Corte costituzionale
Sentenza 13 maggio - 5 giugno 2015, n. 99
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alessandro Criscuolo; Giudici: Paolo Maria Napolitano, Giuseppe Frigo, Paolo Grossi, Giorgio Lattanzi, Marta Cartabia, Mario Rosario Morelli, Giancarlo Coraggio, Giuliano Amato, Silvana Sciarra, Daria de Pretis, Nicolò Zanon,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della regione Veneto 19 giugno 2014, n. 17 (Modifica della legge regionale 28 dicembre 1993, n. 60 "Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo" e successive modificazioni), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23-28 agosto 2014, depositato in cancelleria il 2 settembre 2014 ed iscritto al n. 69 del registro ricorsi 2014.
Visto l'atto di costituzione della regione Veneto;
udito nell'udienza pubblica del 12 maggio 2015 il Giudice relatore Nicolò Zanon;
uditi l'avvocato dello Stato Giovanni Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Luigi Manzi e Ezio Zanon per la regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1. Con ricorso spedito per la notifica il 23 agosto 2014, ricevuto dalla resistente il 28 agosto 2014 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 2 settembre 2014 (reg. ric. n. 69 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha proposto, in riferimento all'art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della regione Veneto 19 giugno 2014, n. 17 (Modifica della legge regionale 28 dicembre 1993, n. 60 "Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo" e successive modificazioni).
1.1. La norma impugnata introduce, dopo il comma 6 dell'art. 8 della legge regionale n. 60 del 1993, i nuovi commi 6-bis e 6-ter. Il primo è finalizzato espressamente all'attuazione della disciplina posta al comma 2-bis dell'art. 3 della stessa legge n. 60 del 1993, ove si vieta al proprietario o al detentore anche temporaneo di animali di affezione l'utilizzo della catena o di qualunque altro strumento di contenzione similare, salvo che per ragioni sanitarie o per misure urgenti e temporanee di sicurezza. Con il comma 6-bis citato, in particolare, si prevede che la Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, emani indicazioni tecniche sui requisiti delle strutture di ricovero e custodia per gli animali. Il nuovo comma 6-ter - che risulta essere la sola disposizione posta effettivamente ad oggetto d'impugnazione - aggiunge che le strutture e le recinzioni in questione, realizzate secondo le modalità indicate dalla Giunta, "sono sempre consentite, anche in deroga alla normativa regionale e agli strumenti territoriali, ambientali, urbanistici ed edilizi".
1.2. Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la norma impugnata contrasta con il primo comma dell'art. 117 Cost., in quanto incompatibile con il diritto dell'Unione europea, come recepito mediante l'art. 5 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche).
In particolare, il paragrafo 3 dell'art. 6 della citata direttiva del Consiglio n. 92/43/CEE stabilisce che qualunque piano o progetto che possa riguardare le zone di speciale conservazione cui si riferiscono i commi precedenti sia posto ad oggetto d'una valutazione di incidenza, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito, e che l'intervento ottenga un provvedimento favorevole ("accordo") dalle autorità nazionali competenti solo quando vi sia certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito medesimo. La disciplina nazionale di recepimento - prosegue il ricorrente - ha demandato a Regioni e Province il compito di attuazione del procedimento di verifica.
La norma impugnata sarebbe illegittima in quanto eluderebbe la "rete di tutela" apprestata dal legislatore eurounitario e da quello nazionale, consentendo la realizzazione delle strutture di ricovero alla sola condizione della loro conformità alle indicazioni tecniche della Giunta regionale.
1.3. Il ricorrente assume, inoltre, la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva allo Stato la competenza esclusiva a legiferare in materia di "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali". Nella specie, si tratterebbe di disciplina regionale idonea a diminuire i livelli di tutela dell'ambiente. La regione Veneto avrebbe dovuto limitarsi ad intervenire sulla normativa regionale, e nei limiti competenziali tipici della stessa, senza la pretesa di incidere sugli strumenti di matrice nazionale per la protezione dell'ambiente.
A tale proposito, il ricorrente evoca la normativa richiamata nella delibera del Consiglio dei ministri del 31 luglio 2014, di impugnazione della legge regionale in oggetto, anzitutto a proposito della pianificazione dei bacini idrogeologici, i cui strumenti sono sovraordinati ai piani territoriali ed ai programmi regionali (il riferimento concerne l'art. 65 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 - Norme in materia ambientale). Si osserva che gli stessi strumenti regionali possono essere derogati solo in quanto compatibili con il piano di bacino.
