Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di
Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici
a cura di Giancarlo Montedoro [*]
Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.
Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 2014, n. 3262 - Pres. Severini, Est. Mosca - Sull'irrilevanza dell'inserimento dell'area di pertinenza del complesso immobiliare agricolo in un contesto urbanistico fortemente antropizzato, ai fini dell'imposizione delle prescrizioni della tutela indiretta ex art. 45 d.lg. n. 4 del 2004.
Il giudizio della Soprintendenza circa la dichiarazione del valore storico, artistico ed etnoantropologico, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, non è sindacabile, a meno che non si accerti il vizio di eccesso di potere per errore nei presupposti o per manifesta illogicità, vizio.
Il vincolo culturale per sua stessa natura prescinde dalla considerazione della situazione del contesto per cui non ha pregio l'argomento per cui l'area (di pertinenza del complesso immobiliare agricolo) sarebbe inserita in un contesto urbanistico fortemente antropizzato e tale da rendere illogica la tutela imposta, con l'imposizione del c.d. vincolo indiretto di cui all'art. 45 del d.lg. n. 42 del 2004.
In tema di vincoli paesaggistici la compromissione della bellezza naturale ad opera di preesistenti realizzazioni anziché impedire maggiormente richiede che nuove costruzioni non deturpino ulteriormente l'ambito protetto (Cons. Stato, VI, 11 giugno 1990, n. 600; V, 28 agosto 1995, n. 820; VI, 6 giugno 2011, n. 3341; 21 luglio 2011, n. 4429; 21 luglio 2011, n. 4418; 6 maggio 2013, n. 2410.; 11 settembre 2013, n. 4493).
Cons. Stato, sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3355 - Pres. Severini, Est. De Felice - In materia di "vincolo indiretto", disciplinato dall'art. 49 del d.lg. n. 490 del 1999, e oggi dall'art. 45 del d.lg. n. 42 del 2004 su beni di interesse storico e artistico.
Il dovere per la P.A. di esame delle memorie prodotte dall'interessato a seguito della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo non comporta la confutazione analitica delle allegazioni presentate dall'interessato, purché il provvedimento finale sia corredato da una motivazione che renda nella sostanza percepibili le ragioni del mancato adeguamento dell'azione amministrativa a quelle osservazioni.
Il c.d. "vincolo indiretto" disciplinato dall'art. 45 del d.lg. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali) non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all'autonomo apprezzamento dell'Amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all'ottimale protezione del bene principale - fino all'inedificabilità assoluta - se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall'obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (integrità dei beni, difesa della prospettiva e della luce, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un ambito territoriale che si estende fino a comprendere ogni immobile, anche non contiguo, la cui manomissione si stimi potenzialmente idonea ad alterare il complesso delle condizioni e caratteristiche fisiche e culturali connotanti lo spazio circostante.
L'imposizione del "vincolo indiretto" disciplinato dall'art. 45 del d.lg. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali) costituisce espressione della discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo quando l'istruttoria si riveli insufficiente o errata o la motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità anche per l'insussistenza di un'obiettiva proporzionalità tra l'estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico, e si basa sull'esigenza che lo stesso sia valorizzato nella sua complessiva prospettiva e cornice ambientale, onde possono essere interessate dai relativi divieti e limitazioni anche immobili non adiacenti a quello tutelato purché allo stesso accomunati dall'appartenenza ad un unitario e inscindibile contesto territoriale.
Le prescrizioni di tutela indiretta dell'art. 45 d.lg. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali) sono volte a garantire non solo il campo di visibilità del bene culturale tutelato in via diretta, ma all'occorrenza anche il rilievo del contesto circostante, potenzialmente interagente con quel valore culturale.
Cons. Stato, sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3360 - Pres. Patroni Griffi, Est. Meschino - Sull'esclusione della ponderazione degli interessi privati con gli interessi pubblici nell'imposizione del vincolo storico e artistico: valore primario della disciplina costituzionale del patrimonio storico e artistico.
L'imposizione del vincolo storico e artistico non richiede una ponderazione degli interessi privati con gli interessi pubblici connessi con l'introduzione del regime di tutela, neppure allo scopo di dimostrare che il sacrificio imposto al privato sia stato contenuto nel minimo possibile, sia perché la dichiarazione di particolare interesse non è un vincolo a carattere espropriativo, costituendo i beni di rilievo etno-antropologico una categoria originariamente di interesse pubblico, sia perché comunque la disciplina costituzionale del patrimonio storico e artistico della Nazione (art. 9 Cost.) erige la sua salvaguardia a valore primario del vigente ordinamento.
