Il Decreto "Art Bonus"
Il decreto Art Bonus e la riproducibilità dei beni culturali
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La revisione del comma 3 dell'articolo 108 della legge n. 42 del 2004. - 3. Le novità del comma 3-bis. - 4. La liberalizzazione è adeguata alle esigenze del web?. - 5. Quali beni possono essere liberamente riprodotti? E come?. - 6. Conclusioni.
The "Art Bonus" Decree and Reproducibility of Cultural Heritage
This note
reviews the main changes introduced by a recent new law to regulate the
reproduction rights of cultural heritage items owned by Italian national
museums and institutes. Until July 2014 to take photographs, even without flash or tripod in a state institution
required the authorization from the director of the institution; it was subject
to strict limitations and the payment of a fee. Moreover the photographs could
not be licensed as CC-BY-SA that is the type of license required from popular
network sharing services as for example Wikipedia.
Even photographs of monuments, both public or privately owned, could be
published on the net only after the explicit permission of the owners or of the
public custodians of the monument. After the introduction of the new law, in
July 2014, taking pictures and share them on the internet has been partially
liberalized. The liberalization, sadly, does not include the bibliographic and
the documents in public archives. This note illustrates the new rules and
provides robust arguments to support the author's thesis that the only CC
license now granted is the CC-BY-NC-SA.
Keywords: Art Bonus Decree; Reproducibility of Cultural Heritage; Liberalization; CC License.
Il Governo italiano ha emanato, il 31 maggio 2014, il decreto n. 83, detto "Art Bonus" recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo. Il decreto è passato all'esame della camera dei deputati il 9 luglio 2014 ed è divenuto legge dopo l'approvazione definitiva del senato il 28 luglio 2014. Si tratta di un provvedimento molto ampio che copre problematiche assai differenti legate alla gestione del patrimonio dei beni culturali italiani.
Questo contributo è focalizzato all'articolo 12 del decreto che, nel comma 3, introduce variazioni circa la disciplina di riproduzione di beni culturali. La finalità di queste innovazioni è la semplificazione e razionalizzazione delle norme previste dal decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni.
Chiarimenti e semplificazioni erano da lungo tempo attesi e una intensa attività di audizione di esperti, associazioni di fotografi e archivisti ha preceduto l'emanazione del nuovo decreto. Inoltre, sebbene dal 2004 siano trascorsi pochi anni, le innovazioni tecnologiche nel settore della fotografia e del rilievo digitale sono state enormi e un aggiornamento delle regole si era reso indispensabile. Non deve essere, inoltre, sottovalutato il cambiamento del paradigma culturale rispetto alle posizioni di puro protezionismo della vecchia legge Ronchey emanata nel 1993 e successivamente modificata ed aggiornata nel decreto del 2004. Il vecchio paradigma era orientato alla semplice custodia più che alla fruizione del bene culturale, quasi che il mero limite all'accesso costituisse in se un modo di preservare tali preziosi beni. In questa impostazione inoltre trovava posto l'illusoria idea che i diritti di immagine del nostro sterminato patrimonio e l'imposizione di canoni di utilizzo potessero generare ritorni economici sufficienti al mantenimento del patrimonio stesso. Generazioni di dirigenti delle istituzioni statali si sono purtroppo formate con tale mentalità: la nuova legge agevolerà probabilmente la adozione di nuovi modelli di gestione dei beni culturali ma, a giudizio di chi scrive, il cambiamento non sarà rapido.
2. La revisione del comma 3 dell'articolo 108 della legge n. 42 del 2004
I cambiamenti letterali della norma del 2004 sono assai circoscritti e vengono riassunti di seguito: essi riguardano l'articolo 108 del decreto legislativo n. 42 del 2004 che rimane il testo legislativo di riferimento. L'articolo in questione, più precisamente, regola i canoni di concessione, i corrispettivi e le cauzioni che le istituzioni museali e archivistiche statali debbono richiedere per consentire la riproduzione dei beni da esse custoditi. In particolare il comma 3 di tale articolo prevedeva che il permesso alla riproduzione poteva essere concesso gratuitamente solo a due classi di richiedenti. La prima includeva i privati che intendono utilizzare le copie per usi personali o di studio; la seconda prevedeva solo soggetti pubblici che richiedessero l'uso con finalità di valorizzazione. Un tipico esempio di tale tipo di utenza sarebbe stato un assessorato al turismo che volesse inserire immagini di beni culturali nelle brochure promozionali del proprio territorio.
