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Patrimonio culturale e nuove tecnologie

Recenti questioni in tema di diritto privato dell'arte

di Giovanni Liberati Buccianti

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il diritto dell'arte: tra diritto pubblico e diritto privato. - 3. Il plagio artistico. - 4. Il diritto di riproduzione dell'opera d'arte. - 5. Conclusioni.

Recent issues about Art Law
The article aims to investigate the increasing importance of private law in art law. It recalls the so-called "Pieraccini Law" that introduced in 1971 the authenticity right and a famous case law decided in 1982 by the Italian Supreme Court on civil liability of a famous painter (Giorgio de Chirico). Afterwards, the article analyzes two present-day questions on art law that have been decided by Italian courts: the first one on the blurring boundaries between appropriation art and artistic plagiarism, the second one on the reproduction rights of artworks (particularly about the David of Michelangelo in Florence and of the Massimo Theatre in Palermo). In the conclusions, the article stresses the need of more systematic studies of private art law.

Keywords: Art Law, Private Law, Pieraccini Law; Authenticity, Liability, Artistic plagiarism, Reproduction rights.

1. Introduzione

È indubbio che nel corso dei secoli molti artisti abbiano raffigurato elementi inerenti il Diritto nelle loro opere. Si può parlare, a questo proposito, di diritto nell'arte. Si pensi, per fare un esempio, all'affresco "Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo" di Ambrogio Lorenzetti, risalente al XIV secolo e conservato nel Palazzo Pubblico di Siena [1]. Tale affresco è assai significativo perché, a ben guardare, in alto a sinistra, si trova una mirabile raffigurazione di ciò che il Diritto dovrebbe perseguire e realizzare: la Giustizia, nella duplice accezione di Giustizia commutativa e distributiva [2].

Ci si deve chiedere, però, se sia immaginabile anche un diritto dell'arte, per tale intendendosi il sistematico studio delle numerose e assai varie questioni giuridiche che regolano il mondo dell'arte. La risposta non può che essere positiva anche se, a ben vedere, si tratta di un tema inusuale per il giurista italiano, che resta quasi attonito di fronte al neologismo "diritto dell'arte". Questo a differenza di altri ordinamenti laddove il diritto dell'arte è assai sviluppato: si pensi alla Germania dove si è soliti parlare di Kunst und Recht e ai Paesi anglofoni in cui è ben nota l'art law [3]. A prescindere dagli ordinamenti, con tale termine si vuole intendere un sistema giuridico complesso, che ha per oggetto "ogni rapporto che abbia a che fare con l'opera d'arte e la sua circolazione o con le varie vicende che possono riguardare tali oggetti o tali soggetti" [4].

2. Il diritto dell'arte: tra diritto pubblico e diritto privato

Ci si potrebbe chiedere perché il diritto dell'arte non abbia avuto un grande riscontro in un Paese come l'Italia, famoso per il suo patrimonio artistico e culturale. In verità, nei corsi universitari italiani si trova l'insegnamento - peraltro spesso complementare - sulla legislazione dei beni culturali, in un'ottica prettamente pubblicistica [5]. Non è escluso che esso possa dipendere dalla storia del nostro Paese, nel quale, fin dalla lungimirante legge Bottai del 1939 [6], confluita poi nel codice dei beni culturali del 2004 [7], si prevedono soprattutto regole e limiti pubblicistici per la conservazione, tutela e valorizzazione dei beni culturali. Tutto ciò è evidente, ad esempio, nel regime circolatorio dei beni culturali [8]: una volta riconosciuti tali a seguito della notificazione da parte del Ministero [9], il regime giuridico ad essi applicabile è particolare, tanto da potersi parlare di proprietà conformata [10], con gli istituti della prelazione e della espropriazione artistica. Così, laddove il bene culturale venga alienato, il privato è onerato della denuntiatio del negozio traslativo all'ente preposto [11] e sussiste l'eventuale prelazione - reale e non obbligatoria - del Ministero (o degli enti pubblici territoriali) [12]. Non solo: si può, al limite, giungere fino alla espropriazione per assicurare l'interesse pubblico per la salvaguardia del patrimonio culturale [13].

In realtà, il "diritto dell'arte" riguarda trasversalmente anche altri settori del diritto, come il diritto pubblico, il diritto internazionale - pubblico e privato -, il diritto tributario, il diritto penale, ecc. Si pensi alle questioni inerenti la restituzione dell'opera d'arte al Paese d'origine [14], alla legge applicabile laddove la fattispecie presenti elementi di internazionalità, alla fiscalità del collezionismo, al traffico illecito di beni culturali [15], ecc.

È vero tuttavia che le numerose ed interessanti questioni privatistiche inerenti il diritto dell'arte sono rimaste in penombra, lasciando le relative problematiche alla trattazione nei singoli corsi (ad esempio, al diritto civile e al diritto commerciale) senza giungere ad una organicità ed unitarietà di una disciplina che certamente le meriterebbe [16].

Al privatista colpisce una legge di particolare importanza emanata negli anni '70, quelli del miracolo economico italiano, in cui anche il mercato dell'arte era in grande fermento. In particolare, dopo ampia consultazione con sovraintendenti, artisti e galleristi e trovando non pochi consensi, il disegno di legge (dapprima avviato nel febbraio 1970 e poi riformulato in nove articoli), superava l'esame parlamentare nel novembre 1971, passando alla storia come legge Pieraccini [17], dal nome di uno dei suoi promotori. Si tratta di un testo normativo significativo, non solo per il contenuto della legge che introdusse nel mercato dell'arte il diritto di autentica dell'opera d'arte ma anche per la figura stessa di Pieraccini. Invero, Giovanni Pieraccini incarnava la figura del collezionista-legislatore, essendo non solo parlamentare ma avendo anche una indubbia autorevolezza in materia artistica e culturale ed una tra le più importanti collezioni di opere grafiche in Italia. All'interno di una legge che conteneva norme penali, l'art. 2 introduceva il diritto di autentica dell'opera d'arte, che è stata poi invocata in molti giudizi civili [18]. In particolare, l'art. 2 prevedeva che i mercanti d'arte dovessero mettere a disposizione degli acquirenti i cd. attestati di autenticità e di provenienza delle opere che si trovassero nell'esercizio o nell'esposizione. In secondo luogo, i mercanti avrebbero dovuto rilasciare agli acquirenti una copia fotografica dell'opera o dell'oggetto con retroscritta dichiarazione di autenticità e indicazione della provenienza, recanti la sua firma. La legge è stata poi abrogata con il codice dei beni culturali, ma non il contenuto dell'art. 2 che si trova sostanzialmente riportato nell'art. 64 cod. beni culturali.

