Valorizzazione "economica" e fruizione dei beni culturali
Una possibile riforma sulla riproduzione dei beni bibliografici ed archivistici
di Mirco Modolo, Amedeo Tumicelli [*]
Sommario: 1. Il contesto normativo della riproduzione dei beni culturali. - 2. L'intervento del d.m. sulla Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e le proposte di iniziativa parlamentare. - 3. Dettaglio delle proposte. - 3.1. Art. 108, comma 3. - 3.2. Art. 108, comma 3-bis, n. 1. - 3.3. Art. 108, comma 3-bis, n. 2. - 4. Conclusioni.
A Possible Reform on the Reproduction of Bibliographic and Archival Properties
The discipline of reproduction of cultural property in the Italian Cultural Property's Code was changed in 2014. However, many problems still remain: in particular, bibliographic and archival properties can't be reproduced without the permission of the public administration plus a payment. A recent decree about "Reorganization of the Ministry of Cultural Property and Tourism within the meaning of the article 1, subparagraph 327, of the law 28th December 2015, n. 208", was issued by the Minister of Cultural Property, but some modifications are still need, especially for bibliographic and archival properties, which are excluded from free reproduction. It's useful to give some suggestions in order to amend the law and allow a free access to Culture. The proposal is based on the text of the one that is going to be examined in the Italian Parliament. Application of these simple rules can imply benefits for both users and institutions.
Keywords: Cultural property; Bibliographic and Archival Properties; Reproduction.
1. Il contesto normativo della riproduzione dei beni culturali
Nella sua versione originaria, l'art. 12 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 (c.d. Art Bonus, recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo) prevedeva che venisse modificato il testo dell'art. 108 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 ("Codice dei beni culturali e del paesaggio") attraverso l'inserimento di un comma 3-bis teso a liberalizzare le riproduzioni dei beni culturali per finalità diverse dal lucro [1].
Successivamente, la legge di conversione 29 luglio 2014, n. 106, comportò una ristrutturazione del medesimo testo [2] tale da escludere due categorie di beni culturali, ossia quelli bibliografici ed archivistici, dalla disciplina sulla libera riproduzione.
Una simile innovazione frustrò inevitabilmente le molte attese di studiosi e addetti del settore [3], che inizialmente avevano accolto con soddisfazione il contenuto progressista dell'Art Bonus. Gli effetti della modifica furono, e sono tuttora, paradossali: se da una parte si è liberi di fotografare le opere esposte nei musei italiani, dall'altra coloro i quali frequentano archivi e biblioteche per necessità di studio o lavoro non possono godere dei benefici della liberalizzazione, che permetterebbe loro di agevolare l'attività di trascrizione dei documenti (e di verifica sui testi già trascritti), con indubbi svantaggi, viceversa, soprattutto per gli utenti costretti a raggiungere archivi distanti centinaia di chilometri dalla propria sede. In alcuni istituti la fotografia con mezzo proprio è soggetta a tariffa, mentre in altri è addirittura proibita al solo scopo di assicurare margini di profitto adeguati alle ditte private di riproduzione a cui biblioteche e archivi concedono in appalto esclusivo il servizio di fotoriproduzione [4].
La finalità dell'emendamento restrittivo, senza obbedire ad un reale scopo di tutela del bene culturale bibliografico od archivistico, va a preservare modesti introiti per l'amministrazione, connessi in via diretta alle tariffe per l'utilizzo del mezzo proprio, oppure, in via indiretta, al canone corrisposto dalle ditte di riproduzione agli archivi e biblioteche che esternalizzano il servizio.
Ben maggiori sono i disagi per l'utenza, quali l'imposizione di lungaggini burocratiche e di esborsi di fatto aggiuntivi rispetto ad un servizio che chiunque può svolgere in perfetta autonomia con il proprio mezzo di riproduzione, senza alcun aggravio per le casse degli istituti. Infine, alle ragioni di carattere economico appena richiamate, sembra accompagnarsi una latente diffidenza, di carattere culturale, nei confronti della libera diffusione delle immagini di documenti di archivio o volumi storici in virtù di una concezione "proprietaria" del bene culturale, che tende a confondere la custodia e la tutela del patrimonio con l'esercizio di una proprietà esclusiva nei confronti dello stesso, che risulta contraria alla specificità del bene culturale.
