L'autorizzazione paesaggistica alla prova della semplificazione
La semplificazione nel sistema di amministrazione del paesaggio
Sommario: 1. Premessa: ragioni e limiti della semplificazione nel sistema di amministrazione del paesaggio. - 2. La nuova procedura autorizzatoria ex art. 146 del d.lg. n. 42/2004 e s.m.i. - 3. La conferenza di servizi nel procedimento di autorizzazione paesaggistica. - 4. Il regolamento di semplificazione per gli interventi di breve entità: il decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139. - 4.1. Lo schema di decreto di modifica del d.p.r. n. 139/2010. - 5. Conclusioni.
The Simplification in the Administration System of the
Landscape
The process of administrative simplification that in
the last years increasingly involves the activity of the Public Administration
stands in stark contrast to the fundamental values of the system of landscape
administration. After highlighting the factors interfering with the application
of simplification rules in the sector of landscape preservation, the author of
the essay points out that the recent rules of simplification, both in the
authorization procedure under the art. 146 of the Code of Cultural Heritage and
the Landscape both in the Conference of services according to the law n. 241/90
and subsequent amendments, complicates the effective action of landscape
preservation. The author proposes a profound change in simplification policies
in the sector of landscape preservation pointing out that it will be necessary
to issue legislative rules aiming at a reasonable simplification, a sustainable
simplification with regard to the primary need of landscape preservation. The
author also suggests that the Conference of services, now used only in
accordance with the guarantee of a result in certain times, is restored to its
original function as a tool of dialectical balance of interests and that the
rationalization of the rules is accompanied by a more effective structural
setting of the offices of the Administration of Cultural Heritage and Landscape
because the actual degree of landscape protection, which any form of
simplification must consider, depends on the adequacy of the administrative
structures which are responsible for it.
1. Premessa: ragioni e limiti della semplificazione nel sistema di amministrazione del paesaggio
Il sistema di amministrazione del paesaggio [1] è stato fatto oggetto di una serie di interventi di semplificazione che hanno riguardato gli istituti principali della materia ed in particolare quella che è la struttura portante del sistema stesso, ossia l'autorizzazione paesaggistica contemplata dall'art. 146 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio [2].
Ed infatti in subiecta materia si è assistito ad un'attenzione spasmodica e martellante [3] nei confronti di misure di semplificazione normativa ed amministrativa. Anche rispetto all'ambito paesaggistico la semplificazione "si è andata progressivamente definendo come interesse pubblico autonomo" assumendo le fattezze di un vero e proprio principio generale dell'ordinamento, ispiratore di tutte le azioni da intraprendere [4].
È indubbio che alla base di queste politiche di semplificazione vi sono soprattutto quelle generali esigenze che hanno ispirato tutti i tentativi di "riduzione di complessità" dell'apparato dei pubblici poteri. Ci si riferisce nella specie alla diffusa esigenza, risalente nel tempo almeno agli anni 70 e 80, avvertita dai cittadini e dagli operatori economici, di confrontarsi con un'amministrazione il cui operato sia più rapido ed efficiente.
Benvero, negli ultimi anni le istanze di semplificazione, già oggetto di attenzione da parte del rapporto Giannini del 1979 e poi attuate, seppur in maniera non pienamente soddisfacente, nelle riforme degli anni 90 [5], hanno ricevuto nuova linfa dall'evoluzione del diritto dell'Unione europea, i cui principi influenzano oramai in modo decisivo le normative degli Stati membri anche sotto il profilo dell'operato dei pubblici poteri.
Basti pensare al principio di proporzionalità che, nel circoscrivere l'attività amministrativa alle ipotesi e nella misura in cui essa appaia necessaria, si muove lungo la direttrice della razionalizzazione ed in senso lato della de-amministrativizzazione [6].
Tale esigenza ha finito poi col rivelarsi in tutta la sua drammatica urgenza negli ultimi anni segnati dalla crisi economica dei debiti sovrani degli Stati dell'Unione Europea.
Di fronte alla recessione ed al calo di produttività degli apparati industriali del vecchio continente, ed in particolar dei paesi meno virtuosi dell'area mediterranea, è maturata la consapevolezza che solo attraverso la riduzione dei vincoli normativi e degli oneri burocratici sia possibile aumentare la competitività delle imprese e la capacità degli Stati di attrarre investimenti produttivi [7].
Di qui l'introduzione di molteplici ed eterogenee disposizioni di semplificazione che hanno riguardato ampiamente l'operato dei pubblici poteri.
Ovviamente esse hanno interessato anche l'ambito paesaggistico, giusta il venir in rilievo in tale settore di una congerie di interessi economici, legati soprattutto all'attività edilizia, che i governi degli ultimi anni hanno cercato di tutelare e sostenere anche a discapito di altri interessi di pari rango, se non superiore.
Invero, a queste ragioni di carattere generale, si sono poi sovrapposti ed intrecciati a sostegno della semplificazione fattori legati alla specificità della materia.
L'anelito alla semplificazione ha infatti trovato la sua origine nella complessità della materia derivante in primo luogo dalla pluralità di livelli istituzionali coinvolti nell'esercizio delle funzioni di tutela in senso stretto e di gestione del vincolo [8].
Il sistema di amministrazione del paesaggio ha infatti natura policentrica, è caratterizzato dalla presenza di più amministrazioni titolari di un potere che specialmente in sede autorizzatoria ben si può definire mobile in quanto - in disparte i profili attinenti alla configurazione che il procedimento autorizzatorio assumerà in seguito all'adeguamento degli strumenti urbanistici a quanto previsto dalle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici [9] - esso varia a seconda di molteplici variabili legate ai comportamenti positivi o omissivi delle stesse amministrazioni.
Sennonché, mette conto di segnalare però che gli stessi fattori che hanno fatto ritenere urgente ed ineludibile la semplificazione paesaggistica si sono nel contempo configurati come veri e propri ostacoli a tale processo [10].
Ed infatti, risulta di tutta evidenza che la condivisione del potere non aiuta i processi di semplificazione, ma per converso funge da deterrente agli stessi, specialmente se si considera che ad essa si ricollega la contestuale sussistenza in capo alle amministrazioni di interessi non solo eterogenei, ma sovente conflittuali ed antitetici.
Più precisamente, nel presente contesto si riscontrano da un lato gli interessi ad una tutela rigorosa, dei quali si fa portatrice l'amministrazione statale, e dall'altro quelli relativi ad un governo "dinamico" del territorio di cui si fanno portavoce gli enti territoriali.
A ciò si può aggiungere il venir in rilievo delle situazioni soggettive dei privati proprietari i quali tendono a rivendicare in senso assoluto ed incondizionato la propria libertà di iniziativa economica e di esercizio del proprio diritto di proprietà.
Ebbene, dal magma di interessi discende un quadro di grave incertezza in cui è arduo porre in essere interventi volti a razionalizzare le procedure ed i meccanismi decisionali [11].
Ciò in quanto la complicazione procedimentale finisce col rappresentare in un certo senso "il prodotto fisiologico della necessità di ponderare la molteplicità di interessi pubblici e privati" [12].
Ne discende che l'attuazione del principio di semplicità, alla cui realizzazione punta ogni attività di semplificazione normativa ed amministrativa, incontra un rilevante limite nella necessità di procedere ad un contemperamento con i suindicati principi ed interessi, peraltro tutti di rango costituzionale e non suscettibili di un aprioristico svilimento.
Or dunque, in ciò si evidenzia la maggiore difficoltà della semplificazione: anche nell'ambito paesaggistico, ed anzi ancor di più in tale ambito, attesa la suddetta pluralità di interessi, la semplificazione comporta una vera e propria scelta per il tramite dell'esercizio di un potere. "Ridurre la complessità normativa ed amministrativa di tale settore incide sulla tutela di valori, su assetti di interessi e significa restringere la possibilità di scelta, i margini di autonomia dei soggetti operanti nel settore" [13].
A voler essere più precisi, la semplificazione incide sulle attribuzioni, sulla distribuzione delle competenze e quindi sul grado di tutela degli interessi, dal momento che " la scelta di attribuire una specifica competenza ad un ente piuttosto che ad un altro è già di per sé un modo di tutelare un interesse" [14].
Le difficoltà riscontrabili negli interventi di semplificazione derivano inoltre dalla mancata risoluzione di una delle grandi - e generalissime - questioni della materia della tutela e valorizzazione del paesaggio: si tratta della vexata quaestio inerente al giusto significato da attribuire alla nozione giuridica di paesaggio.
Sebbene non sia questa la sede più opportuna per una approfondita disamina del tema, è sufficiente segnalare a riguardo che l'endemica confusione terminologica, le incertezze che involgono il concetto giuridico di paesaggio si atteggiano a greve punctum dolens del sistema in quanto hanno a che fare con il delicato oggetto delle competenze degli attori pubblici.
Ed invero, si assiste ad una persistente e perniciosa dialettica fra due diverse visioni non solo della nozione giuridica di paesaggio ma, più a fondo, del modello di diritto amministrativo da prediligere per la cura degli interessi pubblici paesaggistici [15].
Da un lato il modello di tutela in senso proprio "costruito sulla tutela come regime speciale del bene (e dei connessi diritti ed interessi soggettivi) secondo il paradigma che recente dottrina ha presentato come paradigma dell'eccezione culturale" [16]. Tale modello considera imprescindibile il livello statale di tutela, rinvenendo in esso la stella polare del miglior sistema di garanzia dei valori paesaggistici [17].
Dall'altro il modello della c.d. gestione sostenibile dello sviluppo del territorio che trae il suo fondamento in una tendenza mai sopita, ed anzi ora alimentata da una dubbia interpretazione della convenzione europea del paesaggio, ad onta dell'inequivocabile orientamento in senso contrario del giudice delle leggi, a far rientrare la materia del paesaggio nel governo del territorio e quindi nell'alveo delle competenze regionali alla luce di una concezione integrale e panurbanistica della tutela, imperniata sul ruolo primario della pianificazione (meglio ancora se mista o addirittura unicamente urbanistica) [18].
V'è ancora da sottolineare che l'elevato grado di articolazione del quadro istituzionale rappresenta un rilevante limite alla semplificazione anche perché determina l'affiorare di altri aspetti problematici. Fra questi è possibile sottolineare la pluralità di fonti giuridiche che nel complesso disciplinano l'attività amministrativa in tal materia.
A tale proposito è opportuno precisare che nel nostro settore si è di fronte a due dimensioni normative tendenzialmente definite: da un lato quella statale concernente la disciplina procedimentale, dall'altro quella regionale che tocca i profili propriamente organizzatori [19].Tale assetto deriva dal riparto della potestà legislativa disposto dalla Carta Costituzionale ed è stato sancito dalle previsioni del Codice [20].
Ebbene, come precisato in più occasioni dalla Consulta [21], la disciplina statale del procedimento autorizzatorio concreta uno standard di protezione minimo ed inderogabile in peius. Pertanto le regioni possono disciplinare la procedura autorizzatoria solo in via integrativa, in modo da non alterare il nucleo essenziale della disciplina statale.
Tuttavia, si rilevano problemi di coordinamento fra i livelli istituzionali ogni qualvolta il legislatore intenda adottare misure di semplificazione. Le maggiori difficoltà si ricollegano allo stretto intreccio fra semplificazione procedurale, dell'attività amministrativa stricto sensu, e quella organizzativa; quest'ultima è prodromica ad ogni attività procedimentale, divenendo nei fatti vero e proprio fattore di sostenibilità di ogni reale semplificazione [22].
La semplificazione organizzativa e quella procedurale danno dunque vita ad una diade interrelata e connessa, in un quadro in cui non è possibile procedere efficacemente alla semplificazione normativa senza ridurre contestualmente la complessità della macchina amministrativa.
È pertanto evidente che ogni forma di semplificazione dipende dal coinvolgimento degli enti territoriali chiamati ad un' opera di implementazione che investe i profili di propria spettanza.
A ben vedere, il ruolo delle regioni nei processi di semplificazione è tutt'altro che marginale.
La sua rilevanza discende, come già detto, dalla loro competenza in ordine all'organizzazione degli uffici regionali contitolari del potere di gestione del vincolo, nonché in ordine ad aspetti procedurali minori - posta la preminente potestà legislativa statale - ma pur sempre idonei ad incidere sull'effettività delle riforme di semplificazione [23].
Sulla scorta di tali considerazioni si può, parafrasando attenta dottrina, rilevare che "le politiche di semplificazione non possono essere declinate in una prospettiva esclusivamente statale, ma necessitano, in un sistema multilevel, di un confronto permanente con regioni ed enti locali" [24].
Diversamente, ossia qualora la fase di attuazione da parte degli enti locali non sia adeguata, è evidente che le misure di semplificazione rischiano di essere vanificate ovvero di veder drasticamente ridotta la loro portata.
Il che è tanto più vero se si sposta l'angolo visuale di tale lettura sulla semplificazione in senso ampio.
La semplificazione amministrativa è uno dei modi con cui si realizza la riforma dell'amministrazione, la quale a sua volta è un processo continuo di adeguamento del sistema amministrativa alle esigenze della società.
È un assunto ormai condiviso quello che gli interventi di semplificazione non possono essere sporadici né tanto meno esaurirsi nei singoli provvedimenti legislativi, ma devono essere portati avanti con continuità nell'ambito di una politica generale di ampio respiro [25].
La semplificazione non può essere intesa solo come riforma evento; piuttosto assume le fattezze di una riforma processo, i cui istituti e principi, introdotti dalla legge o da una pronuncia giurisprudenziale, necessitano di una attività attuativa quotidiana che chiama in causa gli enti territoriali e non solo, visto che anche i cittadini possono essere coinvolti in modo consapevole nella riforma processo attraverso strumenti quali la formazione e la comunicazione interna ed esterna [26].
Ed in verità, proprio ai fini di una maggiore cooperazione fra pubbliche amministrazioni, può apparire fecondo il coinvolgimento di tutti gli attori del processo di semplificazione già a monte, in sede di adozione delle misure legislative. Ciò può avvenire per gli enti territoriali tramite diversi strumenti che hanno ricevuto la giusta attenzione da parte del legislatore: si fa riferimento alla conferenza Stato-città e autonomie locali, alla conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome; alla conferenza unificata [27].