La novità introdotta dal decreto allarga tale seconda categoria anche a soggetti privati fatto salvo il principio che le copie non siano utilizzate per scopi di lucro. Per esemplificare, potremmo pensare a una catena alberghiera che potrà liberamente utilizzare le fotografie dei beni museali o dei monumenti di un territorio, valorizzandole, ma non potrà vendere ai suoi clienti stampe o dischi digitali ottenute da tali copie.
Sebbene l'alleggerimento dei vincoli al comma 3 dell'articolo 108 siano già molto interessanti, assai maggiore è l'impatto dovuto all'aggiunta al medesimo articolo 108 di un nuovo comma, denominato 3-bis, esso è infatti il cuore della liberalizzazione prevista dal decreto.
Il comma precisa anzitutto quali siano le finalità che garantiscono la libera riproducibilità di un bene culturale statale. Previsto che le attività di riproduzione siano svolte senza scopo di lucro e senza oneri per le pubbliche istituzioni, esse devono considerarsi libere ove siano svolte per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale. In tutti questi casi non è necessaria alcuna esplicita autorizzazione da parte dei gestori del bene. Si osserva subito che le finalità previste sono amplissime e che è ben difficile trovare esempi di uso non commerciale che non ricadano nell'elenco testé riportato.
Quali sono nel concreto le possibilità di riproduzione rese libere e per cui non è più richiesta nessuna autorizzazione? Il testo legislativo non elenca esplicitamente le tecniche permesse o le tecniche proibite. Tale scelta di genericità è forse necessaria per consentire al testo di legge di rimanere valido ed applicabile per qualche anno anche in presenza di importanti innovazioni tecniche che nel settore della fotografia digitale e della scansione sono ancora in tumultuosa evoluzione. L'aspetto negativo di tale scelta è l'esistenza di casi ambigui che, secondo la convenzione di chi scrive, richiederanno un ulteriore passaggio normativo per la loro definizione.
Il testo di legge autorizza la generica riproduzione dei beni culturali con la notevolissima, e assai limitativa e grave, omissione dei beni bibliografici e archivistici, purché tale riproduzione avvenga senza contatto diretto con il bene, senza esposizione del bene a sorgenti luminose e all'interno degli istituti senza l'uso di uno stativo.
Una seconda attività liberalizzata dal decreto è la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini legittimamente acquisite, in modo da non potere essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro neanche indiretto.
4. La liberalizzazione è adeguata alle esigenze del web?
L'introduzione del nuovo comma 3-bis è davvero una risposta adeguata alle richieste degli specialisti e degli operatori del settore? E' sufficiente per mettere l'Italia in linea con le politiche adottate dagli altri paesi europei? Chi scrive ritiene che si tratti di un provvedimento che avrebbe potuto e dovuto essere assai più coraggioso e che soffre sin dal linguaggio adottato di ambiguità e di imprecisione, per non dire di ignoranza, relativamente alle tecniche digitali di riproduzione oggi disponibili.
A favore della nuova legge si dovrà però riconoscere che essa si muove nella visione più moderna e ragionevole che considera la riproduzione del bene culturale non più come un surrogato del possesso dell'oggetto originale ma come mezzo per aggiungere valore, prestigio e in definitiva meglio conservare e trasmettere alle future generazioni il bene stesso.
Si è compiuto un primo passo, assai timido in realtà, verso le convinzioni ormai prevalente in ambito internazionale presso i ricercatori ed il pubblico relativamente alla copia e diffusione dei beni culturali. Anche se in modo un po' forzato si può affermare che tale più moderna impostazione è catturata dal noto sistema di licenze Creative Commons (CC). L'idea è che la riproduzione dei beni digitali non è normata in modo assoluto, ma solo in riferimento al finale utilizzo o al riutilizzo dei dati prodotti.
Il sistema di licenze Creative Commons è uno standard de facto della rete, introdotto da una organizzazione privata no-profit americana, fondata nel 2001 con lo scopo di favorire la condivisione libera dei contenuti digitali proteggendo allo stesso tempo i diritti di autore. Esso non è ovviamente parte della normativa italiana ma sono ormai apparse numerose sentenze che tendono a riconoscere il valore di questo sistema pur "traducendolo" nei termini legali più propri del nostro codice.
Il sistema CC prevede al momento sei tipi di licenze.