Nella convinzione che la promozione della ricerca sancita dall'art. 9 della Costituzione si eserciti anche attraverso la libera riproduzione delle fonti documentarie conservate in archivi e biblioteche, appare indispensabile una modifica dell'art. 108 del Codice dei Beni Culturali con l'obiettivo di ripristinare lo spirito originario dell'Art Bonus, già sintetizzato nella relazione illustrativa della Camera dei Deputati che ha accompagnato l'emanazione del decreto-legge [5].
Sul solco delle linee guida culturali espresse in tale documento, appare quindi opportuno rendere nuovamente libere le riproduzioni di beni archivistici e bibliografici con mezzo proprio: libere cioè da autorizzazione preventiva per attività non lucrative (studio, ricerca, pubblicazioni scientifiche non a scopo di lucro), libere dal pagamento di corrispettivi di riproduzione per l'utilizzo del mezzo proprio (salvo il rimborso delle spese sostenute dall'amministrazione nel caso in cui l'utente decida di ricorrere ad un servizio esterno di riproduzione) e libere infine dal pagamento di canone d'uso per attività di studio e pubblicazioni scientifiche non a scopo di lucro [6]. Tale esigenza si fa ancor più pungente a seguito dell'emanazione del decreto attuativo sulla riorganizzazione ministeriale, che presta il fianco anche ad interpretazioni restrittive.
Al fine di facilitare non solo la ricerca ma anche la pubblicazione degli esiti della stessa, in un'ottica di diffusione feconda del sapere, è proponibile disciplinare più nel dettaglio l'utilizzo delle immagini di beni culturali regolato dall'art. 108 comma 3-bis nella sua nuova formulazione.
A questo scopo si propone anzitutto di ridefinire la categoria dell'attività svolta a scopo di lucro attraverso la soppressione della prassi autorizzatoria per quelle pubblicazioni editoriali scientifiche minori, che sono cioè caratterizzate, come si vedrà più in dettaglio oltre, da tiratura e prezzo di copertina limitati. Ciò consentirebbe di semplificare la relativa procedura burocratica con ovvi benefici e risparmi non solo per l'utenza, ma anche per l'amministrazione detentrice del bene da riprodurre, che eviterebbe di impegnarsi in procedure amministrative superflue per dedicarsi a più utili attività nell'ambito della gestione di un archivio o di una biblioteca. Verrebbe meno così l'obbligo, attualmente a carico dell'utente, di inoltrare la richiesta formale di autorizzazione alla pubblicazione della riproduzione dello stesso corredata da marca da bollo, autorizzazione che tra l'altro appare del tutto superflua, dal momento che di fatto non sussiste alcuna valida ragione per negare la pubblicazione di una riproduzione a scopo scientifico. In questi casi l'amministrazione si riserverebbe, come previsto dall'Art Bonus, la facoltà di effettuare controlli ex post sull'uso delle immagini di beni culturali, mentre la richiesta di concessione potrà invece essere sostituita, anche tramite lo strumento telematico, da una più rapida comunicazione obbligatoria dell'intenzione di pubblicare, con obbligo di specificare origine dell'immagine e di consegnare all'ente interessato una copia della pubblicazione, anche online.
2. L'intervento del DM sulla Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e le proposte di iniziativa parlamentare
La legge di stabilità per l'anno 2016 [7] ha definito le coordinate per il nuovo assetto organizzativo del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, mediante il quale si è provveduto da un lato a riunificare le soprintendenze territoriali in un soggetto unico, le Soprintendenze Archeologia, Belle arti e Paesaggio, dall'altro ad assoggettare le soprintendenze archivistiche e bibliografiche ad un'unica Direzione generale Biblioteche, prevedendo la possibilità di avvalersi del personale delle Biblioteche statali (art. 5, comma 2). Il tema della libera riproduzione dei beni culturali, tuttavia, non è stato oggetto di riforma nell'ambito dell'emanato decreto attuativo [8], che si è piuttosto concentrato prevalentemente su aspetti di carattere organizzativo. È opportuno tuttavia considerare che i risparmi di spesa derivanti dalla fusione delle Soprintendenze, insieme alla disposizione di nuovi fondi a beneficio degli istituti culturali, sarebbero potenzialmente idonei, soprattutto negli istituti archivistici, a compensare il mancato gettito derivante dai canoni e corrispettivi attualmente richiesti per le riproduzioni [9].
