La diffusione della cultura
Digitalizzazione di opere librarie e diritti esclusivi
Sommario: 1. Premessa: la digitalizzazione del patrimonio culturale tra azione pubblica e iniziative private. - 2. L'oggetto della digitalizzazione: la natura "duale" del libro - 3. (segue) La digitalizzazione di un libro come (i) atto di riproduzione dell'opera... - 4. (segue) ... e (ii) atto di godimento del bene riservato al proprietario. - 5. Il risultato della digitalizzazione: l'immagine digitale come mera riproduzione fotografica. - 6. (segue) Intermezzo: sull'inserimento di un watermark come idonea modalità di assolvimento dell'onere previsto dall'art. 90 l.d.a. per le semplici fotografie. - 7. Il risultato della digitalizzazione: la collezione di immagini digitali come banca dati. - 8. Prospettive.
Digitization of books and exclusive rights
The digitization of the European cultural heritage has been playing a central
role in the EU Commission's agenda since 2005. Nonetheless, the European legal
framework seems still unclear, e.g. as far as orphan and out-of-print
works are at stake. As a matter of fact, in many instances, the very legal
meaning of (i) the object, (ii) the process, and (iii)
the result of digitization seems difficult to define. Having as a case-study
the digitization of a book, this short essay aims at analyzing certain key
issues relevant from the perspective of the Italian law.
1. Premessa: la digitalizzazione del patrimonio culturale tra azione pubblica e iniziative private
"La digitalizzazione infonde nuova vita alle opere del passato e le trasforma in una straordinaria risorsa per il singolo fruitore e per l'economia digitale" [1]. Nell'incipit del report intitolato Il nuovo rinascimento - presentato alla Commissione europea il 10 gennaio 2011 dal Comité des sages on bringing Europe's cultural heritage online - appaiono racchiuse tutte le potenzialità e le promesse derivanti dalla digitalizzazione del patrimonio culturale europeo. Quella della sua conservazione, in primo luogo, a vantaggio delle generazioni future, addirittura definita un "obbligo morale" dal Comité des sages. L'altra, fondamentale nella società dell'informazione, della sua universale accessibilità, inevitabilmente limitata nel mondo reale da barriere fisiche non sempre agevolmente superabili. E, infine, quella economica, con le enormi prospettive di sviluppo di mercati digitali ancora in larga parte inesplorati [2].
L'impegno della Commissione europea in questo specifico ambito è stato costante negli ultimi anni - a partire dalla Comunicazione i2010: le biblioteche digitali del 3 settembre 2005 [3] - e la stessa costituzione della bilioteca digitale Europeana nel 2009, a fronte di 6,2 milioni di euro stanziati, dimostra che alle parole le istituzioni europee hanno saputo, almeno in parte, far seguire anche i fatti. Si tratta, tuttavia, di una strada ancora tutta da percorrere, e per molti versi in salita.
L'opera di digitalizzazione del patrimonio culturale europeo pone infatti attori istituzionali e privati di fronte a sfide di non poco momento, non solo in termini finanziari (se è anche solo approssimativamente corretta la stima di 100 miliardi di euro formulata a tale proposito dai consulenti del Comité des sages), ma anche, ciò che più interessa in questa sede, in termini giuridici, se si considera che il livello di armonizzazione delle normative interne dei diversi Stati membri relative al diritto d'autore appare ancora incompleto - soprattutto con riferimento a questioni fondamentali quali il trattamento da riservare alle opere cc.dd. orfane [4] e alle opere fuori commercio ma ancora oggetto di privativa autoriale - e che un'adeguata soluzione a problemi giuridici rilevanti in un siffatto contesto transnazionale richiederebbe in ogni caso l'opportuno intervento del legislatore comunitario, che promette tempi certo non brevi [5].
Così, mentre l'azione delle istituzioni pubbliche in Europa procedeva a fatica, tra difficoltà di finanziamento amplificate dalla grave crisi economica in corso e complessi ostacoli normativi, mastodontiche iniziative private prendevano il centro della scena dall'altra parte dell'oceano. Il riferimento, come è ovvio, è al progetto Google books, avviato già nel 2004 con il nome di Google print dalla nota multinazionale dell'information technology, che - fedele alla propria mission aziendale: "to organize the world's information and make it universally accessible and useful" - in circa 7 anni di attività, passando attraverso innumerevoli partnership pubbliche e private (tra cui quella con il nostro Mibac, annunciata il 10 marzo 2010) [6] e attraverso una controversia legale con l'Authors guild of America da 125 milioni di dollari, ancora lungi dall'essere conclusa [7], aveva condotto nell'ottobre del 2010 alla digitalizzazione di oltre 15 milioni di volumi in circa 400 lingue diverse [8].
