L’ordinamento dei beni culturali: elementi di contesto
Regionalismo differenziato e patrimonio culturale: quello che resta [*]
Sommario: 1. L'avvio. - 2. Lo strumento. - 3. I problemi.
Asymmetric Regionalism and Cultural Heritage: what remains
The article analyzes the proposals for the implementation of the "asymmetric regionalism" related the cultural heritage and cultural activities to reflect more general on the conditions and implications of the Art. 116.3 of the italian Constitution.
Keywords: Asymmetric Regionalism; Cultural Heritage; Subsidiarity; Differentiation.
Le proposte di intesa per una prima attuazione dell'articolo 116, 3 co. Cost. (c.d. regionalismo differenziato), cioè della possibilità che leggi dello Stato riconoscano quote aggiuntive di autonomia a una singola regione distinguendola dalle altre a statuto ordinario (per quelle a statuto speciale, è un'altra storia), si sono avviate nel 2017 con i referendum di Lombardia e Veneto cui si è aggiunta la più limitata (ma politicamente molto significativa) adesione della regione Emilia-Romagna [1] e sono proseguite in modo carsico, tra improvvise accelerazioni e altrettanti arresti nella prolungata opacità (di trattative, di testi, di richieste di facciata e esigenze reali) e crescente consapevolezza del rilievo della questione, fino a divenire un dei temi più caldi del dibattito istituzionale e politico del Paese. Senza che a tutt'oggi, luglio 2019, sia possibile immaginarne il reale punto di ricaduta specie in ordine alle implicazioni finanziarie.
Su tutto questo esiste ormai, oltre alla documentazione istituzionale [2], una sterminata serie di interventi anche il sede scientifica ormai disponibili in rete, compresi due significativi e critici istant book [3] a cui si può senz'altro fare riferimento [4]. Continuano invece a mancare e a non essere disponibili bozze affidabili e definitive delle proposte di intesa, il che certo non aiuta a passare dalla ideologia o dalla polemica politica all'esame più sereno e ravvicinato dei testi e delle singole questioni.
In ogni caso, ogni valutazione in proposito deve muovere da alcuni elementi che tendono ad essere dimenticati: le regioni (enti) sono state previste dalla Costituzione per esprimere in termini di politiche pubbliche le ampie diversità delle regioni (territori, società economie) [5]; gli strumenti, legislativi e amministrativi, cui è affidato questo ruolo sono in grado di svolgerlo solo combinandosi con un centro garante del quadro generale unitario e delle funzioni indivisibili del sistema, vale a dire con una cornice solida (presidio di principi, beni e nodi indivisibili) cui riferire regole diverse, flessibilità, e sperimentazioni per adattarsi e regolare situazioni diverse.
Ebbene, la realtà oggi va in senso contrario: indirizzi instabili, gestione delle relazioni centro-periferia lasciata in gran parte ai vertici amministrativi ministeriali, con il risultato di forte settorialità e centralizzazione unita all'ossessione di regole rigide e uniformi, scarso controllo sul che cosa (contenuti, gestione, risultati,) e sovraccarico sul come (adempimenti, procedure, vincoli) per di più cristallizzato in via preventiva con disposizioni normative dettagliate. A tutto ciò si aggiungono, nel settore delle attività e dei beni culturali, le difficoltà generate da un incerto assetto delle competenze [6].
Dunque, se rimaniamo su questo terreno, un punto è chiaro: i problemi, che certo non mancano e che sono seri, non nascono (solo) dalle proposte dei governatori ma prima ancora da un assetto istituzionale molto, molto lontano da quanto sarebbe necessario.
Che un abito a taglia unica richieda adattamenti per realtà così diverse e che questo comporti messe a punto del modello oltre a naturali margini di flessibilità è dunque evidente. Il punto è vedere quale sia in tutto questo il ruolo dell'art. 116, 3 co. Cost. e quali sono state le scelte delle regioni che hanno deciso di avvalersene.
