Il mercato dell’arte
Buona fede, clandestinità del possesso e opere d’arte rubate: riflessioni a margine di una recente pronuncia della Cassazione
Nota a Cassazione civile, sez. II, 14/06/2019 (ud. 22/01/2019, dep. 14/06/2019), n. 16059
di Geo Magri
Sommario: 1. La fattispecie oggetto di giudizio. - 2. I motivi di ricorso. - 3. Possesso ad usucapionem e opere d'arte rubate. - 4. Conclusioni: se l'usucapione appare un presidio troppo impium, il giudice salva il vecchio proprietario, ma non si cura delle conseguenze per il mercato dell'arte.
Good faith,
clandestinity of possession and stolen artworks: some reflections on a recent
decision of the Italian
Supreme Court
The paper analyzes a decision of the
Italian Supreme Court dealing with adverse possession of two paintings stolen
in Italy during the Second World War, sold after the War to an Austrian
collector and then sold back on the Italian market. According to the Court, in
order to have a possession ad usucapionem of an artwork, it is not sufficient
to hold the painting in a room open to the public, but it must be shown in
public exhibitions or published in a monograph or catalogue. The consequence of
this decision is greater protection for the robbed owner while making the art
market less reliable.
Keywords: Usucapionem of Artworks; Clandestinity of Possession; Good
Faith.
1. La fattispecie oggetto di giudizio
La sentenza che ci occupa prende le mosse dal furto di due opere d'arte, commesso in Italia, durante la seconda guerra mondiale, dalle forze militari germaniche. Più nello specifico, le opere trafugate erano due dipinti "Santa Caterina di Alessandria", attribuito a Bernardo Strozzi, e "Ritratto di Vittoria della Rovere", attribuito a Justus Sustermans. Di fronte alla Cassazione è stata impugnata la sentenza della Corte d'appello di Milano, depositata il 13 novembre 2014, che rigettava l'appello principale proposto dall'avv. Vito Failla e gli appelli incidentali di Michael Wolff, Old and Modern Master Ltd e Open Care s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 13406 del 2013. Il giudizio avanti al tribunale meneghino aveva per petitum l'accertamento della proprietà dei due dipinti ed era stato introdotto, nel 2010, dall'avv. Failla nei confronti del Wolff, della Calnan, della Old and Modern Masters Ltd e della Curia Vescovile di Assisi. Proponendo il giudizio il Failla intendeva far accertare che, alla data del 12 settembre 2006, il sig. Wolff era legittimo proprietario dei dipinti in questione e che lo aveva quindi legittimamente incaricato della vendita di entrambi i quadri alla società Open Care spa.
Nel giudizio civile si costituiva Michael Wolff, chiedendo al giudice di accertare l'acquisto del diritto di proprietà per intervenuta usucapione dei due dipinti. Esponeva che gli stessi erano stati acquistati negli anni '50 da suo padre Werner, deceduto nel 1981. Successivamente, grazie alla mediazione dell'avv. Failla, il Wolff aveva validamente venduto il dipinto di Strozzi alla Old and Modern Masters Ltd, mentre chiedeva la restituzione del dipinto di Sustermans che, nel frattempo, era stato affidato alla Curia Vescovile di Assisi.
Nel giudizio si costituivano anche la signora Calnan e la Curia vescovile di Assisi, eccependo il difetto di legittimazione dell'attore e chiedendo, la prima che venisse respinta la domanda di usucapione del dipinto appartenuto alla sua famiglia e sottrattole, durante la II G.M. e, in via riconvenzionale la restituzione del quadro, la seconda il rigetto di tutte le domande proposte nei suoi confronti.
La società di diritto inglese Old and Modern Masters Ltd chiese che fosse accertata la validità dell'acquisto del dipinto attribuito allo Strozzi, e che le venisse restituito o che, in subordine, previa chiamata in causa di Open Care spa, quest'ultima venisse condannata, eventualmente in solido con l'avv. Failla, alla restituzione dell'importo corrisposto a titolo di prezzo per il dipinto La terza chiamata Open Care spa, costituendosi, formulò domanda di accertamento della validità dell'acquisto del dipinto e richiese, in via subordinata, di essere tenuta indenne dalla pretesa della chiamante, con la condanna dell'avv. Failla e/o di Wolff, eventualmente anche ai sensi degli artt. 2033 e 2041 c.c.
