Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di
Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici
a cura di Giancarlo Montedoro [*]
Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.
Cons. Stato, sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 21 - Pres. Baccarini, Est. Contessa - Sull'art. 52 del r.d. n. 2537/1925, che affida in via esclusiva agli architetti la competenza in ordine alla redazione dei progetti relativi agli immobili soggetti a vincolo storico od artistico e sulla possibilità o meno per tale norma di determinare una reverse discrimination - discriminazione "alla rovescia" - in danno degli ingegneri.
Ai sensi dell'art. 52 del r.d. 2537 del 1925, non la totalità degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico deve essere affidata alla specifica professionalità dell'architetto, ma solo le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell'ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico, restando invece nella competenza dell'ingegnere civile la cd. parte tecnica, ossia le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l'edilizia civile vera e propria.
La direttiva 85/384/CEE non si propone di disciplinare le condizioni di accesso alla professione di architetto, né di definire la natura delle attività svolte da chi esercita tale professione. In particolare, dal nono "considerando" di tale direttiva risulta che il suo articolo 1, n. 2, non intende fornire una definizione giuridica delle attività del settore dell'architettura. Spetta, piuttosto, alla normativa nazionale dello Stato membro ospitante individuare le attività che ricadono in tale settore. In particolare, secondo la Corte di giustizia la richiamata direttiva non impone allo Stato membro di porre i diplomi di laurea in architettura e in ingegneria civile indicati all'articolo 11 su un piano di perfetta parità per quanto riguarda l'accesso alla professione di architetto in Italia; né tantomeno essa può essere di ostacolo ad una normativa nazionale che riservi ai soli architetti i lavori riguardanti gli immobili d'interesse storico-artistico sottoposti a vincolo
L'articolo 52, comma 2, del r.d. 2537 del 1925 non è ex se incompatibile con la direttiva comunitaria 85/384/CEE, in quanto quest'ultima non si propone di disciplinare le condizioni di accesso alla professione di architetto né di definire la natura delle attività svolte da chi esercita tale professione, ma soltanto di garantire il reciproco riconoscimento, da parte degli Stati membri, dei diplomi, dei certificati e degli altri titoli rispondenti a determinati requisiti qualitativi e quantitativi minimi in materia di formazione allo scopo di agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi per le attività del settore dell'architettura; la richiamata direttiva non obbliga in alcun modo gli Stati membri a porre i diplomi di laurea in architettura ed in ingegneria civile (con particolare riguardo a quelli indicati all'articolo 11) su un piano di perfetta parità ai fini dell'accesso alla professione di architetto in Italia, ma, in coerenza con il principio di non discriminazione tra Stati membri, impone soltanto di non escludere da tale accesso in Italia coloro che siano in possesso di un diploma di ingegneria civile o di un titolo analogo rilasciato da un altro Stato membro, laddove tuttavia (e si tratta di un chiarimento determinante ai fini della presente decisione) tale titolo risulti abilitante.
Cons. Stato, sez. V, 11 febbraio 2014, n. 662 - Pres. Volpe, Est. Gaviano - Precisazioni in ordine alla diversa tutela riconosciuta ai beni dichiarati di rilevante interesse paesaggistico rispetto ai beni oggetto di vincolo culturale (storico-artistico).
I poteri prescrittivi attribuiti al Ministero dei beni e delle attività culturali dall'art. 152 del decreto legislativo n. 42 del 2004 sono finalizzati esclusivamente alla tutela dei beni dichiarati di rilevante interesse paesaggistico e non oggetto di un vincolo culturale (storico-artistico).
Il citato articolo 152 del decreto legislativo n. 42 del 2004 stabilisce che l'amministrazione ha "facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso d'esecuzione, idonee comunque ad assicurare la conservazione dei valori espressi dai beni protetti ai sensi delle disposizioni del presente Titolo".
La norma individua come ambito di esercizio dei relativi poteri le specifiche attività di "aperture di strade e di cave, di posa di condotte per impianti industriali e civili e di palificazioni", localizzate:
a) "nell'ambito e in vista delle aree indicate alle lettere c) e d) del comma 1 dell'articolo 136";
b) "ovvero in prossimità degli immobili indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dello stesso articolo".