L'istanza della libera riproduzione, stimolata dalla stampa e dall'attivismo in rete che ha dato vita ad una ampia raccolta firme a favore dell'estensione della libera riproduzione ai beni bibliografici e archivistici [10] è stata invece rappresentata da due disegni di legge di iniziativa parlamentare volti a modificare, secondo una analoga formulazione, l'art. 108 del Codice dei Beni Culturali disciplinante la riproduzione dei beni culturali [11]. A ciò si aggiunga la formulazione di un emendamento inserito nell'iter di Legge annuale per il mercato e la concorrenza [12], che, sia pure in termini leggermente diversi, persegue le sopra esposte finalità in materia di libera riproduzione, come sarà illustrato in dettaglio nei paragrafi che seguono.
3.1. Art. 108, comma 3
Per rispondere alle esigenze sopra ricordate, il primo periodo del comma 3 dell'art. 108 del Codice merita di essere così riformulato: "Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione purché attuate senza scopo di lucro".
Sostanzialmente, rispetto al testo attualmente vigente, si propone di aggiungere le parole "o eseguite": ciò comporta un allargamento della fattispecie di esenzione dal pagamento prevista dalla norma. L'aver introdotto la dicitura "o eseguite" porta a escludere l'ipotesi di pagamento di un canone sia nel caso di riproduzioni eseguite dall'utente, sia nel caso di riproduzioni richieste a terzi dall'utente. Accanto quindi alle riproduzioni richieste all'amministrazione, vengono qui contemplate anche quelle eseguite dai privati autonomamente con il proprio mezzo. A maggior ragione, le riproduzioni eseguite direttamente dai privati hanno infatti da rimanere esenti da qualsiasi tipo di pagamento, poiché l'amministrazione non andrebbe a sostenere neppure il costo del servizio di produzione e/o messa a disposizione della copia allorquando ciò venga richiesto dall'utente: in quest'ultimo caso, le spese sostenute sarebbero comunque oggetto di rimborso secondo la disciplina di legge già vigente.
3.2. Art. 108, comma 3-bis, n. 1
In questa sede dovrebbe apporsi l'intervento più massiccio. È stata proposta la seguente riformulazione della prima ipotesi prevista dall'art. 108, comma 3-bis in tema di libera riproduzione: "la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di accesso ai sensi delle disposizioni di cui al Capo III del presente Titolo, attuata nel rispetto del diritto di autore con strumenti che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né, all'interno degli istituti della cultura, l'esposizione dello stesso a sorgenti luminose o l'uso di accessori potenzialmente dannosi per la conservazione del bene".
In primo luogo si è proceduto all'espunzione dei beni bibliografici dalla disciplina di specie, in modo da coordinare il testo nella sua complessiva formulazione con quanto esposto di seguito. È infatti auspicabile l'inserimento dell'inciso "sottoposti a restrizioni di consultabilità ai sensi del Capo III del presente Titolo": così facendo, si escludono dal novero dei beni culturali oggetto di liberalizzazione quei beni archivistici che, ai sensi degli artt. 122-126 del Codice, già sono sottoposti a previsioni di limitazione di accesso in ragione del loro contenuto sensibile. In tal modo, l'esclusione della categoria dei beni archivistici dalla libera riproduzione risulta circoscritta ad un ambito determinato, in ragione della protezione di dati personali, notizie riservate e simili. Simile previsione evidenzia come la portata liberalizzatrice della proposta sia calibrata cum grano salis.
Similmente, con l'inserimento delle parole "attuata nel rispetto del diritto d'autore", si evidenzia l'esigenza di rispettare le norme poste a tutela dei diritti degli autori, anche a discapito di una maggiore diffusione della riproduzione, contemperando le esigenze di due settori legislativi (quello della proprietà intellettuale e quello dei beni culturali) che altrimenti rischierebbero di sovrapporsi, a fronte di norme conflittuali tra loro.
Un'ulteriore modifica concerne la sostituzione della parola "modalità" con la parola "strumenti". Benché non contemplata nell'emendamento, tale modifica meriterebbe tuttavia di essere considerata a seguito di interpretazioni precedenti che hanno ritenuto di escludere i beni bibliografici e archivistici dalla libera riproduzione in quanto questi ultimi necessiterebbero di essere manipolati per essere riprodotti, creando quel contatto diretto vietato dalla legge. Per questa ragione, merita di essere valuta tata la sostituzione del termine generico "modalità" con il termine più specifico "strumenti", facendo seguito alle indicazioni del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici [13], che in siffatta norma ha individuato una limitazione inerente solo la tecnica di riproduzione e non l'insieme di procedure che precedono la riproduzione stricto sensu intesa. Anche secondo la proposta, rimangono dunque esclusi quei mezzi tecnici, quali scanner e fotocopiatrici, che comportano un contatto potenzialmente dannoso per il bene, ammettendo invece dispositivi di riproduzione a distanza che, in quanto tali, non comportano alcun contatto fisico diretto all'atto della riproduzione.