Il Tribunale di Milano respinse la domanda del Failla e quella di Wolff, accertò che i dipinti appartenevano, iure hereditario, alla Calnan e alla Curia vescovile di Assisi, essendo stati sottratti, durante il secondo conflitto mondiale, ai loro legittimi proprietari, dei quali essi erano eredi diretti. Open Care spa fu quindi condannata a restituire a Old and Modern Masters Ltd l'importo di Euro 472.500, e l'avv. Failla a tenere indenne Open Care, fino alla concorrenza di Euro 436.500, oltre interessi legali. La decisione del Tribunale fu confermata dalla Corte d'appello di Milano.
In particolare, il Tribunale e la Corte d'appello hanno ritenuto inapplicabile alla fattispecie de qua la normativa austriaca e italiana in materia di usucapione sia per una presunta tardività dell'eccezione in materia di legge applicabile sia, ed è elemento che ai nostri fini appare di maggior rilevanza, per la mancanza della buona fede e della pubblicità del possesso in capo a Werner Wolff, genitore e dante causa del convenuto Michael Wolff.
L'avv. Failla ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi. Al ricorso resistono con separati atti di controricorso Old and Modern Masters Ltd, Philippa Calnan e Michael Wolff, il quale ha anche proposto ricorso incidentale affidato a quattro motivi.
Il ricorso principale e quello incidentale sono in larga parte sovrapponibili e vengono rigettati in toto dalla Cassazione. Il primo motivo del ricorso principale e di quello incidentale denunciavano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1147, 2727 e 2728 c.c. e dell'art. 115 c.p.c., con riguardo alla mancanza di buona fede in capo a Werner Wolff al momento dell'acquisto dei dipinti. In particolare, i ricorrenti ritenevano che la presunzione di buona fede in capo all'acquirente non poteva considerarsi superata dal sospetto o dall'astratta conoscibilità che, al momento dell'acquisto, i dipinti fossero di provenienza illecita. La Corte d'appello, infatti, avrebbe dato per scontato che, negli anni '50, fosse notorio che, durante il secondo conflitto mondiale, vi erano stati spossessamenti di opere d'arte in Italia e non avrebbe tenuto conto del fatto che Werner Wolff, ufficiale dell'esercito tedesco, non aveva partecipato a razzie di opere d'arte e non era provato che fosse a conoscenza di quanto accaduto in Italia durante il conflitto, posto che, dopo la sconfitta della sua divisione in Africa nel 1942, aveva trovato riparo in Turchia sino alla fine del conflitto. Il ricorrente sottolineava, inoltre, il fatto che il dipinto dello Strozzi era stato ufficialmente identificato come "bene rubato" dalle forze armate tedesche nel 1944 soltanto nel 1995, anno in cui fu pubblicato un volume nel quale venivano elencate le opere disperse all'epoca della seconda guerra mondiale [1]. Nel 1995, però, il sig. Werner Wolff e la moglie, sua unica erede, erano già deceduti. Secondo il ricorrente, quindi, non sarebbe stato possibile, per l'acquirente, ricostruire le modalità di acquisto dei dipinti a oltre 70 anni di distanza, e ciò avrebbe comunque escluso la colpa grave. Nel ricorso incidentale, inoltre, si evidenziava che, al momento dell'acquisto dei dipinti, Werner Wolff non era un esperto collezionista d'arte e non era in grado di apprezzare il reale pregio dei dipinti e i profili di criticità connessi alla provenienza del bene.
Particolarmente interessante, con riguardo all'usucapione delle opere d'arte, il secondo motivo del ricorso principale e incidentale, con il quale si denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 1161, 1163, 2727 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. Secondo i ricorrenti la Corte d'appello si sarebbe contraddetta nell'avere ritenuto, da un lato che fosse impossibile ricostruire le circostanze in cui era avvenuto l'acquisto e dall'altro che l'acquisto sarebbe avvenuto in modo violento o clandestino. La Corte, inoltre, avrebbe ampliato la nozione di clandestinità del possesso, fino a ritenere che il possesso pubblico di un dipinto coincida con la sua esposizione in una mostra o con il suo inserimento in una pubblicazione di settore. Per il ricorrente principale, l'interpretazione offerta dalla Corte di merito contrasterebbe con la funzione dell'usucapione, che è quella di rendere giuridicamente certe le situazioni di fatto che si sono protratte nel tempo [2] e arriverebbe persino a violare l'art. 42, comma 2, Cost. Non solo, dagli atti del processo risultava in modo incontroverso che i dipinti de quibus, nel corso degli anni, erano sempre stati esposti, in modo ben visibile e ad una pluralità indeterminata di persone, nel salone della reception dell'azienda farmaceutica della famiglia Wolff. In tale salone venivano spesso organizzate feste aperte alle quali potevano accedere anche persone estranee all'azienda e alla famiglia e ciò dimostrava, secondo i ricorrenti, l'assenza di clandestinità nel possesso del bene.