Inoltre, onde garantire un maggiore livello di condivisione delle scelte, appare molto utile l'istituto dell'accordo, ex art. 15 della legge sul procedimento amministrativo, tra Stato ed enti territoriali.
Ed infatti, l'accordo fra amministrazioni si sostanzia in una tecnica di razionalizzazione dell'attività amministrativa basata sulla realizzazione di una azione consensuale in grado di porre in essere un efficace negoziazione degli interessi in gioco [28].
Quanto appena detto in merito all'opportunità di favorire i processi di condivisione delle scelte non può, tuttavia, far dimenticare che la stella polare del sistema è pur sempre la tutela dei beni paesaggistici.
Ne consegue che la cooperazione fra enti non può in alcun modo essere considerata un fine da perseguire aprioristicamente; per contro, essa è - come d'altronde ogni forma di semplificazione correttamente considerata - un mezzo per rendere razionali le riforme dell'amministrazione, specie nelle materie contrassegnate da una distribuzione articolata delle competenze.
E pertanto, essa non può condurre- come purtroppo è avvenuto nel recente passato in occasione dell'adozione dei decreti correttivi al Codice [29] - a una deminutio del livello di tutela garantito ai valori paesaggistici.
In conclusione, appaiono forse più utili altri strumenti nella prospettiva di una migliore attuazione delle misure di semplificazione predisposte.
In particolare, si ha riguardo all'analisi di impatto della regolazione che consente quell'indispensabile valutazione sia sulla necessità di mantenere in vigore la regolamentazione di determinati procedimenti amministrativi mediante i quali si esercitano le funzioni amministrative e sia, "in ossequio al principio di proporzionalità, se, e quale, sia la disciplina procedurale minima indispensabile per assicurare che l'amministrazione di riferimento possa percepire, valutare e garantire l'interesse generale rispetto alle attività dei privati" [30].
Ebbene, l'analisi di impatto della regolamentazione risponde a quella logica, ormai pienamente condivisa, secondo cui solo la razionalità delle decisioni a monte può rendere più probabile l'efficacia delle scelte di semplificazione, ovviando al rischio che la prassi amministrativa si ponga in antitesi rispetto agli obiettivi perseguiti in sede legislativa.
Il tutto senza poi dimenticare che la semplificazione legislativa è del tutto insufficiente se ad essa non si accompagnano quelle imprescindibili azioni riorganizzative consistenti nella dotazione di strutture fisiche, infrastrutturali (soprattutto telematiche) e finanziarie [31].
Terminata questa lunga (ma doverosa) premessa di carattere generale, si procederà nelle pagine che seguono alla trattazione delle principali misure di semplificazione riguardanti il diritto del paesaggio.
2. La nuova procedura autorizzatoria ex art. 146 del d.lg. 42/2004 e s.m.i.
In materia paesaggistica la procedura autorizzatoria si presenta come vera e propria linea di faglia dove si scaricano le più forti tensioni tra le istanze di semplificazione e quelle tradizionaliste che al contrario vedono nella maggiore snellezza dell'attività amministrativa un elemento antitetico rispetto alla salvaguardia del paesaggio [32].
In verità, la giustapposizione tra queste due visioni dell'agere amministrativo si appalesa nella sua virulenza e complessità a causa dei caratteri tipici dell'istituto dell'autorizzazione paesaggistica.
Senza tema di smentita l'autorizzazione paesaggistica può essere definita struttura portante del peculiare regime di efficacia giuridica di tutela del paesaggio che appartiene strutturalmente e logicamente a quelle parti del territorio riconosciute di notevole interesse pubblico [33].
Ebbene, l'obbligo di autorizzazione si configura come inequivocabile indice della natura del vincolo di conservazione quale "risultante di una pluralità di situazioni soggettive di obbligo e dovere, di potestà e di soggezione, aventi come titolari i proprietari del bene, le amministrazioni pubbliche, e in taluni casi qualunque soggetto che, in ragione della propria attività, ponga in essere o intenda porre atti i cui risultati incidano sul bene ambientale" [34].
Si può ben affermare che l'istituto dell'autorizzazione concreta un fondamentale strumento di gestione [35] del vincolo paesaggistico nel quadro di una tutela del paesaggio che assume sempre di più le fattezze di una tutela dinamica [36].
Per essere più chiari, l'autorizzazione paesaggistica ha un ruolo preminente nel sistema di amministrazione del paesaggio.
Ed infatti attraverso l'esercizio del potere autorizzatorio si esercitano al contempo due funzioni primarie: la funzione [37] di tutela, ossia quel complesso di attività consistenti nell'individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale e nella correlata protezione-conservazione per fini di pubblica fruizione [38]; la gestione del vincolo e quindi dei beni soggetti alle prescrizioni conformative.
Più precisamente, con riguardo alla prima funzione, la fase autorizzatoria rappresenta un tassello che completa il quadro tutorio già fondato sulla preventiva individuazione dei beni paesaggistici e sulla connessa definizione delle prescrizioni d'uso dei vincoli. Ciò a riprova della piena valenza della disposizione codicistica [39] secondo la quale l'esercizio delle funzioni di tutela avviene anche per il mezzo di provvedimenti (nel nostro caso l'autorizzazione) volti a regolare i diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale.
Per quanto concerne la seconda funzione, il procedimento autorizzatorio attua la gestione del vincolo per il tramite di un controllo operato da un organo dotato di adeguate conoscenze tecnico-scientifiche ed inoltre effettuato in via preventiva, ex ante, in modo da evitare un irreparabile pregiudizio derivante da lavori incuranti delle esigenze di conservazione.
Ancora l'autorizzazione, nel far leva su una "verifica di compatibilità dell'opera che si intende realizzare con le esigenze di conservazione delle bellezze naturali" [40], consente un utilizzo-gestione dei beni che si inserisce nell'ottica di una tutela che, pur essendo ancora prevalentemente statica, assomma anche i caratteri dinamici [41].
La rilevanza dell'istituto è viepiù corroborata da una circostanza non secondaria: nell'esercizio del potere di autorizzazione si può scorgere una previa verifica della compatibilità dell'interesse paesaggistico con quelli individuali dello ius utendi.
Ed infatti l'azione del soggetto interessato è resa conforme al conseguimento dell'interesse pubblico in un contesto segnato inequivocabilmente dal carattere assoluto e primario dell'interesse costituzionale alla tutela del paesaggio [42].
Orbene, come attentamente posto in evidenza, negli ultimi anni si assiste ad una recrudescenza della "pressione del semplificazionismo, che mira - in the long run - ad abolire i controlli preventivi e a ridurre l'autorizzazione ad un mero accertamento di conformità, interamente vincolato ed autocertificabile (...)" [43].
In verità, appare necessario precisare, richiamando quanto già detto nelle pagine introduttive [44], che questa tendenza alla semplificazione si configura nella fattispecie come la risultante di due ordini di fattori.
In primo luogo le spinte alla semplificazione sono dovute alla forza del c.d. partito del cemento [45] che è incline a strumentalizzare le pur evidenti esigenze di semplificazione ai fini di un vero e proprio smantellamento del regime di tutela.
Inoltre, non si può fare a meno di rilevare che il processo di semplificazione trae origine e legittimazione da una discutibile formulazione legislativa del procedimento autorizzatorio, che certo non contribuisce alla maggiore chiarezza oltre che efficacia dell'azione amministrativa.
Come è noto, l'art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio ha innovato radicalmente il procedimento autorizzatorio disciplinato dall'art. 151 del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico dei beni culturali e ambientali, sulla scorta delle previsioni della c.d. legge Galasso (legge 8 agosto 1985, n. 431).
La nuova configurazione ha cercato di rispondere all'esigenza di superare i punti critici del previgente regime, improntato ad un farraginoso duplice passaggio, prima a livello degli uffici regionali (o dell'autorità delegata) e poi a livello degli organi dell'amministrazione statale che erano legittimati ad effettuare un mero controllo di legittimità dell'operato dell'ente territoriale [46]. In breve, il potere di annullamento, che pure la legge attribuiva alle soprintendenze, poteva essere esercitato unicamente per vizi di legittimità del già rilasciato provvedimento autorizzatorio.
Benvero, dal disposto normativo si evincevano numerose aporie e nel complesso un sistema di tutela gravemente depotenziato [47]. Ciò in quanto il baricentro del potere di autorizzazione era spostato, in spregio al riparto di competenze costituzionali, sugli enti territoriali, mentre il peso delle amministrazioni statali era compresso non solo dal divieto di effettuare valutazioni di merito, ma anche dalla natura a posteriori del suo controllo.
Di qui anche i rischi - nonostante un univoco orientamento giurisprudenziale [48] sulla necessità che la Soprintendenza esplicasse le sue prerogative re adhuc integra - di un immediato inizio da parte dei privati dell'attività edilizia nelle more della pronuncia della soprintendenza.
Ora, la nuova disciplina supera solo in parte i su riferiti aspetti problematici. In senso positivo va valutata la nuova prefigurazione del ruolo della soprintendenza alla quale è attribuito il potere di rilasciare ex ante un parere vincolante circa la compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso e la conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico o nella dichiarazione di notevole interesse pubblico.
Parimenti condivisibile è la previsione della facoltà per l'ente territoriale preposto alla gestione del vincolo di indire una conferenza di servizi ove la soprintendenza non adotti il provvedimento de quo entro il termine di 45 giorni dalla ricezione della documentazione inoltrata dall'ente locale [49].
Dall'altra parte sussiste però il duplice passaggio, rectius un triplice passaggio, che coinvolge le amministrazioni competenti in un peculiare procedimento a ragione definito sistema a paratie mobili [50], imperniato su articolazioni complesse e talora pletoriche.
Ed infatti il procedimento autorizzatorio è scandito da almeno tre fasi che indubbiamente concorrono a rallentare, forse inutilmente, l'iter che conduce all'autorizzazione finale.
Vi è innanzitutto una prima fase in cui l'ente territoriale verifica la necessità del titolo autorizzatorio ed in seconda battuta la compatibilità paesaggistica del progetto presentato, ponendo in essere una sorta di proposta di provvedimento. Nella seconda fase la soprintendenza è chiamata a pronunciarsi sul progetto con la facoltà di discostarsi dalle valutazioni dell'ente territoriale. Infine, l'ente territoriale è chiamato a rilasciare, sulla scorta del parere vincolante dell'amministrazione statale, il provvedimento finale di autorizzazione o di diniego.
Siffatto quadro procedimentale è inoltre complicato dall'eventuale inerzia della soprintendenza, che dà la stura ad ulteriori ed eventuali segmenti procedimentali. Vengono in rilievo non solo la già indicata indizione facoltativa della conferenza di servizi, ma anche il potere dell'ente territoriale di provvedere autonomamente, decorso il termine di 15 giorni dallo scadere del termine previsto ex lege per l'adozione del parere vincolante [51].
Ora, alla luce dell'attuale modello procedimentale delineato dall'art. 146 del Codice si può ben dire che tutti i tentativi di riduzione della complessità procedimentale concretano una reazione sicuramente spontanea, oltre che condivisibile (benché solo in parte per i motivi che verranno esposti in seguito).
Nel novero delle misure attuative delle istanze di semplificazione si riscontra in prima battuta il potenziamento del ruolo delle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici.
A tal riguardo v'è da dire che il legislatore ha stabilito la necessità di indicare le modalità di conservazione ed utilizzazione dei beni da tutelare in più sedi.
In primis ai sensi degli articoli 140, comma 2, e 141, nei provvedimenti regionali e ministeriali dichiarativi del notevole interesse pubblico.
In secondo luogo i piani paesaggistici sono chiamati a "riempire" i vincoli preesistenti: a norma dell'art. 143, comma 1, lett. b) e c), i piani esercitano una funzione composita, la quale, oltre ad involgere la ricognizione e delimitazione dei beni paesaggistici che trovano la loro legittimazione nei provvedimenti amministrativi e nella legge (art. 142), si espande fino alla determinazione delle specifiche prescrizioni di uso intese ad assicurare la conservazione e, in quanto compatibile, la valorizzazione dei caratteri distintivi delle aree e degli immobili di notevole interesse pubblico.
Il tutto senza dimenticare che le disposizioni dei piani possono, giusta la lett. d) dello stesso comma 1 dell'art. 143, individuare ex novo ulteriori beni paesaggistici rispetto a i quali è necessario, contestualmente al riconoscimento dell'interesse pubblico, dettare le prescrizioni d'uso.
La centralità delle prescrizioni d'uso nell'intero sistema di amministrazione del paesaggio è stata poi implementata dall'introduzione ad opera del d.lg. 26 marzo 2008, n. 63 dell'art. 141-bis che sancisce l'obbligo per l'amministrazione statale e per quelle regionali di procedere all'integrazione dei vincoli paesaggistici già emanati con la specifica disciplina d'uso contemplata dall'art. 140 comma 2, quella cioè tesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e dai caratteri peculiari del territorio considerato [52].
Ora, in disparte la problematica questione inerente al rispetto del dettato di cui all'art. 141-bis [53], è necessario sottolineare la funzione primaria dell'elaborazione delle prescrizioni d'uso. Riportandoci ad un noto orientamento dottrinario [54] non si può fare a meno di rilevare che l'integrazione dei vincoli con le prescrizioni d'uso è idonea a comportare una notevole limitazione alla discrezionalità con conseguenti semplificazioni procedurali.
È ben vero che il riempimento dei vincoli si connota come strumento di razionalizzazione dell'attività amministrativa, capace di migliorarla e renderla più certa e prevedibile dal momento che sulla scorta delle prescrizioni d'uso le valutazioni di merito della soprintendenza potranno essere effettuate "alla luce di parametri positivi che dovrebbero permettere di contenere abbastanza agevolmente l'attività valutativa entro i canoni della discrezionalità tecnica e che dovrebbero essere quelli tipici di una attività ordinaria di governo del vincolo, di "gestione", appunto, consentendo altresì un sindacato giurisdizionale più ampio e soddisfacente sulla correttezza dell'iter logico seguito dall'amministrazione (...) [55].
In breve, le prescrizioni d'uso pongono un argine all'eccessiva discrezionalità tecnica, rectius discrezionalità [56] dell'amministrazione e vanno così incontro alle esigenze dei privati di rapportarsi a un operato amministrativo maggiormente prevedibile e dai tempi più certi [57].