Infine, anziché prevedere l'esclusione dell'uso di stativi o treppiedi, sarebbe opportuno utilizzare la più ampia formula "o l'uso di accessori potenzialmente dannosi per la conservazione del bene". In tal modo, il testo normativo assume quel carattere di previsione generale ed astratta richiesto perché abbia una portata valida anche nel passare del tempo e nell'evolversi delle tecnologie. Il riferimento ad accessori potenzialmente dannosi rimette alla discrezione dei singoli istituti l'individuazione della tipologia di accessori eventualmente ammessa nel corso delle riprese rispetto al mezzo di riproduzione.
3.3. Art. 108, comma 3-bis, n. 2
Un'ultima modifica potrebbe concernere la seconda ipotesi di libera riproduzione prevista dall'art. 108, che andrebbe ad essere così formulata: "la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro", con la soppressione delle parole finali "neanche indiretto".
L'eliminazione del riferimento al lucro indiretto permette di applicare l'esenzione dal pagamento di canoni e corrispettivi nell'ipotesi di immagini pubblicate a scopo prevalente di ricerca, così da promuovere l'attività scientifica. A tal proposito merita di essere preso a riferimento quel che già il decreto ministeriale 8 aprile 1994 aveva previsto, dispensando l'autore dal pagamento di tariffe per riproduzioni di beni culturali in riviste o monografie con un prezzo di copertina inferiore ad attuali euro 77,47 e diffuse con una tiratura inferiore alle 2.000 copie [14]. Appare evidente come, all'interno di una pubblicazione scientifica, la riproduzione di un bene culturale non sia fine a se stessa, ma sia funzionale a far prendere necessaria conoscenza visiva al lettore di quel che è oggetto di trattazione, e, più in generale, alla diffusione di contenuti culturali di cui l'immagine è parte integrante negli studi di ambito umanistico.
Il riuso delle immagini di beni culturali richiamato dalla norma si presta ad essere regolato sul versante applicativo con prescrizioni a livello di circolare che consentano, come già avviene all'estero, di assicurare la condivisione delle immagini digitali a scopo non lucrativo nell'ambito di blog gestiti dagli utenti o su piattaforme apposite create nei siti web dell'istituto o altrove [15], purché rimanga in capo all'utente che carica le immagini la responsabilità di indicare correttamente la provenienza e la segnatura archivistica dell'unità. La libera divulgazione online, e in particolare sui social network, delle immagini di beni culturali, già contemplata nella relazione illustrativa del decreto Art Bonus, deve oggi scontrarsi con i rischi di un possibile lucro indiretto, espressamente vietato dall'art. 108 [16]. Per i beni bibliografici e archivistici si aggiunge infine un ulteriore impedimento costituito dall'obbligo vigente di richiedere una autorizzazione preventiva alla riproduzione che vincola l'utente all'uso strettamente personale dell'immagine, inibendo qualsiasi libera iniziativa di valorizzazione in rete di cui il singolo possa farsi promotore.
Il tema del libero riuso delle immagini di beni culturali, che in questa proposta rimane circoscritto alla divulgazione scientifica ed educativa, ha d'altra parte innescato un dibattito internazionale che trascende l'oggetto specifico del presente contributo, ma su cui appare urgente riflettere: la tendenza attuale, sempre più di frequente perseguita dagli istituti culturali in Europa e in Nord America, giunge a portare alle estreme conseguenze il concetto di libero riuso delle immagini online delle collezioni di musei e biblioteche di pubblico dominio, financo per finalità commerciali [17].
L'accoglimento della sopra illustrata proposta recupererebbe l'originario spirito dell'Art Bonus, andrebbe a rendere più chiaro il testo legislativo e valorizzerebbe i luoghi della cultura italiani, analogamente a quanto accade altrove in Europa e nel mondo [18].