Il terzo motivo dei due ricorsi, che forse una più razionale esposizione avrebbe consigliato di presentare per primo, verteva sull'individuazione della legge applicabile e sulla violazione e/o falsa applicazione, da parte del giudice di merito, degli artt. 14, 51 e 53 della legge 218/1995 e dell'art. 115 c.p.c.
L'art. 14 della legge di diritto internazionale privato italiana dispone che il giudice accerti d'ufficio la legge straniera applicabile a fronte di elementi che ne impongono l'applicazione. La fattispecie andava quindi analizzata e risolta in base alla legge austriaca, posto che i due dipinti erano stati acquistati in Austria e lì erano rimasti sino al momento della loro vendita e che l'art. 53 della legge 218 stabilisce che l'usucapione dei beni mobili è regolata dalla legge dello Stato in cui il bene si trova al compimento del termine prescritto. Secondo la legge austriaca, l'usucapione dei beni mobili si perfeziona con il possesso continuato di 3 o di 6 anni e, comunque, non superiore ai trent'anni nel caso in cui il proprietario sia assente. Per il diritto austriaco l'animus del possessore precedente non è di ostacolo all'acquisto per l'usucapione da parte del successore o erede di buona fede dal giorno dell'inizio del suo possesso, con la conseguenza che, nel caso di specie, l'acquisto della proprietà dei dipinti si sarebbe perfezionato autonomamente in capo alla moglie di Werner Wolff, dopo il suo decesso avvenuto nel 1981, e quindi in capo al figlio, erede universale della madre, deceduta nel 1995.
Il quarto motivo del ricorso incidentale denunciava violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. per l'omesso esame delle contestazioni relative alla proprietà del dipinto attribuito a Sustermans, posto che i giudici si sarebbero limitati ad affermare apoditticamente che il dipinto in questione appartiene alla Curia vescovile di Assisi, sebbene la stessa si sia limitata a chiedere il rigetto della domanda proposta dall'avv. Failla. Sul punto, quindi, la sentenza appellata sarebbe viziata da ultrapetizione.
3. Possesso ad usucapionem e opere d'arte rubate
La fattispecie sottoposta alla Corte è piuttosto articolata e presenta più profili di interesse. Il primo è relativo a quale diritto sia concretamente applicabile, il secondo è legato alla buona fede del possessore e il terzo agli elementi che escludono la sua clandestinità.
L'individuazione della legge applicabile, in forza del principio iura novit curia (art. 113 c.p.c.), è rimessa al giudice e sfugge alle preclusioni previste dal codice di rito [3]. In base all'art. 53 della legge 218/95, l'usucapione dei beni mobili è regolata dalla legge dello Stato in cui il bene si trova nel momento in cui matura l'usucapione e, quindi, nel caso di specie, era soggetto alla legge austriaca.
L'Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch (A.B.G.B.), secondo la tradizione, disciplina l'usucapione, insieme alla prescrizione, nel capitolo IV della parte III, ai §§ 1454 e ss. In particolare, il § 1466 A.B.G.B. prevede che, in presenza di un titolo idoneo a trasferire il possesso, l'usucapione di un bene mobile si compia nel termine di tre anni; a norma del successivo § 1476 A.B.G.B., il termine raddoppia nel caso in cui il possesso sia stato acquistato da un possessore vizioso o in mala fede (secondo la formulazione del codice austriaco: "von einem unechten oder von einem unredlichen Besitzer") [4]. In assenza di titolo, l'usucapione si compie nel termine di trent'anni, ma solo se il possessore era in buona fede (§ 1477 A.B.G.B.) [5].
