de Consulta y Servicio Civil. concepto del 27 de febrero de 2014, Rad. 2197.
Consejo de Estado, Sección Tercera, Subsección A, sentencia del 13 de agosto de 2014, Exp. 35965.
Consejo de Estado, Sección Tercera, Subsección A, sentencia del 12 de febrero de 2014, Exp. 26926.
Consejo de Estado, Sala Plena, sentencia de unificación del 13 de febrero de 2018, Exp-CE-SIJ 25000-23-15-000-2002-02704-01.
Corte Costituzionale
Corte Constitucional, sentencia C-191/98.
Corte Constitucional, sentencia C-366/00.
Corte Constitucional, sentencia C-063/02.
Corte Constitucional, sentencia C-474/03.
Corte Constitucional, sentencia C-189/06.
Corte Constitucional, sentencia C-742/06.
Corte Constitucional, sentencia C-434/10.
Corte Constitucional, sentencia T-537/13.
Corte Constitucional, sentencia C-082/14.
Corte Constitucional, sentencia C-224/16.
Corte Suprema di Giustizia
Corte Suprema de Justicia, Sala de Casación Civil, sentencia del 5 de julio de 2007, Exp. 08001-3103-010-1989-09134-01.
Note
[*] Julián Pimiento Echeverri, Doctor en Derecho público por la Universidad París II, Panthéon-Assas y Docente Investigador de la Universidad Externado de Colombia, Departamento de Derecho Procesal, julian.pimiento@uexternado.edu.co
[1] Il Consiglio di Stato colombiano, prima sezione, sentenza del 21 de noviembre de 2015, 2012-00122-01(AP), ritiene che in “cuanto pieza basal de la identidad nacional y patrimonio de todas las generaciones de colombianos, la Constitución ha hecho especial énfasis en la protección de los valores culturales que de una u otra manera engloban y son expresión del ser y el sentir nacional”.
[2] Un semplice sguardo alle accezioni del concetto che riconosce la Reale Accademia della Lingua Spagnola ne rende conto “1. f. cultivo. // 2. f. Conjunto de conocimientos que permite a alguien desarrollar su juicio crítico. // 3. f. Conjunto de modos de vida y costumbres, conocimientos y grado de desarrollo artístico, científico, industrial, en una época, grupo social, etc.// 4. f. desus. Culto religioso”.
[3] La spiegazione delle diverse correnti che hanno ispirato questi sviluppi legislativi e i loro fondamenti teorici si possono trovare in P. Restrepo-Navarro Le droit du patrimoine culturel colombien à l’épreuve de la restitution internationale des biens archéologiques, L’Harmattan, París, 2015, pag. 33 ss. La versione spagnola è stata recentemente pubblicata sotto il titolo El derecho del patrimonio cultural colombiano puesto a prueba con la restitución internacional de bienes arqueológicos, Ministero della Cultura, 2018.
[4] Cfr. O.D. Amaya Navas, La Constitución ecológica de Colombia, 3ª ed., U. Externado, 2016.
[5] Cfr. N. García Lozada, A. Sierra y J. Jorge, La Constitución económica de 1991: Intrumento jurídico para la democratización de la economía colombiana, Pensamiento jurídico, 1998, n. 10, UNal, pagg. 135-170; Anche, R. Uprimny y C. Rodríguez, Constitución y modelo económico en Colombia: hacia una discusión productiva entre economía y derecho, Debates de coyuntura económica, 2005, pagg. 24-40.
[6] A tal fine si cita: A. Pizzorusso, Lecciones de Derecho Constitucional. Centro de Estudios Constitucionales, T. I, Madrid, pag. 193 ss. Nello sviluppo di questa idea, la dottrina ha affermato che “la Constitución cultural es un concepto perfectamente asumible en el constitucionalismo contemporáneo. La cultura aparece reflejada en la Carta Magna de los modernos Estados como un concepto complejo y rico, como una realidad pluridimensional que implica derechos individuales, derechos colectivos y una trascendental y básica faceta de función social al servicio de la colectividad. Puede pues hablarse con toda propiedad, como hace la Doctrina italiana, de una triple Constitución política, económica y cultural”, C. López Bravo, El patrimonio cultural en el sistema de derechos fundamentales, U. de Sevilla, 1999, pag. 110.