Ancora, la norma impugnata contrasterebbe con la disciplina delle cosiddette aree protette, e con quella relativa alla competenza dell'Ente parco, riguardo alla tipologia ed alle modalità di costruzione dei manufatti nelle aree medesime (riferimento concernente l'art. 11 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 - Legge quadro sulle aree protette). Il ricorrente osserva come il piano per il parco - a norma dell'art. 12, comma 7, della citata legge n. 394 del 1991 - abbia effetto di dichiarazione di pubblico generale interesse e di urgenza e di indifferibilità per gli interventi in esso previsti, e come tale piano sostituisca ad ogni livello i piani paesistici, territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione. A fronte di tali normative, la norma regionale impugnata, per parte sua, pretenderebbe di derogare, in via generale ed astratta, a questi prioritari strumenti di tutela dell'ambiente.
2. Con memoria del 2 ottobre 2014, depositata in pari data, si è costituita in giudizio la regione Veneto, chiedendo che la questione promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.
2.1. Secondo la resistente, il nuovo comma 6-ter dell'art. 8 della legge regionale n. 60 del 1993, introdotto dalla norma impugnata, andrebbe letto in relazione al precedente comma 2 dello stesso articolo, che continua a richiamare, quanto ai "canili sanitari e rifugi per cani", il successivo art. 14 della stessa legge. Quanto al nuovo comma 6-bis dell'art. 8 la norma si riferirebbe unicamente alle situazioni regolate dal comma 2-bis dell'art. 3 della legge citata.
Tale ultima disposizione contiene il divieto di utilizzare catene o altri mezzi di contenimento, salvo che per ragioni sanitarie o di sicurezza, comunque temporanee. Dunque, il citato comma 6-bis dell'art. 8 avrebbe riguardo unicamente a strutture per uso temporaneo ed eccezionale, dovuto a ragioni sanitarie o di sicurezza, e così dovrebbe concludersi per la norma derogatoria collegata. I "canili sanitari e rifugi per cani" sarebbero invece assoggettati alla disciplina ordinaria, dettata al già citato (e non modificato) art. 14.
Il doppio regime porrebbe in evidenza che la normativa impugnata riguarderebbe solo "strutture di ridotta incidenza [di] preminente carattere domestico e privato". La conclusione sarebbe avvalorata dal significato logico e letterale dell'espressione "strutture e recinzioni", tale da evocare costruzioni non strutturate e semplici, che vengono disciplinate per assicurare l'interesse al miglior trattamento degli animali di affezione.
La regione Veneto esclude dunque, ed anzitutto, che sia violata la disciplina eurounitaria, il cui rilievo presuppone la realizzazione di opere che possano avere incidenza significativa sulle aree collocate nella cosiddetta rete ecologica europea.
2.2. Non sussisterebbe, d'altra parte, la denunciata violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Le norme impugnate infatti introdurrebbero un regime derogatorio limitato alla legislazione regionale ed ai relativi piani e strumenti, nei termini consentiti dalla normazione statale. La conseguenza sarebbe desumibile da una corretta lettura del nuovo comma 6-ter dell'art. 8, la cui parte finale, concernente gli strumenti di governo del territorio, costituirebbe specificazione del riferimento iniziale alla legislazione regionale. La portata precettiva della norma, comunque, andrebbe ricostruita secondo il criterio dell'interpretazione costituzionalmente compatibile. Non avrebbe senso pretendere che una norma regionale elenchi espressamente ogni disposizione statale non suscettibile di deroga, dovendosi ritenere implicita, ogni volta, l'evocazione dei pertinenti limiti competenziali.
3. L'Avvocatura generale dello Stato, nell'interesse del Presidente del Consiglio dei ministri, ha depositato memoria in data 21 aprile 2015, insistendo per l'accoglimento del ricorso.
L'utilizzo del termine "strutture", nella normativa impugnata, non sarebbe affatto indicativo dell'estraneità di questa alla disciplina dei canili sanitari e dei rifugi, trovandosi tra l'altro lo stesso termine anche nell'art. 14 della legge n. 60 del 1993, sicché non potrebbe accogliersi la tesi per cui le nuove norme regionali non riguarderebbero i citati canili e rifugi.