Limitatamente alle attività e al patrimonio culturale, le proposte hanno dimensioni molto diverse e incidono sul modello stesso di trasferimento proposto.
Il primo, molto esteso e avanzato da Lombardia e Veneto (quest'ultimo, ancora più pronunciato), comprende: tutela, titolarità e gestione dei beni culturali immobili e mobili dello Stato presenti nel territorio regionale; trasferimento delle funzioni esercitate dalle soprintendenze e dai segretariati regionali e relativi uffici, risorse e personale; competenza in materia di fondo unico dello spettacolo e relativi criteri di ripartizione; valorizzazione dei beni e attività culturali riguardanti istituti e luoghi dello Stato (essenzialmente, musei e siti archeologici), salvo la riserva a quest'ultimo dei compiti di tutela dei beni e delle collezioni ivi presenti compreso il prestito; trasferimento delle funzioni legislative e amministrative relative alla elaborazione e approvazione del piano paesaggistico; le funzioni sul patrimonio librario.
Il secondo, molto più limitato e proposto dall'Emilia-Romagna mira a ricomporre, con limitati trasferimenti di funzioni e senza dirette implicazioni sul terreno organizzativo e del personale statale, un sistema regionale integrato di politiche pubbliche su tre ambiti specifici: tutela e valorizzazione dei beni librari, valorizzazione del sistema museale (ivi compresi i musei statali), unitarietà e coordinamento delle politiche pubbliche in materia di Fondo unico per lo spettacolo (FUS) e di Fondo per lo sviluppo e gli investimenti nel cinema e nell'audiovisivo.
Nel valutare tutto ciò non c'è bisogno di ricordare l'indisponibilità di testi accreditati (almeno da parte delle regioni richiedenti) o avvertire che si tratta di richieste alle quali in molti casi, a quanto sembra, non corrisponde una disponibilità del Mibac. Né che la portata concreta di queste previsioni risulterà significativamente ampliata o ridotta in base alle indicazioni (in tema di risorse, finanziarie e regolative, e autonomia organizzativa) dettate dalle clausole generali che nell'intesa accompagneranno la definizione del trasferimento e, in misura non minore, dai provvedimenti (spesso adottati da organismi paritetici) destinati a operarne la concreta attuazione. Per non parlare delle scelte opposte, verso un sistema ancora più chiuso ed accentrato, che nello stesso momento il Mibac mette in campo con determinazione degna di miglior causa [7].
Fin d'ora in ogni caso è possibile sottolineare la ben diversa interpretazione che le regioni hanno dato alle possibilità aperte dall'art. 116, 3 co. Cost.
Veneto e Lombardia, qui come altrove (v. educazione scolastica), richiedendo il trasferimento delle funzioni e degli apparati statali operanti sul proprio territorio finiscono per incidere radicalmente non solo sull'assetto istituzionale ma sullo stesso modello di politica pubblica sin qui seguito (con limitate eccezioni) in questi ambiti. Settori caratterizzati da ampia discrezionalità legata a doppio filo al ruolo centrale di corpi tecnico-professionali la cui autonomia è ampiamente, e costituzionalmente, garantita.
Ebbene, passare dalla pur dialettica (e auspicabilmente collaborativa) separazione tra apparati statali e sistemi locali operanti in parallelo sullo stesso territorio all'innesto dei primi nell'ordinamento regionale significa optare per un modello che da binario diventa integrato nel quale per molti aspetti lo Stato finisce dove comincia la Regione. L'adozione (pur necessaria) di piani e programmi, per le attività, e standard e LEP per l'organizzazione e i servizi non toglierebbe il fatto che il sistema fin qui seguito viene cambiato in profondità, e che se questo avviene per materie e regioni di questa importanza le implicazioni dirette e indirette interessano l'intero Paese.