[7] Q. Santaella, Bases constitucionales de la protección del patrimonio cultural en Colombia, in El patrimonio cultural en Europa y Latinoamérica, (a cura di) F. López Ramón, INAP, 2016, pag. 205.
[8] Corte costituzionale colombiana, sentenza C-082 del 2014.
[9] Consiglio di Stato, Sezione Prima, sentenza del 10 maggio 2012, Exp. 76001-23-31-000-2010-01459-01(AP).
[10] Corte costituzionale colombiana, sentenza C-224 del 2016. Si citano, inoltre, le seguenti pronunce: Corte costituzionale, C-204 del 1993, C-421 del 1997, C-366 del 2000, C-091 del 2001, C-1339 del 2001, C-863 del 2006, C-742 del 2006, C-441 del 2009, C-434 del 2010, C-818 del 2010, C-125 del 2011, C-882 del 2011, C-767 del 2012, T-537 del 2013, C-054 del 2013, C-082 del 2014, C-264 del 2014, C-553 del 2014.
[11] Consiglio di Stato, Sezione Terza, 21 novembre 2015, 2012-00122-01(AP). Rispetto a queste categorie, si v.: H. Santaella, Bases constitucionales de la protección del patrimonio cultural en Colombia (pagg. 201-223); J. Pimiento y A. Castro, El régimen del patrimonio cultural en Colombia. Una visión general desde el punto de vista normativo (pagg. 225-260), entrambi in El patrimonio cultural en Europa y Latinoamérica, a cura di F. López Ramón, INAP, Madrid, 2017.
[12] Cfr. J.M. Vargas Ayala, Los bienes de interés cultural y su naturaleza de bienes públicos, Revista Digital de Derecho Administrativo, 2017, n. 17, pagg. 293-308.
[13] Disponibile sulla pagina del Ministero della Cultura della Colombia.
[14] Dal XIX secolo, nel 1824, con la creazione del Museo Nazionale della Colombia, fu avviato un grande sforzo per proteggere quello che oggi è considerato come PCMU; con il Decreto 21 del 1906 fu proibita l’uscita dal Paese di “objetos que por su carácter singular y reconocido valor científico, histórico ó artístico deban reposar en el Museo Nacional”, tra cui alcuni oggetti di minerali rari, beni archeologici e originali di pittori morti (art. 2); la legge 47 del 1920 ha vietato l’uscita dal paese di diversi oggetti senza il previo consenso delle autorità competenti, ed in particolare ha vietato “sacar del país objetos de arte o cualquiera otros que a juicio de las expresadas Academias o Cuerpos Consultivos sean de importancia tradicional o histórica, ya sean objetos de propiedad pública o privada”; la legge 14 del 193 ha adottato il trattato sulla protezione dei mobili di valore storico, che ha reso la definizione di monumento mueble; sul punto, si segnala in particolare la legge 163 del 1959, quale prima legislazione integrale su beni mobili e immobili; la legge 63 del 1986 ed altre varie disposizioni normative hanno poi individuato gli impegni internazionali assunti dallo Stato colombiano.
[15] Gli immobili del settore urbano sono frazioni del territorio di una popolazione e attribuiscono a quest’ultima una fisionomia, caratteristiche e tratti distintivi che le conferiscono una certa unità e particolarità.
[16] Insieme di immobili ad uso pubblico e di elementi degli immobili privati destinati per loro natura, uso o destinazione al soddisfacimento di esigenze urbane collettive che trascendono i limiti degli interessi individuali degli abitanti.
[17] Sono edifici individuali di eccezionale valore.
[18] Cfr., sulle tensioni esistenti tra patrimonio culturale immateriale e folclore: A.A. Santoyo, Del folclor y el patrimonio cultural inmaterial en Colombia. Reflexiones críticas sobre dos conceptos antagónicos, in Patrimonio y cultura en América Latina, a cura di J. de Jesús Hernández López et al., U. de Guadalajara, 2010, pagg. 109-135.
[19] D. Rodríguez Uribe, La Lista representativa de patrimonio cultural inmaterial: más allá de un listado, un ejercicio para la salvaguardia, Boletín OPCA No. 6, 2014, pag. 17.