Scenari così vasti e complessi richiederebbero analisi giuridiche, anche in chiave comparatistica, di non inferiore vastità, evidentemente insuscettibili di essere condotte in questa sede.
Nondimeno, non appare inutile effettuare qui, molto più modestamente, una prima ricostruzione di taluni profili problematici rilevanti dal punto di vista della legislazione italiana. E poiché l'opera letteraria costituisce il prototipo dell'opera dell'ingegno tutelata dal diritto d'autore (tutte parimenti suscettibili di essere digitalizzate), così come, più in generale, il libro costituisce verosimilmente l'idealtipo di prodotto culturale, l'analisi giuridica userà appunto come caso di studio quello della digitalizzazione di un'opera libraria, onde offrire un inquadramento sub specie juris dell'oggetto, del processo e del risultato della digitalizzazione stessa.
2. L'oggetto della digitalizzazione: la natura "duale" del libro
Un libro è un bene giuridicamente complesso, in relazione al quale è possibile distinguere almeno due beni in senso economico, a loro volta oggetto di altrettanti diritti esclusivi.
Seguendo la classica bipartizione tomistica, cara agli studiosi del diritto d'autore, il primo di tali beni è costituito dal c.d. corpus mechanicum, ovvero dal supporto fisico (il "volumen"), sottoposto alle tradizionali norme che regolano la proprietà sui beni materiali (art. 832 ss. c.c.): chi lo acquista ne diviene il proprietario, e può pertanto godere dello stesso (per es. leggendolo o consultandolo) e disporne (per es. regalandolo o rivendendolo) nel modo più ampio.
Il secondo bene, di carattere immateriale [9], è costituito invece dal c.d. corpus mysticum, ovvero dall'opera lettararia incorporata nel primo, sottoposta, ove ne ricorrano i requisiti, alla diversa disciplina del diritto d'autore (legge 22 aprile 1941, n. 633).
I diritti esclusivi che insistono su tali beni sono indipendenti tra loro, come espressamente sancito sul piano del diritto positivo anche dall'art. 109 legge 633/1941, in forza del quale "la cessione di uno o più esemplari dell'opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione" che insistono sull'opera stessa: le vicende circolatorie (ed estintive) del diritto di proprietà sul supporto, dunque, non sono legate a quelle del diritto d'autore sull'opera da questo incorporata. Per conseguenza, data anche la diversa portata dei due diritti esclusivi - maxime in punto di durata, essendo imprescrittibile ex art. 948 c.c. il diritto di proprietà sul bene materiale e, al contrario, limitato a 70 anni post mortem auctoris il diritto d'autore sul bene immateriale, per la generale previsione di cui all'art. 25 l.d.a. [10] - non è infrequente che su un libro insista uno solo dei due diritti in discorso (il diritto di proprietà sul volume), e non anche l'altro, ciò che avviene in tutti i casi di testi antichi o, più in generale, di opere cadute nel c.d. pubblico dominio.
La circostanza è tutt'altro che irrilevante quando si intenda procedere alla digitalizzazione di un testo, dovendosi alternativamente ottenere, per le ragioni che si andranno di seguito a chiarire, l'autorizzazione (i) tanto del proprietario del supporto quanto del titolare del diritto d'autore sull'opera dell'ingegno, in caso di opere per le quali la privativa autoriale non sia ancora venuta a scadenza; (ii) del solo proprietario del supporto in caso di opere in pubblico dominio.
3. (segue) La digitalizzazione di un libro come (i) atto di riproduzione dell'opera...
La digitalizzazione, come noto, è il processo tecnico con cui si converte una grandezza analogica in valori discreti. Dal punto di vista del diritto d'autore, l'atto di digitalizzare un'opera, e dunque di rappresentarla sotto forma di valori discreti (sequenze di 0 e 1), comporta l'esercizio del diritto esclusivo di riproduzione di cui all'art. 13 l.d.a., il quale - secondo l'ampia formulazione assunta a seguito del recepimento nel nostro paese della direttiva 29/2001/CE sul diritto d'autore nella società dell'informazione [11] - ha ad oggetto "la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell'opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l'incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione" [12].