Tanto premesso, è agevole constatare: per un verso, che nel caso di beni oggetto di vincolo culturale non ricorre alcuna delle specifiche ipotesi di "attività" menzionate nell'apertura dell'articolo 152; per altro verso, e soprattutto, che sia tale articolo che l'art. 136 appartengono alla Parte Terza del Codice, che concerne i "Beni paesaggistici"; e che il primo di tali due articoli, nel rinviare agli immobili definiti dalle lettere racchiuse nel testo del secondo, ribadisce che devono pur sempre venire in esame dei "beni protetti ai sensi delle disposizioni del presente Titolo".
Poiché la previsione dell'art. 14.9, punto c), delle Linee Guida di cui al d.m. 10 settembre 2010 si richiama all'esercizio dei poteri prescrittivi previsti dal predetto art. 152, essa va riferita ai soli immobili sottoposti a vincoli paesaggistici, e, in pari tempo, alle specifiche tipologie di opere indicate dal medesimo articolo.
Conseguentemente, poiché tanto il Palazzo San Giacomo quanto la Villa Romana di Russi all'epoca dei fatti contestati non erano tutelati quali beni paesaggistici, bensì erano oggetto di vincolo culturale ai sensi della Parte Seconda del Codice, le prescrizioni impartite in concreto a salvaguardia della loro visuale non rientravano nell'orbita dell'art. 152. Pertanto, stante anche l'assenza, al tempo, di un vincolo indiretto, che solo avrebbe potuto assoggettare a tutela lo "spazio visuale" riferibile ai suddetti beni culturali (sopraggiunto soltanto il 26 marzo 2012), le stesse prescrizioni dovevano ritenersi prive di valore vincolante.
Ciò con il corollario che il correlativo "dissenso" espresso dagli organi dello stesso Ministero in sede di Conferenza non aveva valenza di "dissenso qualificato", con il risultato che esso permetteva alla regione di procedere oltre senza l'aggravamento del procedimento previsto dall'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990
Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 2014, n. 833 - Pres. Luciano Barra Caracciolo, Est. Lopilato - In materia di delimitazione dei confini di una zona da sottoporre a vincolo paesaggistico, quale bellezza d'insieme.
La legge n. 1497 del 1939 ("Protezione delle bellezze naturali"), applicabile ratione temporis, prevede che:
- sono soggette a tutela a causa del loro notevole interesse pubblico, tra l'altro: "i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale"; "le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze" (art. 1, n. 3 e n. 4);
- un'apposita commissione, istituita con decreto ministeriale per ciascuna provincia, provvede alla compilazione di elenchi, in cui sono inseriti i predetti beni (art. 2, comma 1);
- "l'elenco delle località, così compilato, e ogni variante, di mano in mano che vi s'introduca sono pubblicati per un periodo di tre mesi all'albo di tutti i comuni interessati della provincia (...)" (art. 2, ultimo comma);
- "entro il termine di tre mesi dall'avvenuta pubblicazione i proprietari, possessori o detentori comunque interessati possono produrre opposizione al Ministero a mezzo della Soprintendenza" (art. 3, comma 1);
- il Ministro "esaminati gli atti, approva l'elenco, introducendovi le modificazioni che ritenga opportune" (art. 3, comma 2).
La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di affermare che "il vincolo di cui alla l. n. 1497 del 1939 sulle bellezze d'insieme, tali essendo quelle indicate nei numeri 3 e 4 dell'art. 1 di detta legge, decorre già dalla data di pubblicazione dell'elenco delle relative località, predisposto dall'apposita commissione provinciale per le bellezze naturali, nell'albo dei Comuni interessati, e non dallo spirare del termine di tre mesi previsto dagli art. 2 e 3 della stessa legge al solo fine della proposizione di eventuali opposizioni o reclami" (Cons. St., sez. VI. 10 giugno 1987, n. 395; Cons. giust. amm. Sicilia, 15 dicembre 2008, n. 1057).