[20] D. Rodríguez Uribe, La Lista representativa de patrimonio cultural inmaterial: más allá de un listado, un ejercicio para la salvaguardia, Boletín OPCA No. 6, 2014, pag. 15.
[21] La dottrina ha messo in evidenza le difficoltà che, in pratica, circondano la LRPCIN. Cfr, M. Andrade, ¿A quién y qué representa la lista representativa del patrimonio cultural inmaterial de la nación en Colombia?, en Boletín de Antropología, Vol. 28, No 46, U. de Antioquia, Medellín, 2013, pagg. 53-78.
[22] Si v., al riguardo, Ministero della Cultura, Manual para la implementación Manual para la implementación del Proceso de identificación y recomendaciones de salvaguardia de las manifestaciones del patrimonio cultural inmaterial, Bogotá, 2007.
[23] Consiglio di Stato, Sezione Prima, sentenza del 3 del novembre 2005, Exp. S-404. Cfr. J. Pimiento Echeverri, Comentarios a la sentencia del Consejo de Estado, Sala Plena, del 29 de octubre de 1996, expediente No. S-404, in Los grandes fallos de la jurisprudencia administrativa colombiana, a cura di A. Ospina, U. Externado, Bogotá, 2013, pagg. 47-59.
[24] Come previsto dall’art. 6 della legge 397 del 1997. La legislazione precedente aveva fissato un limite temporale alla qualificazione del patrimonio culturale data ad un bene; così, secondo il testo originale della legge 397 del 1997, fanno parte del patrimonio archeologico “muebles o inmuebles que sean originarios de culturas desaparecidas, o que pertenezcan a la época colonial, así como los restos humanos y orgánicos relacionados con esas culturas, y los elementos geológicos y paleontológicos relacionados con la historia del hombre y sus orígenes”. Cfr. Corte costituzionale colombiana, C-474/03.
[25] Infatti, in sentenza del 5 luglio 2007, Fascicolo 08001-3103-010-1989-09134-01, la Sala Civile della Corte Suprema de Giustizia colombiana in cui ha considerato:
“i beni definiti come ‘monumenti mobili’ che costituiscono il patrimonio storico, culturale o archeologico, benché possano essere formalmente considerati preziosi, sono stati elaborati dall’uomo e sono stati sepolti o nascosti a lungo, senza che vi sia memoria o indizio del suo proprietario, non sono tesoro in senso stretto. Infatti, per esplicito disegno del legislatore, desumibile dal citato articolo 14 della legge 163 del 1959, e da altre disposizioni, tali monumenti sono stati esclusi da questo novero in quanto soggetti ad un regime normativo particolare, senza che fosse loro applicato il regime generale previsto già da cento anni per il tesoro, esplicitamente consacrato nel Codice Civile (art. 700 e seguenti). Ciò è accaduto a partire dalle riflessioni non prese in considerazione dal signor Bello, frutto dell’insorgenza di fatti e circostanze di fioritura successiva, ma non per questo privi di accentuata valenza e trascendenza giuridica”
[...]
“Di conseguenza, i suddetti beni, in particolare i ‘monumenti mobili’, sono stati sottoposti alla speciale, rigorosa ed esigente protezione garantita da tale legge, affermata al tempo stesso da altre norme giuridiche, anche di più recente fattura, tutte rivolte a confermare, o a stabilire, un’adeguata e giustificata salvaguardia di una serie di oggetti che, per le loro caratteristiche, sono espressione dell’identità culturale o storica, rettamente intesa, per non erodere o offuscare la loro reale teleologia e significato. Come avviene anche a livello internazionale, è prova inequivocabile di questa nuova realtà giuridica che proclama che, nel momento attuale, non tutti i ‘ritrovamenti’ o ‘scoperte’, di per sé, possono trovare riparo nella regolamentazione del Codice Civile, che è sufficiente per una certa epoca distinta, ma attualmente insufficiente per rispondere alla sentita necessità di proteggere il patrimonio storico, archeologico, estetico, artistico e, infine, tutte le espressioni della cultura esaminata sotto la lente della storia, culla della società contemporanea”.