Per garantire appieno simili diritti, è inevitabile intaccare direttamente il testo legislativo, poiché l'adozione di meri regolamenti o circolari, per quanto strumenti più agili e di più pronta approvazione, non basterebbe a far venir meno il dettato del Codice dei beni culturali nella sua forma attualmente vigente.
Tra gli accorgimenti idonei ad affiancarsi alla sopra presentata proposta, v'è la possibilità di non sopprimere tout court la richiesta di autorizzazione preventiva alla riproduzione con mezzo proprio, ma di mantenerla per documenti che contengono (o potrebbero contenere) dati sensibili tutelati dalla normativa vigente in materia di privacy [19]; inoltre, permane la possibilità di escludere dalla consultazione, e quindi dalla riproduzione con mezzo proprio, il materiale fragile o di particolare pregio già digitalizzato (ed eventualmente disponibile online), o comunque di sottoporlo in tali casi particolari ad un regime di consultazione/riproduzione "sotto sorveglianza". Si potranno comunque predisporre, a discrezione dell'istituto, una o più aree riservate per le riproduzioni con mezzo proprio. Valga in ogni caso il principio elementare secondo cui tutto ciò che è manipolabile per consultazione, sia liberamente riproducibile.
Indubbi sono i vantaggi di cui godrebbero gli studiosi, i ricercatori, gli operatori del settore ma anche i singoli utenti; pressoché nulli i pregiudizi verso gli istituti di cultura [20], atteso che essi, attualmente, non paiono godere di ritorni economici significativi dal controllo sulla riproduzione dei beni posti sotto la loro tutela. Anziché arroccarsi in posizioni esclusiviste, è plausibile ritenere che benefici allo sviluppo culturale possano derivare da prassi liberali e gratuite, tali da fare da stimolo alla ricerca di nuovi modelli di condivisione aperta. Il principio di accessibilità alla cultura, di ispirazione costituzionale, è sintomo di un interesse collettivo a beni comuni che appartengono, prima ancora che ad una istituzione, all'intera collettività.
Va osservato che necessario criterio ispiratore è il principio di valorizzazione del bene culturale, al quale solo ultimamente si sta riconoscendo dignità pari alle imprescindibili esigenze di tutela, le quali di per sé non si rivelano comunque garanzia sufficiente per un'efficacia a lungo termine, ma soprattutto non permettono di estrinsecare appieno il valore culturale, sociale e finanche economico del bene culturale. Nell'ipotesi in cui si giungesse ad una modifica dell'art. 108 così come indicato in questa sede, è opportuno che la conseguente circolare ministeriale attuativa mantenga salda l'equivalenza tra consultazione e riproduzione, in modo da evitare il prevalere di condizioni particolarmente restrittive per la riproduzione dei beni culturali tali da escludere dalla libera riproduzione intere serie documentali per presunte ragioni di tutela. Tale ipotesi va infatti scongiurata e rende indispensabile un intervento capace di non svuotare di senso ogni ipotesi di liberalizzazione.
A questo proposito giova sempre tenere presente che il fine ultimo della tutela del bene culturale è la sua fruizione e la valorizzazione. Il migliore antidoto per evitare di rendere il patrimonio culturale un feticcio, un idolo intoccabile ed inservibile, è incoraggiare gli stessi utenti nella valorizzazione del patrimonio culturale, così da generare circuiti positivi di condivisione e fruizione [21].
È perciò evidente che proibire o tassare una forma di fruizione digitale, quale la riproduzione con mezzo proprio, rappresenta viceversa l'esatta antitesi del concetto di promozione della ricerca sancito dall'art. 9 della Costituzione.
Note
[*] Gli autori sono tra i promotori di una proposta di riforma dell'art. 108 Codice dei beni culturali.
[1] Art. 108, comma 3-bis, d.lgs. 42/2005 (Codice dei Beni Culturali), ex d.l. 83/2014:
"3-bis. Sono in ogni caso libere, al fine dell'esecuzione dei dovuti controlli, le seguenti attività, purché attuate senza scopo di lucro, neanche indiretto, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:
1) la riproduzione di beni culturali attuata con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l'esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né l'uso di stativi o treppiedi;
2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte dall'utente se non, eventualmente, a bassa risoluzione digitale".
[2] Art. 108, comma 3-bis, d.lgs. 42/2005 (Codice dei Beni Culturali), ex legge 106/2014:
"3-bis. Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:
1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni bibliografici e archivistici attuata con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l'esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né, all'interno degli istituti della cultura, l'uso di stativi o treppiedi;
2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro, neanche indiretto".
