Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di
Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici
a cura di Giancarlo Montedoro [*]
Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.
Cons. St., sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2698 - Pres. Santoro, Est. Lamberti - Sulla presunzione ex lege di interesse culturale dei beni formalmente appartenenti alle province, ai comuni e agli altri enti legalmente riconosciuti.
A differenza di quanto previsto per i beni appartenenti a privati, dall'art. 4 della legge n. 1089 del 1939 si desume che ciascuno dei beni appartenenti alle province, ai comuni e agli enti e agli stabilimenti legalmente riconosciuti sia stato senz'altro ed immediatamente sottoposto alla disciplina di protezione prevista dagli articoli 1 e seguenti della medesima legge; in altri termini, la predetta legge n. 1089 del 1939 ha introdotto una presunzione ex lege di interesse culturale dei beni formalmente appartenenti alle province, ai comuni e agli altri enti legalmente riconosciuti mediante una disciplina ratione personarum.
In definitiva, "il sistema delineato fin dalla L. n. 1089 del 1939 protegge il patrimonio pubblico, che in uno Stato democratico è patrimonio di tutti i cittadini, in via presuntiva, ovvero assoggettando al vincolo tutti i beni, e fra essi tutti gli immobili, di proprietà pubblica per i quali l'interesse culturale è ipotizzabile; impone però la tutela in via di presunzione relativa, perché non proibisce in alcun modo all'amministrazione di far venir meno la tutela, ove essa abbia accertato, nell'esercizio delle proprie specifiche competenze in materia, che l'interesse in concreto non sussiste".
Cons. St., sez. VI, 30 maggio 2018, n. 3246 - Pres. Santoro, Est. Simeoli - Sul vincolo di interesse storico-archeologico (nel caso di specie, su un deposito pluristratificato, con reperti risalenti a diverse epoche storiche) e sulle conseguenti limitazioni delle facoltà dispositive e di godimento dei beni oggetto di tutela.
Ai sensi della legge n. 1089 del 1939 (artt. 1 e 3), il vincolo archeologico c.d. diretto viene imposto su beni o aree nei quali sono stati ritrovati reperti archeologici, o in relazione ai quali vi è certezza dell'esistenza, della localizzazione e dell'importanza del bene archeologico. Il vincolo archeologico c.d. indiretto (art. 21), invece, viene imposto su beni e aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, per garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva o migliori condizioni ambientali e di decoro. La declaratoria del particolare interesse archeologico di un immobile si fonda su un giudizio che attiene alla discrezionalità tecnica della pubblica Amministrazione e che è sindacabile in sede di legittimità solo per difetto di motivazione o per erroneità o illogicità ovvero per inattendibilità della valutazione in base allo stato delle conoscenze.
Le limitazioni delle facoltà dispositive e di godimento conseguenti alla dichiarazione di interesse storico-archeologico non hanno natura ablativa, bensì conformativa della proprietà privata, in quanto fissate dall'ordinamento - in via generale e non in relazione a beni singoli - per garantirne la funzione sociale (art. 42, secondo comma, Cost.). Inerendo siffatte prescrizioni alla configurazione "interna" del diritto dominicale, esse non comportano obbligo di indennizzo. Anche sul versante sovranazionale, l'art. 17 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europa consente che l'uso dei beni possa "essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall'interesse generale".
Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2018, n. 3901 - Pres. Santoro, Est. Caputo - Sulla valutazione storico-artistico di un immobile e sulla nozione di bene culturale.
La valutazione operata dal ministero per i Beni e le Attività culturali, in quanto espressione di un potere di discrezionalità tecnica, costituisce apprezzamento riservato, suscettibile, in via giurisdizionale, di un sindacato solo estrinseco, diretto al riscontro di elementi sintomatici di uno scorretto esercizio di potere, quali il difetto di motivazione, l'illogicità manifesta e l'errore di fatto.
Ai fini della disciplina corrente, è accolta una nozione di bene culturale intesa quale testimonianza avente valore di civiltà. L'individuazione dei beni che in ragione di tale caratteristica devono essere sottoposti a vincolo, laddove non operi una presunzione ex lege, deriva da una dichiarazione di interesse culturale che dà contezza di tale valore basandosi sulle caratteristiche del bene e sulla sua storia.
Cons. St., sez. VI, 26 luglio 2018, n. 4564 - Pres. Santoro, Est. Ponte - Sulla natura della tutela storico-artistica di un bene culturale.
La tutela storico-artistica di un bene culturale non protegge un'opera dell'ingegno dell'autore, ma un'oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può risultare da interventi e da elementi di rilevanza concorrenti, tali da dar luogo ad un manufatto storicamente complesso.
Le valutazioni tecniche propedeutiche all'apposizione del vincolo sono basate su apprezzamenti sì rigorosi, ma con un certo grado di opinabilità, essendo soggette anche ad aggiornamenti man mano che evolve la consapevolezza storica sui beni e sul loro contesto urbano. Da ciò consegue che l'apprezzamento compiuto dalla p.a. preposta alla tutela, da esercitare in rapporto al principio fondamentale dell'art. 9 della Costituzione, è sindacabile in sede giurisdizionale solo sotto i profili di logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, fermo, però, restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche.