La proposta della regione Emilia-Romagna in materia di attività e beni culturali si muove, come si è appena visto, in tutt'altra logica non solo perché non si prevedono apparati da trasferire, a cominciare dalle soprintendenze, ma perché i compiti e le funzioni richieste sono pensati non per modificare il modello di politica pubblica perseguito ma per un'azione di ricucitura che mira con specifiche aggiunte di compiti ad assicurare l'esercizio unitario di funzioni attualmente ripartite tra stato e regione, recuperandone in questo modo un maggiore (e spesso mancante) coordinamento.
Ma se per perseguire finalità così diverse le regioni interessate ricorrono allo stesso strumento, i fatti sono due: o la clausola dell'art. 116, 3 co. Cost. è una sorta di passpartout buono per tutte le ipotesi, oppure è uno strumento di cui non si sono ancora compresi, prima ancora delle modalità o delle implicazioni, i fondamenti.
È dunque da qui che dobbiamo partire.
L'art. 116, 3 co. Cost. è uno strumento di integrazione della disciplina dei rapporti stato regioni e consiste nel riconoscimento di funzioni aggiuntive rispetto al sistema ordinario giustificate da particolari esigenze di singole realtà in modo da assicurare l'unitarietà di specifiche politiche pubbliche normalmente ripartite tra diversi livelli di governo. In breve, una correzione della uniformità del regime generale basata sulla ricucitura in capo alla regione di funzioni non per "materie" ma per "politiche pubbliche" giustificata da condizioni particolari e spesso uniche [8].
Per questo presuppone la presenza di un assetto generale ordinario solido e riconoscibile, basato su un centro in grado di garantire funzioni strategiche e di sistema, comunicazioni e standard, sedi collaborative, azioni di supporto alle realtà più deboli delle quali (non va scordato) i trasferimenti a finalità perequativa sono solo una parte. E per questo è necessario che il tutto sia accompagnato da una analisi puntuale del contesto cui il trasferimento è destinato ad applicarsi, evidente presupposto (e parametro) per valutare se, quanto e come le particolari condizioni dell'area territoriale interessata e della relativa comunità richiedano corrispondenti e particolari condizioni di autonomia: per quali materie, con quali connessioni, per quali finalità e di conseguenza anche con quali limiti.
Come risulta evidente dal sistema, dunque, la clausola dell'art. 116, 3 co. riguarda ipotesi molto precise non solo perché si riferisce a situazioni particolari, che giustificano dunque particolari condizioni di autonomia, ma perché quest'ultima riguarda innanzitutto il trasferimento di quote di competenza legislativa.
È singolare infatti notare come il tentativo di mettere in pratica questa disposizione abbia messo in luce il diffuso accantonamento del sistema in cui è quest'ultima è inserita, vale a dire il complesso del Titolo V come riformato nel 2001. L'ipotesi del c.d. regionalismo differenziato è stata collegata al tema degli statuti speciali, alle materie dell'art. 117, al procedimento delle intese con le altre confessioni religiose (art. 8 u.c.). Insomma, a tutto ma quasi mai a quello che ne costituisce il contesto necessario e portante, vale a dire lo "statuto" della funzione amministrativa e l'art. 118, senza il quale anche l'altro cardine del sistema (l'art. 119) non è compiutamente leggibile.
Perché questo sia avvenuto e per quali motivi il Titolo V, che pure apre alla differenziazione [9] sui profili (organizzativi, amministrativi e finanziari) in concreto più incisivi dei sistemi locali non è facile da intendere.
Si può osservare che l'art. 118 Cost., nel superare il criterio del necessario parallelismo tra competenze legislative e amministrative del testo costituzionale precedente e nell'indicare i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza come criteri per la allocazione delle funzioni amministrative tra i diversi livelli istituzionali affronta, alla base e per tutti, due problemi di fondo: la fluidità e flessibilità del sistema, vale a dire il possibile scorrimento in verticale di queste ultime in modo differenziato a seconda delle condizioni concrete e del contesto, e il fatto di potervi provvedere con provvedimenti legislativi ordinari, statali e regionali. Dunque, ed è quanto qui particolarmente interessa, al di fuori delle modalità e dei limiti dell' art. 116, 3 co.