Ciò vale anche per la procedura di screening (filtro) preliminare condotta dell'ente deputato alla gestione del vincolo per verificare se l'intervento da eseguire richieda il titolo autorizzatorio [58].
La funzione primaria delle prescrizioni d'uso non si esaurisce però nella posizione di parametri da seguire nel giudizio di compatibilità paesaggistica.
Vi è di più. Ai sensi del comma 5 dell'art. 146 esse concorrono alla degradazione del parere soprintendizio, nel senso che esso assumerà una mera natura obbligatoria - ma non vincolante - in seguito all'elaborazione delle prescrizioni d'uso ed all'adeguamento, che il ministero sarà tenuto appositamente ad accertare, degli strumenti urbanistici.
Ebbene, è di tutta evidenza che la futura configurazione del parere dell'amministrazione statale realizzi un decisivo spostamento delle competenze decisionali verso il basso, verso l'ente territoriale preposto alla gestione del vincolo.
Di qui una serie di rilevanti criticità che possono essere sintetizzate in una dubbia operazione di svilimento della fonte decisionale statale, ossia dell'unica struttura munita delle indispensabili competenze tecniche.
Si è di fronte ad una innovazione normativa che concreta un vulnus esiziale alla tutela del paesaggio per il tramite di una disposizione che addirittura riesce nell'impresa di delineare un modello procedimentale peggiore di quello contemplato dall'art. 159 in via transitoria.
A ben vedere, le competenze della soprintendenza vengono circoscritte ad una mera attività di giudizio i cui esiti possono essere disattesi da un ente che però non è nei fatti in grado, per le ragioni di cui sopra, di sostituire appropriatamente le proprie valutazioni a quelle della soprintendenza, specialmente se si considera che le regioni nella maggior parte dei casi si sono affrettate a delegare la funzione autorizzatoria, talora senza porre in essere un'adeguata verifica degli indispensabili requisiti di adeguatezza e di differenziazione delle strutture degli enti delegati [59].
La gravità del futuro regime è poi acuita da una recente innovazione legislativa ad opera del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106.
Il legislatore ha infatti oltremodo disposto che si considera acquisito l'assenso della soprintendenza ove essa non si pronunci nel termine di novanta giorni dalla ricezione della documentazione. Orbene, non ci si può esimere dall'evidenziare anche la discutibilità di tale norma che fra l'altro si pone in contrasto con i tralatizi insegnamenti del giudice delle leggi in merito all'incompatibilità di qualsiasi forma di silenzio assenso con la tutela del paesaggio [60].
In conclusione, a parere di chi scrive l'analisi della fattispecie dell'obbligatorietà del parere conduce esclusivamente al rilievo di aspetti problematici e non coerenti con la predisposizione di scelte che vadano nella direzione di un'efficace tutela paesaggistica.
Per converso, non è dato riscontrare elementi di semplificazione nella dequotazione del parere della soprintendenza, atteso che le disposizioni legislative attuano unicamente un trasferimento del potere decisorio, mantenendo inalterato il procedimento autorizzatorio nelle sue plurime scansioni.
Ad obiettivi di semplificazione può maggiormente rispondere la diversa ipotesi che vede l'ente territoriale legittimato a fare a meno del parere allorché la soprintendenza non rispetti il termine complessivo di sessanta giorni dalla ricezione della relazione illustrativa e della documentazione per l'adozione delle valutazioni di propria spettanza.
Ebbene, non si può fare a meno di considerare positivamente il disposto normativo se si considera che esso può fungere da incentivo al sollecito agere dell'amministrazione statale.
Ciò nondimeno, alla luce di un'analisi più consapevole si finisce con il rilevare che la disposizione de qua omette di considerare che il parere endo-procedimentale è contrassegnato da caratteri di vincolatività sicché assume sostanzialmente una natura decisoria assimilabile a quella del provvedimento stricto sensu [61].
Ne consegue che la fattispecie de qua, che fra l'altro deroga al disposto dell'art. 16 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i in ordine ai pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini, non pare tener conto di basilari aspetti dogmatici relativi alla natura degli atti posti in essere nel procedimento di autorizzazione.
Ed inoltre, la tesi della prescindibilità dal parere non considera la centralità dell'amministrazione statale nella serie di atti che conduce alla pronuncia finale sull'istanza del privato.
A parere di chi scrive sembra così preferibile il ricorso alla conferenza di servizi [62] quale sede in cui non si esonera l'amministrazione statale dalla proprie prerogative, bensì si realizza lo scopo di sollecitarla, mantenendo però al contempo inalterata la sua centralità.
3. La conferenza di servizi nel procedimento di autorizzazione paesaggistica.
Come già accennato supra, la previsione del comma 9 dell'art. 146 circa la facoltativa indizione della conferenza di servizi ove la soprintendenza ometta di adottare il parere di propria competenza, rappresenta una delle note più liete delle politiche di semplificazione degli ultimi anni [63].
La rilevanza in termini positivi della suddetta disposizione si ricollega alla natura generale dell'istituto della conferenza di servizi di cui non si può non sottolineare la valenza di modello procedurale in grado di favorire il miglioramento della qualità dell'azione amministrativa.
Come eminentemente osservato, "la conferenza è stata introdotta nell'ordinamento essenzialmente a fini di semplificazione procedimentale, quale espressione del principio di buon andamento in un tentativo di ricomposizione delle funzioni amministrative, che, nel nostro ordinamento, sono disperse e frammentate [64].
Ed in verità, la conferenza di servizi ha in sé i caratteri di tecnica di razionalizzazione, considerato che essa è di solito contemplata per far fronte a situazioni in cui le decisioni sono frammentate in più parti funzionalmente collegate; essa si propone di "unificare in un'unica macroprocedura ciascuno dei singoli segmenti procedurali e di trovare un momento di raccordo dal punto di vista organizzativo per l'esercizio delle relative competenze [65]. È, quindi, di immediata evidenza l'utilità della conferenza di servizi come strumento di ausilio al coordinamento tra le diverse amministrazioni in una prospettiva fondata sulla ricerca di soluzioni condivise.
Ecco spiegate anche alcune peculiari teorie che identificano la conferenza di servizi in una speciale tipologia di accordo tra le amministrazioni avente effetti sostitutivi degli atti del procedimento [66].
Parafrasando nota dottrina, è possibile rilevare che la conferenza di servizi produce un duplice effetto: all'effetto formale di semplificazione si ricollega, in un nesso di strumentalità, quello sostanziale del raggiungimento di una decisione negoziata e di una composizione concertata tra interessi, tale da determinare quali tra questi risultino meritevoli o sacrificabili ed in quale misura" [67].
Quanto detto preliminarmente con riguardo ai caratteri della conferenza di servizi sotto il profilo cui è dedicata l'attenzione del presente lavoro, ossia la semplificazione, non è, però, ancora sufficiente ai fini di una trattazione adeguata del tema. Ed, infatti, bisogna ancora porre in evidenza i tratti particolari dell'istituto in sede paesaggistica e gli aspetti critici di fronte ai quali si trovano gli operatori giuridici.
È bene rilevare in primo luogo che la conferenza di servizi di cui al comma 9 dell'art. 146 dà luogo ad una fattispecie speciale rispetto ai tipi di conferenze di servizi delineati dagli articoli 14 e ss. della legge sul procedimento amministrativo [68].
Ciò però non esclude tout court l'operatività, nell'ambito della procedura autorizzatoria paesaggistica, di alcune figure generali di conferenza di servizi ed in particolare non sembrano esservi dubbi sulla possibilità di indire la conferenza di servizi preliminare di cui all'art. 14 bis per valutare le condizioni per ottenere i necessari atti di consenso per la realizzazione di opere di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e di servizi.
Al riguardo, l'espressa previsione ex comma 2 dell'art. 14 bis del coinvolgimento, tra le altre, dell'amministrazione preposta all'amministrazione della tutela paesaggistico-territoriale rappresenta un indice inequivocabile della compatibilità di tale modello procedurale con gli specifici tratti della legislazione paesaggistica.
In disparte tale questione, appare di maggiore importanza, vista la colpevole lacuna normativa in proposito, il tema riguardante l'individuazione della disciplina applicabile alla conferenza di servizi instaurata nel corso del procedimento autorizzatorio.
Ebbene, appare innegabile l'inapplicabilità delle disposizioni generali inferenti i termini dei lavori della conferenza di servizi, giusta il termine ristretto di 15 giorni richiesto dall'art. 146 per addivenire alla determinazione finale.
Dall'altra parte, non paiono esservi motivi ostativi all'applicazione del comma 1 dell'art. 14 quater che prevede, a pena di inammissibilità, che il dissenso delle amministrazioni esercenti la funzione di tutela paesaggistico-territoriale deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso.
Con riferimento a tale tema è sufficiente evidenziare che le sembianze propositive richieste per il dissenso della soprintendenza non si pongono in contrasto con profili normativi inderogabili; per contro, esse concorrono ad apprestare un livello di tutela minimo per il privato che entri in contatto con la pubblica amministrazione [69].
Un discorso affatto diverso va fatto, invece, rispetto alle disposizioni generali che regolano le ipotesi di silenzio dell'amministrazione statale che cura l'interesse paesaggistico.
Ben vero, come sopra ricordato [70], l'istituto del silenzio assenso non è suscettibile di applicazioni nel sistema di amministrazione del paesaggio, giusta la primarietà ed assolutezza della tutela del paesaggio.
Pertanto, a differenza di quanto sostenuto da noti studiosi [71], si ritiene che non vi siano spazi per l'applicazione delle disposizioni generali sulla conferenza di servizi che riconducono all'assenza o alla mancata pronuncia dell'amministrazione (nel nostro caso la soprintendenza) i caratteri sostanziali dell'assenso.
Ne deriva che in assenza delle determinazioni della soprintendenza la conferenza di servizi si blocca [72] e l'autorità procedente sarà tenuta ad attendere il decorso del termine di 15 giorni per provvedere autonomamente, al di fuori della sede conferenziaria.
Ma quid iuris invece nel caso in cui la soprintendenza adotti una posizione non condivisa dall'ente territoriale? La questione ruota interamente su questioni di carattere dogmatico.
Se si considera il parere soprintendizio vincolante ed imprescindibile, salvi i casi di espressa disposizione legislativa contraria, è giocoforza concludere che la determinazione negativa della soprintendenza assume anche nel corso dei lavori della conferenza una precisa connotazione limitativa.
A questa conclusione sembra far propendere anche la circostanza, non secondaria, che vede la partecipazione alla conferenza delle due sole amministrazioni partecipanti al procedimento ordinario: in breve, ammettere la possibilità per l'ente territoriale di azionare il meccanismo di superamento di cui alla legge sul procedimento amministrativo, equivarrebbe, nel silenzio della legge, a depotenziare fortemente il potere decisionale dell'amministrazione statale.
La tesi diversa può invece essere sostenuta se si ritiene che l'indizione della conferenza di servizi sia idonea ad aprire una nuova fase procedimentale, in un certo senso autonoma e svincolata da quella che è terminata con l'inerzia della soprintendenza.
È questa la base teorica che può legittimare lo spostamento verso l'alto della decisione definitiva fondato sul potere decisorio del Consiglio dei ministri [73].
Giova, però, evidenziare che la dottrina sovente ha espresso i suoi dubbi sul meccanismo de quo, rilevando il rischio che "sotto dichiarate finalità di semplificazione ed ammodernamento dell'azione amministrativa, si celi piuttosto la volontà di determinare un diverso assetto degli interessi coinvolti rispetto a quello previsto dalla normativa".
Ed invero, non si può non fare proprio l'assunto secondo cui "quando la legge attribuisce ad un'amministrazione il potere di bloccare il procedimento (prevedendo ad esempio forme di silenzio rigetto o l'acquisizione di pareri vincolanti) è perché l'interesse pubblico curato da quella amministrazione è stato oggetto di una valutazione ex ante con cui il legislatore ne ha sancito la prevalenza rispetto agli altri. In questi casi, gli interventi di semplificazione possono costituire una pericolosa forzatura, rischiando di comportare il sacrifico dell'interesse primario a vantaggio di altri" [74].
4. Il regolamento di semplificazione per gli interventi di breve entità: il decreto del Presidente della Repubblica, 9 luglio 2010, n. 139.
Il decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139, noto come regolamento di semplificazione del procedimento autorizzatorio concernente interventi di minore impatto sui valori paesaggistici [75], rappresenta uno strumento importante nell'ottica del contemperamento della primaria esigenza di tutela del paesaggio con quelle di semplificazione dei procedimenti paesaggistici.
Il regolamento, emanato in attuazione del dettato del comma 9 dell'art. 146 [76], assume i caratteri di regolamento di delegificazione. Esso, infatti, realizza una degradazione della fonte giuridica, rendendo più agevole l'adeguamento della normativa alle mutevoli esigenze riscontrabili nella prassi [77].
Al di là di alcuni commenti enfatici [78] che celebrano il carattere innovativo del regolamento de quo, è ben vero che esso attua efficacemente i principi di snellimento e concentrazione dei procedimenti amministrativi senza però arrecare una menomazione alla salvaguardia dei beni paesaggistici.
Esso si inquadra in una politica che in senso ampio persegue la finalità di riformare organicamente l'intera disciplina autorizzatoria compresa quella in sanatoria. In altre parole, il regolamento per gli interventi di lieve entità assume le fattezze di un tassello di un più vasto quadro di razionalizzazione e snellimento della materia, al momento esaminabile solo de iure condendo [79].
Preliminarmente, giova chiarire l'ambito di applicazione della disciplina del presente regolamento.
Esso si applica a tutte le regioni a statuto ordinario, in forza della disposizione costituzionale attinente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela paesaggistica (art. 117, comma 2, lett. s); tale potestà rende pienamente legittima la delega operata dal comma 9 dell'art. 146 del Codice ad emanare regolamenti di delegificazione volti a disciplinare la procedura di autorizzazione secondo criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti.
È bene precisare, ancora, che il regolamento produce effetti cogenti anche nelle regioni a statuto speciale. Al riguardo la Corte costituzionale [80] ha disposto che nel regolamento semplificatorio si ravvisa l'esigenza (comune ai provvedimenti di semplificazione amministrativa, a prescindere dalla materia sulla quale vanno ad incidere) "di determinare i livelli essenziali concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, compreso quello delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome".