In particolare, con lo sviluppo delle contrattazioni [19], l'autenticità è spesso stata oggetto di giudizi civili e, anche recentemente la giurisprudenza si è interrogata sul diritto all'accertamento giudiziale dell'autenticità dell'opera d'arte [20]. Non può non ricordarsi, ad esempio, la nota sentenza che vide protagonista Giorgio de Chirico nel 1982 [21], quando il pittore metafisico aveva autenticato un quadro non suo ed un sub-acquirente, dopo aver accertato in giudizio la falsità del dipinto, chiedeva il risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ. La Suprema Corte coniò la responsabilità aquiliana per danno meramente patrimoniale, individuando un fantomatico diritto alla integrità del patrimonio, la cui lesione avrebbe generato un danno ingiusto ai sensi del citato articolo 2043 cod. civ.: per ragioni di tutela si produsse un'aporia giuridica, poi aspramente criticata in dottrina [22].

Nonostante il passare del tempo, l'incidenza del diritto privato nell'arte è crescente: si consideri il grado di diligenza della galleria d'arte nella compravendita [23], la retroversione degli utili ex art. 158 l. aut. [24], l'applicabilità dell'aliud pro alio nel caso di compravendita di un quadro poi rivelatosi di altro autore [25]. Un recente caso di cronaca dimostra ancor più l'attualità e le innumerevoli sfaccettature del diritto privato dell'arte: un celebre artista, Banksy, tramite un marchingegno a distanza ha deciso di distruggere durante l'asta una propria opera "Ragazza con palloncino", appena venduta da una nota casa d'aste [26]. Questo spinge a riflettere sulle tutele civili esperibili dall'acquirente - che ha preferito tenere l'opera tagliata - e invita a riflettere su eventuali limiti al diritto di (auto)distruggere la propria opera d'arte. Sta di fatto che i criteri valutativi nell'arte sono completamente diversi da quelli ordinari atteso che l'opera distrutta ha assunto un valore decisamente superiore.

Sembra opportuno ricordare due tematiche che rivestono una certa importanza per la costruzione di un diritto privato dell'arte: da un lato, il plagio artistico con riferimento all'appropriazionismo nell'arte; dall'altro il diritto di riproduzione dell'opera d'arte.

3. Il plagio artistico

Una tendenza sempre più frequente nell'arte contemporanea è quella dell'appropriazionismo, che si realizza quando artisti successivi si appropriano dell'opera di artisti precedenti cambiandone il significato. Si pensi all'esempio emblematico della Gioconda con i baffi di Marcel Duchamp. È un argomento in cui esiste un labile confine tra lecito e illecito e dove recentemente si registrano numerosi interventi della giurisprudenza di merito e di legittimità [27]. Nel gennaio di quest'anno, la Suprema Corte (Cass., 26 gennaio 2018, n. 2039) [28] ha dettato una serie di criteri da seguire per comprendere se sussiste plagio di opera d'arte. In primo luogo, la Suprema Corte ha considerato meritevole di tutela anche l'arte informale (si trattava di un'opera di Emilio Vedova). Il collegio ha ritenuto che la legge sul diritto d'autore tuteli la forma in cui l'idea è espressa - e non l'idea in sé -. Potrebbe infatti sostenersi che l'arte informale - da taluni definita anche ''non-arte'' - possa non essere tutelata dal diritto d'autore, perché non vi si rintraccia un atto di creatività. Il collegio ha ritenuto meritevole di protezione l'arte informale: anche quando l'idea artistica si concretizzi in linee, segni o aree di macchie o colori deve essere tutelata la personalissima interpretazione e trasfigurazione che l'autore ne fa.

La sentenza ha poi sviluppato una serie di criteri che devono guidare il giudizio di fatto di comparazione tra le opere (quella plagiata e quella plagiaria), il più importante dei quali è rappresentato dal cd. scarto semantico. Tali criteri devono essere considerati per raffrontare opere precedenti e successive per distinguere il caso dell'illecito di plagio dalla consentita rielaborazione creativa di opera altrui. Per potersi parlare di plagio deve ricorrere un requisito negativo, di particolare importanza: l'assenza di scarto semantico tra la opera plagiata e quella plagiaria. Laddove si riconosca lo scarto semantico alla nuova opera, allora non potrà esservi plagio. Così, nel caso di specie, la Cassazione ha escluso lo scarto semantico dell'opera successiva di De Lutti, ritenendo quest'ultima un plagio di Vedova. Seppur con esiti diversi, è stato proprio lo scarto semantico a guidare la giurisprudenza in altri casi che si sono verificati negli ultimi anni: il caso Giacometti del 2011 [29], il caso Kambalou del 2015 [30] e il caso Isgrò del 2017 [31].

4. Il diritto di riproduzione dell'opera d'arte

Un'altra tematica attuale è quella del diritto di riproduzione dell'opera d'arte [32]. Si segnalano due recenti provvedimenti emessi da corti italiane sul tema. In entrambi i casi la riproduzione è avvenuta senza chiedere il permesso ai proprietari delle opere e le corti si sono espresse in favore di questi ultimi.