Oltretutto, sono proprio queste le ragioni per le quali il nuovo testo dell'art. 118 non comprende più la previsione della delega amministrativa tra Stato e Regione o tra quest'ultima e gli enti locali: perché si tratta di una soluzione specifica ormai assorbita dalla più generale previsione del vigente primo comma, relativa alla ripartizione e scorrimento (c.d. sussidiarietà verticale) di funzioni amministrative tra tutti i livelli istituzionali [10].
Se questo è vero, ne discendono due preziose indicazioni. La prima è che se il problema di oggi è solo quello di allocare nuove funzioni amministrative in sede regionale (e locale, aggiungo) in linea di principio non c'è bisogno di ricorrere al complesso procedimento dettato per il regionalismo differenziato. Il che significa, ed è la seconda indicazione, che il ruolo specifico dell'art. 116, 3 co. in base a quanto fin qui osservato è contemporaneamente più limitato e più ampio.
Più limitato, perché connesso al processo appena descritto al fine di completare la allocazione di nuove funzioni amministrative con il corrispondente potere legislativo: una sorta, dunque, di parziale recupero del parallelismo in versione rovesciata, dove quote di potestà legislativa "seguono" il trasferimento di funzioni amministrative quando ciò fosse (non è detto che sempre lo sia) necessario. Una possibilità importante perché nel nuovo testo dell'art. 117 Cost., pur rimanendo una larga riserva della potestà regolamentare alle regioni (generale per tutto il resto, su delega dal centro per le materie di legislazione esclusiva statale, art. 117, co. 6), non c'è più l'ipotesi della c.d. potestà legislativa integrativa (art. 117, u.c. testo precedente).
Ma nello stesso tempo un ruolo anche più ampio perché il procedimento dell'art. 116, 3 co. consente in certi casi di ritoccare il perimetro delle materie elencate nell'art. 117 Cost. trasferendo nello stesso tempo, a singole regioni, potestà legislative aggiuntive.
Se le cose stanno così, è più chiara anche la logica d'insieme perché le disposizioni esaminate assicurano al sistema, sul terreno legislativo e amministrativo, quella flessibilità che è presupposto essenziale per l'adeguatezza e il buon andamento: proprio ciò che le lega a esigenze particolari di cui costituiscono risposte particolari. Il che spiega in linea di principio gli effetti limitati ai due interlocutori istituzionali del processo, cioè alle parti della intesa.
È da questo, più che da una improponibile trasposizione alle intese ex 116, 3 co. Cost. del principio privatistico della limitazione alle parti degli effetti del contratto o dalla altrettanto improbabile analogia con le intese religiose (tutt'altro fondamento, contesto e contenuto) che nasce la disciplina del procedimento che dall'iniziativa regionale e dall'accordo con l'Esecutivo giunge alla approvazione parlamentare con veste legislativa o al rigetto di quanto concordato.
Da questo, in linea di principio e anche con una certa coerenza, tutti gli altri elementi del regime giuridico solo in parte dettato dalla disposizione costituzionale che ne discendono: trattative bilaterali, il cui esito è sottoposto al sì o no delle Camere, l'inemendabilità del testo, la stessa sdrammatizzazione del tema degli eventi e modificazioni successive perché in base ai principi generali l'intesa prevale sugli aspetti specifici successivi mentre se l'oggetto o il contesto strettamente connesso cambiano in modo rilevante, l'intesa va comunque ridefinita. Una ragione in più per considerare con più prudenza l'analogia con l'intesa delle confessioni religiose (art. 8, 3 co. Cost.) ove l'interdipendenza con l'assetto e le politiche pubbliche è molto più tenue di quella, necessaria, del caso in esame.
