Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di
Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici
a cura di Giancarlo Montedoro [*]
Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.
Cons. St., sez. VI, 5 dicembre 2017, n. 5737 - Pres. Maruotti, Est. Buricelli - Sulla peculiare tutela del c.d. "studio d'artista".
L'art. 51, comma 1, del d.lg. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), disciplina uno speciale - per tipologia e per effetti - tipo di vincolo a bene culturale, prevedendo, per gli "studi d'artista", il divieto di modificarne la destinazione d'uso nonché di rimuoverne il contenuto, costituito da opere, documenti, cimeli e simili, qualora esso, considerato nel suo insieme ed in relazione al contesto in cui è inserito, sia dichiarato di interesse particolarmente importante per il suo valore storico, con il procedimento di dichiarazione dell'interesse culturale previsto dall'art. 13 del medesimo decreto legislativo.
L'obiettivo perseguito dall'art. 51, comma 1, del d.lg. 42/2004 è quello di rendere immodificabile l'ambiente ed i luoghi nei quali operò l'artista, al fine di conservare intatta la testimonianza dei valori culturali in incorporati. L'universitas rerum costituita dallo "studio d'artista" rileva come museo della vita professionale dell'artista, traccia visibile dell'unicità delle sue attitudini individuali di produzione e di ricerca. Attraverso questo tipo di vincolo la legge intende preservare la testimonianza delle condizioni materiali del processo di formazione ed azione che è sotteso alle opere che lo hanno reso famoso: processo che (nel caso di artisti mostratisi capaci di lasciare un segno significativo) è dalla legge reputato realizzare un valore culturale in sé, sempre che si tratti di un livello tale da corrispondere ad un interesse particolarmente importante.
Costituiscono presupposti per la concreta configurazione di uno "studio d'artista" e, conseguentemente,condizioni per il legittimo esercizio del potere discrezionale conferito all'amministrazione, ai fini della sua tutela, i seguenti elementi: 1) che l'artista abbia esercitato la sua personale attività di produzione artistica nell'immobile de quo, circostanza che instaura quel peculiare legame tra artista e immobile esplicativo della vicenda della sua vita artistica; 2) che, per converso, tale stato di fatto non risulti, al momento della imposizione del vincolo, modificato irreversibilmente e dunque non risulti reciso il nesso sopra individuato; 3) che il collegamento tra l'artista e l'immobile non sia, d'altra parte, occasionale o insignificante.
Solo la sussistenza dei presupposti fattuali richiesti può giustificare le notevoli restrizioni al diritto di proprietà che il provvedimento implica con l'imporre una sorta di inalterabile "musealizzazione" di quel contesto ambientale di produzione artistica, con il tacito supplemento pratico degli oneri di custodia dei suoi contenuti, posto che la norma stabilisce restrizioni alla proprietà che si spingono fino alla inamovibilità dello studio e all'immodificabilità della destinazione d'uso dello stabile, e che, come tali, sono ulteriori ed eccezionali rispetto all'ordinario effetto del vincolo storico-culturale, che comporta solo una, pur rigorosa, valutazione di compatibilità degli interventi con i valori oggetto del vincolo.
Dalla peculiarità del regime dello "studio d'artista" discende la qualificazione della disposizione come di stretta interpretazione, non giustificante interpretazione estensiva e per converso riguardante le esclusive attività individuali dell'artista a concretare il profilo soggettivo necessario per giustificare il vincolo culturale, come nella disposizione indica, con inequivoca chiarezza, la parola "artista" predicata di "studio".
Cons. St., sez. VI, 18 dicembre 2017, n. 5950 - Pres. Santoro, Est. Simeoli - Sui presupposti della dichiarazione di interesse culturale di un bene (con riferimento, nel caso di specie, ad un complesso immobiliare in stato di abbandono ed alla qualificazione di quest'ultimo quale esempio di "architettura industriale").
In linea di diritto, il giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell'arte e dell'architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità. L'apprezzamento compiuto dall'amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile.