Cfr. Consiglio di Stato, Sala di consultazione e servizio civile, concetti del 10 dicembre 1981, Fas. 1610 e del 12 giugno 2003, Fas. 1491. Si v. anche l’interessante studio di R. Vélez Ochoa (diretto da), Las especies náufragas, U. Javeriana, 2003. Di recente, la questione è stata nuovamente sollevata da una decisione giudiziaria di tribunali inferiori, ma la questione è stata risolta, almeno provvisoriamente, dalla Camera Plenaria del Consiglio di Stato, in sentenza di unificazione del 13 febbraio 2018, Exp-CE-SIJ 25000-23-15-000-2002-02704-01, in cui si afferma che il Consiglio nazionale del patrimonio culturale ha la competenza per definire quali beni possono essere considerati patrimonio culturale sommerso, in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge, conformemente alla sentenza C-264 de 2014, gli altri beni devono essere sottoposti al regime stabilito per il salvataggio dal codice civile e dal codice di commercio.
[26] J. Pimiento y A. Castro, El régimen del patrimonio cultural en Colombia. Una visión general desde el punto de vista normativo (pagg. 225-260), in El patrimonio cultural en Europa y Latinoamérica, a cura di F. López Ramón, INAP, Madrid, 2017.
[27] Infatti, “la protección al patrimonio cultural de la Nación es consecuencia directa de la cultura, fundamento para la construcción y consolidación de la nacionalidad colombiana”, Corte costituzionale colombiana, sentenza C-224 di 2016.
[28] Corte costituzionale colombiana, sentenza C-082 del 2014.
[29] Nelle sempre illuminanti parole del Consiglio di Stato,
“Sulla base delle considerazioni della sentenza citata, emergono tre conclusioni importanti: la prima, che il concetto di patrimonio culturale della Nazione è generale e quello di interesse culturale è speciale, perciò i beni che fanno parte della prima categoria non sempre appartengono alla seconda, ma quelli che acquisiscono il carattere speciale di interesse culturale, data dalla relativa dichiarazione, fanno sempre parte del patrimonio culturale della Nazione; la seconda, che la dichiarazione di interesse culturale dei beni non implica l’esclusione dalla protezione per i beni che fanno parte del patrimonio culturale della Nazione, ma significa semplicemente che essi godono della protezione speciale prevista dalla legge 397 del 1997; e, in terzo luogo, che applicando la legge generale della cultura e le norme che la regolano unicamente ai beni dichiarati di interesse culturale, si stabiliscono evidentemente restrizioni e garanzie soltanto per tali beni, escludendo in tal modo i beni che fanno parte del patrimonio culturale della Nazione che non sono stati dichiarati di interesse culturale” (Consiglio di Stato, prima sezione, sentenza del 5 febbraio 2009, Exp. AP-864).
[30] La procedura e i criteri determinanti per la dichiarazione o l’inclusione dei beni nell’elenco del patrimonio culturale sono disciplinati dai decreti 763 e 2941 del 2009. Ai termini di P. Restrepo-Navarro: “la noción de patrimonio cultural de la Nación define el marco general de las manifestaciones y de los objetos potencialmente revestidos de un interés estatal. Pero se encuentra desprovista de efectos jurídicos concretos puesto que el verdadero régimen de protección es el que se aplica a los bienes concretos e individualizados respecto de los cuales se ha declarado formalmente el interés cultural ... en otros términos, los bienes de interés cultural siempre hacen parte del patrimonio cultural de la Nación, mientras que solo algunos bienes que pertenecen a ésta última categoría se encuentran inscritos en el registro y son efectivamente protegidos”, P. Restrepo-Navarro Le droit du patrimoine culturel colombien à l’épreuve de la restitution internationale des biens archéologiques, cit., pag. 31.
[31] Infatti, “il significato che in termini generali è riconosciuto al divieto di inalienabilità, deve essere inteso nel contesto della finalità perseguita dal regime costituzionale di tutela del patrimonio culturale e archeologico della Nazione, che è la preservazione, recupero e conservazione dei beni che lo compongono. In tal caso, la condizione di inalienabilità di cui all’art. 72, rispetto ai beni culturali di proprietà pubblica, mira in realtà alla loro esclusione dal traffico giuridico proprio del diritto privato e, in tal modo, intende impedire che tali beni passino o restino nell’esclusiva disponibilità di privati, al fine di garantire lo status di protezione dello Stato riconosciuto loro dalla loro condizione”, Corte Costituzionale colombiana, sentenza C-082/14.