D'altra parte, l'art. 6, terzo paragrafo, della già citata direttiva 92/43/CE imporrebbe una preventiva valutazione di incidenza su qualunque intervento che possa pregiudicare i siti di interesse naturalistico. Una siffatta potenzialità lesiva non potrebbe essere esclusa in via generale ed astratta per le strutture in questione, come vorrebbe invece disporre la legge impugnata.
Quanto infine alla natura degli strumenti "derogabili", l'Avvocatura generale dello Stato esclude che il testo della norma impugnata la limiti a quelli regionali, sui quali del resto avrebbe potuto direttamente incidersi attraverso le "indicazioni tecniche" della giunta, senza necessità della previsione derogatoria.
Considerato in diritto
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della Costituzione, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della regione Veneto 19 giugno 2014, n. 17 (Modifica della legge regionale 28 dicembre 1993, n. 60 "Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo" e successive modificazioni).
La norma impugnata incide sulla citata legge regionale n. 60 del 1993, approvata sulla base della legge statale 14 agosto 1991, n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo), intervenendo, in particolare, sull'art. 8 (rubricato "Canili sanitari e rifugi"), ove sono introdotti due nuovi commi.
Il comma 6-bis è finalizzato a dare attuazione alla disposizione (nuovo comma 2-bis) che la stessa legge regionale n. 17 del 2014 ha introdotto nell'art. 3 della precedente legge regionale n. 60 del 1993, ove si vieta al proprietario o al detentore anche temporaneo di animali di affezione l'utilizzo della catena o di qualunque altro strumento di contenzione similare, salvo che per ragioni sanitarie o per misure urgenti e temporanee di sicurezza. Ebbene, il citato comma 6-bis stabilisce che la Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, al fine appunto di dare attuazione alla disposizione appena ricordata, emani "apposite indicazioni tecniche aventi ad oggetto gli specifici requisiti delle strutture e delle recinzioni volte al ricovero dei cani e dei gatti e le modalità di custodia degli animali di affezione, con disposizioni specifiche per la custodia dei cani da parte dei privati".
Il nuovo comma 6-ter - che, in base alla motivazione e alle conclusioni del ricorso, è la sola disposizione posta effettivamente ad oggetto dell'impugnazione statale - aggiunge che le strutture e le recinzioni in questione, realizzate secondo le indicazioni tecniche indicate dalla Giunta, "sono sempre consentite, anche in deroga alla normativa regionale e agli strumenti territoriali, ambientali, urbanistici ed edilizi".
2. La norma impugnata è fatta oggetto di due distinte censure.
In primo luogo, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, essa violerebbe l'art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con il diritto dell'Unione europea, come recepito mediante l'art. 5 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). Infatti, ammettendo la realizzazione delle strutture di ricovero alla sola condizione della loro conformità alle indicazioni tecniche della Giunta regionale, la norma consentirebbe l'elusione della "rete di tutela" apprestata dal legislatore eurounitario e da quello nazionale - in relazione alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche - la quale impone una valutazione di incidenza di qualunque piano o progetto che possa influire sull'integrità delle zone di speciale conservazione, escludendo gli interventi pregiudizievoli.
In secondo luogo, secondo il ricorrente, la norma impugnata violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali". In particolare, la disposizione in esame pretenderebbe di derogare, in via generale ed astratta, a una serie di prioritari strumenti di tutela dell'ambiente, previsti dalla legislazione statale, dando vita ad una disciplina idonea a diminuire i livelli di tutela. La regione Veneto avrebbe, invece, dovuto limitarsi ad intervenire sulla normativa regionale, e nei limiti di competenza tipici della stessa, senza la pretesa di incidere sugli strumenti di matrice nazionale per la protezione dell'ambiente.
Entrambe le censure, in definitiva, denunciano l'illegittimità costituzionale della norma regionale impugnata, sul presupposto che essa introduca, in vista della realizzazione di qualsiasi struttura di ricovero e cura per animali d'affezione, deroghe agli strumenti di tutela ambientale, la cogenza dei quali deriva, invece, sia dalla conformazione del diritto interno al diritto dell'Unione, sia dalla competenza esclusiva statale in materia di "tutela dell'ambiente".
3. La regione Veneto, nel sollecitare il rigetto delle questioni, ha proposto una interpretazione riduttiva del significato della disposizione impugnata.