Non è questa la sede per passarle in rassegna, basti solo menzionare che la più liberale di esse include solo la clausola, indicata dalla sigla BY, di accompagnare l'immagine con la indicazione della istituzione cui appartiene il bene culturale riprodotto e l'autore della immagine fotografica. Tra le licenze CC quella che secondo il parere di scrive garantirebbe la legittimità all'acquisizione e distribuzione in rete delle fotografie scattate presso le istituzioni culturali statali italiane è quella contraddistinta delle sigle BY-NC-SA. Questa licenza permette a terzi di modificare, redistribuire, ottimizzare ed utilizzare l'immagine purché tali operazioni non siano svolte su base commerciale ed impone inoltre che chi ottenga l'immagine non possa a sua volta distribuirla se non con i medesimi vincoli. Purtroppo tale licenza è considerata tra le più restrittive e importanti servizi di condivisione in rete quali Wikipedia richiedono invece una licenza assai più leggera, identificata dalla sigla BY-SA. Tale licenza include la possibilità di sfruttamento commerciale e chiaramente e comprensibilmente, a detta di chi scrive, non è prevista dalla legge italiana neanche dopo il decreto Art Bonus.
Si osservi che alcuni servizi globali di condivisone immagini, come per esempio Flickr lasciano a chi divulga le immagini la scelta della appropriata licenza CC. E' dunque adesso legale secondo il parere di chi scrive condividere fotografie ottenute presso musei ed istituzioni statali su tali servizi pur di limitare la licenza CC al tipo NY-NC-SA.
5. Quali beni possono essere liberamente riprodotti? E come?
Doveroso è anzitutto osservare assieme a molti altri commentatori ed esperti la miopia della esclusione dei beni archivistici dalla presente liberalizzazione. Questa è la pecca più grave della nuova norma e sebbene non possiamo occuparcene qui in modo diffuso non possiamo neanche tacere su quanto tale esclusione sia irrazionale. Si pensi, come singolo eclatante esempio, alla paradossale situazione di due copie della medesima foto storica: qualora una copia sia esposta in una sala museale di essa si potrà fare legittimamente una copia fotografica senza chieder permesso. La medesima foto se custodita nelle teche di un archivio si stato è invece ristretta alla riproduzione. Una revisione di questo aspetto deficitario della legge è urgente e auspichiamo che essa possa essere presto emendata in tal senso.
Si tratta comunque di materia complessa e il rischio di vedere, a seconda delle proprie esperienze ed esigenze, il bicchiere mezzo colmo o mezzo vuoto è reale. Per evitarlo cerchiamo nel seguito di passare in rassegna alcuni comuni casi d'uso per comprendere l'impatto della nuova norma relativamente ad essi.
Per quanto riguarda la categoria dei beni monumentali e paesaggistici, chiunque potrà adesso fotografare i monumenti pubblici e diffonderne le immagini ottenute. Se però si volesse realizzare una pubblicazione commerciale, per esempio una guida turistica, il sopraggiunto scopo di lucro impone ancora al soggetto la richiesta di una esplicita onerosa autorizzazione. Al contrario se le foto venissero riportata in un blog gratuito esse non sono soggette ad alcuna restrizione. Si possono però immaginare aree grigie: un blog gratuito in genere produce profitto al suo autore per mezzo di inserimenti pubblicitari. Se in un blog venisse inserita una spettacolare foto con una vista monumentale di un bene pubblico italiano che generi migliaia e migliaia di accessi, garantendo così un ritorno economico all'autore, siamo in presenza di scopo di lucro? E se un monumento venisse ripreso e distribuito dentro un sistema in parte commerciale quale Google Earth? Noi non sappiamo al momento fornire risposte certe a questi quesiti e possiamo solo auspicare che prassi buone e ragionevoli possano colmare questa area incerta.
Una seconda categoria di beni riproducibili è quella dei manufatti artistici, storici o di pregio che possono essere utilmente fotografati. La legge adotta lo standard universale di tutte le istituzioni museali più prestigiose al mondo: si può scattare una foto pur di non usare il flash e lo stativo. Riteniamo che mantenere questo divieto sia stato molto opportuno. Esso non si genera infatti dalla imposizione di ostacoli artificiosi che impediscano la realizzazione di copie fotografiche di qualità ma da considerazioni di buon senso. La proibizione del flash è infatti giustificata dal danno che una emissione luminosa intensa può produrre su oggetti molto delicati quali tessuti, affreschi, pitture. La proibizione dell'uso di stativi è originata inoltre dalla necessità di garantire sicurezza e la libera e fluida circolazione nelle sale museali: uno stativo può intralciare il movimento del pubblico e nelle mani di un malintenzionato trasformarsi in un improprio, ma ahimè egualmente efficace, piccone devastatore.