La questione sul delicato rapporto tra i diritti del proprietario e la illecita interferenza di terzi nella riproduzione è influenzata dal crescente sviluppo della tecnologia e del turismo. In primo luogo, infatti, l'estrema facilità di riproduzione dell'opera d'arte - si pensi alle opportunità offerte dagli smartphone - provoca una immediatezza dell'illecito, che sovente ha carattere transnazionale poiché l'immagine può essere immediatamente trasmessa e riprodotta in ogni parte del pianeta. In secondo luogo, le immagini illecitamente riprodotte dell'opera d'arte possono essere utilizzate a fini turistici e commerciali: non è un caso, infatti, che in un caso l'immagine del David di Michelangelo fosse riprodotta in biglietti museali destinati essenzialmente a turisti e nell'altro l'uso dell'immagine del Teatro Massimo di Palermo fosse destinata a promuovere le filiali della Banca del Mezzogiorno.

In primo luogo, una recente ordinanza del Tribunale di Firenze [33] ha inibito l'utilizzo dell'immagine del David di Michelangelo ad una società di bagarinaggio che aveva riprodotto la celebre scultura nei biglietti per accedere alla Galleria dell'Accademia, peraltro con un prezzo doppio di quello ufficiale. È interessante notare che il giudice ha inibito l'utilizzazione ex art. 700 cod. proc. civ. tanto nel territorio nazionale quanto in quello europeo. In particolare, alla base della decisione della corte fiorentina sta l'art. 107 del cod. beni culturali - non espressamente richiamato dalla decisione - che prevede che il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni in materia di diritto d'autore. L'art. 108 del cod. beni culturali disciplina la determinazione dei canoni di concessione, richiesti solo quando la riproduzione viene fatta per scopo di lucro mentre la riproduzione è libera se richiesta da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici per finalità di valorizzazione [34]. Ebbene, la società di bagarinaggio aveva utilizzato l'immagine del David di Michelangelo a fini commerciali senza la richiesta autorizzazione e la Galleria dell'Accademia ha vinto la causa. Se una critica può essere mossa alla decisione è quella di non aver indicato la norma di conflitto per estendere l'applicabilità della legge italiana anche alle violazioni sul diritto di riproduzione commesse all'estero (si pensi, ad esempio, alla pubblicità del David che può essere fatta in Francia). Se è vero, infatti, che il giudice correttamente inibisce l'utilizzazione dell'immagine su tutto il territorio europeo non indica le modalità con cui giungere a tale risultato. Autorevole dottrina ritiene applicabile all'opera d'arte la legge della sua residenza abituale, proprio come accade per le persone, legittimando così l'applicazione della legge italiana laddove l'opera d'arte si trovi abitualmente in Italia ma la violazione avvenga all'estero [35].

In secondo luogo, una sentenza del Tribunale di Palermo si è occupata dello stesso problema [36]. Si trattava, in questo caso, della riproduzione della immagine del Teatro Massimo di Palermo che era stata ripresa dalla Banca Popolare del Mezzogiorno per la promozione delle proprie agenzie presenti sul territorio. La Fondazione del Teatro agiva in giudizio per richiedere il risarcimento sia del danno patrimoniale (individuato nei mancati introiti stante l'assenza del pagamento del canone concessorio previsto dall'art. 108 cod. beni culturali) sia del danno non patrimoniale (individuato nello sfruttamento della riproduzione di un bene avente elevato interesse storico e artistico per fini di lucro) subiti a causa della illecita riproduzione dell'immagine del Teatro Massimo. A fondamento venivano ripresi gli artt. 106 e 107 del codice beni culturali che prevede la autorizzazione dietro il pagamento di un canone concessorio. In particolare, l'art. 108 del cod. beni culturali detta, come ricordato, un regime per la determinazione del canone di concessione, da corrispondere generalmente in via anticipata. Il giudice ha ritenuto illecita la condotta della banca ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., ravvisando un danno patrimoniale ma ha trovato maggiori difficoltà nella liquidazione del quantum, dovendo individuare la misura degli introiti lordi derivanti alla Banca Popolare del Mezzogiorno dall'utilizzo illecito dell'immagine. Quanto, poi, al danno non patrimoniale, relativo alla lesione dell'immagine per la diffusione delle fotografie, la corte siciliana ha ricordato che il danno all'immagine è tutelabile anche da parte delle persone giuridiche [37]. Se questo è vero, viene esclusa la sussistenza del danno non patrimoniale perché la riproduzione dell'immagine del teatro da parte della banca non è stata né denigratoria né lesiva del valore storico e artistico del teatro. Era vero, semmai, il contrario poiché la riproduzione, anche se illecita, aveva creato un effetto positivo e promozionale della bellezza del monumento.

5. Conclusioni

Dall'analisi delle decisioni in tema di plagio e di riproduzione, sembrano emergere due linee di tendenza: da un lato l'ampia tutela che la giurisprudenza riconosce all'arte e all'artista (cfr. il caso di Emilio Vedova), andando a tutelare la personalissima interpretazione che delle linee o macchie di colori dà l'artista, dall'altro lato, con riferimento al diritto di riproduzione (cfr. i casi del David di Michelangelo e del Teatro Massimo) la crescente percezione, nella prassi quotidiana, del valore che le riproduzioni delle opere d'arte possano avere per finalità commerciali, soprattutto in un'ottica pubblicitaria e la tutela del proprietario delle opere contro la illecita interferenza altrui.