Secondo i giudici di merito, il possesso in capo a Werner Wolff non poteva essere considerato in buona fede, ciò comporta l'inapplicabilità dei §§ 1466, 1476 e 1477 del codice austriaco [6], posta l'inesistenza dell'elemento soggettivo e del titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà. Nemmeno gli eredi del Wolff (la moglie unica erede e il di lei figlio che ha ereditato a sua volta ed è l'attuale ricorrente) possono invocare l'avvenuta usucapione: la legge austriaca, infatti, prevede che il successore nel possesso possa invocare il possesso del suo dante causa, soltanto se si tratta di possesso di buona fede; in caso contrario, a norma del combinato disposto tra i §§ 1463 e 1493 A.B.G.B., occorre che il possesso trentennale decorra dal momento della successione nel possesso [7]. Nel caso di specie, però, il termine trentennale non era ancora maturato, posto che la madre del ricorrente aveva posseduto dal 1981 al 1995, mentre il ricorrente dal 1995 al 2006 e quindi, sommando i due possessi, non si arrivava a trent'anni.
Il caso in esame evidenzia anche l'opportunità, per chi eredita un'opera d’arte, specie se si tratta di un'opera di valore, di procurarsi un elemento di prova del titolo in forza del quale è entrato nel possesso del bene; a tal fine dovrebbe, al momento dell'accettazione dell’eredità, effettuare un elenco delle opere che entrano nella sua disponibilità, in modo da poter invocare un titolo con data certa attribuita dal notaio [8].
Vagliando e respingendo gli altri motivi di ricorso, la Corte Suprema si pronuncia anche sull'usucapibilità dei dipinti alla luce del diritto italiano applicato dalle Corti di merito; nel fare ciò si sofferma sulla presunzione di buona fede di cui all'art. 1147 u.c. c.c. e sulla clandestinità del possesso, fornendo al lettore alcune linee guida utili con riferimento all'usucapibilità delle opere d'arte.
L'art. 1147 del codice italiano individua il possessore in buona fede nel soggetto che possiede ignorando di ledere un diritto altrui. Affinché il possesso sia di buona fede occorre, quindi, che il possessore sia ragionevolmente convinto di poter esercitare sulla cosa un proprio diritto. La buona fede, che è presunta iuris tantum (art. 1147 u.c.), viene meno nel caso in cui la convinzione di non ledere il diritto altrui derivi da colpa grave. Per poter superare la presunzione occorrono "circostanze serie, concrete e non meramente ipotetiche, anche di carattere presuntivo", che impediscano al possessore di ritenere legittimo il suo possesso [9]. Con riguardo alla fattispecie oggetto di giudizio, la Cassazione rileva che i giudici di merito hanno evidenziato le circostanze concrete che escludono la buona fede dell'originario possessore: in particolare è stato ritenuto un fatto notorio che, all'epoca dell'acquisto, in Europa fossero presenti sul mercato opere d'arte frutto delle razzie compiute durante la guerra, quindi un acquirente di media diligenza avrebbe dovuto muoversi con particolare cautela al momento dell'acquisto. Nel caso di specie non erano state chiarite le modalità e le condizioni in cui Werner Wolff aveva acquistato le due opere, una delle quali era di evidente pregio artistico e richiedeva, pertanto, una maggiore attenzione e diligenza dell'acquirente. La Cassazione ha ritenuto che la decisione della Corte d'Appello sul punto fosse ragionevole e non contradditoria e quindi non censurabile in sede di legittimità.
Quanto alla clandestinità del possesso, la Corte di merito, confermando la decisione del Tribunale, ha ritenuto che "che il possesso dei dipinti fosse stato esercitato in modo clandestino, sul rilievo che il luogo di esposizione, quale risultava dalle testimonianze, non fosse sufficiente a garantire a chiunque, fuori dalla cerchia familiare e sociale del possessore, di prenderne atto per eventualmente contestarlo". La Cassazione precisa che, ai fini dell'usucapione, il requisito della non clandestinità non va riferito agli espedienti posti in essere dal possessore per apparire proprietario, "ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile a tutti o almeno ad un'apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo dal precedente possessore o da una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto con quest'ultimo" [10]. Il fatto che, nel caso di specie, i dipinti fossero stati collocati nell'azienda farmaceutica della famiglia Wolff e che fossero visibili da una numerosa cerchia di soggetti non è stato quindi ritenuto di per sé sufficiente a escludere la clandestinità del possesso.