La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che il giudice amministrativo, in ossequio al principio di separazione dei poteri contemplato dalla Costituzione, in presenza di una attività discrezionale dell'amministrazione, al di fuori dei casi di giurisdizione estesa al merito, può sindacare le scelte irragionevoli dell'amministrazione, anche sul piano tecnico, ma non può "sostituirsi all'autorità amministrativa nelle valutazioni opinabili di fatti (in caso di discrezionalità tecnica) né nel merito dell'azione amministrativa, cioè nelle scelte di opportunità (in caso di discrezionalità amministrativa)" (così, da ultimo, Cons. St., sez. VI, 23 dicembre 2013, n. 6223).
Nel settore che rileva in questa sede, il Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare che "in tema di delimitazione dei confini di una zona da sottoporre a vincolo paesaggistico, quale bellezza d'insieme, ai sensi dell'articolo 1, n. 3 e 4 della l. 29 giugno 1939, n. 1497" la relativa decisione dell'amministrazione "costituisce tipica espressione di discrezionalità tecnica, sostanzialmente insindacabile in sede di giudizio di legittimità, salvo il profilo della manifesta arbitrarietà ed illogicità della scelta operata" (Cons. St., sez. IV, 20 marzo 2006, n. 1470; Id., sez. VI, 22 marzo 2005, n. 1186; Id., 22 dicembre 1993, n. 1022).
Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2014, n. 1032 - Pres. Baccarini, Est. De Michele - Eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici vincolati: sulla riconducibilità o meno della realizzazione di un ascensore nell'ambito dei lavori di abbattimento delle barriere architettoniche e sull'applicabilità, nel caso di realizzazione di tali lavori, in un edificio vincolato del procedimento accelerato previsto dall'art. 5 della legge n. 13/1989 e sulla possibilità o meno per la Soprintendenza di sospendere il termine previsto per il silenzio-assenso con un provvedimento soprassessorio.
I lavori finalizzati all'installazione di ascensori nei vani scala di alcuni immobili sono da ritenere ricompresi nella normativa vigente sul superamento delle barriere architettoniche, non solo tenendo conto della nozione, deducibile dalla legge n. 13 del 1989 ("Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati"), nonché dalle relative norme attuative, approvate con d.m. 14.6.1989, n. 236 ("Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità, e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e della eliminazione delle barriere architettoniche"), ma anche ricorrendo a dati di comune esperienza (rilevanti per il giudizio, sul piano probatorio, ex art. 115, comma 2, c.p.c.).
Le vigenti norme in materia di rimozione di barriere architettoniche non impongono la totale rimozione delle barriere stesse, cessando di considerarle tali qualora - per le condizioni esistenti nell'immobile interessato - detta rimozione possa essere soltanto parziale e non soddisfare, quindi, pienamente le esigenze di soggetti non deambulanti in modo autonomo. Questi ultimi, tuttavia, non sono gli unici destinatari delle norme in materia, che fanno riferimento anche a "capacità motoria ridotta", riconducibile a soggetti in grado di superare sette gradini, ma non anche quattro o più piani di scale.
Nel caso in cui un immobile sia stato oggetto di notifica ai sensi dell'art. 2 della legge n. 1089 del 1939 (sostituito dall'art. 23 del d.lgs. n. 490 del 1999), poiché ritenuto di interesse artistico o storico, il parere della Soprintendenza - prescritto per "opere di qualunque genere che si intendano eseguire" sul medesimo - viene sottoposto ad una disciplina acceleratoria speciale, nel caso appunto che dette opere siano finalizzate a rimuovere barriere architettoniche: l'art. 5 della legge n. 13 del 1989 prescrive che la Soprintendenza debba pronunciarsi entro 120 giorni, "anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni" e richiamando il precedente articolo 4, nelle parti (commi 2, 4 e 5) in cui la mancata pronuncia nel termine prescritto "equivale ad assenso", con possibile diniego "solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato", specificando nella motivazione "la natura e la serietà del pregiudizio... in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato".