Cons. St., sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 751 - Pres. Maruotti Est.Ponte - In tema di piano paesistico territoriale.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, se per un verso il piano paesistico territoriale, di competenza regionale, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (art. 5) e della legge 8 agosto 1985, n. 431 (art. 1-bis), ha funzione diversa dal provvedimento di imposizione di vincolo paesistico-ambientale ed attiene a una fase successiva a quella d'imposizione del vincolo stesso, in quanto diretto alla pianificazione o programmazione di misure di salvaguardia dei valori tutelati con il vincolo predetto, per un altro verso il piano territoriale di coordinamento paesistico non ha la funzione di dettare compiutamente il regime urbanistico dell'intero territorio regionale, ma solo quella d'identificare e delimitare le zone giudicate meritevoli di una delle varie forme di speciale tutela meglio descritte nella parte normativa del piano stesso, cosicché tutto il resto del territorio - intuitivamente la maggior parte - rimane assoggettato alla ordinaria disciplina urbanistica nonché ai vincoli derivanti da altra fonte, compresi quelli di cui la legislazione statale sulla protezione delle bellezze naturali.
A sua volta, la disciplina in tema di sanatoria assume una propria specificità ed eccezionalità, imponendo una autonoma e specifica valutazione degli abusi in relazione, con riferimento alla autorizzazione paesaggistica sottoposta alla verifica della P.A. statale, alla compatibilità con il vincolo paesaggistico sussistente in loco.
Cons. St., sez. VI, 16 maggio 2018, n. 2915 - Pres. Maruotti Est. Lopilato - Sulla natura del parere della commissione paesaggistica e sulla motivazione della valutazione paesaggistica.
Il parere della commissione paesaggistica ha natura e funzioni identiche all'autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, essendo entrambi gli atti il presupposto legittimante della trasformazione urbanistico-edilizia della zona protetta. Pertanto, resta fermo il potere ministeriale di annullamento del parere favorevole alla sanatoria di un manufatto realizzato in zona vincolata, in quanto strumento affidato dall'ordinamento allo Stato come estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario (Cons. St., VI, 15 marzo 2007, n. 1255; tale equiparazione opera anche per le autorizzazioni paesaggistiche disciplinate dagli artt. 151 e 159 del d.lg. n. 490 del 1999 e per il parere previsto dall'art. 146 del d.lg. n. 42 del 2004).
L'atto di autorizzazione dell'ente locale deve contenere una adeguata motivazione, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria. In tema di valutazione paesaggistica, la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde ad un modello che contempli, in modo dettagliato, la descrizione sia del manufatto mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati, sia del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni. Inoltre, sarà adeguata la motivazione che contiene anche la descrizione del rapporto tra il manufatto e il contesto, mediante l'indicazione dell'impatto - anche visivo - al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio.
Cons. St., sez. IV, 31 luglio 2018, n. 4690 - Pres. Troiano Est. Caponigro - Sulla demolizione di un bene vincolato: inderogabilità delle prescrizioni a tutela dei beni culturali e del paesaggio.
La demolizione di un bene vincolato - ove lo specifico vincolo precluda in assoluto l'integrale demolizione dell'edificio esistente - e la costruzione di altro manufatto, sia pure in ipotesi con la stessa volumetria, determinano una ontologica differenza tra il manufatto originario oggetto di tutela, che non c'è più, e il manufatto successivo, che non può essere considerato una ricostruzione del precedente, ma deve ritenersi completamente nuovo e, quindi, totalmente abusivo per l'assenza del necessario permesso di costruire.
D'altra parte, l'art. 1, comma 2, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 stabilisce che "restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel d.lg. n. 490 del 1999" (ed ora nel d.lg. n. 42 del 2004), la normativa di tutela dell'assetto idrogeologico e le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia. La tutela del paesaggio, quindi, ha assunto una portata generale e prevalente rispetto alla pianificazione urbanistica, per cui la tutela dei beni culturali e del paesaggio, aggiungendosi a quella in materia urbanistica ed edilizia, può legittimamente porre vincoli ulteriori.
In definitiva, le prescrizioni a tutela dei beni culturali e del paesaggio, per il loro valore vincolante, non possono ritenersi derogate dalle classificazioni definitorie di cui all'art. 3 del d.p.r. n. 380 del 2001. Né a diverse conclusioni può condurre il rilievo che l'art. 3, comma 1, lett. d), ultimo periodo, del medesimo d.p.r. riconduca alla nozione di ristrutturazione anche la demolizione e ricostruzione di beni vincolati, laddove la ricostruzione avvenga con identità non solo di volume ma anche di sagoma; tale previsione, infatti, può trovare applicazione solo quando lo specifico vincolo apposto non sia diretto a preservare l'identità storica del bene ed a vietare a tal fine proprio l'integrale demolizione dello stesso. In altri termini, la demolizione e ricostruzione di un bene vincolato, anche se effettuata con identità di sagoma e volume, si pone fuori dal concetto di ristrutturazione edilizia consentita dall'art. 3, comma 1, lett. d), ultimo periodo, d.p.r. n. 380 del 2001, quando lo specifico vincolo sia incompatibile con la demolizione del bene e postuli, invece, la conservazione delle mura perimetrali originali o di parti di esse, prevalendo in tal caso, in base al generale criterio di coordinamento fissato dal citato art. 1, comma 2, del citato d.p.r., le esigenze di tutela del bene nella sua identità storica fatte valere ai sensi del d.lg. n. 42 del 2004.
[*] Con la collaborazione della dott.ssa Vania Talienti.