Lo stato di abbandono di un bene di per sé non osta alla dichiarazione di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, potendo un manufatto in condizione di degrado ben costituire oggetto di tutela storico-artistica, sia per i valori che ancora presenta, sia per evitarne l'ulteriore decadimento. In sede di dichiarazione di interesse storico-artistico è, tuttavia, onere dell'amministrazione dei beni culturali prendere in considerazione le puntuali obiezioni sollevate dall'amministrazione comunale proprietaria dell'immobile.
La mera e generica circostanza tipologica che un fabbricato rappresenti una testimonianza di un tipo di costruzione di un particolare periodo storico non è di per sé elemento sufficiente a giustificare l'adozione di un provvedimento individuale e concreto, quale quello in questione. Qualsiasi fabbricato è di per sé testimonianza di un tipo di costruzione del proprio periodo nella zona in cui si trova. Al tempo stesso, un apprezzamento basato sulla mera valenza documentaria non è sufficiente per individuare giuridicamente un bene culturale: in questa operazione non si può infatti prescindere da un elemento valutativo concreto, incentrato sul pregio distinto, selettivo e irripetibile della singola cosa e dunque sul riferimento specifico agli elementi che questo pregio costituiscono.
Cons. St, sez. VI, 18 dicembre 2017, n. 5953 - Pres.Santoro, Est. Lamberti - Sulla natura ed il regime giuridico del vincolo storico-artistico.
Per consolidata giurisprudenza, il vincolo storico-artistico di cui alla L. n. 1089/1939 (e, ora al d.lg. n. 42/2004) ha natura reale e il relativo provvedimento di imposizione non ha natura recettizia, in quanto la notifica ai privati proprietari, possessori o detentori, "ha natura meramente informativa e non svolge una funzione costitutiva del vincolo stesso, che è perfetto indipendentemente da essa, essendo preordinata esclusivamente a creare nel destinatario di essa la conoscenza degli obblighi su di lui incombenti".
La sussistenza del vincolo storico-artistico è indipendente dalla notificazione del relativo provvedimento, la quale non ha pertanto funzione costitutiva del vincolo stesso, essendo invece preordinata a determinare nel proprietario del bene la conoscenza legale degli obblighi di tutela incombenti su di lui in quanto detentore dell'immobile. In tal senso di è espressa anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. 45841/2012) secondo la quale: "con la notifica dell'atto di dichiarazione, prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 15, si comunica al privato il provvedimento di vincolo culturale a cui è sottoposta la res dallo stesso detenuta, ma tale notifica non ha natura di atto perfezionativo del vincolo stesso, perché il provvedimento impositivo è da ritenersi già perfetto, indipendentemente dalla sua comunicazione; la detta notifica ha, quindi, natura dichiarativa perché preordinata esclusivamente a creare nel proprietario o possessore o detentore della cosa, la conoscenza degli obblighi sullo stesso incombenti".
La distruzione, volontaria o accidentale, di un fabbricato non ne impedisce, di per sé, la remissione in pristino, anche intesa come integrale ricostruzione, soprattutto in presenza di edifici vincolati, con il ripristino delle caratteristiche antecedenti all'evento.
Non può assumere alcun rilievo il fatto che nel piano comunale di riqualificazione e salvaguardia del patrimonio edilizio urbano non sia menzionato l'edificio sul quale è stato imposto il vincolostorico-artistico. Invero, la soprintendenza non è vincolata a tali previsioni, avendo il potere di adottare valutazioni autonome. Infatti, seppur l'autorità comunale è legittimata in sede di pianificazione urbanistica a valutare anche eventuali interessi storico artistici, ciò, da un lato, deve avvenire nel rispetto dei vincoli già esistenti posti dall'amministrazione competente, dall'altro lato, non preclude a quest'ultima di adottare nuove determinazioni. In altri termini, rispetto ai vincoli storico artistici sussistenti in virtù della legislazione nazionale rappresentata dal d.lg. n. 42/2004, la pianificazione comunale non può che svolgere una funzione meramente ricognitiva, dovendosi limitare a prendere atto dell'esistenza dei vincoli, senza alcun condizionamento delle prerogative intestate dalla legge all'autorità competente alla apposizione e tutela del vincolo.