Il tecnico però sorride e marca come bizzarro il fatto che il redattore del testo abbia evitato di adottare il termine inglese flash e che preferisca la infelicissima perifrasi "esposizione a sorgenti luminose". Non dovrebbe sfuggire che senza una sorgente luminosa qualsivoglia ogni oggetto sarebbe invisibile!
Una terza categoria di beni è quella dei manufatti tridimensionali, per esempio sculture e bassorilievi.
Essi vengono da sempre riprodotti per calco: la legge rimane immutata ed è correttamente molto severa in materia. I calchi diretti debbono essere autorizzati e svolti da esperti con garanzie assolute per preservare la integrità dell'originale. Ambigua invece appare la possibilità di ottenere copie digitali tridimensionali di tali oggetti. La scansione tridimensionale, infatti può oggi essere ottenuta o con tecniche laser o con metodi ricostruttivi a partire da normali fotografie.
Nel caso dell'uso di laser la proibizione dell'esposizione a sorgenti luminose blocca ogni possibilità. In più, in genere la scansione laser richiede che l'apparecchiatura stessa sia stabilizzata su un adeguato supporto: la proibizione dello stativo anche in questo caso blocca ogni possibilità. Esiste però di recente la possibilità di ricostruzione a partire da immagini, con tecniche fotogrammetriche rese ormai accessibili e precise dalle innovazioni della computer vision. Questa modalità di riproduzione resta aperta ad ambiguità di autorizzazione. Il visitatore di un museo può oggi fotografare o filmare un busto, o un rilievo esposto da differenti angoli ed ottenerne una serie di immagini. Da esse mediante opportuni software si può ricavare un modello tridimensionale con errori quantificabili in millimetri. Tale attività è soggetta ad autorizzazione o è liberalizzata dal decreto? Si tenga presente che la combinazione di questa tecnologia con quella della stampa in resina a tre dimensioni porta agevolmente alla produzione di copie di qualità assai simile a quella dei calchi. Si consideri per esempio la recentissima tecnologia iSense promossa dalla Apple: si tratta di un piccolo sensore infrarosso applicato ai comuni iPad che restituisce in tempo reale la struttura tridimensionale, sebbene con limitata precisione, dell'ambiente circostante. Esso emette infrarossi: si tratta di emissione di luce, e quindi esplicitamente proibita o essa può essere ammessa?
Esiste nel caso di dati tridimensionali un ulteriore sottile problema interpretativo: la legge parla di divulgazione delle "immagini di beni culturali". I dati tridimensionali costituiscono una immagine tridimensionale del bene e possono quindi essere liberamente divulgati o non sono inclusi nella intensione del legislatore?
Stupisce che queste considerazioni non siano emerse, al meglio delle nostre conoscenze, né nei dibattiti in commissione parlamentare né in aula e che i legislatori non abbiano sentito l'esigenza di acquisire pareri tecnici solidi a riguardo. Possiamo solo ritenere assai probabile il ricorso al giudice di qualche utente cui il dirigente del museo impedirà l'uso dell'iSense o di apparecchiatura simile.
Riteniamo che la moderata liberalizzazione introdotta dall'Art Bonus in tema di riproducibilità vada nella giusta direzione. Essa corregge la disparità che i visitatori europei hanno fin qui sperimentato di non poter riprendere in Italia con le proprie telecamere ciò che era scontato potessero riprendere in altre nazioni vicine. La nuova norma produrrà certamente effsetti positivi: molti beni riceveranno una maggiore esposizione mediatica e saranno meglio conosciuti, apprezzati. Ciò avrà a giudizio di chi scrive effetti ampiamente positivi: tracciabilità dei beni, minori commerciabilità in caso di furti, attrattiva delle sedi espositive, documentazione pubblica abbondante e indipendente sullo stato di conservazione.
Ribadiamo però che sia totalmente ingiustificata la scelta di escludere i beni archivistici e bibliografici e siamo certi che in tempi brevi si renderanno necessari ulteriori interventi del legislatore che dovranno tener conto del tumultuoso sviluppo tecnologico relativo alla digitalizzazione della realtà che ci circonda, sviluppo che al momento appare ben lungi dall'aver raggiunto uno stabile plateau.