Le brevi note dimostrano l'importanza crescente del diritto privato nell'arte, anche in considerazione dell'impatto che la tecnologia può avere sulla creazione, distribuzione e vendita dell'opera d'arte. L'interesse sul diritto dell'arte è dunque massimo. Da un lato, infatti, la crescente litigiosità e le numerose transazioni in questo settore hanno portato i maggiori studi legali a dotarsi di professionisti specializzati nel diritto dell'arte [38], dall'altro, poi, le grandi case d'asta internazionali stanno sempre più potenziando l'offerta formativa dei loro corsi sull'arte dove un modulo consistente al loro interno è dedicato proprio al suddetto diritto. Lo stesso vale per alcune Università italiane [39] e per gli istituti di ricerca d'eccellenza [40].

Allo stato dei fatti, però, le singole questioni vengono perlopiù studiate in modo non organico, senza una attenta riflessione complessiva di sistema. Si auspica, allora, per il futuro, una maggiore sistematicità e riflessione da parte del privatista sul diritto dell'arte.

 

Note

[1] Il dipinto, commissionato dal "Governo dei Nove" della città di Siena, viene unanimemente considerato come uno tra i primi esempi di opera pittorica di carattere laico. Fu realizzato tra il 1337 e il 1339 e si trova nella "Sala dei Nove" di Palazzo Pubblico. Lo storico dell'arte Enzo Carli ricorda la grande capacità del Lorenzetti di "tradurre figurativamente e di risolvere in valori di altissima poesia una complessa e persino arida trama di concetti dottrinari e didascalici", cfr. E. Carli, I pittori senesi, Milano, 1971, pag. 19. Vedi altresì E. Carli, Pietro e Ambrogio Lorenzetti, Milano, 1970.

[2] Nella rappresentazione del Lorenzetti la giustizia commutativa viene rappresentata da un angelo che consegna uno stàio - recipiente utilizzato in passato come unità di misura - a due mercanti. Esso vuole significare la correttezza e la lealtà che devono sovraintendere le relazioni commerciali. È un'immagine che per certi versi richiama nel giurista quella buona fede oggettiva che permea il diritto dei contratti fin dalla fase precontrattuale e poi nella esecuzione del contratto e nella interpretazione dello stesso (cfr. artt. 1337, 1375, 1366 cod. civ.). La grande modernità nella rappresentazione della giustizia commutativa nelle relazioni sociali non si riscontra, tuttavia, nella rappresentazione della giustizia distributiva del Lorenzetti che è ancora legata ad un mondo medievale, dove la punizione del reo e l'incoronazione del giusto è assai carica emotivamente (un angelo decapita un uomo e ne incorona un altro). I due angeli si trovano rispettivamente a destra e a sinistra della Giustizia assisa in trono, sopra i due piatti della bilancia che da sempre ne costituisce l'emblema, e le cui ali vengono idealmente unite da una scritta oro che riproduce la celebre locuzione latina "diligite iustitiam qui iudicatis terram" (amate la giustizia, o voi che giudicate in terra). Tale locuzione, che viene generalmente attribuita al re Salomone, rappresenta l'inizio del libro della Sapienza (Sap. 1,1) e costituisce il concetto di Giustizia proprio dell'Antico Testamento. Si vedano, tra gli altri, O.H. Giglioli, L'allegoria politica negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, XIX, Emporium, 1904, pag. 268 ss.; L. Zdekàuer, Iustitia. Immagine e idea, in Bullettino Senese di Storia Patria, anno XX, fasc. III, Siena, 1913, pag. 384 ss.; N. Rubinstein, Political ideas in Sienese art: the frescoes by Ambrogio Lorenzetti and Taddeo di Bartolo in the Palazzo Pubblico, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, Vol. 21, n. 3/4 (Jul-Dec), 1958, pag. 179 ss.

[3] In Germania è stata recentemente istituita una cattedra di Diritto Civile, dell'Arte e dei Beni Culturali presso il Dipartimento di Giurisprudenza della Università di Bonn, con il suo primo docente, il Prof. Matthias Weller, Alfried Krupp von Bohlen und Halbach-Professur für Bürgerliches Recht, Kunst- und Kulturgutschutzrecht. Si pensi, ancora, a Ginevra dove inizialmente è stata creata una Fondation pour le droit de l'art (1991) e in seguito il Centre universitaire du droit de l'art (1999) pienamente integrato nella Facoltà di Diritto dell'Università di Ginevra e che beneficia del sostegno della stessa fondazione. Si ricordino anche l'Institute of Art & Law nel Regno Unito e le Università di Oltreoceano: senza pretesa di completezza, si pensi alla Columbia University dove è stato creato il The Kernochan Center for Law, Media and the Arts. Con riferimento, poi, alle riviste giuridiche sul diritto dell'arte si segnalano, ad esempio, la rivista tedesca Kunst und Recht - Journal für Kunstrecht, Urheberrecht und Kulturpolitik (KUR) edita fin dal 1999; la rivista austriaca Das Bullettin der Forschungsgesellschaft Kunst & Recht; la rivista inglese Art Antiquity and Law. In Italia si segnala la rivista Aedon - Rivista di arti e diritto on-line, con carattere più marcatamente pubblicistico.

[4] G. Negri-Clementi (a cura di), Il Diritto dell'Arte (vol. 1). L'arte, il diritto e il mercato, Milano, 2012.

[5] Non è un caso che il corso sulla legislazione dei beni culturali (o diritto dei beni culturali) venga generalmente ricompreso all'interno del settore disciplinare IUS/10 (Diritto Amministrativo). Sul diritto del patrimonio culturale, cfr. C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Diritto del patrimonio culturale, Bologna, 2017.