La formulazione dell'art. 5 della legge n. 13 del 1989, che prevede la possibilità di assenso con prescrizioni, o il diniego motivato, ma solo in presenza di "serio pregiudizio" del bene tutelato, rende realmente marginale la possibilità di sospendere il termine perentorio ivi previsto per il silenzio-assenso, se non nell'ipotesi eccezionale di istanza gravemente incompleta e inidonea a consentire l'avvio di qualsiasi istruttoria. Anche detta sospensione, ove pure ritenuta ammissibile, deve comunque essere disposta con provvedimento circostanziato e motivato (che nella specie non era stato adottato).
E' illegittimo il diniego di autorizzazione per la realizzazione di opere per l'abbattimento di barriere architettoniche in un immobile vincolato adottato a circa un anno di distanza dalla richiesta, quando (come risultava nella specie dalla documentazione fotografica in atti) i lavori erano già stati ultimati. In tale contesto, l'amministrazione ha esercitato tardivamente - data la sussistenza di un termine perentorio non rispettato illegittimamente - il proprio potere interdittivo, potendo la stessa fare ricorso, dopo la maturazione del silenzio-assenso, solo all'esercizio della potestà di autotutela, purché ne sussistano i presupposti, anche in rapporto all'art. 21 nonies della legge n. 241/1990.
E' illegittima l'adozione a distanza di tempo dalla richiesta del diniego di autorizzazione per la realizzazione di opere per l'abbattimento di barriere architettoniche in un immobile vincolato nel caso siano state prospettate, per giustificare il diniego, in modo del tutto apodittico, la "irreversibile compromissione", o la "grave alterazione" dello stile e della funzionalità dell'immobile tutelato, senza che risultino comprensibili i motivi per cui un simile negativo apprezzamento non abbia dato luogo a tempestivo provvedimento di diniego.
Cons. Stato, sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 18 - Pres. Maruotti, Est. Lageder - Piscine e tutela paesaggistica: sull'applicabilità o meno della tutela paesaggistica a tutte le opere anche se non vi è un volume da computare sotto il profilo edilizio ed in particolare alle piscine ed ai volumi tecnici.
Per la giurisprudenza amministrativa, hanno un'indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere realizzate sull'area sottoposta a vincolo, anche se non vi è un volume da computare sotto il profilo edilizio (pur se si tratti di volumi tecnici: sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578), anche se si tratta di una piscina (sez. VI, 2 marzo 2011, n. 1300), poiché le esigenze di tutela dell'area sottoposta a vincolo paesaggistico possono anche esigere l'immodificabilità dello stato dei luoghi (ovvero precludere una ulteriore modifica).
Non è ravvisabile la violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 per omessa comunicazione dell'avviso di rigetto nel caso in cui, dalla documentazione acquisita al giudizio, emerga che il tecnico di fiducia della ditta interessata, il quale aveva elaborato il progetto e redatto la relazione tecnica allegati all'istanza di permesso di costruire, era stato invitato alla conferenza di servizi e vi aveva partecipato, con conseguente piena osservanza delle garanzie partecipative procedimentali.
L'art. 1, comma 4, l. reg. Campania 10 maggio 2012, n. 10 (secondo cui, per incentivare le attività turistico-balneari del litorale della regione Campania ed incrementare i livelli occupazionali, "ferme restando le competenze statali di cui al decreto legislativo 42/2004, sono ammesse, per i titolari di concessioni demaniali marittime, anche la realizzazione o il ripristino di piscine rimovibili, purché integrate e coerenti con il contesto paesaggistico secondo la valutazione delle autorità preposte al vincolo") non autorizza i titolari di concessioni demaniali marittime a realizzare piscine in modo indiscriminato, ma fa espressamente salva la verifica della compatibilità paesaggistica dell'intervento singolo e concreto, a cura dell'Autorità investita della gestione del vincolo.
Cons. Stato, sez. III, 15 gennaio 2014, n. 119 - Pres. FF. Cacace, Est. Capuzzi - In materia di radiocomunicazione e autorizzazione paesaggistica.
Non è condivisibile l'affermazione della appellante in ordine alla non necessità di un'autorizzazione paesaggistica nella sede procedimentale di cui si tratta, fondata sul rilievo che le strutture di telecomunicazioni non sono soggette alle prescrizioni urbanistico-edilizie e quindi neanche alla preventiva autorizzazione paesaggistica in virtù dell'art. 86, comma 3, del Codice delle comunicazioni elettroniche, che, assimilandole alle opere di urbanizzazione primaria, riterrebbe prevalente l'interesse alla diffusione del servizio radio rispetto alla tutela del vincolo paesaggistico.