Essa ritiene, in primo luogo, che la disciplina contenuta nell'art. 2 della legge regionale n. 17 del 2014 riguarderebbe solo strutture temporanee e di preminente carattere domestico e privato, mentre i veri e propri rifugi per cani sarebbero assoggettati alla disciplina ordinaria, di cui all'art. 14 della legge regionale n. 60 del 1993.
Sostiene, ancora, la difesa regionale il rigetto della questione proponendo un'interpretazione adeguatrice della norma impugnata. Poiché è necessario interpretare le norme in modo da ricavarne un significato costituzionalmente compatibile, e poiché il rispetto delle competenze statali esclusive o concorrenti rappresenta una condizione di legittimità per ogni legge regionale, sarebbe da intendersi che ogni legge regionale, per quanto non lo specifichi, escluda dal proprio ambito applicativo qualsiasi fattispecie che lo Stato abbia regolato o avrebbe potuto regolare.
Nel caso di specie, con particolare riferimento al nuovo comma 6-ter dell'art. 8 della legge regionale n. 60 del 1993, sarebbe perciò introdotto un regime derogatorio limitato alla legislazione regionale ed ai relativi piani e strumenti, e nei termini consentiti dalla normazione statale. La conseguenza sarebbe appunto desumibile da una lettura costituzionalmente conforme della disposizione, la cui parte finale, concernente gli strumenti di governo del territorio, costituirebbe specificazione del riferimento iniziale alla legislazione regionale.
4. Gli argomenti della difesa regionale non trovano conferma nel senso e nella lettera della disciplina censurata. Di conseguenza, è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della regione Veneto n. 17 del 2014, nella parte in cui introduce il comma 6-ter nell'art. 8 della legge regionale n. 60 del 1993.
4.1. E' vero, come sostiene la resistente e come risulta dal testo della disposizione, che le "indicazioni tecniche" della Giunta, di cui tratta il citato comma 6-bis, sono finalizzate all'attuazione del comma 2-bis dell'art. 3 della stessa legge regionale n. 60 del 1993, cioè a garantire che gli animali di affezione non siano legati alla catena o ad altri similari strumenti di contenzione, salvo casi eccezionali. Ma, nel comma 2-bis, tale obiettivo riguarda chiunque custodisca gli animali, a qualsiasi fine, e caratterizza le stabili ed ordinarie condizioni di custodia, aggiungendosi, per maggior garanzia, che la regola vale per i casi di detenzione "anche" - e quindi non solo - temporanea. Qualunque struttura per il ricovero degli animali d'affezione è, in definitiva, tenuta a conformarsi all'obiettivo ricordato. Ed è evidente come il perseguimento di quest'ultimo richieda un tendenziale ampliamento degli spazi, e perciò delle strutture medesime.
Questa conclusione non è affatto smentita - ed anzi è confermata - dal rilievo che le norme censurate sono state inserite nell'art. 8 della legge regionale n. 60 del 1993, visto che anche tale norma è destinata a disciplinare i canili sanitari ed i rifugi, come la stessa rubrica dell'articolo indica, pur essendo presente (al comma 2) un rinvio al successivo art. 14 per la fissazione dei criteri di costruzione delle indicate strutture.
In sostanza, risulta che le "finalità" da perseguire mediante le apposite "indicazioni tecniche" della Giunta abbiano carattere generale, tanto da essere inserite nella norma sulla istituzione e sulla gestione della anagrafe canina, che si rivolge indistintamente a commercianti, privati, enti pubblici. D'altra parte, il comma 6-bis dell'art. 8 della legge regionale n. 60 del 1993 prevede espressamente che siano dettate "disposizioni specifiche per la custodia dei cani da parte dei privati". E ciò non può che significare che quel che viene disciplinato prima di tale specifica indicazione si rivolga primariamente alle strutture di ricovero "pubbliche" (canili e rifugi), non certo a quelle che abbiano preminente carattere domestico e privato.
Per altro verso, non vi sono elementi normativi o sistematici idonei a circoscrivere le prescrizioni alle strutture di carattere meramente temporaneo. Non giova, in questo senso, il riferimento al comma 2-bis dell'art. 3 della citata legge regionale n. 60 del 1993, pur enfatizzato dalla difesa regionale. Infatti, non è verosimile che la disciplina censurata riguardi proprio e solo "catene o strumenti di contenzione similare", da utilizzare esclusivamente per contingenti misure di sicurezza, giacché bisognerebbe allora ipotizzare che l'approvazione di linee guida della Giunta - sentita la competente commissione consiliare, in deroga agli strumenti territoriali, ambientali, urbanistici ed edilizi - sia prevista per la mera regolazione di catene di contenzione per animali. Inoltre, è proprio la lettera dei commi 6-bis e 6-ter dell'art. 8 della legge regionale n. 60 del 1993 ad evocare, in generale, "strutture" e "recinzioni" per il ricovero dei cani e dei gatti, non circoscritte a cautele sanitarie e di sicurezza temporanee.