È chiaro che la situazione che in materia si è venuta a creare in questi ultimi mesi è assai lontana da quanto fin qui si è detto per il numero delle regioni che si sono attivate, l'oggetto dei trasferimenti esteso (salvo l'Emilia-Romagna, ove comunque la dimensione è cresciuta rispetto alle richieste originarie) a tutte le possibili materie ammesse dalla disposizione costituzionale, l'entità delle risorse finanziarie e organizzative in gioco, la simultaneità nei tempi. E, c'è da aggiungere, significativi e inevitabili effetti sui terzi.
Queste dimensioni trasformano l'art. 116, co. 3 Cost. da strumento di rifinitura e di messa a punto di quote di decisione e di funzioni aggiuntive ritagliate su misura per le specifiche esigenze di singole realtà regionali in una sorta di nuova fase di regionalizzazione (la quarta, dopo i decreti del '72, la stagione del d.p.r. 616/1977, il decentramento delle leggi Bassanini alla fine degli anni '90) con un doppio problema:
- generale e sistemico, per il perseguimento di finalità altre e ben diverse da quelle cui è legata la ratio della disposizione, al punto da porre in dubbio la legittimità complessiva del procedimento e del provvedimento finale per un motivo molto vicino alla classica figura dell'"eccesso di potere per sviamento": un potere cioè utilizzato per finalità diverse da quelle per cui è stato assegnato;
- particolare e analitico, per la conseguente inadeguatezza di tutta la strumentazione specifica legata all'intesa: bilateralità, inemendabilità, riserva di assemblea in luogo di deleghe e relativi decreti legislativi, fino all'irrisolto problema della durata temporale. Un problema, quest'ultimo, destinato a rimanere aperto anche qualora si prevedessero scadenze temporali definite, per la naturale vischiosità degli apparati amministrativi e le concrete difficoltà che verrebbero a crearsi nel riportare il tutto alla situazione precedente.
In conclusione: non è in discussione la legittimità istituzionale della richiesta di una o più regioni di rivedere l'assetto delle relazioni con lo Stato spostandone i confini nella direzione di un decentramento maggiore. Ma è assai dubbio che tutto ciò possa transitare per i binari e per il ponte, ben più esile e stretto, dell'art. 116, 3 co. Cost. Una modifica che incide sull'intero sistema, riguarda per definizione anche tutte le altre articolazioni dell'ordinamento.
Per concludere, due considerazioni, che vanno sottolineate e che conteranno in futuro indipendentemente dall'esito della vicenda, reso ancor più incerto dall'aprirsi in piena estate della crisi di governo ma che nello stesso tempo diventano ancora più rilevanti considerando che in futuro il Governo potrebbe risultare più aperto a queste richieste regionali di quello fin qui in carica.
La prima riguarda la vicenda e lo strumento specifico: l'art. 116, 3 co. Cost. è troppo per operazioni di semplice flessibilità normativa e troppo poco per sostenere operazioni di sistema, oltretutto pregiudicate dall'essere condotte nella modalità "a sportello" o "a' la carte", come è stato detto.
Meglio insistere: troppo perché per operazioni di rifinitura sono disponibili strumenti di gran lunga più semplici (e in qualche caso anche più efficaci), troppo poco perché interventi estesi e in profondità investono l'intero sistema (centro statale compreso) e non possono restare confinati a sedi separate e relazioni bilaterali.
La seconda è ciò che in continuazione fa capolino sullo sfondo dell'intera vicenda e cioè che tutti i temi e molte delle difficoltà emerse non sono imputabili al regionalismo differenziato, ma al grande e tuttora incerto edificio del regionalismo in Italia [11].