[6] La legge Bottai, così chiamata dal nome del relatore, il Ministro dell'Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, è la legge 1° giugno 1939, n. 1089, recante "Tutela delle cose d'interesse artistico o storico". Il giudizio su questa legge è generalmente molto positivo. Ricorda Bernardo Giorgio Mattarella che la bontà della legge Bottai viene affermata non solo nelle parole di Mario Grisolia, segretario della Commissione ministeriale, presieduta da Santi Romano che aveva elaborato il progetto di legge e che definiva la legge "formalmente precisa ed organicamente perfetta" ma anche nel giudizio di un giurista successivo dello spessore di Massimo Severo Giannini il quale ricordava che "la legislazione italiana sui beni culturali è una legislazione guida, cioè, una di quelle legislazioni alla quale si ispirano i diversi Paesi che hanno provveduto in materia". Cfr. B.G. Mattarella, La codificazione del diritto dei beni culturali e del paesaggio, in A.L. Maccari, V. Piergigli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio tra teoria e prassi, Milano, 2006, pagg. 1-2. Per completezza, è opportuno ricordare che oltre alla citata legge sul patrimonio storico-artistico, nel 1939 venne approvata anche la legge 29 giugno 1939, n. 1497 recante "Protezione delle bellezze naturali". Va da sé che anche nel periodo liberale, in epoca prefascista, era già stata emanata una legge che fissava norme sulla inalienabilità della antichità. Si tratta della legge Rosadi-Rava, legge 20 giugno 1909, n. 364 recante "Per le antichità e le belle arti". Sul punto, si veda R. Balzani, Per le antichità e le belle arti. La legge n. 364 del 20 giugno 1909 e l'Italia giolittiana, Bologna, 2003.

[7] Si tratta del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 recante "Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137". Il codice è stato poi modificato tramite il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156 recante "Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali" e dal d.lgs. 26 marzo 2008, n. 62 recante "Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali". Per completezza si dica che in precedenza era intervenuto il d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 recante "Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali".

[8] Sulla circolazione si veda A. Fusaro, La circolazione giuridica dei beni immobili culturali, in NGCC, 2010, II, pag. 12 ss.; G. Alpa, G. Conte, V. Di Gregorio, A. Fusaro, U. Perfetti, I beni culturali nel diritto. Problemi e prospettive, Napoli, 2010.

[9] Fu l'art. 5 della legge Rosadi-Rava del 1909 ad introdurre l'istituto della notifica da parte dell'autorità dell'importante interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico per le cose immobili e mobili. Successivamente, l'art. 3 della legge Bottai previde che il Ministro della Pubblica Istruzione potesse notificare, in forma amministrativa, ai privati proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo, le cose, immobili o mobili che presentassero interesse artistico, storico, archeologico o etnografico particolarmente importante. Con riferimento alle disposizioni del 2004, infine, è stata introdotta la nozione di bene culturale, già fatta propria dalla Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose di interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio (la Commissione Franceschini istituita con legge 26 aprile 1964, n. 310 e la cui relazione finale si legge in Riv. trim. dir. pubbl. 1966, pag. 18 ss.). È l'art. 10 ad individuarli, distinguendo tra quelli di appartenenza pubblica e quelli di appartenenza privata. Per i beni di appartenenza pubblica, essi rientrano nella categoria qualora presentino interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico (anche laddove esso non sia rilevante). Per escludere, allora, l'applicazione della disciplina dettata dal codice dei beni culturali occorre sottoporre il bene in questione al procedimento di verifica dell'interesse ex art. 12. Solo nel caso esso abbia riguardato beni demaniali e il giudizio sia stato negativo può verificarsi la sdemanializzazione del bene (sempre che non ostino ragioni di interesse pubblico). Viceversa, per i beni di proprietà privata, essi rientrano nell'ambito di applicazione della disciplina del codice quando interviene l'apposita dichiarazione ex art. 13 che constata l'importanza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico del bene. Il procedimento, disciplinato dall'art. 14, prevede che venga avviato dal Sovrintendente, oggi dipendente dal ministero per i Beni e le Attività Culturali. Sul punto si veda A. Lalli, Beni culturali. Disciplina pubblicistica, in Treccani on-line.

[10] Si veda, ad esempio, Cons. St., 20 gennaio 2009, n. 267, in Foro amm. - CdS, 2009, pag. 263 ss. Il supremo consesso amministrativo puntualizza che la prelazione artistica costituisce classico esempio di proprietà conformata come ogni altra disposizione volta a regolare (comprimendolo) l'esercizio di un diritto avente copertura costituzionale. Sul tema della proprietà conformata, la bibliografia è amplissima. Si vedano, fra i tanti, A. Gambaro, La proprietà, in Trattato di Diritto Privato, (a cura di) G. Iudica, P. Zatti, Milano, 1990; A. Gambaro, La proprietà, in Trattato dei Diritti Reali, (a cura di) A. Gambaro, U. Morello, vol. I, Milano 2010, pag. 295 ss., in part. pag. 300 ss.; U. Mattei, I diritti reali, I, La proprietà, in Trattato di Diritto Civile, diretto da R. Sacco, Torino, 2001; C.M. Bianca, La proprietà, Milano, 1999.

[11] Si vedano l'art. 5 della legge Rosadi-Rava del 1909 e l'art. 30 della legge Bottai del 1939. La denuncia di trasferimento è oggi disciplinata dall'art. 59 cod. beni culturali. Si legge nel comma 1, che gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali sono denunciati al ministero. La denuncia, ai sensi del comma 2, deve essere effettuata entro trenta giorni e viene individuato il soggetto onerato; essa deve essere presentata al competente Sovrintendente del luogo ove si trovano i beni (comma 3); deve contenere una serie di dati (comma 4) e si considera non effettuata quella denuncia che non abbia riportato le indicazioni richieste dal comma 4 o con indicazioni imprecise o incomplete (comma 5).