[3] Per le problematiche relative all'emendamento che esclude i beni bibliografici ed archivistici dalla libera riproduzione, si veda M. Modolo, Il sogno infranto delle libere riproduzioni, in Il Giornale dell'Arte, n. 345, settembre 2014, p. 10; A. Brugnoli, Ancora sulla riproduzione dei beni culturali, in ROARS, 5 ottobre 2014; C. Ciociola, Libere riproduzioni negli archivi e nelle biblioteche, 18 giugno 2015; S. Aliprandi, "Carta vince, carta perde". Giochi di prestigio contro la libera diffusione dei beni culturali, 11 gennaio 2016.
[4] A titolo puramente esemplificativo nella galassia sterminata dei tariffari di riproduzione, si segnala che presso l'archivio di Stato di Gorizia, le fotografie con mezzi propri per ogni singola unità di conservazione (busta, registro, volume, ecc.) hanno un costo pari a euro 3,00 ogni 10 scatti (http://www.archiviodistatogorizia.beniculturali.it/links-in-home-page/tariffario), mentre nell'Archivio di Stato di Venezia l'utente per l'uso del mezzo proprio è addirittura costretto a noleggiare una "sala riproduzioni" con tariffe orarie, per ogni macchina fotografica, fissate a 10 euro l'ora, cifra che va ad aggiungersi al corrispettivo di riproduzione.
[5] Si veda in particolare l'art. 12 del ddl n. 2426 presentato alla Camera dei Deputati il 31 maggio 2014.
[6] Per precedenti contributi in tema di riproduzioni fotografiche di beni culturali, si veda G. Resta, Chi è proprietario delle Piramidi? L'immagine dei beni tra Property e Commons, in Politica del Diritto, XL, n. 4, 2009, pp. 567-603, nonché A. Tumicelli, L'immagine del bene culturale, in Aedon, 2014, 1.
[7] Legge 28 dicembre 2015, n. 208, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
[8] D.m. 23 gennaio 2016, Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell'art. 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
[9] In base alla risposta scritta n. 109/2015 del sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali ed il turismo Borletti Dell'Acqua all'interrogazione presentata dal senatore Tocci, "attualmente, la riscossione dei canoni per la riproduzione dei documenti d'archivio genera un introito annuo complessivo di 500.000 euro, che costituisce una risorsa finanziaria assolutamente necessaria per la prosecuzione dell'attività ordinaria degli archivi di Stato e che, in caso di liberalizzazione della riproduzione, dovrebbe essere reintegrata con altre fonti".
[10] In tal senso, merita di essere segnalato il Movimento Fotografie Libere per i Beni Culturali.
[11] Il primo ddl è stato depositato alla Camera dei Deputati il 5 agosto 2015, l'altro al Senato il 10 settembre 2015.
[12] Si fa riferimento, in particolare, al disegno di legge classificato come Atto Senato n. 2085, il cui iter è visualizzabile in http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/46060.htm: l'emendamento interessato è stato presentato in data 5 febbraio 2016 quale articolo aggiuntivo n. 52.0.68.
[13] Consiglio Superiore per i Beni culturali e Paesaggistici, Mozione in merito alla libera riproduzione di beni culturali, 15 luglio 2014.
[14] Al n. VI, il d.m. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative all'uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero, così recita: "Libri con tiratura inferiore alle 2.000 copie e con prezzo di copertina inferiore a 150.000 lire e periodici di natura scientifica: esenzione dal pagamento delle tariffe per i diritti di riproduzione". Tale previsione è confermata dalla circolare ministeriale 17 giugno 2005, n. 21, avente ad oggetto Canoni di concessione e corrispettivi per la riproduzione di beni culturali.
[15] Flickr prevede la pubblicazione in rete di immagini provenienti da istituti convenzionati: https://www.flickr.com/commons/institutions/.
[16] L'iniziativa "Wiki loves monuments" avviata da Wikimedia Italia, che mira a valorizzare il patrimonio culturale italiano facendo confluire su Wikipedia fotografie di monumenti scattate dai cittadini, deve ancora oggi misurarsi con l'obbligo di richiedere l'autorizzazione preventiva al ministero per l'immagine di ogni singolo monumento che si intende pubblicare in rete (http://wikilovesmonuments.wikimedia.it/).