Si tratta di riprendere a fondo questo discorso partendo dal dato, che l'esperienza passata conferma, che sul piano istituzionale riforma della pubblica amministrazione, questione meridionale e relazioni centro/regioni-autonomie territoriali sono tre lati della stessa figura e richiedono a chi vi pone mano piena consapevolezza dell'intera posta in gioco.
Questa è la strada maestra: il tempo per scorciatoie o fughe in avanti è scaduto da tempo.
Note
[*] Attualitą - Valutato dalla Direzione. Il testo è stato scritto nel mese di luglio 2019, ed è dunque antecedente alla successiva crisi di governo di agosto.
[1] Un ampio e recente esame della vicenda e dei precedenti in L. Violini, L'autonomia delle regioni italiane dopo i referendum e le richieste di maggiori poteri ex art. 116, comma 3, Cost., in Rivista AIC, 2018, 4, pag. 319 ss.
[2] Dossier del Servizio Studi del Senato, Il regionalismo differenziato e gli accordi preliminari con le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. Dossier n. 16 - maggio 2018; Id., Il processo di attuazione del regionalismo differenziato, Dossier n. 104 del 1 marzo 2019.
[3] G. Viesti, Verso la secessione dei ricchi? Autonomie regionali e unità nazionale, Laterza, 2019 e M. Villone, Italia, divisa e diseguale. Regionalismo differenziato o secessione occulta? Editoriale scientifica, 2019.
[4] Per uno sguardo di insieme, si vedano i contributi raccolti nel numero monografico dedicato al tema da Le Regioni, 2017, 4, e in particolare G. Falcon, Il regionalismo differenziato alla prova, diciassette anni dopo la riforma costituzionale, pag. 625 ss., nonché le relazioni e gli interventi dei due seminari di Astrid in materia: il regionalismo differenziato e l'attuazione dell'art. 116 della Costituzione, Roma 19 luglio 2018 e L'attuazione dell'art. 116 della Costituzione sul c.d. regionalismo differenziato: questioni di metodo e di merito, Roma 7 marzo 2019, per la maggior parte pubblicati in Astrid Rassegna.
[5] Su cui si veda l'ampia indagine svolta ini quattro volumi L'Italia e le sue Regioni, (a cura di) M. Salvati e L. Sciolla, Treccani, 2016.
[6] Su cui vedi P. Scarlatti, Beni culturali e riparto di competenze tra Stato e Regioni nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Le Regioni, 2018, 4, pag. 645 ss.
[7] Cfr. d.p.c.m. 19 giugno 2019, n. 76, Regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, in G.U. 7 agosto 2019.
[8] Gli esempi portati in dottrina (R. Bin, Le materie nel dettato dell'art. 116 Cost., in Forum di Quaderni Costituzionali Rassegna, luglio 2019) riguardano il complesso dei problemi legati alle attività estrattive del petrolio in Basilicata, quelli dei trasporti in Lombardia, delle acque a Venezia, dei beni culturali in Toscana.
[9] Cfr. il quesito sollevato da A. Poggi, Esiste nel titolo V un "principio di differenziazione" oltre la "clausola di differenziazione" del 116, comma 3?, in Esperienze di regionalismo differenziato. Il caso italiano e quello spagnolo a confronto, (a cura di) A. Mastromarino, J.M. Castella Andreu, Milano, 2008, pag. 27 ss.
[10] In connessione con il quarto comma dello stesso articolo: A. Poggi, Riflettere sulla amministrazione sussidiaria, a vent'anni dalle riforme Bassanini, in Astrid Rassegna, 2019, 10.
[11] Sul punto, R. Bin, Le materie, cit., C. Triglia, L'incontro mancato. Governi regionali e patrimonio dei territori, in Il Mulino, 2016, 3, pag. 451 ss., e il mio Regioni e regionalismo: la doppia impasse, in L'Italia dopo il 1961. La grande trasformazione, (a cura di) M. Dogliani, S. Scamuzzi, Bologna, 2015, pag. 99 ss.