[12] Si vedano l'art. 6 della legge Rosadi-Rava del 1909 e l'art. 31 della legge Bottai del 1939. In particolare, nella legge Bottai la prelazione poteva essere esercitata dal ministero della Pubblica Istruzione laddove l'alienazione fosse a titolo oneroso con la possibilità, così, di acquistare il bene al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione sempre nel termine di due mesi dalla data della denuncia (cfr. art. 32, comma 1). Oggi, la prelazione è invece prevista nell'art. 60 del cod. beni culturali e consiste nella facoltà attribuita al ministero dei Beni Culturali - o agli enti pubblici territoriali interessati in presenza di determinate condizioni previste dall'art. 62, comma 3 - di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società, rispettivamente al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento. La prelazione può essere esercitata entro un determinato termine (art. 61) a seconda che la denuncia di trasferimento sia stata completa ovvero sia stata omessa o presentata tardivamente o, infine, incompleta. In considerazione del potere ablatorio incidente sulla proprietà privata - tanto che viene considerata, come detto, esempio di proprietà conformata - l'esercizio di tale potere viene comunque circoscritto dalla giurisprudenza amministrativa ad una adeguata motivazione.

[13] Si veda l'art. 7 della legge Rosadi-Rava del 1909. Il codice dei beni culturali prevede oggi tre ipotesi di espropriazione, disciplinate dagli artt. 95, 96 e 97. Si veda, ad esempio, l'art. 95 che prevede l'espropriazione quando essa risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi. Sul punto, si veda, ad esempio, Cons. St., 9 febbraio 2015, n. 669, in Foro amm., 2015, pag. 436. Si consideri, peraltro, che la fruizione pubblica del bene era già prevista nella legge Bottai, quando all'art. 53 prevedeva che il Ministro per l'educazione nazionale potesse obbligare i privati, proprietari di cose immobili di eccezionale interesse, per le quali fosse intervenuta la notificazione di cui agli articoli 2 e 3, e di collezioni o serie notificate ai sensi dell'art. 5, di ammettere e visitare per scopi culturali le cose, le collezioni e le serie stesse, con le modalità da stabilirsi caso per caso, d'intesa con il proprietario. L'art. 96 prevede l'espropriazione per fini strumentali, quando essa si renda necessaria per isolare o restaurare beni culturali immobili, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l'accesso. Su questo, cfr. Cons. Stato, 18 maggio 2012, n. 2898, in Foro amm. - CdS, 2012, pag. 1315 con riferimento alla espropriazione di alcune aree circostanti la Chiesa di Santa Sofia per consentire opere di restauro e la piena accessibilità e valorizzazione della chiesa medesima. Infine, la espropriazione per interesse archeologico prevista all'art. 97 e finalizzata ad eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento di beni culturali ex art. 10.

[14] Basti ricordare in proposito alcune recenti affermazioni del Presidente francese Emmanuel Macron espresse nel novembre 2017 a Ouagadougou, in Burkina Faso. Macron ha promesso di restituire all'Africa quelle opere d'arte trafugate durante il periodo del colonialismo. Successivamente ha affidato il compito di studiare gli aspetti tecnici sulla restituzione ad alcuni esperti (tra cui la storica dell'arte francese Bénédicte Savoy e lo scrittore e studioso senegalese Felwine Sarr) che dovranno elaborare alcune proposte entro il mese del novembre 2018. In effetti la restituzione si scontra con il principio espresso nella legislazione francese di inalienabilità e imprescindibilità delle collezioni pubbliche, vigente fin dall'édit de Moulins del 1566. La Germania, anch'essa potenza coloniale, con le Deutsche Kolonien und Schutzgebiete, è invece su una posizione più restrittiva rispetto alla Francia, affermando che in futuro restituirà solo quelle opere acquisite in violazione di standard etici e legali vigenti all'epoca nella colonia, sì da poter legittimare molti dinieghi alla restituzione. A prescindere dal giudizio sull'opportunità della restituzione, alcuni esperti sono scettici perché la questione principale riguarda le garanzie di conservazione delle opere d'arte una volta che esse siano ritornate nel Paese d'origine. Ad esempio, l'Italia ha proceduto per la restituzione della stele di Axum all'Etiopia portata in Italia da Mussolini nel 1937 e restituita nel 2008. Si veda M. Santi, La stele di Axum da bottino di guerra a patrimonio dell'umanità - Una storia italiana, Milano, 2014; V. Sabadin, Macron e l'Africa: restituire l'arte razziata? Gli esperti sono scettici, in La Stampa, 18 maggio 2018; P. Del Re, Macron pronto a restituire i capolavori trafugati in Africa durante il colonialismo, in La Repubblica, 23 marzo 2018; Y.B. Debie, "Restituer le patrimoine africain": l'intenable promesse d'Emmanuel Macron, in Le Figaro, 4 dicembre 2017.

[15] Si pensi ai cd. "ladri di bellezza", che hanno fatto razzia di beni culturali nel nostro Paese. Si veda, F. Bottari, Rodolfo Siviero. Avventure e recuperi del più grande agente segreto dell'arte, Roma, 2013; L. Pacelli, Il ruolo dei restauratori nella contraffazione e nel traffico illegale d'arte, in Riv. it. Dir. Arti e dello Spettacolo, 2017, pag. 55 ss.; E. Povoledo, In a Tug of War, Ancient Statue Is Symbol of Patrimony, in The New York Times, 4 luglio 2007; C. Caruso, La Venere di Morgantina, sedotta e abbandonata, in Panorama, 13 gennaio 2014; F. Sironi, Dea di Morgantina, sedotta e abbandonata. Dopo cinque anni, visitatori spariti, in L'Espresso, 11 gennaio 2016. Più in generale, sul tema del saccheggio di opere d'arte, si vedano: F. Isman, I predatori dell'arte perduta. Il saccheggio dell'archeologia in Italia, Milano, 2009; G.A. Stella, S. Rizzo, Vandali. L'assalto alle bellezze d'Italia, Milano, 2011.

[16] Cfr. G. Ajani, A. Donati, I diritti dell'arte contemporanea, Torino, 2011; A. Donati, Law and Art: diritto civile e arte contemporanea, Milano, 2012.

[17] Si tratta della legge 20 novembre 1971, n. 1062 recante Norme penali sulla contraffazione od alterazione di opere d'arte.