La pubblica amministrazione non è tenuta a confutare in maniera analitica ogni singolo punto, ma si può limitare ad una replica che faccia intendere le motivazioni del mancato accoglimento delle osservazioni del privato.
Cons. St., sez. VI, 2 gennaio 2018, n. 17 - Pres. Santoro, Est. Russo - Sulla tutela vincolistica dei reperti archeologici.
La giurisprudenza amministrativa, già sotto l'imperio della L. n. 1089/1939 ed ancora di recente (cfr. per tutti, Cons. St., VI, 28 gennaio 2016, n. 334), ha rilevato che, ai fini della tutela vincolistica archeologica, l'effettiva esistenza delle cose da tutelare può esser dimostrata anche per presunzione, essendo a tal scopo non rilevante ex se che i materiali da tutelare siano stati già portati alla luce o siano ancora interrati. È sufficiente, infatti, che il complesso delle aree archeologiche risulti adeguatamente definito e che la misura adottata col vincolo appaia adeguata alla finalità di pubblico interesse cui esso è preordinato.
È considerata misura proporzionata e congruente alle finalità di pubblico interesse l'apposizione del vincolo archeologico, quale misura di tutela complessiva di un'area abitata nell'antichità, anche se non cinta da mura, giacché le esigenze di salvaguardia concernono non solo i reperti in sé e solo se addossati gli uni agli altri ma tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all'insediamento umano.
L'apprezzamento compiuto dalla p.a. preposta alla tutela archeologica, da esercitare in rapporto al principio fondamentale dell'art. 9 Cost., è sindacabile, in sede giudiziale, solo sotto i profili di logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche. Sicché tal sindacato può effettuarsi in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta.
Cons. St., sez. VI, 10 gennaio 2018, n. 100 - Pres. Santoro, Est. Caputo - Sul vincolo archeologico diretto e indiretto (con riferimento, nel caso di specie, ad immobili siti nell'area interessata da una necropoli romana di età imperiale).
La declaratoria del particolare interesse archeologico di un immobile si fonda su un giudizio che attiene alla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione ed è sindacabile in sede di legittimità solo per difetto di motivazione o per erroneità o illogicità, ovvero per inattendibilità della valutazione in base allo stato delle conoscenze.
Ai sensi della legge n. 1089/1939, il vincolo archeologico c.d. diretto viene imposto su beni o aree nei quali sono stati ritrovati reperti archeologici, o in relazione ai quali vi è certezza dell'esistenza, della localizzazione e dell'importanza del bene archeologico; il vincolo archeologico c.d. indiretto, invece, viene imposto su beni e aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, per garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva, o migliori condizioni ambientali e di decoro.
Costituisce imprescindibile presupposto per l'imposizione del vincolo diretto di cui agli artt. 1 e 3 della legge n. 1089/1939 la dimostrata, effettiva esistenza delle cose da tutelare; con la conseguenza che il relativo provvedimento si deve considerare illegittimo, per carenza o errore nei presupposti, ove sia stato acclarato che in un'area non irrilevante della zona vincolata in realtà non esiste alcun bene archeologico suscettibile di protezione.
Nondimeno, l'imposizione di un vincolo archeologico necessita di indagini e approfondimenti che possono richiedere anche molto tempo - oltre che opportuni finanziamenti non sempre disponibili - con la conseguenza che non appare illogica la scelta di sottoporre a vincolo una determinata zona anche a distanza di vari anni ed anche successivamente alla edificazione di manufatti; anzi, il vincolo si giustifica maggiormente con la esigenza di non consentire o comunque regolare un siffatto sfruttamento una volta accertato l'interesse archeologico del sito proprio al fine di preservare l'intera zona.
Cons. Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 2017, n. 13.
L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato può modulare la portata temporale delle proprie pronunce, in particolare, limitandone gli effetti al futuro, al verificarsi delle seguenti condizioni: a) un'obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare; b) l'esistenza di un orientamento prevalente contrario all'interpretazione adottata; c) la necessità di tutelare uno o più principi costituzionali o, comunque, di evitare gravi ripercussioni socio-economiche. Il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico, formulate prima dell'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo - come modificato con il d.lg. n. 157/2006 e con il d.lg. n. 63/2008 - cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni.
