Editoriale
Il diritto del patrimonio culturale: sfide aperte, risposte possibili
The right for cultural heritage: open challenges, possible answers
The news of the new edition of the Book "The right for cultural heritage", Il Mulino, 2017, by C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, provides an opportunity for the Director of Aedon to remember the complexity of the challenges of cultural heritage governance and indicate the direction that the regulatory, institutional and administrative system should take to face up these and measure itself with the changes in progress.
Keywords: Role of Public Administration; Administrative Reforms; Globalization.
È sconsigliabile che un autore intervenga e scriva sulla propria opera perché prima della divisione dei poteri c'è, anche nella società e nelle relazioni personali e professionali, la distinzione delle funzioni e in particolare dei ruoli. E questo non cambia se gli autori sono più di uno, come nel caso del "Diritto del patrimonio culturale", appena uscito per il Mulino nell'ottobre 2017 a firma di Carla Barbati, Lorenzo Casini, Giuseppe Piperata e Girolamo Sciullo, oltre che di chi scrive.
Dunque altri e altrove, se lo vorranno, diranno della struttura, dei contenuti, del significato scientifico e dell'utilità didattica del manuale. È invece utile accennare ai lettori, con lo stesso tono e la stessa semplicità propria di quelle occasioni informali nelle quali ci si scambiano idee su temi di comune interesse, gli elementi di insieme che vengono in evidenza alla conclusione di un esame così ampio come quello appena compiuto.
È vero infatti che oggi, grazie anche all'interesse crescente che il mondo dell'arte e della natura registrano in tutto il mondo, non c'è aspetto specifico della materia che non sia all'attenzione degli operatori, dei politici e degli studiosi e che non costituisca oggetto di analisi approfondite e di dibattiti anche accesi, e il testo per la parte istituzionale e giuridica ne dà conto in modo diffuso.
Ma il punto che qui interessa è diverso, perché l'unità di tempo e luogo (ideale: la Rivista) in cui è stato concepito e realizzato il volume finisce per assicurare un valore aggiunto molto particolare, la possibilità cioè di cogliere almeno in parte la direzione, e prima ancora il senso e il significato d'insieme, dei processi in atto. Uno sguardo che rende (più) riconoscibile l'orizzonte e quegli elementi di fondo che proprio per essere tali, malgrado attraversino e segnino il nostro tempo, più facilmente sfuggono. Confusi dal quotidiano e ingannevole scambio tra increspature di superficie e grandi correnti transoceaniche.
Se si pratica questa angolazione, non si può fare a meno di notare quanto profondamente i presupposti fattuali dei beni culturali e paesaggistici e del relativo contesto abbiano inciso fin dall'origine sui caratteri del regime e delle istituzioni cui è stata assegnata la cura del patrimonio culturale del nostro paese e quanto di conseguenza il loro mutamento abbia aperto oggi sfide di portata straordinaria.
I fondamentali della situazione da cui veniamo sono ben noti: la maggior parte dei beni culturali collocata nel mezzo di un contesto rurale e di una società in larga misura arretrata, con la primaria esigenza di proteggere il patrimonio esistente da inconsapevolezze collettive e avidità individuali e il contestuale (ma meno evidente) vantaggio di un ambiente rimasto immutato nei secoli e mantenuto tale dal sistema socio-economico esistente; la "necessaria" separazione giuridica, quando non materiale (museificazione), dei beni dal relativo sistema territoriale e socio-economico imposta dalla necessaria funzione di garanzia declinata in primo luogo in termini di distinzione di ambiti e di ruoli, oltre che di regime giuridico; la conseguente attrazione verso il centro e l'unità da questo garantita affidata alla disciplina giuridica e prima ancora ai valori e ai saperi di una élite nazionale, che seppe riconoscere nella eredità artistica lasciata dalla storia al Paese uno degli elementi fondanti della costruzione dell'identità nazionale; e infine l'assioma, che ne costituisce la inevitabile implicazione, della esclusività/autosufficienza della mano pubblica (intesa come statale), necessaria (e sostanzialmente sufficiente) a garantirne di per sé la conservazione.