In proposito, si rileva che la stessa disciplina del decreto legislativo n. 259 del 2003, con l'art. 86, comma 4, nel prevedere espressamente che "restano ferme le disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali contenute nel d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490", fa salve le disposizioni a tutela dei beni culturali e paesaggistici, con la logica conseguenza che qualora, come nel caso in esame, l'impianto risulti collocato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, è necessario richiedere una preventiva autorizzazione paesaggistica, la cui mancanza è rilevabile, da parte dell'ente comune preposto alla verifica di compatibilità di cui si tratta, in ogni tempo ed a maggior ragione in sede di esame della relativa istanza presentata dall'interessata.
Ed infatti, come anche rilevato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la mancanza del parere concernente la compatibilità paesaggistica o storico artistica deve ritenersi legittimo motivo di reiezione della richiesta di autorizzazione alla installazione o al mantenimento della stazione radio (Cons. St., sez. VI, 3.12.2009, n. 7566).
L'illegittimità esiste, inoltre, indipendentemente dal momento della realizzazione dell'antenna, perché la previsione normativa che sottopone qualsiasi trasformazione del territorio a preventivo rilascio della autorizzazione paesaggistica risale al 1939 ed il vincolo che incide sull'area in questione è stato imposto con d.m. 20 febbraio 1968 (anche se l'area non é soggetta al Piano urbanistico territoriale tematico, c.d. PUTT, approvato dalla regione Puglia con delib. di giunta n. 1748 del 15 dicembre 2000), mentre l'antenna è stata realizzata nel 1989 e portata alla attuale consistenza nel 2002 senza che nessuna autorizzazione paesaggistica sia stata mai richiesta ed ottenuta.
Nel caso di specie, come s'è detto, l'impianto di cui trattasi risulta insediato in zona di particolare pregio paesaggistico/ambientale, soggetta a vincolo paesaggistico, espressivo di un interesse altior nella gerarchia dei valori in giuoco.
Né può indurre a diversa conclusione la circostanza che il predetto art. 86, al comma 3, stabilisca che le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria; tale disposizione, infatti, nell'assimilare le stazioni radio base ad opere di urbanizzazione primaria, afferma la compatibilità delle stesse a qualsiasi destinazione urbanistica (in termini Cons. St., sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4557), senza produrre peraltro alcun effetto sul vincolo paesaggistico.
Cons. Stato, sez. VI, 12 febbraio 2014, n. 692 - Pres. Severini, Est. Pannone - In materia di concessioni e autorizzazioni amministrative.
La censura formulata dall'amministrazione in appello - in relazione al capo della sentenza impugnata, che ha accolto il ricorso dell'interessato, poiché l'amministrazione non aveva indicato le modifiche necessarie per rendere il progetto paesaggisticamente compatibile - è fondata, dal momento che non si rinviene nell'ordinamento alcuna norma, che, in tale materia, imponga all'amministrazione un siffatto obbligo di facere. La valutazione dell'art. 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004, che presiede l'autorizzazione paesaggistica, non può che basarsi sulle allegazioni del solo interessato, e solo su di esse va effettuata la valutazione di compatibilità con i valori paesaggistici tutelati.
Quanto poi all'asserita compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici, che il primo giudice ha ritenuto dovesse condizionare la valutazione che presiede l'autorizzazione paesaggistica (per ridurre quest'ultima all'apprezzamento di soli particolari estetici), si tratta di affermazione del tutto erronea in diritto, che confonde - contro la legge e la giurisprudenza costituzionale (per tutte: Corte cost., 21 dicembre 1985, n. 359; 27 giugno 1986, n. 151, 152 e 153; 22 luglio 1987, n. 183; 23 novembre 2011, n. 309) e amministrativa (per tutte: Cons. St., ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9) - i due ordinamenti, addirittura arrivando ad invertirne la chiara gerarchia che vuole la tutela del paesaggio - corrispondente al principio fondamentale dell'art. 9 Cost. - sovraordinata all'urbanistica. Del resto, non solo (art. 146, comma 4) "l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio", e la stessa delegabilità della relativa funzione agli enti locali è subordinata alla dotazione di strutture in grado di garantire la "differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia"; in questa stessa gerarchia, la pianificazione paesaggistica è espressamente sovraordinata a quella urbanistica (cfr. art. 145). Sicché l'assunto relativo della sentenza è senza fondamento: in realtà, l'autorizzazione paesaggistica deve avere ad oggetto l'intero manufatto e non solo suoi particolari, come invece afferma la gravata decisone.
Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 788 - Pres. Virgilio, Est. De Felice - In materia di vincolo paesaggistico: gli interventi consistenti in opere interne di scarso rilievo sono lavori che sfuggono alla percezione visiva rilevante per la tutela paesaggistica.
L'esame delle categorie di beni paesaggistici tutelati e gli scopi della tutela stessa dimostrano che tale salvaguardia è finalizzata alla migliore conservazione della loro percezione visiva come bellezze caratterizzanti il paesaggio nazionale.
L'oggetto della tutela paesaggistica è costituito dalla conservazione delle bellezze naturali e, più in particolare, nell'evitare che queste vengano incise dalla mano umana: è chiaro perciò che qualsiasi lavoro edilizio che si svolga all'interno di costruzioni preesistenti nulla può avere a che fare con la tutela del paesaggio.
L'art. 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004 prevede che non è richiesta autorizzazione, tra l'altro, per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici (a proposito delle tipologie di intervento deve farsi riferimento all'art. 3 del testo unico dell'edilizia).
Se ai fini della realizzabilità di interventi edilizi in area sottoposta a vincolo paesaggistico, è necessaria, in linea generale, la contestuale acquisizione sia del titolo autorizzatorio edilizio, sia di quello paesaggistico (che assume tra l'altro carattere prioritario e preminente rispetto al titolo edilizio), tuttavia, ai sensi dell'art. 149, comma 1, lett. a), del citato d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, l'autorizzazione non è comunque richiesta "per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici".
Gli interventi consistenti esclusivamente in mere opere interne, tra l'altro di scarso rilievo, sono lavori che sfuggono alla stessa percezione visiva rilevante per la tutela paesaggistica (così anche Cass. pen., sez. fer., 30 agosto 2012, n. 43885).
Cons. Stato, sez. III, 13 gennaio 2014, n. 96 - Pres. Romeo, Est. Simonetti - Sulla normativa applicabile alla realizzazione di infrastrutture di comunicazioni elettroniche.
Il decreto legislativo n. 259 del 2003 ha disciplinato un procedimento semplificato per la realizzazione delle infrastrutture delle comunicazioni elettroniche ai soli fini urbanistici, edilizi ed igienico sanitari (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 889/2006), che è destinato a prevalere unicamente sulla disciplina edilizia dettata con il T.U. di cui al d.p.r. n. 380 del 2001 (cfr. T.a.r. Lazio, Roma, II, n. 6056/2006), restando salva invece la piena applicabilità delle norme a tutela paesaggistica (cfr., già, T.a.r. Marche, n. 52/2004 e T.a.r. Lazio, n. 2737/2007).
In proposito, non risulta pertinente la giurisprudenza (v., tra le altre, Cons. St., sez. VI, n. 4557/2010), secondo la quale la realizzazione degli impianti in questione - tralicci compresi, persino se risalenti nel tempo - dovrebbe ritenersi consentita sull'intero territorio nazionale con riferimento a qualsiasi tipo di destinazione di zona omogenea, concetto questo chiaramente riferibile unicamente alle destinazioni di tipo urbanistico. La citata giurisprudenza, infatti, si riferisce alla disciplina urbanistico-edilizia e non anche a quella paesaggistica, rispetto alla quale è significativamente lo stesso decreto legislativo n. 259 del 2003, all'art. 86, comma 4, a prevedere espressamente la soggezione degli interventi di cui trattasi alle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004.
Nota
[*] Con la collaborazione della Dott.ssa Vania Talienti.