[18] Cfr. M. Degl'Innocenti (a cura di), Giovanni Pieraccini. La politica e l'arte, Manduria, 2016.

[19] Cfr. Si veda, da ultimo, il report della banca svizzera UBS presentato in occasione di ArtBasel 2018 dal titolo "The Art Market 2018" curato da C. McAndrew, disponibile su www.artbasel.com. In particolare, nel 2017 il mercato dell'arte a livello globale ha raggiunto un valore complessivo di oltre 64 miliardi di dollari, con una crescita su base annuale del 12%.

[20] Una recente sentenza del Tribunale di Roma ha escluso la configurabilità di un diritto all'accertamento giudiziale dell'autenticità di un'opera d'arte (si trattava di un'opera di Mario Schifano), sul presupposto che l'azione di accertamento non può che concernere diritti, non dati fattuali, quale la riconduzione di una data opera d'arte ad un certo artista, giudizio che può dar luogo ad un giudizio solo probabilistico (cfr. Trib. Roma, 15 maggio 2017, in Foro it., 2017, I, pag. 3772). La tesi non riscuote unanimità di consensi poiché qualche anno prima una decisione della Corte di Appello di Milano (si trattava in quel caso di un'opera di Piero Manzoni) aveva ritenuto ammissibile l'azione di mero accertamento in quanto la paternità artistica dell'opera oggetto di accertamento si atteggia non come mero fatto estraneo alla concreta fattispecie costitutiva del diritto da tutelare, ma come fatto rilevante per l'accertamento del contenuto del diritto di proprietà e veniva riconosciuto l'interesse ad agire dalla seria e concreta contestazione avversaria, circa l'autenticità dell'opera, potenzialmente idonea ad arrecare tangibile pregiudizio alla proprietà dell'opera (cfr. App. Milano, 11 dicembre 2002, in Foro it., Rep. 2003, voce Consulente tecnico, n. 14 e per esteso, in Dir. ind., 2003, pag. 577).

[21] Cfr. Cass., 4 maggio 1982, n. 2765, in Foro it., 1982, I, pag. 2864 e in Giust. civ., 1982, I, pag. 1745 con nota di A. Di Majo. La figura di Giorgio De Chirico è comunque emblematica del rapporto tra diritto ed arte: il grande pittore, infatti, era solito dichiarare non autentiche certe sue opere per creare incertezza tra critici, mercanti e collezionisti determinando un notevole contenzioso. Si veda, ad esempio, A. Masoero, De Chirico falsario di se stesso, in Il Sole 24 Ore, 13 agosto 2013.

[22] Cfr. C. Castronovo, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, intervento all'Incontro di studio sul tema "Illecito aquiliano e ingiustizia del danno" organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Roma 29-30 maggio 2008, disponibile su www.personaedanno.it.

[23] Sulla diligenza in generale, cfr. C.M. Bianca, Diritto civile: La responsabilità, V, II ed., Milano, 2012, pag. 13 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile: L'obbligazione. III, Milano, 1993, pag. 90 ss. Cfr. Cass., 26 gennaio 2018, n. 2039 che ha richiamato il dovere di diligenza particolarmente qualificato ex art. 1176, comma 2, cod. civ. al quale è tenuta una galleria d'arte che compravende opere d'arte.

[24] Si pensi alla introduzione dell'art. 158 l. aut. e dell'art. 125 c.p.i. Così, ad esempio, il richiamo agli utili realizzati dal contraffattore nella liquidazione del danno per la violazione della normativa sul diritto d'autore - molto simile al disgorgement statunitense - ha indotto gli interpreti ad interrogarsi sul caso in cui gli utili realizzati eccedano il danno oggettivamente sofferto poiché ciò potrebbe scalfire il principio della integralità del risarcimento e la stessa funzione della responsabilità civile, avendo ora connotati sanzionatori (cd. danni punitivi) e non svolgendo più la storica funzione reintegratoria. Viceversa, nell'art. 125 c.p.i. la retroversione degli utili è stato introdotto come rimedio autonomo, tanto che qualche autore ritiene che si tratti di un rimedio restitutorio piuttosto che risarcitorio. Sul punto si vedano tra gli altri A. Plaia, Proprietà intellettuale e risarcimento del danno, Torino, 2005; P. Sirena, La restituzione dell'arricchimento e il risarcimento del danno, in Riv. dir. civ., 2009, pag. 65 ss.; M.S. Spolidoro, Il risarcimento del danno nel codice della proprietà industriale. Appunti sull'art. 125 c.p.i., in Riv. dir. ind., 2009, pag. 149 ss.; P. Pardolesi, Riflessioni in tema di retroversione degli utili, in Riv. dir. privato, 2014, pag. 217 ss.

[25] La giurisprudenza ritiene che la cessione di un'opera d'arte falsamente attribuita ad artista, specialmente quando l'opera è attribuita a pittore di notevole fama (che non ne è stato l'autore) costituisce una ipotesi di vendita di aliud pro alio, legittimando l'acquirente a richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore ex art. 1453 cod. civ. Sul punto, si veda Cass., 9 novembre 2012, n. 19509, in Foro it., 2013, I, 937 (e in Corr. giur., 2013, pag. 463 ss. con commento di E. Gabrielli) riguardante il caso della vendita di un dipinto di De Chirico - gli "Arcangeli" - poi rilevatosi falso in sede penale; Cass., 1 luglio 2008, n. 17995, in Foro it., Rep. 2008, voce Contratto in genere, n. 486 riguardante un dipinto di un pittore veneto, Z.V.; Cass., 9 novembre 2012, n. 19509, in Foro it., 2013, I, pag. 937 riguardante il caso della vendita di un dipinto di Mario Sironi.

[26] Cfr. L'ultima provocazione di Banksy: quadro si autodistrugge a un'asta, in La Repubblica, 6 ottobre 2018.