[32] Corte costituzionale colombiana, sentenza C-742/06.
[33] J. Pimiento Echeverri, Derecho Administrativo de bienes, U. Externado, 2015, pag. 306.
[34] Cfr. Corte costituzionale colombiana, sentenza C-063/02.
[35] Come affermato dalla Sala di consultazione e dal Servizio civile del Consiglio di Stato:
“Ecco perché, nel caso colombiano, per espresso mandato costituzionale, il patrimonio culturale della Nazione è sotto la protezione dello Stato. In tal modo, la politica statale mira a salvaguardarlo, a proteggerlo, a recuperarlo, a conservarlo, a sostenerlo e a divulgarlo, cercando in tal modo di testimoniare l’identità culturale nazionale. Non si può dimenticare che attraverso il patrimonio culturale della Nazione si esprime l’identità di un gruppo sociale in un momento storico particolare.
“Nello sviluppo di questo mandato costituzionale la nostra legislazione tutela il patrimonio culturale attraverso norme giuridiche quali: i) la legge 397 del 1997 - legge generale sulla cultura; ii) la legge 1185 del 2008; iii) il decreto 763 del 2009, iv) la risoluzione 983 del 2010 del ministero della Cultura, v) il decreto 2941 del 2009, vi) la risoluzione 330 del 2010 del ministero della Cultura e vii) la legge 1675 del 2013” (Consejo de Estado, Sala de Consulta y Servicio Civil, concepto del 27 de febrero de 2014, Rad. 2197).
[36] Corte costituzionale colombiana, sentenze C-746/06 y C-434/10.
[37] H. Santaella Quintero, Un territorio y tres modelos de gestión: análisis de la necesidad de armonizar y constitucionalizar las competencias urbanísticas, ambientales y mineras sobre el territorio, Henao, Juan Carlos y Díaz, Sebastián, Minería y Desarrollo, T. V, 2016, pag. 170.
[38] Questo titolo è basato, anche se con alcuni aggiornamenti, in: J. Pimiento y A. Castro, El régimen del patrimonio cultural en Colombia. Una visión general desde el punto de vista normativo, in El patrimonio cultural en Europa y Latinoamérica, a cura di F. López Ramón, INAP, Madrid, 2017.
[39] J. Pimiento y A. Castro, El régimen del patrimonio cultural en Colombia. Una visión general desde el punto de vista normativo, in El patrimonio cultural en Europa y Latinoamérica, a cura di F. López Ramón, INAP, Madrid, 2017, pagg. 240-241.
[40] Consiglio di Stato, Sala di consultazione e servizio civile, concetto del 27 febbraio 2014, Fas. 2197.
[41] J. Pimiento y A. Castro, El régimen del patrimonio cultural en Colombia. Una visión general desde el punto de vista normativo, in El patrimonio cultural en Europa y Latinoamérica, a cura di F. López Ramón, INAP, Madrid, 2017, pag. 242.
[42] Così lo definisce il Ministero della Cultura:
“La decisione se ciò sia necessario o meno fa parte del processo di dichiarazione del BIC. Tale decisione amministrativa è presa dal soggetto competente, previo esame e parere positivo da parte del Consiglio del patrimonio culturale dell’ambito territoriale cui appartiene il bene.
Per i BIC del gruppo urbano, la legge sul patrimonio prevede che i BIC dichiarati prima della legge 1185 del 2008 richiedano in ogni caso la formulazione del PEMP e raccomanda che sia sempre previsto un PEMP per i BIC dichiarati successivamente.
Per quanto riguarda i BIC del gruppo architettonico, si raccomanda sempre di formulare un PEMP se presentano le seguenti condizioni: (i) Rischio di trasformazione o demolizione parziale o totale a causa dei diversi tipi di sviluppo previsti nel loro ambiente; (ii) Quando l’uso di BIC rappresenta un rischio o una limitazione per la sua conservazione e (iii) quando è necessario definire o ridefinire la normativa del BIC e/o dell’ambiente per garantirne la conservazione” (Ministero della Cultura, Formulazione e Implementazione Piani Speciali di Gestione e Protezione”, Bogotà, 2011).