Il combinato disposto - nell'ordine logico - dell'art. 157, comma 2, dell'art. 141, comma 5, dell'art. 140, comma 1 e dell'art. 139, comma 5 del d.lg. 42/2004 deve interpretarsi nel senso che il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico, formulate prima dell'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo - come modificato con il d.lg. n. 157/2006 e con il d.lg. n. 63/2008 - cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni. Il termine di efficacia di 180 giorni del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell'entrata in vigore del d.lg. n. 42/2004 decorre dalla pubblicazione della sentenza in esame.
Cons. St., sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4820 - Pres. Barra Caracciolo, Est. Mele - Sull'obbligo di motivazione del nulla osta paesaggistico e del provvedimento di annullamento di quest'ultimo.
Nel sistema complesso di tutela del paesaggio la funzione dell'autorizzazione (alla realizzazione dell'opera edilizia) è quella di verifica della compatibilità dell'opera edilizia che si intende realizzare con l'esigenza di conservazione dei valori paesistici protetti dal vincolo. Quest'ultimo contiene un accertamento circa l'esistenza di valori paesistici oggettivamente non derogabile ed è compito dell'autorizzazione accertare in concreto la compatibilità dell'intervento con il mantenimento e l'integrità dei richiamati valori.
Il paesaggio è un valore costituzionale primario e, pertanto, l'autorità amministrativa non deve svolgere una ponderazione comparativa tra un interesse primario ed un interesse secondario (alla realizzazione dell'opera edilizia), ma unicamente operare un giudizio in concreto circa il rispetto da parte dell'intervento progettato delle esigenze connesse alla tutela del paesaggio stesso.
La determinazione dell'ente locale deve essere motivata anche quando abbia contenuto positivo, favorevole al richiedente. Tale principio, già consolidato in giurisprudenza in relazione alla peculiare natura dell'atto ed alla rilevanza degli interessi coinvolti, trova oggi espresso fondamento normativo nell'articolo 3 della legge n. 241/1990, secondo il quale ogni provvedimento amministrativo, di contenuto sia negativo che positivo, deve essere motivato, recando l'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione in relazione alle risultanze dell'istruttoria. Quanto, poi, al contenuto di tale motivazione, la giurisprudenza è ferma nel ritenere, ai fini della congruità e sufficienza della stessa, che debba esservi l'indicazione della ricostruzione dell'iter logico seguito, in ordine alle ragioni di compatibilità effettive che - in riferimento agli specifici valori paesistici dei luoghi - possano consentire tutti i progettati lavori, considerati nella loro globalità e non esclusivamente in semplici episodi di dettaglio.
È necessario motivare l'autorizzazione (alla realizzazione dell'opera edilizia) in modo tale che emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto con quello tutelato in via primaria, non potendo l'autorità amministrativa limitarsi ad affermazioni apodittiche e dovendosi pure riferire non all'entità atomisticamente valutata del singolo intervento, ma al complesso strutturalmente individuato che deriva dalla sovrapposizione con quello preesistente. Occorre esternare adeguatamente l'avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall'altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto, in modo da giustificare la scelta di dare prevalenza all'interesse del privato rispetto a quello tutelato in via primaria attraverso l'imposizione del vincolo.
Tali considerazioni valgono anche per il procedimento di condono edilizio di opere realizzate su aree sottoposte a vincolo, per il quale l'art. 32 della legge n. 47/1985 dispone che "il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria [...] è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso". Invero, la giurisprudenza ha precisato che il suddetto parere ha natura e funzioni identiche alla autorizzazione paesaggistica, in quanto entrambi gli atti costituiscono il presupposto per l'assentimento del titolo che legittima la trasformazione urbanistico edilizia della zona protetta; con la conseguenza che anche in tale caso è applicabile il potere ministeriale di annullamento del provvedimento.
Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5862 - Pres. Barra Caracciolo, Est. Lageder - Sul potere di annullamento del nulla osta paesaggistico.
Il potere di annullamento del nulla osta paesaggistico da parte della Soprintendenza statale non comporta un riesame complessivo delle valutazioni discrezionali compiute dalla regione o da un ente sub-delegato, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione, ma si estrinseca in un controllo di mera legittimità, seppur estesa a tutte le ipotesi riconducibili all'eccesso di potere per difetto d'istruttoria e carenza, illogicità o irrazionalità motivazionale.
Cons. St., sez. VI, 4 gennaio 2018, n. 46 - Pres. Maruotti, Est. Toschei - Sulla funzione del parere o del nulla ostanei procedimenti di condono edilizio in aree gravate da vincolo archeologico.
La funzione del parere o del nulla osta espresso dalla Soprintendenza nel corso dei procedimenti di condono edilizio in aree gravate da vincolo archeologico è la verifica della compatibilità dell'opera che si intende sanare con l'esigenza di conservazione dei valori archeologici protetti dal vincolo.
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 20 del 22 settembre 1999, ha chiarito che sussiste l'obbligo di acquisire il parere da parte della Autorità preposta alla tutela del vincolo in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, a prescindere dall'epoca in cui sia divenuto efficace l'atto che ha imposto il regime di tutela, in quanto la compatibilità dell'opera da condonare con il regime di salvaguardia garantito dal vincolo deve essere comunque valutata alla data dell'esame della domanda di sanatoria.
Ai fini delle procedure di condono, sono da ritenere rilevanti tutti i vincoli apposti alla data in cui viene valutata l'istanza di sanatoria, a prescindere dalla data di esecuzione delle opere e di imposizione dei vincoli medesimi.
Cons. St., sez. VI, 15 gennaio 2018, n. 197 - Pres. Santoro, Est. Lamberti - In tema di autorizzazione paesaggistica.
La Soprintendenza dispone di un'ampia discrezionalità tecnico - specialistica nel dare i pareri di compatibilità paesaggistica ed il potere di valutazione tecnica esercitato è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato. In generale, la giurisprudenza ha affermato che, nello specifico settore delle autorizzazioni paesaggistiche, la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde a un modello che contempli, in modo dettagliato, la descrizione: I) dell'edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati; II) del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante l'indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni; III) del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l'indicazione dell'impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio.
Deve ritenersi che l'intera motivazione del provvedimento, in cui si mettono in luce le caratteristiche del progetto in rapporto al contesto nel quale si inserisce, costituisce replica alle osservazioni presentate nel corso del procedimento. Al riguardo, in questa materia, la giurisprudenza ha chiarito che la pubblica amministrazione non è tenuta a confutare in maniera analitica ogni singolo punto, ma si può limitare ad una replica che faccia intendere le motivazioni del mancato accoglimento delle osservazioni del privato.
Non inficia di per sé la legittimità del provvedimento, né costituisce una causa di nullità dello stesso per violazione del giudicato, il fatto che a seguito dei precedenti pareri annullati in sede giurisdizionale, la Sovraintendenza abbia reiterato parte delle medesime ragioni poste a sostegno del diniego di autorizzazione paesaggistica, posto che l'illegittimità dei precedenti pareri era conseguita a meri vizi procedimentali. Dunque, l'amministrazione, rinnovata l'istruttoria, e tenuto conto delle osservazioni del privato, ben poteva pervenire alla medesima valutazione di incompatibilità del progetto con il contesto paesaggistico della zona.
In tema di istanza di autorizzazione paesaggistica non inficia la legittimità del provvedimento sfavorevole della soprintendenza per il fatto che la valutazione è stata compiuta in senso favorevole dagli enti locali, posto che quest'ultimo parere non ha la funzione di limitare o condizionare l'apprezzamento tecnico discrezionale dell'autorità statale competente alla tutela del paesaggio, diversamente questa verrebbe deprivata della sua funzione di tutela dei beni.
[*] Con la collaborazione della dott.ssa Vania Talienti.