Inoltre, la dichiarazione della qualità di interesse culturale di un bene è basata sull'esercizio di discrezionalità tecnica, con l'applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche, per cui il sindacato del giudice concerne la logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerata anche per il profilo della correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, restando però fermo il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, potendo quindi il giudice amministrativo censurare la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il suo sindacato, pur non restando estrinseco, non divenga sostitutivo di quello dell'Amministrazione con l'introduzione di una valutazione parimenti opinabile (sez. VI, 6 maggio 2014, n. 2295; 14 luglio 2011, n. 4283); ciò che risulta in particolare riguardo al giudizio in materia storico - artistica, ovvero per il profilo etnoantropologico, che, pur ancorato a criteri tecnici, presenta margini notevoli di opinabilità per la stessa natura delle discipline applicate (sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2019).
Cons. Stato, sez. VI, 27 agosto 2014, n. 4337 - Pres. Patroni Griffi, Est. Scola - Sulla natura e sul regime giuridico del vincolo storico-artistico (con riferimento all'esercizio del diritto di prelazione storico-artistica da parte del Comune di Collebeato sull'edificio storico dell'ex monastero dei Camaldolesi).
Un vincolo legittimamente imposto con la notificazione al proprietario del bene non può ritenersi caducato per effetto del trasferimento del bene ad esso relativo non accompagnato da un'informazione dell'alienante in ordine all'esistenza del vincolo medesimo, per la natura reale dello stesso e l'irrilevanza, ai fini della sua sussistenza ed operatività, di attività privatistiche le quali, ove omesse, potrebbero implicare, eventualmente, azioni civilistiche di responsabilità connesse all'obbligo di esatte informazioni nel procedimento relativo alla formazione dei contratti (Cons. Stato, sez. IV, sent. 7 novembre 2002, n. 6067).
La trascrizione del vincolo storico-artistico, una volta effettuata, e la sua notificazione nei confronti del soggetto proprietario, non richiedono ulteriori notificazioni nei confronti dei suoi successori o aventi causa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. 8 luglio 2009, n. 4369).
Il vincolo culturale si radica erga omnes al momento della trascrizione del decreto appositivo, ha natura reale ed è opponibile a tutti i soggetti che divengano proprietari; una volta trascritto, dispiega senz'altro i suoi effetti nei confronti del proprietario attuale e di tutti i suoi successori ed aventi causa"; il proprietario di un bene vincolato e trascritto nei registri immobiliari in data precedente al suo acquisto, non potrebbe esimersi dall'osservare tutte le prescrizioni che connotano la disciplina vincolistica di legge relativa al bene, non escluso l'obbligo di denuntiatio in caso di sua futura alienazione (Cons. Stato, sent. n. 4369/2009), ai fini dell'eventuale esercizio del diritto di prelazione ad opera dell'autorità amministrativa.
Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2014, n. 4505 - Pres. Baccarini, Est. Lopilato - Sulle modalità di applicazione e sull'estensione del vincolo archeologico.
Ai fini dell'apposizione di un vincolo archeologico, ai sensi del d.lg. n. 42 del 2004, l'effettiva esistenza delle cose da tutelare può essere dimostrata anche per presunzione ed è ininfluente che i materiali oggetto di tutela siano stati portati alla luce o siano ancora interrati, essendo sufficiente che il complesso risulti adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato.
L'amministrazione dei beni culturali e ambientali può estendere un vincolo archeologico a intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti. E' tuttavia necessario, in tale ipotesi, che i ruderi stessi costituiscano un complesso unitario e inscindibile, tale da rendere indispensabile il sacrificio totale degli interessi dei proprietari e senza possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l'imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse cui è preordinata.
Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5061 - Pres. Maruotti, Est. Durante - Sul rilevante interesse artistico delle Mura pontificie: preponderanza dell'interesse pubblico diretto alla salvaguardia del patrimonio storico culturale rispetto all'interesse imprenditoriale del privato.
Il d.m. del 28 ottobre 2011 riproduce con alcune modifiche quanto già disciplinato con decreto del Ministero dei Beni culturali e ambientali del 3 giugno 1986 (c.d. decreto Galasso). In entrambi i provvedimenti, al punto 3 e nell'art. 1, viene considerato "il rilevante interesse artistico... delle Mura pontificie", è stata ravvisata "la necessità di garantire alle aree ed ai beni di cui ai precedenti punti 1, 2, 3, condizioni ambientali e di uso conformi alle esigenze di decoro, integrità e visibilità.." ed è stato stabilito che "in una fascia di cinquanta metri nelle aree prospicienti le mura medesime...sono vietate le occupazioni di suolo pubblico mediante l'installazione di strutture ed attrezzature, anche temporanee e precarie, destinate all'esercizio delle attività commerciali..".