Secondo la Corte, infatti, affinché si abbia possesso non viziato dalla clandestinità di un'opera d'arte occorre che la stessa sia visibile a una pluralità di soggetti e che sia stata esposta in mostre, ovvero inserita in pubblicazioni specializzate, consentendo, così, una generalizzata conoscibilità delle opere e della loro conservazione. L'osservazione della Corte, evidentemente improntata a ridurre l'operatività dell'usucapione in un settore delicato come quello del mercato dell'arte, non sembra pienamente convincente se si considera che, secondo quanto affermato dal Supremo collegio, l'esposizione del dipinto in un salone al quale accedono numerose persone, non necessariamente appartenenti alla cerchia del possessore o della sua famiglia, e nel quale vengono addirittura organizzate feste aperte al pubblico deve essere qualificato clandestino. Nel caso in cui, invece, lo stesso dipinto fosse stato concesso per un'esposizione, magari in un piccolo museo di provincia e in occasione di una mostra che raccoglie soltanto una manciata di visitatori, della quale viene redatto un catalogo, che non viene sfogliato neppure dal bibliotecario della biblioteca comunale in fase di catalogazione, il possesso sarebbe stato alla luce del sole, posto che avremmo avuto sia l'esposizione che la pubblicazione del dipinto in un'opera specializzata. Dalla decisione della Cassazione consegue che l'usucapione di un'opera d'arte risulta particolarmente complessa, posto che non tutte le opere sono così interessanti da essere esposte in mostre o pubblicate in opere specialistiche e che quelle dotate di un maggior interesse possono non essere concesse per il timore di eventuali furti.
La diffidenza, se non ostilità, nei confronti dell'usucapione emerge anche dall'inciso con il quale la Corte liquida il motivo di ricorso, peraltro palesemente infondato, con il quale i ricorrenti lamentavano che il mancato riconoscimento dell'acquisto della proprietà in forza dell'usucapione andava censurato a norma dell'art. 42 comma 2 Cost.
Nel respingere la censura, infatti, la Cassazione richiama la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso J.A. Pye (Oxford) Ltd & J.A. Pye (Oxford) Land Ltd v. United Kingdom, con il quale la Corte EDU si pronunciava, con una ridotta maggioranza e riformando una precedente decisione della IV sezione, sulla compatibilità dell'usucapione con il diritto fondamentale di proprietà [11]. Tra le righe della pronuncia della Cassazione riemerge l'antico pregiudizio per cui l'usucapione sarebbe l'impium praesidium che tutela il possessore a danno del proprietario e il cui operare in concreto deve essere oggetto di un attento controllo da parte del giudice, al fine di evitare che, attraverso il possesso protratto nel tempo, si sani una situazione troppo riprovevole sul piano sociale.
4. Conclusioni: se l'usucapione appare un presidio troppo impium, il giudice salva il vecchio proprietario, ma non si cura delle conseguenze per il mercato dell'arte
L'usucapione è un modo di acquisto della proprietà conosciuto sin dall'epoca delle dodici Tavole [12], le quali "si limitarono a recepire" o forse, a tutto concedere, a regolare in modo più dettagliato, "un istituto già consuetudinariamente riconosciuto come produttivo dell'effetto dell'acquisto della proprietà civile" [13]. Non sorprende, quindi, trovare, nei Tituli ex corpore Ulpiani (19.8), una definizione piuttosto vicina a quella attuale di usucapione [14]. In epoca romana, però, le res furtivae non potevano essere usucapite [15]; nel nostro ordinamento, invece, l'usucapione di un bene proveniente da furto non è radicalmente esclusa, ma occorre che il possesso ad usucapionem sia stato esercitato in modo non violento o non clandestino (art. 1163 c.c.).
La ratio alla base dell'usucapione è quella di consentire l'acquisto della proprietà, evitando che si creino incertezze derivanti da situazioni di fatto non conformi a diritto, che si protraggono nel tempo. Attraverso l'usucapione si sanziona il proprietario che si è disinteressato di curare un proprio bene e si premia il possessore che, invece, se ne è occupato. Non sorprende, quindi, che l'istituto sia stato descritto, già ai tempi di Giustiniano, ma soprattutto dalla dottrina canonistica medioevale, come l'impium praesidium [16], che, al pari della prescrizione, sacrifica il diritto al non diritto, compiendo, come osservava un autorevole studioso, una specie di miracolo e piegando il diritto alla realtà [17].