4.2. Non è sostenibile neppure l'ulteriore assunto della difesa regionale, secondo la quale, in base al criterio dell'interpretazione costituzionalmente conforme, la norma impugnata introdurrebbe un regime derogatorio limitato alla legislazione regionale ed ai relativi piani e strumenti, e nei termini consentiti dalla normazione statale, conseguendone l'irrilevanza sia della normativa di trasposizione del diritto dell'Unione in materia di aree naturalistiche, sia degli strumenti (ambientali, edilizi, urbanistici) non riferibili alla competenza della stessa regione.
Ritenere inutile che le leggi regionali elenchino espressamente le disposizioni statali non suscettibili di deroga, dovendosi ogni volta considerare implicito che le leggi medesime abbiano inteso rispettare i propri limiti di competenza, è argomento che prova troppo. Ragionando in questo modo, infatti, si eliminerebbe, facilmente e in radice, la grande maggioranza dei conflitti di competenza, i quali resterebbero confinati alle ipotesi (residuali) di deliberata, esplicita e non superabile regolazione di fattispecie o materie riservate alla legislazione dello Stato.
Non sono mancati, per vero, casi nei quali si è riconosciuta da questa Corte, in via interpretativa, una limitazione della disciplina regionale ad ambiti materiali di competenza corrispondente, con conseguente rigetto dell'impugnativa statale (da ultimo, sentenze n. 300 del 2013, n. 278 e n. 171 del 2012, n. 168 del 2010). Si trattava però di casi nei quali la legge regionale adottava esplicite formule di coordinamento con la disciplina statale, o nei quali, almeno, mancavano disposizioni derogatorie implicite o esplicite. Nella fattispecie qui in esame, invece, una disposizione derogatoria esplicita esiste, e la sua ininfluenza su ambiti di competenza legislativa statale resta affidata alla tesi per cui l'aggettivo "regionale", nel testo dell'impugnato comma 6-ter, assumerebbe un ruolo dominante nel contesto di una complessa endiadi. Tuttavia, l'utilizzo dei normali criteri ermeneutici porta ad escludere che tale interpretazione abbia pregio: la deroga per la realizzazione delle strutture e delle recinzioni in parola è esplicitamente riferita alla sola legislazione regionale, mentre l'aggettivo "regionale" non è più riprodotto con riferimento alla deroga agli strumenti ambientali, territoriali, urbanistici ed edilizi.
4.3. Alla luce dell'esame svolto, consentendo la realizzazione di strutture di ricovero per animali d'affezione in generica deroga a strumenti ambientali, l'impugnato comma 6-ter produce un evidente effetto di riduzione delle soglie di tutela nella materia ambientale, riservata alla legislazione esclusiva dello Stato, in virtù dell'art. 117, comma 2, lettera s), Cost. In particolare, la legge regionale ha inteso regolare direttamente la materia in questione, dettando disposizioni volte a stabilire, in via generale ed astratta, quali interventi dovrebbero essere sottratti agli ordinari strumenti di tutela ambientale, ciò che deve ritenersi comunque precluso alla legislazione delle Regioni (ex multis sentenze n. 303 e n. 58 del 2013, n. 66 del 2012, n. 325 del 2011). Questo comporta l'illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente alla previsione secondo la quale le strutture e le recinzioni, realizzate secondo le modalità di cui al precedente comma 6-bis, sono sempre consentite, anche in deroga agli strumenti ambientali.
4.4. E' assorbita la censura riferita alla violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.
per questi motivi
La Corte costituzionale
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della regione Veneto 19 giugno 2014, n. 17 (Modifica della legge regionale 28 dicembre 1993, n. 60 "Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo" e successive modificazioni), nella parte in cui aggiunge il comma 6-ter all'art. 8 della legge regionale 28 dicembre 1993, n. 60, limitatamente alla previsione secondo la quale le strutture e le recinzioni, realizzate secondo le modalità di cui al precedente comma 6-bis, sono sempre consentite, anche in deroga agli strumenti ambientali.