Ora, allo scopo di porre in essere un adeguato esame della nuova disciplina conviene osservare che essa si muove lungo le tre direttrici della semplificazione: documentale, procedurale ed organizzativa.
Il baricentro del sistema è rappresentato dall'elenco accurato di 39 tipologie di interventi ritenuti, in forza di una valutazione ex ante, non suscettibili di incidere in senso eccessivo sui beni oggetto di tutela.
Tra gli interventi principali si sottolineano:
- Incremento di volume non superiore al 10 % della volumetria della costruzione originaria e comunque non superiore a 100 mc, con esclusione degli interventi relativi alle zone territoriali omogenee " A" di cui all'art. 2 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, ed ad esse assimilabili, e agli immobili di cui all'art. 136, lettere a), b), e c).
- Interventi di demolizione e ricostruzione con il rispetto di volumetria e sagoma preesistenti su immobili non sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 136, comma 1, lettere a), b), e c) del d. lg. n. 42/04;
- Aperture di porte e finestre o modifica delle aperture esistenti per dimensione e posizione, nonché interventi sulle finiture esterne, con rifacimento di intonaci, tinteggiature o rivestimenti esterni, modificativi di quelli preesistenti; realizzazione o modifica di balconi o terrazze su immobili non sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 136, comma 1, lettere a), b), e c) del d.lg. n. 42/04;
- Realizzazione o modifica di autorimesse pertinenziali, collocate fuori terra ovvero parzialmente o totalmente interrate, con volume non superiore a 50 mc. compresi percorsi di accesso ed eventuali rampe;
- Realizzazione di tettoie, porticati, gazebo e manufatti consimili aperti su più lati, aventi una superficie non superiore a 10 mq;
- Realizzazione di manufatti accessori o volumi tecnici di piccole dimensioni;
- Interventi necessari al superamento delle barriere architettoniche, con la già vista esclusione per alcuni beni paesaggistici;
- Realizzazione o modifica di cancelli, recinzioni o muri di contenimento del terreno;
- Modifica di muri di cinta esistenti senza incrementi di altezza.
Ebbene, l'individuazione puntuale dell'ambito di applicazione del decreto di semplificazione è stata accolta positivamente dagli addetti ai lavori che ne hanno apprezzato la valenza rispetto alle esigenze di certezza ed uniformità della nuova normativa.
Parimenti apprezzata è stata la precisa definizione dei parametri di limitazione delle nuove disposizioni che, per molte fattispecie, non vengono in rilievo sia nel caso in cui gli interventi riguardino i beni paesaggistici individui, di cui alle lettere a) e b) dell'art. 136, o quelle di insieme ex lett. c) dell'art. 136 e sia ove il progetto involga le zone territoriali omogenee A previste dal d.m. 1444 del 1968 (vale a dire all'interno dei centri storici in senso urbanistico).
È necessario evidenziare che quest'ultimo criterio si presta ad una valutazione positiva per la maggiore protezione assicurata alle particolari categorie di beni sopra elencate, anche se, in verità, non appare ben determinata la ratio che giustifichi un trattamento differenziato rispetto agli altri beni paesaggistici.
Ed invero, sarebbe stato preferibile includere nell'ambito del presente regolamento tutti i beni paesaggistici, procedendo dall'altra parte ad escludere alcuni interventi, come quelli consistenti nell'incremento di volumetria, che non possono essere definiti a tutti gli effetti interventi minori [81].
Addivenendo alla disamina dei singoli profili di semplificazione, si segnala anzitutto la semplificazione documentale perseguita con la previsione di una relazione paesaggistica semplificata in deroga al dettato del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 dicembre 2005.
A tal proposito non si può fare a meno di rilevare, richiamando attenta dottrina [82], che la semplificazione documentale non tiene conto dei diversi aspetti positivi delle previsioni del d.p.c.m. 12 dicembre 2005 e per contro "rischia di generare incertezza e incompletezza nelle valutazioni".
Ed infatti, bisogna riconoscere che il decreto costituisce "una normativa tecnica di riferimento per le valutazioni di compatibilità paesaggistica", svolgendo, inoltre, attraverso l'indicazione dei criteri da rispettare per minimizzare l'impatto degli interventi, la funzione di "sollecitare ed orientare una progettazione paesaggisticamente consapevole".
Pertanto, sarebbe stato preferibile riformulare il testo, nel senso di renderlo più snello, alleggerito da quegli oneri documentali effettivamente sovrabbondanti.
V'è ancora da dire che la semplificazione documentale si intreccia fortemente con quella procedimentale per il tramite dell'introduzione dell'onere in capo all'istante di presentare un'attestazione di conformità urbanistica.
La presentazione della domanda di matrice urbanistica si ricollega ad uno dei maggiori aspetti innovativi del regolamento, ossia la concentrazione dei due procedimenti, quello urbanistico-edilizio e quello paesaggistico in un'unica sede, giusta la prerogativa dell'ente territoriale di esaminare l'istanza sotto il profilo urbanistico-edilizio e di respingerla con una pronuncia di improcedibilità allorché non ravvisi la sussistenza dei requisiti di conformità urbanistica.
In tale fase procedimentale si riscontra la concentrazione dei due procedimenti che trova la propria ragione nel fine di non gravare l'operato della Soprintendenza di oneri non ritenuti necessari e ragionevoli nelle ipotesi in cui la valutazione dei profili urbanistici non dia esiti favorevoli all'accoglimento delle richieste del privato [83].
Come attentamente rilevato in dottrina [84], la verifica preliminare di conformità urbanistico-edilizia non è idonea a porre in non cale la differenziazione fra tutela paesaggistica e governo del territorio. Essa, infatti, dà luogo unicamente alla concentrazione, ma non all'assorbimento dei due procedimenti che mantengono la propria autonomia. L'assorbimento sarebbe stato posto in essere qualora fosse stata attribuita all'ente territoriale la funzione di valutare l'opera sul piano paesaggistico-territoriale.
Ritornando alle diverse fasi che caratterizzano la procedura autorizzatoria semplificata, si rileva che ove la verifica di conformità urbanistica, ed ancora prima quella di screening sulla natura dell'intervento e sulla disciplina da applicare, si concluda positivamente, la regione, ovvero l'ente delegato nella generalità dei casi, esamina la compatibilità del progetto dal punto di vista paesaggistico.
A questo punto il regolamento contempla due diverse ipotesi a seconda che il giudizio dell'amministrazione competente in prima battuta sia positivo o negativo.
Anche nella procedura semplificata emergono così quelle variabili fasi procedimentali che, seppure con una configurazione differente, improntano il procedimento ordinario [85].
Diversi possono essere così i segmenti procedimentali e gli esiti; unica invariante è quella del termine accelerato per la conclusione dell'intero procedimento, pari a 60 giorni dal ricevimento dell'istanza (la quale può essere presentata, è bene evidenziarlo, in via telematica oppure tramite lo sportello delle attività produttive quando istituito).
Nel primo caso l'amministrazione competente trasmette alla soprintendenza una vera e propria motivata proposta di accoglimento della domanda.
Il soprintendente, se condivide la valutazione dell'amministrazione competente, esprime il suo parere vincolante favorevole entro 25 giorni dalla ricezione della documentazione. In tal caso l'amministrazione competente rilascia l'autorizzazione paesaggistica entro 5 giorni dalla ricezione del parere comunicando l'esito all'interessato.
A ben guardare, il regolamento di semplificazione non incide in questa ipotesi sulle fasi procedimentali che caratterizzano il procedimento ordinario.
A tal proposito in dottrina [86] è stato osservato che il mantenimento dell'iter ordinario è funzionale all'adozione del parere favorevole condizionato della soprintendenza.
In breve, l'attribuzione all'ente territoriale del potere di rilasciare il provvedimento finale renderebbe possibile la verifica, da parte dello stesso ente territoriale, del rispetto delle prescrizioni dettate dall'amministrazione preposta alla tutela.
Invero, la tesi non convince del tutto. I dubbi si prospettano non in merito all'utilità del parere con prescrizioni, fra l'altro sempre più diffuso nella prassi amministrativa, sebbene la giurisprudenza abbia escluso la sussistenza di un vero e proprio obbligo per la soprintendenza di indicare le prescrizioni tese a rendere l'intervento compatibile con il paesaggio tutelato [87].
Ed in verità, con riguardo alla valenza del parere favorevole condizionato, è doveroso precisare che esso favorisce la dialettica fra amministrazione e privato, contemperando la necessità di salvaguardare i valori paesaggistici con quella di non sacrificare le pretese del cittadino in maniera sproporzionata.
Diversamente, dell'aspetto procedimentale in esame si contesta l'inutilità del coinvolgimento dell'ente territoriale.
È di tutta evidenza che la verifica del rispetto delle prescrizioni ben può essere effettuata dalla stessa soprintendenza, anche nell'esercizio del potere di vigilanza di cui all'art. 155 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Anzi, a voler essere più precisi, si deve rilevare che siffatta verifica non può che essere effettuata dalla soprintendenza, se si considera che anche rispetto all'esplicazione di tale funzione non si può prescindere dalle competenze dell'amministrazione statale.
Per contro, qualora la soprintendenza non condivida la proposta di accoglimento formulata dall'amministrazione competente, adotta, sempre entro il termine di 25 giorni, il provvedimento di rigetto dell'istanza e delle eventuali osservazioni presentate dal richiedente comunicando l'esito all'interessato e all'amministrazione competente.
Due sono i punti degni di nota della norma involgente il dissenso dell'amministrazione statale.
Anzitutto, quello riguardante la funzione di adottare il c.d. preavviso di rigetto: essa viene giustamente attribuita alla Soprintendenza, non avendo alcun senso addossare il compito di comunicare i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza all'ente privo del potere sostanziale di decisione.
Ebbene, la novella legislativa concernente la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza va salutata con favore. Essa, infatti, supera le aporie del previgente regime caratterizzato dall'attribuzione all'ente territoriale della funzione di adottare il c.d. preavviso di rigetto [88].
A ben guardare, la precedente disciplina delineava una fase procedimentale che non teneva conto del potere sostanziale della soprintendenza ai fini della determinazione del contenuto del provvedimento finale.
Di qui un assetto procedimentale incerto, specie sotto il profilo della competenza a valutare le eventuali osservazioni presentate dai privati allo scopo di indurre le amministrazioni competenti a mutare, eventualmente, il contenuto della determinazione che si intendeva adottare.
La giurisprudenza era così intervenuta per chiarire che le osservazioni fatte pervenire dovessero essere oggetto, qualora avessero inteso contestare le motivazioni di natura paesaggistica contenute nel parere, di una autonoma valutazione da parte del soprintendente [89].
Ebbene, alla luce dell'attuale formulazione legislativa non residuano dubbi di sorta circa la competenza della soprintendenza a comunicare i motivi ostativi e a valutare le osservazioni prima di decidere compiutamente sull'istanza di autorizzazione paesaggistica.
Ora, dall'intervento chiarificatorio del legislatore, maggiormente attento al ruolo ricoperto dagli attori istituzionali nella procedura, deriva un evidente rafforzamento della valenza dell'istituto della comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10 bis della legge sul procedimento amministrativo.
Ed infatti, il coinvolgimento pieno dell'amministrazione che esercita la funzione decisoria favorisce il contraddittorio fra i soggetti, permettendo al privato di esporre le sue ragioni direttamente al soggetto istituzionale deputato a valutarle [90].
In merito a questa innovazione legislativa giova, inoltre, ricordare che la sua logicità ha trovato conferma nell'analoga scelta legislativa (con d.l. n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011) che ha toccato la procedura ordinaria.
In secondo luogo si evidenzia, fra gli aspetti salienti di questo segmento procedimentale, che, a ragione, il procedimento viene concluso dalla soprintendenza, ponendo fine, almeno per questa ipotesi procedimentale, alla pletorica scissione fra potere sostanziale ed imputazione formale degli effetti del provvedimento finale [91].
È ancora da ricordare che in caso di mancata espressione del parere vincolante del soprintendente entro il termine previsto "l'amministrazione competente ne prescinde e rilascia l'autorizzazione paesaggistica richiesta".
È d'uopo chiarire che la norma non introduce alcuna forma di silenzio-assenso; essa si limita a sanzionare, sulla falsariga del disposto dell'art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la prescindibilità dal parere, che è cosa ben diversa. L'inerzia dell'amministrazione statale non produce effetti sostanziali, ma si limita a spostare la fonte decisionale sul livello dell'attore istituzionale territoriale.
Come in precedenza posto in rilievo [92], le previsioni attinenti al silenzio, lungi dal poter essere considerate in qualche modo fisiologiche alla struttura procedimentale e, in senso più ampio, ai tratti tipici della tutela paesaggistica, si appalesano nella loro problematicità, essendo foriere di non pochi pericoli rispetto alla garanzia equilibrata degli interessi in gioco.
Non è invece contemplata l'indizione facoltativa della conferenza di servizi.
Il legislatore, mosso unicamente dalle esigenze di accelerazione procedimentale, non ha però considerato con la dovuta consapevolezza i risvolti positivi dell'istituto sotto il profilo della ponderazione degli interessi coinvolti nel procedimento.
Nel secondo caso, di valutazione paesaggistica contraria da parte dell'amministrazione competente, quest'ultima deve inviare apposita comunicazione al richiedente che ha 10 giorni per presentare eventuali osservazioni. Scaduto il termine di 10 giorni l'amministrazione competente, esaminate le osservazioni e qualora sia ancora contraria al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica rigetta la domanda entro i successivi 10 giorni. Entro 20 giorni dalla ricezione del provvedimento di rigetto l'interessato può presentare istanza motivata al soprintendente. Entro 30 giorni dall'istanza motivata presentata dal privato, il soprintendente decide in via definitiva, negando o concedendo l'autorizzazione paesaggistica.
Come chiarito in dottrina [93], il regolamento prevede in tal caso una peculiare figura di riesame: sulla valutazione negativa operata dall'ente territoriale può essere chiamata a pronunciarsi un'altra amministrazione, quella statale.
La formulazione regolamentare perseguirebbe la finalità di rendere meno gravoso l'operato della soprintendenza, garantendo al privato, allo stesso tempo, la facoltà di far valere le proprie ragioni innanzi all'amministrazione che nella sostanza esercita il potere decisorio [94].