La diffidenza che si è avuta con riguardo all'usucapione riemerge nella sentenza in commento, con la quale la Corte suprema ha voluto mettere precisi paletti, finendo per limitare in modo piuttosto significativo la possibilità di usucapire opere d'arte. La Corte, infatti, nel momento in cui afferma che fosse circostanza notoria il fatto che negli anni '50 in Europa circolava una notevole quantità di opere d'arte trafugate durante il II conflitto mondiale, fa ricadere sull'acquirente l'onere di adottare un grado di cautela e diffidenza particolarmente elevati, posto che è altrettanto notorio che, sul mercato dell'arte, ancora oggi, circolano beni di provenienza illecita e dei quali spesso si rivela difficile ricostruire con precisione la storia. È vero che esistono banche dati consultabili liberamente, come quella creata dal Nucleo Tutela del Patrimonio dei Carabinieri [18] o quella dell'INTERPOL [19], ma è altrettanto vero che tali database contengono soltanto una minima parte dei beni rubati, pertanto, se il loro esame è condicio sine qua non per invocare la buona fede nel caso in cui l'opera sia stata rubata e iscritta in una delle liste, il loro controllo non è di per sé sufficiente per confermare la liceità della circolazione del bene. Passando dalla teoria alla pratica, però, il controllo delle banche dati non è operazione così semplice e immediata, data la mole di beni rubati che sono registrati. Inoltre, non è detto che il quadro oggetto di acquisto sia registrato in una delle banche dati. Ai fini della buona fede dell'acquirente, quindi, giocherà un ruolo fondamentale l'attestato di provenienza che il venditore deve fornire all'acquirente ai sensi dell'art. 64 del Codice dei beni culturali.
Appare opportuno gradare la diligenza dell'acquirente al pregio del bene, come, peraltro, sembra fare la stessa Corte quando rileva che il dipinto di Santa Caterina d'Alessandria, opera dello Strozzi, imponeva, dato il suo evidente pregio, una particolare cautela al momento dell'acquisto, precisazione che non è estesa all'opera dello Sustermann.
Passando al secondo elemento analizzato dalla sentenza, ossia la clandestinità del possesso, sembra criticabile il riferimento fatto dalla Corte alla necessità di esporre il quadro in mostre o di pubblicarlo in monografie specialistiche affinché il possesso possa essere considerato palese. Non tutte le opere d'arte, infatti, hanno pregio e dignità tali da essere oggetto di esposizione o di pubblicazione. Per le opere che non hanno una tale rilevanza artistica, secondo il ragionamento della Corte, non sarebbe mai possibile il possesso ad usucapionem, posto che esso rimarrebbe sempre clandestino. Una tale conclusione, però, sembra mettere a rischio la sicurezza del mercato dell'arte, posto che, in ultima analisi, si correrebbe un costante rischio di rivendica del bene non esposto o mai pubblicato. A ben vedere un tale risultato potrà essere evitato dalla possibilità di acquistare a non domino, ex art. 1153 c.c., le opere d'arte. È vero che l'applicazione della regola possesso vale titolo, con riguardo alle opere d'arte, presenta profili di particolare problematicità, soprattutto nel caso in cui le opere abbiano un pregio tale da farle considerare beni culturali, ma è altrettanto vero che, una volta rispettate tutte le regole che presidiano la circolazione delle opere di interesse culturale, l'applicazione della regola non può dirsi tassativamente esclusa [20].
Dalla lettura della sentenza, però, possiamo rilevare una sostanziale diffidenza e cautela della giurisprudenza nell'applicazione degli istituti che permettono l'acquisto a titolo originario della proprietà delle opere rubate. Cautela che può apparire giustificata per evitare che il summum ius si trasformi in summa iniuria, ma che rischia di mettere a rischio il mercato dell'arte, dove, purtroppo, i casi di beni rubati compravenduti non sono infrequenti e dove la necessità di istituti giuridici che garantiscano la certezza dei traffici si fa particolarmente pressante. Per consentire di contemperare le esigenze di tutela del proprietario derubato e del mercato appare necessaria un'applicazione rigorosa del requisito della buona fede, in modo da consentire all'acquirente di far salvo l'acquisto in forza dell'usucapione o della regola possesso vale titolo, almeno qualora siano state rispettate puntualmente le disposizioni legislative che presidiano il mercato dell'arte.