Ne consegue che il divieto di occupare il suolo pubblico con strutture ed attrezzature anche temporanee e precarie, comprese quelle ambulanti, destinate all'esercizio di attività commerciali nella fascia di 50 metri dalle mura pontificie è vigente ed efficace sin dal d.m. del 3 giugno 1986, che individuava e disciplinava i luoghi oggetto della tutela indiretta, rispetto al quale il decreto del 2011 ha reiterato le misure di tutela.
In conclusione, deve ritenersi che, essendo competente ad adottare le disposizioni in materia di tutela indiretta il direttore regionale ed essendo il procedimento di vincolo indiretto un procedimento ad avvio d'ufficio il cui impulso risale al decreto del Soprintendente di settore del 3 giugno 1986 di imposizione del vincolo, non occorreva un nuovo atto di impulso procedimentale, essendo rimaste immutate le enunciate esigenze di tutela.
Del resto, quando si susseguono provvedimenti di tutela del patrimonio artistico e storico, con un primo provvedimento che impone misure di tutela ed un secondo provvedimento che ne integra il contenuto, per la parte riportata nell'atto successivo vi è la sua mera novazione formale e non occorre che sia rinnovato il relativo procedimento.
La preponderanza dell'interesse pubblico diretto alla salvaguardia del patrimonio storico culturale può essere rilevata in una motivazione idonea a supportare il diniego di rinnovo di una concessione di suolo pubblico in precedenza rilasciata al privato, essendo recessivo rispetto alla tutela dei beni architettonici della città l'interesse imprenditoriale del privato.
Peraltro, la concessione di suolo pubblico non attribuisce al concessionario alcun diritto d'insistenza, né alcuna aspettativa giuridicamente tutelata al rinnovo del rapporto. Invero, la previsione in una concessione della possibilità per l'ente di rinnovo a cadenze determinate integra la potestà di riesame della situazione al momento del rinnovo, sicché ben può l'amministrazione recuperare l'area pubblica a destinazione più rispondente all'interesse pubblico.
Cons. Stato, sez. VI, 20 ottobre 2014, n. 5163 - Pres. Barra Caracciolo, Est. Pannone - Sulla scelta delle modalità di imposizione dei vincoli a tutela dei valori culturali-paesaggistici.
Nessuna norma dell'ordinamento vincola la scelta dello strumento di tutela dei valori culturali-paesaggistici (vincolo indiretto di cui all'art. 45 ovvero piano paesaggistico di all'art. 143 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42) alla titolarità del bene sul quale quel vincolo va ad incidere. Non trova fondamento normativo l'affermazione secondo cui il vincolo indiretto può essere imposto solo su beni che non coinvolgano una pluralità di interessi, mentre è indispensabile la scelta pianificatoria quando i beni siano già destinati a diverse utilizzazioni pubbliche.
Cons. Stato, sez. VI, 24 marzo 2014, n. 1418 - Pres. De Felice, Est. Castriota Scanderbeg - Sulla nozione di tutela del paesaggio e sul contenuto necessario del parere vincolante della Soprintendenza nel procedimento di autorizzazione paesaggistica (l'immobile oggetto di intervento è sito in Recanati su una porzione di territorio posta a ridosso del "Colle dell'Infinito" di leopardiana memoria, gravata da vincolo paesaggistico ai sensi del d.m. 26 marzo 1955).
Nell'ambito del procedimento di autorizzazione paesaggistica il parere vincolante della Soprintendenza (ex art. 146, d.lg. n. 42 del 2004 e s.m.i.) deve essere puntualmente motivato e, in caso sia negativo, deve esplicitare le effettive ragioni di contrasto tra l'intervento progettato ed i valori paesaggistici dei luoghi compendiati nel decreto di vincolo; in particolare nell'ipotesi che l'intervento riguardi il recupero di un vecchio fabbricato la valutazione di compatibilità paesaggistica deve appuntarsi sui tratti esteriori dell'edificio e non può riguardare le caratteristiche intrinseche dell'edificio. Il parere deve inoltre indicare quale tipo di accorgimento tecnico o, al limite, di modifica progettuale potrebbe far conseguire all'interessato l'autorizzazione paesaggistica, in quanto la tutela del preminente valore del paesaggio non deve necessariamente coincidere con la sua statica salvaguardia, ma richiede interventi improntati a fattiva collaborazione delle autorità preposte alla tutela paesaggistica, funzionali a conformare le iniziative edilizie al rispetto dei valori estetici e naturalistici insiti nel bene paesaggio.
Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2222 - Pres. Virgilio, Est. Realfonzo - Sulla qualificazione del paesaggio come valore prevalente rispetto a qualunque altro interesse, pubblico o privato.
Il divieto di nuove costruzioni imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude in ogni caso qualsiasi nuova edificazione che comporti comunque la creazione di edifici, senza che sia possibile distinguere tra volumi tecnici, residenziali, commerciali, ecc. ecc. (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 13/09/2012, n. 4875). Ciò perché, come è noto, sotto il profilo costituzionale l'art. 9 Cost. introduce la tutela del "paesaggio" tra le disposizioni fondamentali. Il concetto non va però limitato al significato meramente estetico di "bellezza naturale" ma deve essere considerato come bene "primario" ed "assoluto" (Corte cost., 5 maggio 2006, nn. 182, 183), in quanto abbraccia l'insieme "dei valori inerenti il territorio" concernenti l'ambiente, l'eco-sistema ed i beni culturali che devono essere tutelati nel loro complesso, e non solamente nei singoli elementi che la compongono (cfr. Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379).
In tale quadro, va inserito il disposto del terzo comma dell'art. 145, del d.lg. n. 42 del 2004, per cui "Le previsioni dei piani paesaggistici ... non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette".
Il paesaggio rappresenta un interesse prevalente rispetto a qualunque altro interesse, pubblico o privato, e, quindi, deve essere anteposto alle esigenze urbanistico-edilizie (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 13/09/2012, n. 4875; Consiglio di Stato, sez. IV, 29/07/2003; Consiglio di Stato sez. IV, 3/05/2005, n. 2079; n. 4351 Consiglio di Stato, sez. V, 24/04/2013, n. 2265; Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 2005, n. 1186).
Il piano paesaggistico costituisce infatti una valutazione ex ante della tipologia e dell'incidenza qualitativa degli interventi ammissibili in funzione conservativa degli ambiti reputati meritevoli di tutela per cui i relativi precetti devono essere orientati nel senso di assicurare la tutela del paesaggio per assicurare la conservazione di quei valori che fondano l'identità stessa della nazione (come affermò Benedetto Croce, quale Ministro della Pubblica Istruzione, nella relazione di presentazione della prima legge del 1920 in materia: "... il paesaggio altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della Patria...").
Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 3 febbraio 2014, n. 75 - Pres. Eliantonio, Est. Nazzaro - In materia di autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
La possibilità di un'autorizzazione paesaggistica postuma in sanatoria è preclusa allorquando mancano i presupposti di cui all'art. 146, comma 4, d.lg. n. 42 del 2004, che richiama i casi tassativi dell'art. 167, commi 4 e 5; ogni altro intervento edilizio, realizzato senza titolo o in difformità, comportanti aumenti di superfici e volumi, non può essere legittimato ex post, obbligando la Soprintendenza a rilasciare un parere vincolato, in senso negativo.
E' legittimo il diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria ai sensi del combinato disposto degli artt. 146, comma 4 e 167, commi 4 e 5 del d.lg. n. 42 del 2004 anche quando riferito ad incremento di volumi tecnici, ritenuti suscettibili di sanatoria dal punto di vista edilizio (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578; Consiglio di Stato, sez. VI, n. 26).
Tar Campania, Napoli, sez. VI, 6 febbraio 2014, n. 794 - Pres. Conti, Est. Cestaro - Con riferimento alla statuizione sui poteri dell'amministrazione nella tutela dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell'art. 167 del d.lg. n. 42 del 2004.
L'art. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio non vale ad elidere la competenza esclusiva del Comune, laddove si limita a semplicemente a imporre una modalità esecutiva della demolizione "a mezzo del prefetto" da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo; la norma in questione, infatti, regola lo specifico e diverso ordine di rimessione in pristino per violazione delle norme di tutela del paesaggio di cui al titolo I, parte III, d.lg. n. 42 del 2004, mentre deve ritenersi che, per quanto concerne l'aspetto strettamente urbanistico-edilizio, il Comune non perda i propri generali poteri di vigilanza e sanzionatori di relativi abusi.
Nota
[*] Con la collaborazione della dott.ssa Vania Talienti.