Ebbene, la chiusura anticipata del procedimento al primo livello istituzionale, benché mitigata dall'eventuale riesame, non pare debitamente conformarsi alla peculiarità della materia e delle funzioni che in essa si esercitano. In particolare, non considera che la valutazione di compatibilità paesaggistica deve essere svolta, anche per gli interventi minori, dall'amministrazione statale.
Ciò per una pluralità di motivi. Come riconosciuto dalla giurisprudenza [95] in plurime occasioni, la valutazione di compatibilità paesaggistica è sostanzialmente differente da quella urbanistico-edilizia cui sono preposti i comuni. Essa si basa, infatti, su criteri tecnico- scientifici propri dell'ambito paesaggistico.
A tale aspetto si può aggiungere che l'opinabilità di tali criteri, specie nelle more dell'adozione delle prescrizioni d'uso, fa sì che la razionalità delle scelte che riguardano l'interesse paesaggistico resta legata "alla legittimazione (derivante dalla preparazione culturale, dalla formazione professionale, dall'inserimento istituzionale) del soggetto chiamato ad esercitare il potere ed alla sua capacità di argomentazione".
Orbene, negli enti preposti alla gestione del vincolo sembra ravvisarsi un vero e proprio deficit di tale legittimazione.
Infatti, "viene in discussione la preparazione degli operatori, e la dimensione territoriale, nonché organizzativa, dei comuni di piccolissima o piccola dimensione, ma anche l'adeguatezza intrinseca del comune (sotto il profilo dell'imparzialità e dell'assenza di conflitti di interesse derivanti dall'essere anche responsabili dello sviluppo economico delle collettività locali) ad esercitare le competenze autorizzatorie.
Per quanto concerne poi la semplificazione organizzativa, è d'uopo porre in evidenza il dettato dell'art. 5 del regolamento. La disposizione impone l'individuazione presso le soprintendenze di uno o più funzionari responsabili dei procedimenti semplificati.
Stabilisce inoltre la facoltà (ma forse sarebbe stato preferibile introdurre un obbligo stricto sensu) per le regioni, con autonomi atti normativi o di indirizzo, di promuovere le opportune iniziative organizzative da adottarsi dalle amministrazioni competenti al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche.
In conclusione, si può ben affermare che diversi sono gli aspetti positivi introdotti dal regolamento di semplificazione.
Nondimeno, si riscontra un rilevante punctum dolens, suscettivo di pregiudicare l'efficacia dei tre fasci di semplificazione delineati, nella clausola di invarianza finanziaria di cui all'art. 7 che stabilisce che "dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; le amministrazioni interessate provvedono all'attuazione delle disposizioni del presente decreto con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente".
Ebbene, pur non essendo questa la sede più adeguata per discorrere sul tema, è tuttavia doveroso rilevare che la c.d. spending rewiew non può condurre alla paralisi dell'azione dei pubblici poteri; in breve, se è vero che essa è necessaria ai fini del riordino dei conti pubblici, è altrettanto vero che essa deve essere attuata razionalmente, tenendo a mente che la stessa semplificazione amministrativa non può a fare a meno di quelle spese indispensabili per dotare l'amministrazione delle congrue risorse umane e strumentali.
4.1. Lo schema di decreto di modifica del d.p.r. 139/2010
In conclusione al presente lavoro appare doveroso far cenno allo schema di decreto di modifica del d.p.r. 139 del 2010: tale schema è stato oggetto di deliberazione preliminare da parte del Consiglio dei ministri in data 22 dicembre 2012, ha visto in data 25 gennaio 2013 l'intesa in sede di conferenza unificata ed ha ricevuto il parere favorevole da parte del Consiglio di Stato [96] in data 13 marzo 2013. Si attende ora, ai sensi del comma 2 dell'art. 17 della legge 400 del 1988, id est la disciplina inferente i regolamenti di delegificazione, il parere delle commissioni parlamentari competenti in materia.
È questo l'ultimo step prima della deliberazione definitiva da parte del Consiglio dei ministri e l'emanazione del decreto da parte del Presidente della Repubblica.
Diversi sono gli aspetti rilevanti del decreto sia sotto il profilo modificativo che sotto il profilo integrativo della regolamentazione precedente.
In primo luogo, il nuovo regolamento interviene sulla disposizione art. 1 comma 2 del d.p.r. 139/2010 concernente la possibilità di apportare modificazioni e specificazioni alla disciplina oggetto del regolamento.
Alla luce dell'innovazione apportata dal decreto di modifica in futuro sarà necessario realizzare un concerto fra le amministrazioni statali chiamate ad esprimersi sulle modifiche (ossia il ministero per i beni culturali, ambiente ed infrastrutture).
Tale concerto dovrà essere preceduto dall'intesa con la conferenza unificata, come già stabilisce il vigente comma 2.
Con riguardo alla semplificazione documentale lo schema del decreto di modifica non muta le prescrizioni concernenti il contenuto della relazione paesaggistica semplificata in ordine agli aspetti paesaggistici.
Vengono, invece, poste in essere delle modifiche rispetto alle attestazioni di conformità urbanistico-edilizia del progetto. Lo schema del regolamento in questione ritiene sufficiente la sola attestazione di conformità urbanistica da parte del tecnico abilitato, considerando dall'altra parte pleonastica l'inclusione, nei casi in cui competente alla gestione del vincolo non sia il comune, nella relazione paesaggistica dell'attestazione di conformità urbanistica rilasciata da parte del comune territorialmente competente, ovvero della asseverazione di cui al d.p.r. n. 380 del 2001 con riguardo alla dichiarazione di attività.
V'è ancora da sottolineare la decisione di chiarire gli effetti derivanti dalla mancata integrazione della documentazione da presentare a corredo dell'istanza. Lo schema di regolamento precisa che in tale evenienza l'istanza è dichiarata improcedibile.
Con riferimento agli aspetti procedurali è da evidenziare con favore la scelta di rapportare le valutazioni di conformità paesaggistica anche alle prescrizioni d'uso dei paesaggistici semplicemente adottati. La misura ha carattere precauzionale ed anticipatoria, essendo volta ad evitare che, nelle more dell'approvazione dei piani, le amministrazioni compiano delle valutazioni in difformità dal dettato dei medesimi.
La modifica più rilevante è quella però che si sostanzia nella soppressione del comma 5 involgente la facoltà del privato di adire la soprintendenza ove l'ente preposto al rilascio dell'autorizzazione rigetti la domanda. Invero, l'abrogazione di questa sorta di procedura di riesame non pare pienamente meritevole di apprezzamento. Ciò in quanto essa sacrifica all'altare dell'accelerazione dei procedimenti il diritto del privato di fare esaminare la propria istanza dall'amministrazione realmente munita delle necessarie competenze tecniche. Indi, sarebbe stato preferibile, quanto meno, circoscrivere l'abolizione del riesame all'ipotesi di manifesta infondatezza dell'istanza.
Infine, si pone in evidenza la soppressione della disposizione che espressamente esclude l'indizione facoltativa della conferenza di servizi. Ci si chiede se l'abrogazione della norma sia finalizzata a far venir meno qualsivoglia possibilità di interpretazione in senso contrario (ed è questa la lettura più plausibile) ovvero se essa miri, piuttosto, a rendere ammissibile l'istituto conferenziario.
Per fare chiarezza sul punto sarà necessario esaminare i lavori della commissione di studio e delle commissioni parlamentari che si pronunceranno sul decreto.
V'è poi da ricordare che, con riguardo alle tipologie di interventi costituenti l'ambito di applicazione del regolamento di semplificazione, nel novero degli stessi sono introdotte anche le varianti leggere in corso d'opera [97]. L'innovazione va accolta con favore, viste anche le incertezze sul regime delle varianti dovute alla mancanza di disposizioni sul tema.
All'esito di questo lavoro è giocoforza concludere che la complessità della materia condiziona in maniera decisiva ogni forma di semplificazione.
Come già diffusamente segnalato nelle pagine precedenti, un rilevante fattore frenante l'efficacia delle misure di semplificazione è rappresentato dalla sussistenza di una vera e propria labirintica segmentazione di competenze tra amministrazione statale da una parte ed enti territoriali dall'altra.
L'intricata sovrapposizione di poteri - che si configura come la cartina di tornasole delle lacune riscontrabili nell'iter che ha condotto all'istituzione delle regioni a statuto ordinario e in seguito allo sviluppo dell'autonomia regionale per il tramite della novella del Titolo V della parte II della Costituzione -genera un lacerante conflitto di competenze che indebolisce i pubblici poteri deresponsabilizzando e depotenziando le amministrazioni.
A ben guardare, la distribuzione della materia su diversi livelli istituzionali rappresenta in molti casi un ostacolo insormontabile alla certezza dei tempi procedimentali e provvedimentali e alla prevedibilità - a cui ogni soggetto di diritto è interessato - dell'azione amministrativa.
Un altro rilevante ostacolo è poi riscontrabile nella richiamata questione inerente alla nozione giuridica di paesaggio: tale questione propaga i suoi effetti sull'assetto di competenze degli attori istituzionali, contribuendo a rendere ancora più nebuloso il quadro in cui porre in essere gli interventi di semplificazione.
Ebbene, in tale complesso contesto si sono inserite le recenti scelte legislative di semplificazione che hanno inciso notevolmente sul procedimento autorizzatorio.
A ben guardare, le innovazioni degli ultimi anni destano rilevanti perplessità in ordine alla sostenibilità rispetto alla garanzia dell'interesse paesaggistico.
Ed infatti, in una direzione antitetica all'istanze di tutela si muovono diverse previsioni relative al complessivo assetto procedimentale.
Si ha riguardo, in particolar modo, alla prescindibilità del parere della Soprintendenza: la relativa disposizione, costituente una sorta di reazione sanzionatoria al comportamento omissivo dell'amministrazione fa proprie le esigenze di accelerazione procedimentale in termini puramente quantitativi. In breve, nell'esautorare le soprintendenze da ogni prerogativa, la norma omette di considerare che la semplificazione paesaggistica non può - e non deve - essere svincolata dal rigoroso perseguimento dell'interesse pubblico paesaggistico.
Analogamente, è lecito prospettare più di un dubbio sulle modifiche apportate - specie con il d.l. 31 maggio 2010, n. 78 convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122 - alla conferenza di servizi.
Invero, le novelle legislative riducono drasticamente lo spazio di rilevanza di interesse paesaggistico, "dequotando in materia l'istituto della conferenza di servizi da meccanismo di compensazione, in grado di contemperare l'esigenza di un'accurata valutazione degli interessi in gioco, da un lato, e l'esigenza di non aggravio del procedimento, dall'altro, a modulo organizzatorio più generalmente finalizzato allo snellimento procedurale in funzione unicamente della garanzia di un risultato in tempi certi" [98].
Ed ancora, non si condivide il progetto normativo di rendere meramente obbligatorio il parere della Soprintendenza in seguito alla conclusione del complesso iter di vestizione dei vincoli e di adeguamento alle prescrizioni d'uso degli strumenti urbanistici.
In particolare, vengono in rilievo due aspetti critici del futuro regime di autorizzazione paesaggistica.
In primo luogo, è giocoforza sollevare più di un dubbio sull'adeguatezza delle prescrizioni d'uso a garantire un'attenta gestione del vincolo paesaggistico. In buona sostanza, vi è il rischio, per quanto attenuato dalla verifica del ministero per i Beni e le Attività culturali, che siano dettate prescrizioni che permettano una trasformazione disinvolta dei beni paesaggistici.
Ed inoltre, in ogni modo, v'è da dire che la redazione delle prescrizioni d'uso non legittima lo svilimento delle funzioni della soprintendenza, ma anzi ne rende necessaria un'implementazione: le prescrizioni rischiano infatti di restare lettera morta, in assenza di un controllo di compatibilità paesaggistica da parte delle strutture competenti.
A severe critiche si presta poi la prassi della semplificazione e della liberalizzazione riscontrabile in ambito urbanistico-edilizio: negli ultimi anni essa si è sostanziata nell'incremento dell'uso del silenzio assenso e nell'introduzione, in luogo della dichiarazione di inizio attività, della segnalazione certificata di inizio attività, ovvero una sorta di autocertificazione in base alla quale il privato può immediatamente iniziare l'attività oggetto della segnalazione.
Si potrebbe obiettare che tali istituti hanno un risvolto unicamente sul piano urbanistico, non potendo in alcun modo rilevare nelle zone soggette a vincolo paesaggistico.
In realtà è d'uopo fare una precisazione: se è vero che i due ambiti - quello urbanistico e quello paesaggistico - sono distinti nettamente ed anche opportunamente (onde assicurare un'accurata valutazione degli impatti paesaggistici di qualsivoglia uso del territorio), è altrettanto manifesto che sul piano fattuale l'ambito dell'attività edilizia è sempre unico.
Per essere più chiari, se è vero che il regime di efficacia giuridica della tutela concerne determinati ed individuati beni paesaggistici, è altrettanto innegabile che la tutela paesaggistica può spiegare a pieno la sua valenza solo se considera il territorio nella sua unitarietà. In mancanza si avrebbe una tutela frammentata del tutto inidonea a garantire la conservazione dei valori paesaggistici.
Paesaggio e territorio che dal punto di vista giuridico possono anche costituire due settori distinti ai quali applicare normative differenti, dal punto di vista fattuale danno vita pur sempre ad una realtà unitaria.
Pertanto la semplificazione edilizia, esiziale in quanto rinfocola gli egoismi proprietari e determina un surplus della domanda di edificazione, esplica i suoi effetti deleteri anche sul paesaggio.
Al riguardo Giuseppe Galasso, uno dei maggiori artefici delle disposizioni di tutela attualmente vigenti nel nostro ordinamento, ha sottolineato che "l'applicazione della Scia (Semplificazione certificata di inizio attività) al territorio non vincolato infligge un colpo mortale all'idea della pianificazione paesaggistica, e capovolge la logica del Codice, riproponendo il muro-contro-muro fra vincolo e piano, fra paesaggio ed urbanistica. Si perpetua inoltre il dissennato divorzio fra paesaggio ed ambiente: infatti la Scia può essere impunemente applicata nelle aree senza vincolo paesaggistico, ma ambientalmente sensibili, per esempio nelle zone sismiche o nelle zone insalubri, dove insediamenti industriali a rischio, depositi di carburante e così via, potranno essere ampliati a dismisura senza il minimo controllo" [99].