La buona fede, peraltro, andrà gradata in base al valore e al pregio dell'opera acquistata e al contesto nel quale si opera: è chiaro che un'opera attribuita a un'artista di chiara fama e venduta a un prezzo rilevante richiederà indagini e attenzioni maggiori rispetto a un'opera di bottega, che viene venduta per un prezzo irrisorio o che un bene di pregio acquistato da un rigattiere dovrebbe indurre a maggiori riflessioni rispetto ad un bene analogo acquistato da un antiquario di fama o da una casa d'aste.
Note
[1] Si tratta del volume L. Morozzi, R. Paris (a cura di), L'opera da ritrovare. Repertorio del patrimonio artistico italiano disperso all'epoca della seconda guerra mondiale, Roma, 1995.
[2] Sulla funzione dell'usucapione si veda R. Caterina, Impium praesidium: le ragioni a favore e contro l'usucapione, Milano, 2001.
[3] Ex plurimis, Cass. 29 dicembre 2016, n. 27365, in Giust. civ. mass. 2017, secondo la quale "Relativamente alle fattispecie interamente regolate dall'art. 14 della legge n. 218 del 1995, l'obbligo del giudice di ricercare, d'ufficio, le fonti del diritto va riferito anche alle norme giuridiche degli ordinamenti stranieri, per la cui individuazione è possibile ricorrere a qualsiasi mezzo, anche informale e valorizzando il ruolo attivo delle parti, come strumento utile per l'acquisizione della normativa volta a disciplinare il caso concreto, senza che, pertanto, sussista, in capo alla parte che la invochi, alcun onere di indicazione né di allegazione documentale della legge straniera ritenuta applicabile"; nello stesso si vedano anche Cass. 5 giugno 2009, n. 14777, in Riv. dir. int., pag. 192 ss.; Cass. 20 luglio 2007, in Giust. civ. mass. 2007.
[4] Sul punto si veda C. von Bar, Gemeineuropäisches Sachenrecht, vol. II, Monaco, 2019, pag. 229 ss.
[5] Sulla rilevanza del titolo ai fini dell'usucapione cfr. D. Krimphove, Das europäische Sachenrecht: eine rechtsvergleichende Analyse nach der Komparativen Institutionenökonomik, Köln 2006, pag. 438 e s.
[6] C. von Bar, op. loc. cit.
[7] Ibidem.
[8] Il punto è stato affrontato dal Tribunale (nel 2013) e dalla Corte d'appello (nel 2015) di Torino nelle pronunce emesse in riferimento a un dipinto di Felice Casorati, intitolato Ritratto della sorella, che era stato rubato alla famiglia Casorati e poi ritrovato in possesso di una ricca ereditiera, la quale, tra gli altri titoli, invocava l'acquisto ereditario come fonte del suo diritto dominicale. Nel respingere la tesi della convenuta, i giudici osservavano che non risultava da nessun documento certo che il quadro facesse parte dell'asse ereditario che la convenuta aveva ricevuto, a tal fine era infatti opportuno l'inventario delle opere ricevute in sede di accettazione di eredità o la loro indicazione analitica nella dichiarazione di successione. Cfr. l'articolo di Marilena Pirrelli "Ritratto sorella" di Casorati: gli eredi vincono l'appello, in Plus24 - Il Sole 24 Ore, del 31 ottobre 2015.
[9] Ex plurimis, Cass. 18 settembre 2013, n. 21387, in Giust. civ. Mass. 2013, secondo la quale "In materia di possesso, la buona fede costituisce oggetto di presunzione "iuris tantum", che può essere superata anche attraverso presunzioni contrarie e semplici indizi. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che la presunzione iniziale di buona fede fosse venuta meno dal momento in cui i possessori di un fondo, non compreso nel titolo di acquisto da loro vantato, avevano ricevuto una lettera di intimazione al rilascio del bene)".
[10] Cfr. Cass. 23 luglio 2013, n. 17881, in Giust. civ. mass., 2013, "Ai fini dell'usucapione, il requisito della non clandestinità va riferito non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile a tutti o almeno ad un'apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo dal precedente possessore o da una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto con quest'ultimo..." e Cass. 17 luglio 1998, n. 6997, ivi, 1998. In dottrina si veda P. Gallo, Trattato di diritto civile, vol. III, La proprietà, i diritti reali limitati, il possesso, Torino, 2019, pag. 605, ove si sottolinea che ai fini della non clandestinità del possesso non occorre la conoscenza del possesso da parte del titolare del bene.