[43] Art. 48 della legge 1579 del 2012 e art. 8 comma 1.2 della legge 1185 del 2008.
[44] Espressione dell’autonomia degli enti territoriali, garanzia costituzionale riconosciuta dal Testo Superiore. Cfr. H. Santaella Quintero, El autogobierno del territorio: ¿un contenido esencial de la autonomía territorial?, in G. Bula, A. Namén y W. Zambrano Cetina, Derecho procesal administrativo, modernización del Estado y Territorio. Estudios en homenaje a Augusto Hernández Becerra, Ed. Ibañez, Bogotá, 2014, pagg. 757-776.
[45] Su questo punto, si v. lo straordinario studio di J. Covilla, Coordinación y autonomía en la administración pública, Aranzadi, 2019. Anche, P. Robledo Silva, Los principios de coordinación, concurrencia y subsidiariedad: una posible solución a la problemática del reparto de competencias en materia minera, in Minería y Desarrollo, a cura di J.C. Henao y S. Díaz, T. 5., U. Externado, 2016, pagg. 229-268.
[46] Come afferma H. Santaella, “el carácter forzosamente concurrencial de las distintas de las distintas competencias que se ejercen sobre el territorio, y el desarrollo de los correspondientes mecanismos de coordinación que hagan posible la atención y armonización de los diferentes intereses en juego”: così H. Santaella Quintero, Un territorio y tres modelos de gestión: análisis de la necesidad de armonizar y constitucionalizar las competencias urbanísticas, ambientales y mineras sobre el territorio, in Minería y Desarrollo, a cura di J.C. Henao y S. Díaz, T. 5., U. Externado, 2016, pag. 169.
[47] Anche se teoricamente potrebbero avere una funzione diversa, è chiaro che la maggiore incidenza dei Piani di Assetto Territoriale rispetto al diritto di proprietà riguarda questioni urbanistiche e ambientali, nell’ambito delle loro competenze. In ogni caso, si tratta di una competenza concorrente, nella quale “las competencias ambientales de las ET siguen atrapadas en una lógica de primacía del nivel central”, così C. Perdomo Villamil, La gestión ambiental de las entidades territoriales: ¿atrapada en la organización territorial, in Derecho de las entidades territoriales, a cura di R. Silva et al., U. Externado, Bogotá, 2018, pag. 416.
[48] Cfr. H. Santaella Quintero, Un territorio y tres modelos de gestión: análisis de la necesidad de armonizar y constitucionalizar las competencias urbanísticas, ambientales y mineras sobre el territorio, in Minería y Desarrollo, a cura di J.C. Henao y S. Díaz, T. 5., U. Externado, 2016, pag. 177.
[49] Il rapporto tra pianificazione territoriale e pianificazione non è sempre stato pacifico, ma, pur trattandosi di funzioni chiaramente differenziate, la realizzazione della pianificazione continua ad utilizzare strumenti di pianificazione, Cfr. A. Pérez Andrés, La ordenación del territorio, una encrucijada de competencias planificadoras, RAP, no. 147, septiembre-diciembre de 1998, pagg. 97-138.
[50] Questo approccio alla qualificazione multipla dell’assetto territoriale e degli strumenti di pianificazione che sviluppano, in particolare il suo impatto sul mercato immobiliare e sulla tutela dei diritti collettivi, si può vedere chiaramente in: J. Miranda, A funçao publica urbanística e o seu exercicio por particulares, Coimbra Editora, 2012, pag. 196 ss.
[51] I piani “definen el contenido normal del derecho de propiedad”, così E. García de Enterría y T.R. Fernández, Curso de Derecho Administrativo, T. II, 15ª ed., Thomson-Civitas, 2017, pag. 182. Il che dovrebbe in ogni caso suscitare un po’ più di discussione, poiché attualmente il legislatore definisce poco del contenuto materiale del diritto di proprietà, piuttosto abilita le autorità amministrative a ricorrere a strumenti di pianificazione, ne definiscano il contenuto in modo molto specifico, vietando o autorizzando attività. Inoltre, la tecnica non consiste più nel proibire tutto ciò che non è vietato, ma nel definire le attività autorizzate dall’autorità incaricata di vigilare sul rispetto della regolamentazione dell’uso del suolo o dell’interesse generale.