Riflessioni similari possono essere effettuate nell'analisi del c.d. piano casa che nelle sue tormentate vicende ha spinto le regioni a legiferare in senso derogatorio alle disposizioni legislative, agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti [100].
Ed ancora, è lecito porre in rilievo più di un dubbio sul disegno di riforma dell'art. 41 Cost., ispirato ad una smodata liberalizzazione delle attività dei privati per il tramite del sempre maggiore ricorso alle autocertificazioni [101].
Ora, alla luce della presente analisi non si può non ritenere necessario un profondo mutamento delle politiche di semplificazione in ambito paesaggistico.
Esse non possono essere sviluppate autonomamente rispetto ai caratteri peculiari della materia, ed in particolare a quell'ulteriore - e decisivo - fattore frenante la semplificazione, che può essere rinvenuto nei già visti caratteri di assolutezza e primarietà della tutela del paesaggio.
Ed infatti, la presenza di un interesse sensibile, costituzionalmente tutelato e tendenzialmente non suscettibile di bilanciamento, incide in radice sulla stessa configurazione, sullo stesso modo di intendere la semplificazione paesaggistica.
Essa non deve mirare non alla quantità, ma alla qualità della regolazione, qualità "intesa in senso formale come chiarezza, intellegibilità, accessibilità alla disciplina, ma anche in senso sostanziale come presenza di buone regole" [102].
È questa la chiave di lettura che va data ad ogni forma di semplificazione nella legislazione paesaggistica.
Pertanto, la semplificazione è incompatibile con i valori portanti del sistema di amministrazione del paesaggio ove tenda esclusivamente alla soppressione di procedure, e più in generale, ad interventi di eliminazione dell'attività amministrativa [103]. "La tutela del paesaggio è missione complessa, che di per sé mal sopporta semplificazioni generalizzate" [104].
Come lucidamente evidenziato, il rimedio all'inefficienza della pubblica amministrazione non è la deregulation "che genera più problemi di quanti non ne risolva. Dovrebbe essere (come in altri paesi europei) la certezza e stabilità del quadro normativo, la fissazione di regole ferree e chiare e l'offerta al cittadino di interlocutori istituzionali competenti e motivati, in grado di fornire risposte univoche e precise" [105].
In altri termini, sarà doveroso orientare le future misure legislative verso l'indirizzo guida fondamentale di semplificazione ragionevole, sostenibile rispetto alla primaria tutela del paesaggio. Ed in questa direttrice deve collocarsi il maggior ricorso alla conferenza di servizi, previa revisione legislativa che realizzi un contemperamento più equilibrato fra potenziamento del ruolo decisorio dell'istituto e mantenimento - nonché implementazione - della funzione di strumento dialettico di ponderazione di interessi.
Infine, the last but not the least, perhaps the first, è necessario, ai fini dell'attuazione dell'auspicata semplificazione ragionevole, che il legislatore unisca alla razionalizzazione normativa operata a monte - anche attraverso gli strumenti che favoriscono la condivisione delle scelte (su tutti le Conferenze fra Stato ed enti territoriali e gli accordi fra amministrazioni) - interventi organizzatori a valle concernenti lo stesso esercizio in concreto delle funzioni.
Ciò in quanto l'effettivo grado di tutela paesaggistica - da non cui non può prescindere qualsivoglia intervento di semplificazione - dipende dall'adeguatezza delle strutture amministrative che vi sono preposte [106].
Note
[1] Per sistema di amministrazione di paesaggio si intende il complesso oramai organico delle funzioni di tutela del paesaggio e fruizione del territorio. Sul punto si veda P. Marzaro, L'amministrazione del paesaggio, profili critici ricostruttivi di un sistema complesso, Torino, 2011.
[2] Autorevole dottrina di M.R. Spasiano, Commento all'art. 146 in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2006; G.D. Comporti, L'autorizzazione paesaggistica: i rischi di isolamento in Codice dei beni culturali e del paesaggio fra teoria e prassi, a cura di V. Piergigli e A.L. Maccari, Milano, 2006, definisce l'autorizzazione paesaggistica "istituto cardine" del diritto del paesaggio. Sul tema si veda infra, pag. 15 ss.
[3] Parla di "attenzione divenuta martellante" e di una "vulgata dominante" contrassegnata da un indiscriminato favor per ogni forma di semplificazione, ma ove siano stati messi da parte i profili di criticità M.P. Chiti, Semplificazione delle regole e semplificazione dei procedimenti: alleati o avversari?, in Foro. amm. - C.d.s., 2006, 3, pag. 1057 ss.
[4] Così B. Carotti, E. Cavalieri, La nuova semplificazione, Ipsoa, 2009 e A. Greco, La semplificazione nell'ordinamento democratico, in Federalismi.it, 2009.
[5] Sui profili storici della semplificazione si veda B. Carotti, E. Cavalieri, op. cit. Nel testo è ricostruita l'evoluzione delle misure di semplificazione con particolare attenzione alle principali tappe del processo di riforma del sistema amministrativo. Ebbene, è indubbio che il rapporto sui principali problemi dell'amministrazione dello Stato, redatto nel 1979 da Massimo Severo Giannini, allora ministro della Funzione Pubblica, ha rappresentato con il suo approccio di ampio respiro una pietra miliare nella strada verso la semplificazione. Esso infatti segnalava l'opportunità di procedere ad interventi di delegificazione e di semplificazione procedimentale nell'ambito di una azione diuturna e perseverante, nella prospettiva di un ripensamento generale della posizione delle amministrazioni statali. Gli anni '90 hanno segnato poi la stagione del grande sviluppo della semplificazione amministrativa, perseguita con portata generale anzitutto della legge 7 agosto 1990, n. 241 sotto i profili della struttura del procedimento, dell'inerzia dell'amministrazione e dei rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione. Come acutamente osservato (L. Torchia, Tendenze recenti della semplificazione amministrativa, in Dir. amm., 1998, 3-4, pag. 385 ss.) a seguito della legge sul procedimento amministrativo la semplificazione non consiste più soltanto di specifiche misure ma anche di strumenti propri applicabili a qualsiasi settore e a qualsiasi materia. Successivamente, la legge 24 dicembre 1993, n. 537, emanata nel corso del governo tecnico di Ciampi, ha proseguito sulla strada della semplificazione imperniandola sull'uso dei regolamenti di delegificazione al fine di riorganizzare molteplici procedure amministrative. Ad essa ha fatto seguito la legge 15 marzo 1997, n. 59, c.d. Legge Bassanini che ha istituzionalizzato la semplificazione attribuendo al governo il compito di presentare annualmente un disegno di legge per la semplificazione e il riassetto normativo.
[6] Sul concetto di de-amministrativizzazione quale strumento di semplificazione consistente nel sottrarre intere attività alle regole amministrative, si veda S. Amorosino, Achille e la tartaruga, Semplificazione amministrativa e competitività del "sistema Italia", Milano, 2006.
[7] In argomento si veda A. Natalini, Le semplificazioni amministrative, Bologna, 2002.
[8] Per un'attenta trattazione dei rapporti fra semplificazione e garanzia dell'interesse paesaggistico si veda P. Marzaro, op. cit.
[9] Su tale tema si veda infra, pag. 15.
[10] Parla di fattori frenanti la semplificazione T. Bonetti, Semplificazione amministrativa e competitività del sistema paese, in Riv. trim. dir. pubbl., 2008, 1, pagg. 173-200.
[11] Per dirla con Settis, "l'intrico normativo e la segmentazione delle competenze (...) creano un'area grigia sempre più vasta in cui l'incertezza del diritto non solo genera conflitti di interessi ed estende lo spazio dell'interpretazione, ma legittima e promuove l'arbitrio del singolo" (S. Settis, Paesaggio Costituzione Cemento, La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile, Torino, 2010).
[12] A. Natalini, Il tempo delle riforme amministrative, Bologna, 2006. In proposito si cfr. anche E. Casetta, Le difficoltà di semplificare, in Dir. amm., 1998, 3-4, pag. 335 ss., secondo cui è necessario tener conto del fatto che "l'articolazione del procedimento in fasi riflette il suo significato di momento di evidenziazione, compensazione e confronto fra interessi ed esigenze differenti".
[13] Diffusamente sull'argomento si veda G. Arena, Semplificare: un processo complicato, in Studi del Formez, 2007.
[14] Per un accurato esame del rapporto fra semplificazione ed assetto di competenze delle amministrazioni si veda L. Casini, L'equilibrio degli interessi nel governo del territorio, Milano, 2005.
[15] In proposito P. Carpentieri, Semplificazione e tutela del paesaggio, in Riv. giur. urb., 2009, 1-2, pagg. 156-174.
[16] Così P. Carpentieri, Regime dei vincoli e convenzione europea, in Convenzione europea del paesaggio, a cura di G.F. Cartei, Bologna, 2007. A parere dell'autore la tutela del paesaggio integra gli estremi di una materia meritevole di un regime giuridico speciale e diverso da quello urbanistico-edilizio.
[17] Così S. Settis, op. cit., secondo cui "la Repubblica che tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico non può coincidere con ciascuna delle regioni senza scardinare la necessaria unità dei valori e delle pratiche di tutela per la nazione come insieme inscindibile".
[18] Sull'argomento, e in particolare sulle diverse letture della Convenzione europea del paesaggio, si cfr. G.F. Cartei (a cura di), Convenzione europea del paesaggio, cit.
[19] Pertanto non sembra evincersi il rischio, tipico dei casi contrassegnati dalla presenza di più livelli di governo, che non sia chiara l'attribuzione delle competenze in ordine all'adozione delle misure di semplificazione. Ciononostante, permane pur sempre la necessità di garantire il coordinamento e la sintonia fra i soggetti istituzionali coinvolti onde evitare conflitti ed invasioni di campo. Sull'argomento si veda A. Natalini, Le semplificazioni amministrative, cit.
[20] A norma dell'art. 117, comma 2, lett. s), Cost., lo Stato ha legislazione esclusiva nella tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali (sul dibattito inerente all'inquadramento della materia paesaggistica nelle previsioni di cui alla lett. s) si veda P. Carpentieri, La nozione giuridica di paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, 2, pagg. 363-424). Ancora, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 e 5 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e s.m.i le funzioni di tutela sono in via preminente attribuite allo Stato che le esercita per il tramite del ministero per i Beni e le Attività culturali, mentre le regioni e gli altri enti territoriali sono chiamati alla cooperazione nell'esercizio delle medesime funzioni.
[21] Cfr. Corte cost., 10-17 Marzo 2010, n. 101.
[22] In termini P. Marzaro, op. cit. e G. Sciullo, La semplificazione fra riforme istituzionali e reingegnerizzazione delle amministrazioni, in La semplificazione nelle leggi e nell'amministrazione: una nuova stagione, a cura di G. Sciullo, Bologna, 2008.
[23] Si pensi alla potestà delle regioni di disciplinare l'attività delle commissioni locali per il paesaggio nel procedimento autorizzatorio. È evidente che una disciplina eccessivamente macchinosa a tale riguardo rischia di vanificare la certezza dei tempi procedimentali e quindi di appalesarsi antitetica rispetto alle auspicate misure di snellimento.
[24] T. Bonetti, Semplificazione amministrativa e competitività del sistema paese, cit.
[25] Sull'argomento si vedano S. Amorosino, Achille e la tartaruga, cit. e B. Carotti e E. Cavalieri, op. cit., secondo cui "per essere efficaci, infatti, le semplificazioni non possono consistere esclusivamente in interventi puntuali volti alla rimozione di specifici elementi di complessità burocratica, ma devono piuttosto assumere la fisionomia di una politica portata avanti con continuità; devono diventare, insomma, un modo di amministrare. Ciò è tanto più vero quanto più si consideri che l'ordinamento giuridico non è un'entità statica e cristallizzata, che può essere semplificata una tantum, quanto piuttosto una realtà in continua evoluzione, nella quale quotidianamente sono introdotti nuovi interessi e nuovi elementi di complessità".
[26] G. Arena, op. cit.
[27] Sugli strumenti organizzativi di raccordo con il livello centrale si vedano G. Sciullo, La legge di semplificazione 2005, in Giorn. dir. amm., 2006, 4, pagg. 367-373 e A. Natalini, Le semplificazioni amministrative, cit.
[28] A. Natalini, op. cit. È utile ricordare che attraverso gli accordi organizzativi le amministrazioni migliorano il grado di coordinamento fra loro, riducono i costi attraverso l'eliminazione delle duplicazione delle attività, diminuiscono gli oneri burocratici per l'utente. Gli accordi agiscono dunque nel senso di favorire le scelte concordate fra le diverse amministrazione competenti; pertanto essi possono essere utilizzati sia in senso immediato per razionalizzare i processi decisionali eliminando fasi procedurali inutili e prevenendo conflitti sia ex ante per favorire una leale cooperazione in ordine alla determinazione dei progetti di semplificazione e all'individuazione delle modalità attuative.
[29] Sull'argomento si veda S. Amorosino, La governance e la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni dopo il secondo decreto correttivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio (n.d.r. La nuova disciplina del paesaggio: commento alla riforma del 2008), in Riv. giur. urb., 2009, pagg. 99-113. Lo studioso denuncia le amputazioni subite, a causa del dissenso delle regioni, dallo schema del decreto correttivo predisposto dalla commissione presieduta dal Prof. Settis. Dalle modifiche è derivata, a parere dell'autore, una vera e propria eterogenesi del fine, ossia del rafforzamento della tutela.
[30] Così S. Amorosino, Achille e la tartaruga, cit.
[31] Sul tema si veda anche P.F. Ungari, il regolamento di semplificazione e le problematiche rimaste insolute, in Riv. giur. urb., 2011, 1, pagg. 45-61.
[32] In termini si veda P. Carpentieri, Semplificazione e tutela: un binomio difficile, in www.Treccani.it, secondo cui "la disciplina della materia ambientale, negli ultimi tempi più che mai, è stretta tra due spinte riformatrici in parte contraddittorie: da un lato la spinta (soprattutto di matrice comunitaria) nella direzione del completamento (attraverso diversi atti di recepimento) del quadro giuridico di riferimento e del potenziamento degli strumenti di tutela verso obiettivi di qualità ambientale sempre più ambiziosi; dall'altro l'imperativo assoluto della crescita che, attraverso numerosi interventi, per lo più in sede di decretazione d'urgenza, decostruisce e rimette in discussione il sistema, mirando ad obiettivi di semplificazione".