[17] Si moltiplicano negli ultimi anni i casi di libero riuso, per qualsiasi scopo, delle immagini di beni culturali con il favor degli istituti culturali stessi; si ricordano, tra gli altri casi: Walters Art Museum di Baltimora, nella National Gallery di Washington, New York Public Library, Rijksmuseum di Amsterdam, Statens Museum for Kunst (SMK), York Museums Trust. Sul riutilizzo delle riproduzioni di beni culturali e sulla "libertà di panorama" alla luce delle recenti modifiche normative introdotte dall'Art Bonus, cfr. da ultimo: M. Ciurcina, P. Grossi, Considerazioni sugli Open Data e i beni culturali e paesaggistici in Italia. Il decreto Artbonus: cosa cambia per la riproduzione dei beni culturali?, in ArcheoFOSS. Free, Libre and Open Source Software e Open Format nei processi di ricerca archeologica. Atti del IX Workshop (Verona, 19-20 giugno 2014), c.s., a cura di P. Basso, A. Caravale, P. Grossi.
[18] La libera riproduzione dei beni bibliografici ed archivistici è prevista in istituzioni quali U.K. National Archives, British Library nel Regno Unito ed Archives nationales in Francia. Basti citare il regolamento di quest'ultimo ente, in cui si precisa che "En salle de lecture, les lecteurs peuvent photographier eux-mêmes, avec un appareil sans flash, les documents qu'ils consultent".
[19] Per tutta la documentazione contenente dati sensibilissimi a distanza inferiore a 70 anni esistono già limitazioni alla consultabilità ed apposite procedure d'eccezione per poterne prendere visione (d.l. 196/2003, all. A2, art. 10): a questo proposito il Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali per scopi storici sembra qualificarsi come una adeguata disciplina di comportamento. Nel consegnare al funzionario la richiesta di autorizzazione alla riproduzione, lo studioso dichiarerà di agire nel rispetto di quanto dispone l'art. 11 (Diffusione), con particolare riferimento al comma 6, cosicché in alcun modo egli possa in seguito dichiarare di non aver avuto conoscenza o non aver compreso quali siano i corretti limiti alla diffusione di simili dati e risultare pertanto pienamente consapevole di cosa comporti l'eventuale abuso.
[20] Con Comunicato ANAI sulla liberalizzazione delle riprese fotografiche a scopo di studio del 23 giugno 2015, l'ANAI (Associazione Nazionale Archivistica Italiana) tramite la propria Presidente Maria Guercio s'è detta favorevole alla liberalizzazione delle riprese fotografiche effettuate a scopo di studio con mezzi propri dagli studiosi nelle sale di consultazione degli istituti archivistici italiani, asserendo che non può costituire elemento dirimente la considerazione che la liberalizzazione diminuirebbe gli introiti degli istituti: infatti, il contributo offerto ai bilanci, per la sua irrilevanza (soprattutto se valutato al netto dei costi di gestione che il servizio in ogni caso comporta), non può in alcun modo essere considerato risolutivo delle ristrettezze in cui si trovano le istituzioni del Ministero dei Beni Culturali. Si veda a questo proposito anche un incisivo intervento di G.A. Stella, Biblioteche, scene da catastrofe, in Corriere della Sera, 12 settembre 2015, p. 49: "E perché mai, questo pedaggio alla Ghino di Tacco contro il quale c'è una rivolta scandalizzata degli studiosi stranieri? Questioni contrattuali. E spilorceria di chi già lamenta di avere poche entrate... Il bello è che, hanno scoperto i sostenitori del principio 'libera foto in libero Stato', un sacco di soldi vengono buttati in una voragine: gli affitti pagati dai 103 archivi di Stato. Quello centrale su tutti: 4.361.858 euro di canone annuale. Quello di Roma città, da quasi un ventennio, 936 mila: per un edificio fatiscente che vale una quindicina di milioni. Quello di Verona, 'gentilmente' ospitato da Cariverona, 580 mila: il quadruplo di prima. Totale degli affitti pagati all'anno: 18.807.250 euro. Cioè i quattro quinti (i quattro quinti!) di tutti i soldi dati dal governo. E pensano di tappare i buchi facendo pagare una gabella sulle foto?".
[21] Cfr. sul tema in particolare D. Manacorda, L'Italia agli Italiani, Bari, 2014, pp. 87-92, e, da ultimo, G. Volpe, Patrimonio al futuro, Roma, 2015, pp. 83-87.