[52] Così, il ricorso del Piano “reside en la primacía otorgada en la praxis al empleo sin más de la técnica y su extensión a los más diversos sectores de la acción administrativa sin otra preocupación que la de las exigencias o los requerimientos de tales sectores según sus características”, L. Parejo Alfonso, La actuación administrativa a caballo de la división entre normación y simple ejecución y el caso de la planificación y el plan, Revista de Derecho Público: Teoría y Método, vol. 1, Madrid, 2020, pagg. 7-40.
[53] Art. 7 della legge 1185 di 2008.
[54] Ministero della Cultura, Formulación e implementación de planes especiales de manejo y protección. Bienes de interés cultural, Bogotá 2011, pag. 16.)
[55] Come previsto dall’art. 7 della legge 1185 del 2008, in virtù del quale: “2. Intervención. Por intervención se entiende todo acto que cause cambios al bien de interés cultural o que afecte el estado del mismo. Comprende, a título enunciativo, actos de conservación, restauración, recuperación, remoción, demolición, desmembramiento, desplazamiento o subdivisión, y deberá realizarse de conformidad con el Plan Especial de Manejo y Protección si este fuese requerido”.
[56] Ai sensi dell’art. 2.3.1.3., numerale 1.2-7.
[57] Art. 2.2.6.1.1.9. del Decreto 1077 del 2015. “Autorizzazione di interventi urbanistici su beni di interesse culturale. Fatte salve le disposizioni di cui al punto 4 dell’articolo 2.2.6.1.2.1.11 del presente decreto, quando l’autorità competente ha adottato il piano speciale per la gestione e la protezione dei beni di interesse culturale, le domande di licenza urbanistica relative a beni di interesse culturale e a beni immobili situati all’interno del suo territorio di influenza sono evase nel rispetto delle norme urbanistiche e edilizie in esso stabilite. Qualora il piano speciale di gestione e di protezione non sia stato adottato al momento della domanda, le licenze possono essere rilasciate sulla base del progetto preliminare di intervento del bene d’interesse culturale, approvato dall’autorità che ha effettuato la relativa dichiarazione, in cui è indicato l’uso specifico autorizzato”.
[58] Come nel caso di Cartagena, città in cui coesistono due PEMP, quello delle mura e del Centro Storico, il cui smantellamento e abbandono generò il terribile caso Aquarela, che segue, dopo tre anni, senza una risposta soddisfacente, con un grave rischio per il patrimonio culturale dell’umanità.
[59] Per esempio, i contenuti nelle leggi 397 de 1997, 1185 del 2008 e 1675 de 2013.
[60] Nel caso del patrimonio sommerso, le ammende possono arrivare fino alla cifra di 250 milioni di dollari (1.000.000 di salari minimi legali mensili in vigore), cifra straordinaria sotto qualsiasi parametro nel sistema colombiano.
[61] J. Pimiento Echeverri, El derecho administrativo sancionatorio en el marco del Código Nacional de Policía y Convivencia, in El poder sancionador de la Administración Pública: discusión, expansión y construcción, a cura di A. Montaña y J. Rincón, U. Externado, 2018, pagg. 603-652.
[62] Per quanto riguarda l’azione popolare: J.C. Esguerra Portocarrero, La protección constitucional del ciudadano, Legis, Bogotá, 2004; J.C. Guayacán Ortiz, Las acciones populares y de grupo frente a las acciones colectivas, U. Externado, Bogotá, 2014. Cfr., anche, Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sottosezione A, sentenza del 13 de agosto 2014, Fas. 35965, in cui si è ritenuto che, in qualità di diritto collettivo, il patrimonio culturale si erge a un limite alla libertà d’impresa.
[63] Articolo 34 della legge 472 del 1998.
[64] Sentenza T-537/13.
[65] Posizione che ho difeso in numerose occasioni, per tutte: J. Pimiento Echeverri, Derecho Administrativo de Bienes, U. Externado. 2015.
[66] Agenda re-cycle. Proposte per reinventare la città, (a cura di) E. Fontanari y G. Piperata, Il Mulino, Bologna, 2017.