[33] Si veda sempre P. Carpentieri, Regime dei vincoli e convenzione europea, cit. Sul punto si riporta a quanto già accennato a pag. 1.
[34] Sulla natura del vincolo di conservazione secondo Massimo Severo Giannini, si veda Ambiente: Saggio sui diversi suoi aspetti giuridici in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, pag. 15 ss.
[35] Cfr. D. Sandroni, Commento all'art. 146 in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di R. Tamiozzo, Milano, 2005. A parere dell'autrice "è indubbio che l'art. 146 (disposizione sull'autorizzazione paesaggistica, n.d.r.) insieme all'art. 143 relativo al piano paesaggistico, costituisca il nucleo centrale del Codice rispetto alla gestione del paesaggio, il complesso delle regole che presiedono allo sviluppo sostenibile".
[36] Sul tema si vedano T. Alibrandi, P.G. Ferri, Appendice, cit. e G. Torregrossa, La tutela del paesaggio nella legge 8 agosto 1985, n 431 (c.d. legge Galasso), in Riv. giur. ed., 1986, 2, pagg. 187-194; G. Famiglietti, V. Giuffrè, Il regime delle zone di particolare interesse ambientale, Napoli, 1989. Già secondo tali autori "lo statuto dei beni vincolati a fini paesaggistici e paesistico-ambientali è storicamente caratterizzato non da un divieto assoluto di trasformazioni ma dal controllo della compatibilità di quelle progettate con l'esistenza del vincolo stesso". Sulla dinamicità della tutela del paesaggio si veda poi la relazione ministeriale di accompagnamento a quella che sarebbe diventata la legge n. 1497 del 1939. Tale relazione assume indubbiamente caratteri antesignani rispetto al futuro modo di intendere le funzioni tutorie.
[37] Sulla nozione di funzione si veda C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo (a cura di), Diritto e gestione dei beni culturali, Bologna, 2011. Secondo gli autori le funzioni si sostanziano nei complessi di attività il cui tratto caratterizzante è costituito dalle finalità generali che l'ispira e che pertanto conferisce a ciascuno di essi un dato di unità.
[38] Al riguardo si veda l'art. 3 del Codice dei beni culturali e del paesaggio che recita: "la tutela consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione. L'esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale".
[39] Si veda ancora l'art. 3 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
[40] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2008, n. 2122.
[41] La dinamicità della tutela posta in essere attraverso il procedimento autorizzatorio si rivela nella facoltà attribuita al Soprintendente dal regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357 di emanare apposite prescrizioni in sede di rilascio del titolo. Ai sensi dell'art. 16, tuttora vigente, "il regio Soprintendente prima di provvedere sui progetti di lavori presentatigli ai termini del precedente articolo può consigliare quelle modificazioni le quali valgono a ottenere che movimenti e valori di masse, effetti di chiaro scuro, importanza e distribuzione di elementi decorativi, rapporti di colore armonizzino le nuove o rinnovate costruzioni con l'ambiente in cui esse debbano sorgere. Egli può consigliare altresì norme particolareggiate sulla vegetazione da introdurre come elemento sussidiario dell'architettura".
[42] È opportuno ricordare che più volte (da ultimo si veda Corte cost., 24 ottobre-7 novembre 2007, n. 367) la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto alla tutela del paesaggio la natura di valore costituzionale primario ed assoluto. Sul concetto di assolutezza, da interpretarsi non come incommensurabilità, ma come indisponibilità per la scelta delle maggioranze politiche, nell'ottica della necessità di garantire la centralità del livello statale di tutela, si veda P. Carpentieri, Semplificazione e tutela del paesaggio, cit.
[43] P. Carpentieri, ibidem.
[44] Sul punto si veda supra pagg. 1-8.
[45] Fra i testi di denuncia dei quotidiani danni arrecati al paesaggio dal c.d. partito del cemento non si può non segnalare S. Settis, op. cit.
[46] In merito agli aspetti critici della procedura autorizzatoria previgente si veda R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, Guida ragionata, Milano, 2009.
[47] La dottrina (S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, Bari, 2011) denuncia al riguardo l'ineffettività della tutela del paesaggio, sottolineando che "il potere di annullamento, da parte del soprintendente, delleautorizzazioni rilasciate dai comuni - che era previsto in via transitoria, fino al 31 dicembre 2009, dall'art. 159 del Codice - era limitato ai soli motivi di legittimità, in quanto l'organo statale non poteva sindacare le scelte di merito compiute a livello locale; per di più era un potere esercitato assai raramente, 3 % dei casi, perché impegnava e responsabilizzava la Soprintendenza (ad esempio, sarebbe da accertare quanti nulla osta, rilasciati dai comuni turistici, sono stati annullati dalle rispettive Soprintendenze)". L'autore inoltre rileva che "il più delle volte i giudici amministrativi - Tar e Consiglio di Stato - annullano i già rari provvedimenti della soprintendenza di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche, con la motivazione che essi sono fondati su valutazioni di merito della compatibilità dell'opera con la tutela del paesaggio (valutazioni precluse ai soprintendenti, che spesso sono gli unici competenti). La conseguenza di questi fattori è che, statisticamente, le autorizzazioni paesaggistiche, rilasciate dai comuni o dalle province, che vengono annullate dalle Soprintendenze (e il cui annullamento è confermato dai giudici amministrativi) sono pochissime, sicuramente meno del 1 % totale".
[48] Cfr. D. Sandroni, Commento all'art. 146, cit; G. Ciaglia, La nuova disciplina del paesaggio, tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici dopo il d.lgs. n. 63/2008, Milanofiori Assaggo, Ipsoa, 2009. I testi segnalati citano il consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cons. Stato, Ad. Pl., 14 dicembre 2001, n. 9; Cons. St., sez. VI, 20 ottobre 2000, n. 5651; Cons. St., sez. VI, 3 novembre 1999, n. 1693; Cons. St., sez. VI, 6 ottobre 1998, n. 1348; Cons. St., sez. VI, 20 novembre 1998, n. 1581) secondo il quale l'autorizzazione regionale non abiliterebbe alla costruzione in quanto non potrebbe essere considerato atto perfetto e autonomo da quello, solo eventuale, del ministero competente; ciò dal momento che "il potere ministeriale non interviene a comprimere, come avviene normalmente per i provvedimenti di secondo grado, una situazione soggettiva che si era pienamente realizzata, ma piuttosto coopera in termini negativi (cioè come non annullamento) alla rimozione degli originari ostacoli giuridici".
[49] Sulla conferenza di servizi, cfr. infra, pag. 17 ss.
[50] Così P. Marzaro, op. cit.
[51] Sul punto si veda infra, pagg. 17 e 18. In dottrina si cfr. F. Cangelli, La disciplina procedimentale dell'autorizzazione paesaggistica: l'impatto delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 28 marzo 2008, n. 63, in Riv. giur. urb., 2009, 1-2, pagg. 175-218.
[52] Per un'approfondita disamina della norma in questione si veda D. Antonucci, Codice commentato dei beni culturali e del paesaggio, Napoli, 2009. È bene precisare che, se è vero che la disposizione non rappresenta una novità assoluta, considerato che nella versione codicistica precedente si riconosceva al potere sostitutivo ministeriale anche la possibilità di riguardare le proposte di integrazione delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico già emanate, è altrettanto vero che la previsione espressa di un vero e proprio obbligo da adempiere entro un termine perentorio rispetto alla posizione delle regioni sanziona cristallinamente la rilevanza dell'integrazione dei vincoli preesistenti, offrendole immediata effettività (in termini P. Marzaro, op. cit.).
[53] Particolarmente caustico in dottrina è S. Amorosino (La governance e la tutela del paesaggio fra Stato e regioni, cit.), a parere del quale "non è necessaria l'analisi di impatto della regolazione per aver chiara l'inattuabilità pratica dell'art. 141-bis, il quale impone di rivestire i vincolo ignudi (a tutt'oggi la quasi totalità). Tale disposizione - data l'estrema gracilità strutturale degli uffici regionali e statali preposti alla tutela e valorizzazione del paesaggio - è destinata ad essere inattuata ed è una classica norma manifesto, o una grida di manzoniana memoria".
[54] Così P. Carpentieri, Semplificazione e tutela del paesaggio, cit.
[55] P. Marzato, op. cit.
[56] È bene segnalare che parte della dottrina non condivide la configurazione della discrezionalità della Soprintendenza in termini di discrezionalità tecnica. È stato infatti evidenziato che "l'applicabilità della nozione di discrezionalità tecnica (che postula l'idea di un rinvio operato dalla legge, ai fini della definizione del parametro della scelta discrezionale, ai dettami di una tecnica o di una scienza) alla tutela del paesaggio è preclusa in radice dal fatto che non ci sono una tecnica o una scienza esatte del paesaggio, o comunque una siffatta scienza o tecnica non avrebbero quei tratti minimi di certezza e di vincolatività, per la condivisione scientifica dei risultati, che devono essere propri di una tecnica o di una scienza extragiuridica idonea a fungere da parametro ad quem del rinvio del legislatore. Il notevole interesse paesaggistico o la compatibilità di un intervento di trasformazione del territorio con il notevole interesse paesaggistico dell'area non formano l'oggetto di una tecnica o di una scienza esatte. Il rinvio operato dalla norma, con l'uso di tali concetti indeterminati, non è dunque in favore di criteri predefiniti in una tecnica extragiuridica, ma in favore del potere integrativo (discrezionale) dell'interprete nella sede applicativa" (P. Carpentieti, L'autorizzazione paesaggistica in sanatoria, alcune considerazioni a margine del disegno di legge A.S. 1753 - B di delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, in Urb. app., 2004, 4, pagg. 384-393). Sul punto si veda anche G.F. Cartei, La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, Torino, 1995.
[57] La dottrina (D. Sorace, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2000) osserva che nel rapporto fra amministrazioni e cittadini "si possono distinguere due diversi interessi dei cittadini: l'interesse a che l'amministrazione decida in conformità alla richiesta e l'interesse a che l'atto, quale sia il suo contenuto, sia comunque emanato in termini ragionevoli e con oneri a carico del cittadino altrettanto ragionevoli".
[58] Sul punto P. Carpentieri, Semplificazione e tutela del paesaggio, cit. e S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, cit.
[59] S. Amorosino, op. ult. cit.
[60] Ex plurimis si veda Corte cost., 17 dicembre 1997, n. 404, in cortecostituzionale.it, secondo cui "costituirebbe infatti principio fondamentale dell'ordinamento che nelle materie di preminente rilievo costituzionale, quali quelle dell'ambiente, del paesaggio e dei beni culturali, la gestione del vincolo, posto a tutela di tali interessi rafforzati, esige l'effettività dell'esercizio delle attribuzioni da parte dell'autorità pubblica competente mediante l'adozione di provvedimenti espressi, non surrogabile con la fictio iuris del silenzio-assenso". Si cfr. anche Corte cost. nn. 302 del 1988 e 26 del 1996, in cortecostituzionale.it.
[61] In tal senso si veda M.S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1993, secondo cui il parere vincolante non può essere definito manifestazione di opinione, essendo, piuttosto, un atto di volontà e di decisione. In ordine ai c.d. pareri decisori si veda E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2009. È bene ricordare che alla natura decisoria del parere la giurisprudenza ha riconnesso l'autonoma impugnabilità, disponendo che la regola secondo la quale l'atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile (la lesione della sfera giuridica del soggetto destinatario dello stesso essendo normalmente imputabile all'atto che conclude il procedimento) incontra un'eccezione nel caso di atti di natura vincolata (pareri o proposte), idonei come tali ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva, di atti interlocutori, idonei a cagionare un arresto procedimentale capace di frustrare l'aspirazione dell'istante ad un celere soddisfacimento dell'interesse pretensivo prospettato, e di atti soprassessori, che, rinviando ad un avvenimento futuro ed incerto nell'an e nel quando il soddisfacimento dell'interesse pretensivo fatto valere dal privato, determinano un arresto a tempo indeterminato del procedimento che lo stesso privato ha attivato a sua istanza idonei, come tali, ad imprimere un indirizzo ineludibile alla determinazione conclusiva". Gli stessi Giudici, inoltre, hanno chiarito che "nel procedimento previsto dall'art. 146, d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42, il parere della Soprintendenza, autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, ha natura obbligatoria e vincolante e, quindi, assume una connotazione non solamente consultiva, ma tale da possedere un'autonoma capacità lesiva della sfera giuridica del destinatario, lesività non superabile e perciò attuale quando l'interessato non abbia prodotto alcuna osservazione. L'indicato parere, pertanto, è autonomamente ed immediatamente lesivo e di conseguenza ex se impugnabile in sede giurisdizionale" (Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 296; Cons. St., sez. IV, 11 marzo 2004, n. 1246; Cons. St., sez. IV, 11 marzo 1997, n. 226; Cons. St., sez. VI, 9 ottobre 1998, n. 1377; Tar Lazio, Roma, sez. I, n. 2223 del 2012; Tar Campania, Salerno, sez. I, sentenza n. 1955 del 7 dicembre 2011; Tar Lombardia, 10 aprile 2012, n. 598; Tar Puglia, Lecce, sez. I, 3 dicembre 2010 n. 2784).
[62] Sul tema si veda subito infra.
[63] Si rammenta che l'introduzione della conferenza di servizi all'interno della procedura autorizzatoria ordinaria risale al primo decreto correttivo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il d.lg. 24 marzo 2006, n. 157.
[64] S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003. Si cfr. Corte cost., 31 gennaio 1991, n. 37, in Giur. cost., 1991, pag. 236, secondo cui la conferenza di servizi prevista dall'art. 3 della legge 5 giugno 1990, n. 135, rappresenta "un mezzo di semplificazione e snellimento dell'azione amministrativa", "un organo misto in cui nell'esercizio di funzioni amministrative, siano rappresentati tutti i soggetti portatori di interessi coinvolti nel procedimento di realizzazione di opere, in modo che tali soggetti possano confrontarsi direttamente ed esprimere le loro posizioni trovando in un quadro di valutazione globale, soluzioni di corretto e idoneo contemperamento delle diverse esigenze".