[27] Se è vero che la questione è assai avvertita negli Stati Uniti dove è stato introdotto il cd. fair use test per comprendere quando l'uso di un'opera protetta sia lecito, anche in Italia vi sono stati recentemente.

[28] Cfr. Cass., 26 gennaio 2018, n. 2039, in Foro it., 2018, I, pag. 855 e in NGCC, 2018, pag. 983 ss. con nota di G. Liberati Buccianti, La Cassazione su plagio artistico e arte informale. Sul punto si veda E. Jayme, Nachahmung oder Transformation: Zweitkunst im Zwielicht des Rechts, in Mosimann-Schönenberger, Kunst & Recht 2016, Bern, 2016, pag. 13 ss.; G. Casaburi, Originalità, creatività, elaborazione creativa e plagio: profili evolutivi (specie in riferimento alla prova dell'arte contemporanea), in Foro it., 2017, I, pag. 3779; M. Bertani, Diritto d'autore europeo, Torino, 2011.

[29] Trib. Milano, ord. 13 luglio 2011, in Giur. comm., 2013, II, pag. 109 ss.

[30] Trib. Venezia, ord. 7 novembre 2015, in Riv. dir. ind., 2018, II, pag. 81 ss. con commento di A. Donati.

[31] Trib. Milano, ord. 25 luglio 2017, in Foro it., 2017, I, pag. 3488.

[32] Un noto film italiano degli anni '60 evidenziava allora la questione con estrema semplicità. Si tratta di Totòtruffa '62, film comico del 1961 di Camillo Mastrocinque. Il "ladruncolo" Totò, spacciatosi per il cavalier ufficiale Antonio Trevi, proprietario della fontana di Trevi, convince un ignaro americano, Decio Cavallo, a comprare la fontana. Nella trattativa Totò ricordava la potenzialità commerciale del diritto di riproduzione: chi scatta le fotografie alla fontana deve pagare al proprietario i diritti di riproduzione ("ogni fotografia 100 lire"). Al di là della fantasia, un film che risale ad oltre cinquant'anni fa induce alla riflessione su uno dei temi riguardanti il diritto di riproduzione: quello della possibilità di fotografare un luogo privato (anche se non lo era) da un luogo pubblico, con previsione di compenso.

[33] Si tratta di Trib. Firenze, ord. 26 ottobre 2017, in Foro it., 2018, I, pag. 682 con nota di richiami di G. Casaburi. Si veda il commento di E. Jayme - P. Franzina, Zum Schutz der Reproduktionsrechte von Museen an ihren Kunstwerken im internationalen Rechtsverkehr: Betrachtungen zu der Entscheidung des Tribunale di Firenze vom 26.10.2017 in Sachen des „David" von Michelangelo, in IPRax, 2018, pag. 437 ss.

[34] Casaburi, op. cit., specifica che l'art. 108, già novellato dal d.l. 83/14 (c.d. decreto cultura), convertito in legge 106/2014 (con l'introduzione del comma 3-bis), lo è stato nuovamente dalla legge 124/2017 (c.d. decreto concorrenza), art. 1, comma 171, che ha ulteriormente liberalizzato le riproduzioni, nei musei ma anche negli archivi, senza fini di lucro (naturalmente sempre che sia tutelata l'integrità dell'opera stessa), ad uso personale (foto ricordo) o di studio. In particolare i visitatori dei musei statali possono ora liberamente scattare fotografie (senza flash) e pubblicarle sui social o sul web (attività fino ad ora tradizionalmente vietate).

[35] Si veda al riguardo E. Jayme - P. Franzina, Zum Schutz der Reproduktionsrechte, op. cit., pag. 438. Si legge: "Aknüpfungsmerkmal ist also wie bei der Person der gewöhnliche Aufenthaltshort des Kunstwerks".

[36] Si veda al riguardo Trib. Palermo, 21 settembre 2017, disponibile su https://aliprandi.blogspot.it.

[37] Sul tema si veda An. Fusaro, I diritti della personalità dei soggetti collettivi, Padova, 2002.

[38] Si veda, ad esempio, C. Albanese, Sono boutique gli studi legali che operano nel mondo dell'arte, in Il Sole 24 Ore 26 maggio 2011 dove si legge: "Pochi studi boutique altamente specializzati che puntano a sviluppare una relazione diretta con il cliente, più personale che in altri settori. Il mercato legale del mondo della cultura, definizione che racchiude i diversi universi dell'industria del cinema, arte e musica, è una nicchia in cui operano studi specializzati che lavorano sulla negoziazione dei contratti in tutte le fasi delle opere, tra cui sviluppo, produzione e commercializzazione, nella ricerca, gestione e coordinamento delle varie fonti di finanziamento e sulla disciplina degli incentivi pubblici nazionali e internazionali, con particolare attenzione in particolare per il settore cinematografico e audiovisivo, ai recenti incentivi fiscali a favore di produttori e investitori esterni".

[39] Si pensi, ad esempio, alla Scuola Universitaria Superiore Sant'Anna di Pisa che ha attivato un corso introduttivo ed uno avanzato sul diritto dell'arte e dei beni culturali.

[40] Si consideri la istituzione della Scuola dei beni e delle attività culturali e del turismo nata nel 2015 ma operativa a partire dal bando del gennaio 2018. Si tratta di un istituto di formazione, ricerca e studi avanzati di livello internazionale (il cui direttore è nominato dal ministero dei Beni Culturali) che ha lo scopo di sviluppare e valorizzare le risorse umane, la ricerca, la conoscenza e l'innovazione nei settori del patrimonio culturale e del turismo, nonché di fondare sull'unicità del patrimonio culturale della Nazione, un modello formativo e di ricerca innovativo e di eccellenza negli ambiti della tutela, gestione, valorizzazione e promozione dei beni, delle attività culturali e del turismo con la Scuola del Patrimonio.

 



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