Ognuno di questi elementi ha trovato la propria diretta corrispondenza nella disciplina normativa e nell'assetto amministrativo adottati nella prima metà del secolo scorso e sostanzialmente mantenuti fino ai nostri giorni: l'origine e il carattere interamente nazionale del diritto dei beni culturali; l'esigenza di protezione assicurata da una disciplina (alle origini) speciale rispetto a quella ordinaria e in ogni caso limitativa del diritto di proprietà privata proprio nel momento in cui a quest'ultima l'ordinamento liberale assicurava il massimo del rilievo; la necessaria singolarità del riferimento allo specifico bene e alla sua materialità; la sostanziale insindacabilità della valutazione della sussistenza dell'interesse artistico; l'esclusività e tendenziale autosufficienza della mano pubblica (statale) e del corrispondente regime di diritto amministrativo.
Ognuno di questi profili è stato interessato da mutamenti che per natura e dimensione vanno ben al di là del singolo governo o di specifiche stagioni di riforme mentre altri, inediti e di rilievo crescente, si sono aggiunti. Dinamiche come quelle innescate da globalizzazione, evoluzione tecnologica, ricorso all'opera d'arte e alla sua capacità evocativa nel società dell'immagine e nella competizione tra imprese, consapevolezza dell'intensità delle relazioni tra beni culturali e contesto ambientale, paesaggistico e socio-economico, infatti, stanno innescando in breve tempo trasformazioni che incidono in tutti i campi e pongono sfide inedite: sedi sovra nazionali di regolazione, protezione e controllo del patrimonio culturale, dimensione planetaria della domanda turistica, dematerializzazione dei beni e loro riproducibilità e circolazione, interdipendenza tra tutela e valorizzazione e politiche pubbliche confinanti, modalità di integrazione funzionale tra Stato e sistemi locali, cooperazione pubblico/privato su diversi fronti e ai vari livelli.
Se questo è vero, la differenza non passa solo tra quote maggiori o minori di centralizzazione o di decentramento, di pubblico o di privato, di autodeterminazione solitaria o di interdipendenza auspicabile, di riserva amministrativa necessaria o di esternalizzazione possibile, di più o meno valorizzazione, di maggiore discrezionalità o maggiori automatismi legislativamente definiti. Tutto ciò è rilevante ma la sfida più importante, perché destinata a pesare in modo determinante sull'esito finale, è quella di un sistema normativo, istituzionale e amministrativo che nel suo insieme sappia accogliere le sfide e misurarsi con i cambiamenti in atto rapportando principi e valori, da conservare, alle dinamiche innovative che ne costituiscono le dorsali. Perché questo è il modo di riaffermare la necessaria centralità del pubblico nel nuovo mondo in cui dimensioni sovranazionali, trasformazioni tecnologiche e il rapporto con i privati e più in generale i soggetti della società civile aprono inediti scenari.
Ebbene, pur con limiti e imperfezioni (non sempre inevitabili) l'indicazione che ci offre lo sguardo d'insieme effettuato nel comporre ogni numero di questa Rivista e in particolare in occasione della nuova edizione del Manuale è incoraggiante perché non c'è profilo che non stia evolvendo cercando di rapportarsi alle esigenze ricordate, quando possibile con risposte già relativamente strutturate (dalla protezione del patrimonio culturale in tempo di guerra - come conferma il recentissimo ingresso dell'Italia nel Comitato Unesco per la protezione dei beni culturali in caso di conflitti armati - alla specializzazione della organizzazione amministrativa per missione funzionale), più spesso attraverso veri e propri cantieri di sperimentazione avviati su più fronti: educazione, semplificazione amministrativa, partenariato pubblico/privato, valorizzazione.
Proprio per questo, il punto ora decisivo consiste nella capacità di coinvolgere su questo terreno la maggior parte degli studiosi e soprattutto degli operatori, il cui ruolo e ovviamente decisivo.
Coinvolgere significa rendere riconoscibile il progetto e accogliere spunti, integrazioni e se necessario anche singole modifiche suggerite dai saperi professionali e dalle esperienze operative di chi è in presa diretta con la realtà, mentre come operatori deve intendersi oltre ai vertici amministrativi statali anche il restante personale pubblico senza tralasciare quello che all'interno di enti privati opera sullo stesso terreno.
Il quadro d'insieme è incoraggiante, ma certo nulla è irreversibile o acquisito per sempre né limitabile alle sole innovazioni legislative. Lo sarà grazie al personale di una amministrazione pubblica, inclusa quella non statale, nella sua maggioranza consapevole che solo la capacità di attrezzarsi per i nuovi compiti permette di conservare i valori della tradizione e la necessaria centralità del pubblico.