[65] Come osservato da A. Natalini, op. cit., la conferenza di servizi consente di esaminare contestualmente i vai interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento al fine di aumentare il livello del coordinamento tra le diverse amministrazioni sia sotto il profilo della messa in comune degli elementi istruttori sia sotto quello della definizione del contenuto della decisione. La conferenza di servizi rappresenta il superamento di azione sequenziale da parte delle amministrazioni pubbliche ed il passaggio ad uno in cui le attività sono svolte anche in parallelo o in simultaneo tra loro.
[66] In merito si cfr. E. Cassetta, Le difficoltà di semplificare, cit.
[67] Così S. Cassese, op. cit. Di un effetto immediato, semplificatorio, e di un effetto sostanziale, negoziale, parla G. Cugurra, La semplificazione del procedimento amministrativo: la conferenza di servizi, in Semplificazione dell'azione amministrativa e procedimento amministrativo alla luce della legge 15 maggio 1997 n. 127, a cura di V. Parisio, Milano, 1998. Sul tema si cfr. anche F. Fracchia, L'accordo sostitutivo: studio sul consenso disciplinato dal diritto amministrativo in funzione sostitutiva rispetto agli strumenti unilaterali di esercizio del potere, Padova, 1998, secondo cui nella conferenza istruttoria "si ha la sostituzione del modo di acquisizione e di selezione degli interessi pubblici fondato sulla partecipazione procedimentale", mentre nella conferenza decisoria "si realizza una determinazione concordata che tiene luogo degli effetti di tutti gli atti di assenso".
[68] In termini P. Marzaro, op. cit.; G. Sciullo, conferenza di servizi ed interesse paesaggistico, in Riv. giur. urb., 2011, 1, pagg. 62-76.
[69] In senso favorevole all'operatività della figura del c.d. consenso qualificato si esprime P. Marzaro, op. cit.
[70] Si veda supra, pag 15.
[71] In dottrina si esprimono in senso favorevole all'operatività della disciplina generale della conferenza di servizi, comprese le disposizioni sul silenzio assenso e sul c.d. meccanismo di superamento del dissenso qualificato, G. Sciullo, conferenza di servizi ed interesse paesaggistico, cit. e S. Amorosino, Beni naturali, energie rinnovabili, paesaggio, studi in itinere, Napoli, 2012.
[72] Sulla ricostruzione dei diversi possibili esiti della conferenza di servizi, a seconda della lettura data alla funzione del parere vincolante, si veda S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, cit. A parere dell'autore due sono le alternative procedimentali. La prima fa perno sull'imprescindibilità del parere, cui consegue il blocco dei lavori della conferenza di servizi, salva la remota ipotesi di avocazione da parte della Direzione generale per il paesaggio del ministero per i Beni e le Attività culturali; la seconda, per contro, facendo leva anche sulle disposizioni che sanzionano la responsabilità dei dirigenti per il silenzio dell'amministrazione, sfocia nella possibilità di fare a meno del parere della soprintendenza, ferma restando la netta distinzione fra prescindibilità e silenzio-assenso.
[73] In merito al meccanismo di superamento dei dissensi delle amministrazioni qualificate si veda L. Casini, op. cit., che attentamente lo definisce "tecnica di natura procedimentale, usata dal legislatore per attribuire a determinati interessi valore differenziato."
[74] B. Carotti, E. Cavalieri, op. cit.
[75] In argomento si veda S. Amorosino, Beni naturali, energie rinnovabili, paesaggio, cit. e G. D'Angelo, Diritto dell'edilizia e dell'urbanistica, Napoli, 2012.
[76] La disposizione recita: "Con regolamento da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro il 31 dicembre 2008, su proposta del ministro d'intesa con la conferenza unificata, salvo quanto previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono stabilite procedure semplificate per il rilascio dell'autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entità in base a criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti, ferme, comunque, le esclusioni di cui agli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni".
[77] Sull'utilità dei regolamenti di delegificazione nelle politiche di semplificazione si veda A. Natalini, op. cit.
[78] Autorevole dottrina (P. Marzaro) ha sostenuto che il regolamento ha operato un vero e proprio rovesciamento di prospettiva nella stessa normativa di gestione del vincolo paesaggistico, rispetto alla disciplina ordinaria dettata dal Codice.
[79] Ci si riferisce alle proposte di riformulazione degli artt. 146 e 149 del Codice, elaborate dalla medesima commissione di studio che ha predisposto il regolamento di semplificazione in esame. È bene sottolineare che la proposta involgente l'art. 146, mossa da obiettivi di semplificazione ragionevole, mira alla chiarezza procedimentale e dell'assetto delle competenze; riduce a 90 giorni i termini procedimentali complessivi; punta alla semplificazione documentale; introduce, sulla falsariga delle disposizioni del d.p.r.139/2010, il c.d. filtro dell'ente competente alla gestione del vincolo ove sia ritenuta insussistente la compatibilità paesaggistica, prevedendo, però, allo stesso tempo la facoltà del privato di ottenere il riesame da parte della soprintendenza. In merito all'art. 149 la commissione ha, poi, ritenuto opportuno redigere un preciso elenco delle tipologie esonerate dell'obbligo di autorizzazione paesaggistica. Sul tema si veda S. Amorosino, op.ult.cit. e in senso critico P.F. Ungari, op. cit.
[80] Corte cost., 24 luglio 2012, n. 207, in cortecostituzionale.it.
[81] Critico rispetto ad alcune tipologie di interventi è S. Settis, op. cit.
[82] Così P.F. Ungari, op. cit.
[83] In termini P. Marzaro, op. cit.
[84] S. Amorosino, op. ult. cit.
[85] Sul punto si veda ampiamente supra, pag. 10 ss.
[86] P. Marzaro, op. cit.
[87] In tal senso si vedano Cons. Stato, sez. V, 27 aprile 2011, n. 2527; Tar Toscana, sez. III, 25 marzo 2011, n. 535; Tar Toscana, III, 27 novembre 2006, n. 6052; Tar Campania Napoli, IV, 13 giugno 2007, n. 6142.
[88] Sul tema si veda sempre P. Marzaro, op. cit.
[89] Al riguardo si veda Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 5 marzo 2011, n. 322. Da ultimo si veda Tar Liguria, sez. I, 4 marzo 2013, n. 402, in cui si afferma che: "la fase ex art. 10 bis è collegata direttamente al ruolo della Soprintendenza. In assenza di tale doveroso passaggio, gli elementi acquisiti nel merito in sede procedimentale finiscono con l'essere valutati non dall'organo titolare del potere decisorio sostanziale ma solo dall'amministrazione titolare del potere formale di chiusura del procedimento, la quale assume un ruolo (come nella specie) di supplenza e sostituzione non previsto dalla norma, così come correttamente intesa anche nel riparto di competenza derivante dallo stesso riparto costituzionale, che attribuisce allo Stato la competenza primaria ed esclusiva in tema di tutela dei beni culturali e paesaggistici. In definitiva, la natura sostanzialmente decisoria del parere vincolante assume connotati tali da imporre l'analisi, in capo allo stesso organo chiamato a dare l'indicazione da cui non ci si può discostare, di tutti gli elementi rilevanti nella specie".
[90] In merito alle note finalità dell'istituto del c.d. preavviso di rigetto si veda anche Tar Calabria Catanzaro, cit., secondo cui l'art. 10 bis mira ad "instaurare un contraddittorio a carattere necessario tra la p.a. ed il cittadino al fine sia di aumentare le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira (Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828) sia di "acquisire elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell'amministrazione" (Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 2008, n. 2452), consentendo una migliore definizione dell'interesse pubblico concreto che l'amministrazione stessa deve perseguire. La prescritta partecipazione svolge, pertanto, una funzione difensiva e collaborativa. L'osservanza degli obblighi posti dall'art. 10-bis potrebbe assolvere anche ad una importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi nel procedimento. Se, infatti, non si rende edotto il privato di tutte le ragioni che depongono per il rigetto della sua istanza, al fine di permettergli di esprimere, in ambito procedimentale, il suo punto di vista, si costringe l'interessato a proporre ricorso giurisdizionale per fare valere in giudizio ciò che avrebbe potuto essere oggetto di accertamento in sede amministrativa.
[91] In argomento si veda S. Amorosino, Bellezze naturali, energie rinnovabili, paesaggio, cit.
[92] Si vedano, in particolare, supra, pag. 15 ss.
[93] S. Amorosino, Bellezze naturali, energie rinnovabili, paesaggio, cit.
[94] Secondo P. Marzaro, op. cit., "ratio di tale scelta di semplificazione, sul doppio presupposto, da un lato che l'istruttoria compiuta dalla p.a. sia completa, e, dall'altro, che la garanzia dell'interesse pubblico alla tutela dei beni paesaggistici risulta in ogni caso assicurata, stante il diniego di autorizzazione ad effettuare l'intervento, è la volontà di alleggerire l'amministrazione statale nell'esercizio dei propri compiti, permettendole di concentrare l'esercizio delle proprie funzioni sui soli interventi che vengono valutati positivamente in sede istruttoria, oltre che, naturalmente, su quelli maggiori, soggetti al regime ordinario di cui all'art. 146".
[95] Sul tema, sulla distinzione fra le due sfere di valutazione, si veda anche Tar Puglia Bari, sez. III, 30 novembre 2011, n. 1810, a parere del quale "il vincolo paesaggistico non implica di per sé preclusione di qualsiasi attività edilizia ma determina soltanto per l'interessato l'onere di sottoporre il progetto all'esame della Soprintendenza per la necessaria autorizzazione e di sottostare alle prescrizioni e limitazioni che questa ritenga di dover imporre, per esigenze paesaggistiche, in aggiunta a quelle disposte dal comune nel rispetto delle previsioni del piano regolatore generale". L'esercizio della potestà autorizzatoria, infatti, non trova un limite invalicabile nelle previsioni urbanistiche, posto che in tale maniera essa verrebbe ad essere finalizzata alla sola verifica dell'adozione in sede progettuale delle opportune accortezze e cautele, mentre nessun limite prestabilito può frapporsi all'esercizio della potestà in questione, che non sia correlato al rispetto dei principi di ragionevolezza, logicità e proporzionalità, che devono comunque governare ed indirizzare l'operato dell'amministrazione pubblica; inoltre, il fatto che siano stati rispettati standard, volumi, prescrizioni, tipologie edilizie e quant'altro non è elemento che può implicare, di per sé, l'illegittimità del diniego diautorizzazione, giacché, come detto, la potestà autorizzatoria non incontra limite assoluto nelle prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio, posta comunque la necessità di congrua ed ampia motivazione allorché le esigenze ambientali e paesaggistiche impongano di discostarsi dalle previsioni urbanistiche (Tar Calabria Catanzaro, sez. I, 26 novembre 2009, n. 1315).
[96] Il Consiglio di Stato ha espresso riserve solo in ordine ad alcuni profili secondari. In particolare, ha espresso perplessità su tre punti relativi all'installazione di insegne, alle tende da sole ed alle occupazioni temporanee fino a 30 giorni, criticando per queste ultime la mancanza di strumenti di verifica della data di inizio delle occupazioni. Molto probabilmente, il rilievo più significativo concerne la competenza ad adottare il provvedimento di rigetto. In buona sostanza, Palazzo Spada auspica una maggiore chiarezza procedimentale, una più cristallina definizione delle competenze degli enti coinvolti nel procedimento semplificato.
[97] Più precisamente l'allegato dello schema del decreto correttivo inferisce alle varianti, in corso d'opera, di lieve entità al progetto originariamente autorizzato, anche relative a modeste traslazioni dell'area di sedime dell'intervento autorizzato, purché non comportino inottemperanza a prescrizioni concernenti il posizionamento di singoli manufatti, nonché a modifiche alla sagoma degli edifici, limitatamente a quelle conseguenti agli interventi di lieve entità di cui ai numeri 4, 5 e 6 del presente allegato.
[98] P. Marzaro, op. cit.
[99] Così G. Galasso su Il Corriere della Sera, 17 luglio 2010.
[100] Sulle vicende che hanno interessato il c.d. piano casa (introdotto dal d.l. n. 112/2008 convertito nella legge 133/2008) si veda ancora S. Settis, op. cit.
[101] Si segnala a tal proposito che, nelle more dell'approvazione della proposta di modifica dell'art. 41 Cost., il Governo, con il d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148), recante Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, ha inopinatamente introdotto, all'art. 3, una sorta di "anticipazione"della preannunciata riforma della Costituzione, con una disposizione del seguente tenore: "1. (In attesa della revisione dell'art. 41 Cost., - inciso poi cancellato dalla legge di conversione) Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di: a) vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l'utilità sociale; d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; e) disposizioni che comportano effetti sulla finanza pubblica". Sul tema, e sui dubbi circa la compatibilità delle previsioni testé citate con i valori fondanti del sistema di amministrazione del paesaggio si veda P. Carpentieri, Semplificazione e tutela: un binomio difficile, cit.
[102] In termini si cfr. P. Marzaro, op. cit. e G. Sciullo, Commento al "Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 giugno 2007, e al relativo parere del Consiglio di Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, in Giorn. dir. amm., 2007, pag. 1230 ss.
[103] In dottrina (S. Amorosino, Autorizzazioni paesaggistiche: dalla semplificazione per gli interventi minori alla riforma generale, in Riv. giur. urb., 2011, 1, pagg. 13-18) si è sottolineata la necessità di porre in essere un disegno tecnico politico di semplificazione ragionata e moderata della materia, riconoscendo che "data l'estrema delicatezza dell'oggetto- ovvero il paesaggio e la sua tutela- non è concepibile "usare l'accetta", come taluno ambisce e, ricorrentemente, ordisce di fare, sopprimendo commi, articoli, leggi, etc., sino alla totale liberalizzazione. Se ciò è - forse - concepibile per qualche altro settore- nel quale l'inerenza di interessi pubblici è meno cogente- è impensabile per quel che riguarda il paesaggio."
[104] P.F. Ungari, op. cit.
[105] In tal senso S. Settis, op. cit.
[106] G. Sciullo, conferenza di servizi ed interesse paesaggistico, cit.