[11] Così si esprime la Corte: "Risulta di conseguenza manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'interpretazione suddetta con l'art. 42, comma 2, Cost., mentre semmai è l'istituto dell'usucapione in generale, e la sua compatibilità con i parametri sovranazionali che tutelano il diritto fondamentale di proprietà, ad essere da diversi anni al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale". La sentenza citata è della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Grande Camera, Sentenza 30.8.2007, ma si veda anche la decisione della IV sezione pronunciata il 15 novembre 2005, con la quale la Corte EDU riteneva l'usucapione contraria all'art. 1 prot. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo. Per un'analisi del caso sia consentito il rimando al mio Usucapione ed acquisto a non domino nel prisma della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, in Riv. dir. civ., 2014, pag. 1402 ss. e A. Guarneri, Usucapione, acquisti a non domino e Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in NGCC, 2016, pag. 171 ss.
[12] E in effetti la legge delle XII tale disponeva che usus auctoritas fundi biennium est, ... ceterarum rerum omnium ... annuus est usus. Cfr. M. Voigt, Die XII Tafeln. Geschichte und System, Leipzig, 1883, pag. 223 ss. e L. Vacca, Usucapione (diritto romano), in Enc. Dir., XLV, pag. 99.
[13] L. Vacca, op. loc. cit.
[14] "Usucapione dominia adipiscimur tam mancipi rerum, quam nec mancipi" e che l'"Usucapio est autem dominii adeptio per continuationem possessionis anni vel biennii: rerum mobilium anni, immobilium biennii". Interessante notare come il passo di Ulpiano si distanzi dal testo originale delle dodici tavole, ove si distingueva tra fondi e altre res ma non tra mobili e immobili, cfr. XII Tab. 6.3 "Usus auctoritas fundi biennium, ceterarum rerum annus".
[15] Si veda in proposito il testo delle XII tavole (Tab. VII, 17 "furtivam (rem) Lex XII tabularum usucapi prohibet"), disposizione espressamente richiamata da Gai. 2. 45 "nam furtivam Lex XII tabularum usucapi prohibet".
[16] Sul punto basti vedere quanto si scriveva, ancora nel XIX sec., in un'opera di carattere pratico come quella di G.A. Castelli, Della prescrizione e dell'usucapione secondo il codice civile universale austriaco ed il regolamento generale del processo civile, Milano, 1821, pag. XIV, il quale osservava che "La Prescrizione è non di rado considerata come un mezzo di mala fede, perché sembra di fatti a prima giunta che non il solo possesso si richiegga per vantare il compiuto domìnio di una cosa, ma il consenso del proprietario eziandio Giustiniano nella Nov. 129 chiama la Prescrizione impium praesidium ma impium praesidium sarà benissimo in alcuni casi, cioè quando sarà allegata da chi conosceva di non possedere giustamente la cosa, o di non essersi giustamente sgravato d'un peso; imperciocché nei casi in cui la Prescrizione è ammessa dalla Legge merita tutti quegli encomii che lo stesso Giustiniano altrove le comparte. Ed in vero se non v'ha nazione che non l'abbia adottata, chi non dirà che giustamente si può chiamare la patrona del genere umano?".
[17] F. Carnelutti, Appunti sulla prescrizione, in Riv. dir. proc. civ., 1933, I, pag. 32 ss.
[18] La banca dati è consultabile online sul sito http://tpcweb.carabinieri.it/SitoPubblico/search. È altresì possibile scaricare un'app per smartphone, che consente, tra le altre cose, la ricerca visuale, che permette all'utente "di scegliere un'immagine e di riconoscere, in tempo reale, pregevoli opere d'arte trafugate, attraverso la comparazione di immagini con quelle contenute in un apposito archivio informatico dedicato".
[19] Consultabile all'indirizzo https://www.interpol.int/Crimes/Cultural-heritage-crime/Stolen-Works-of-Art-Database. Si vedano anche la banca dati dell'ICOM http://icom.museum/en/activities/heritage-protection/red-lists/ o quella dell'ILAB con riguardo ai libri antichi e di pregio oggetto di furto https://stolen-book.org/.
[20] Maggiori dettagli sul tema nel mio Beni culturali ed acquisto a non domino, in Riv. dir. civ., 2013, pag. 741 ss. e M. Comporti, Per una diversa lettura dell'art. 1153 cod. civ. a tutela dei beni culturali, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, Milano 1995, pag. 395 ss.