Non v'è dubbio, pertanto, che anche quando la moltiplicazione in copie avvenga mediante il ricorso a tecnologie digitali (nel caso del libro verrà ad esempio tipicamente impiegato uno scanner o una fotocamera digitale), tale atto debba farsi rientrare in linea di principio tra quelli soggetti all'esclusiva del titolare dei diritti sull'opera dell'ingegno, con la conseguenza che esso sarà illecito se non espressamente autorizzato dal titolare dei diritti ovvero consentito ex lege sulla base di una delle norme (art. 65 ss. l.d.a.) che prevedono eccezioni o limitazioni ai diritti esclusivi.
Tra queste, assume particolare rilievo in questa sede la previsione di cui all'art. 71-ter l.d.a. [13] che rende "libera la comunicazione o la messa a disposizione destinata a singoli individui, a scopo di ricerca o di attività privata di studio, su terminali aventi tale unica funzione situati nei locali delle biblioteche accessibili al pubblico, degli istituti di istruzione, nei musei e negli archivi, limitatamente alle opere o ad altri materiali contenuti nelle loro collezioni e non soggetti a vincoli derivanti da atti di cessione o da licenza".
E' interessante notare, nell'ambito del discorso che si sta quivi conducendo, come l'art. 71-ter - a differenza dell'art. 5, par. 3, lett. n, della citata direttiva 29/2001/CE, di cui il primo costituisce recepimento nell'ordinamento italiano - porti espressamente eccezione al solo diritto esclusivo di comunicazione al pubblico di cui all'art. 16 l.d.a., e non anche al diritto di riproduzione delle opere. Con un'iper-restrittiva interpretazione letterale si è pertanto sostenuto da parte di alcuni che tale norma consenta alle biblioteche e agli altri enti ivi citati di comunicare al pubblico solo le opere che siano presenti nelle loro collezioni già in formato digitale, e non anche di digitalizzare opere in formato analogico al fine della loro successiva comunicazione [14].
Tale interpretazione non sembra tuttavia doversi necessariamente accogliere. La riproduzione dell'opera in formato digitale costituisce infatti il presupposto materiale per la successiva messa a disposizione del pubblico e, pertanto, la sua liceità deve correttamente considerarsi implicita quando essa sia funzionale all'esercizio della facoltà che l'art. 71-ter l.d.a. [15] espressamente concede alle biblioteche, agli istituti di istruzione, ai musei e agli archivi. D'altra parte, se è vero che l'art. 5, par. 3, lett. n, della direttiva contiene un'eccezione il cui recepimento è facoltativo per gli Stati membri, non pare dubbio che, in applicazione dell'art. 249, comma 3, del Trattato Ue, qualora l'opzione legislativa venga effettivamente esercitata, la norma interna debba essere conforme a quella prevista dal diritto comunitario, la quale nel caso di specie prevede del tutto razionalmente che l'eccezione de qua operi rispetto "ai diritti di cui agli articoli 2 e 3", ovvero tanto rispetto al diritto di riproduzione, quanto rispetto al diritto di comunicazione al pubblico dell'opera.
Tanto premesso, deve in ogni caso escludersi che la biblioteca, l'archivio o il museo che, in assenza di vincoli contrattuali, abbiano digitalizzato le opere presenti nelle loro collezioni possano - almeno finché insista sulle stesse la privativa autoriale - metterle a disposizione del pubblico on line, a ciò ostando l'inequivoco disposto dell'art. 71-ter l.d.a., il quale fa al proposito esclusivo riferimento a "terminali" situati in loco e a ciò unicamente adibiti [16].
4. (segue) ... e (ii) atto di godimento del bene riservato al proprietario.
Sotto un diverso e ulteriore profilo occorre valutare se l'atto di digitalizzazione di un volume non interferisca anche con i diritti del proprietario del supporto, implicandone quanto meno l'usus e, in caso di successivo sfruttamento economico della copia digitale, anche il fructus.
E' tuttavia controverso, in giurisprudenza e in dottrina, se il diritto esclusivo del proprietario ex art. 832 c.c. debba considerarsi esteso al punto da ricomprendere nel suo alveo anche le "proiezioni incorporali" [17] del bene, quali sono le rappresentazioni digitali del bene stesso.
La questione, di notevole interesse sul piano dogmatico, potrebbe peraltro apparire prima facie sprovvista di reale importanza pratica nel nostro caso, dal momento che la digitalizzazione di un volume implica la sua materiale disponibilità, e in tutti i casi in cui questo non sia liberamente accessibile (ad es. perché messo a disposizione del pubblico da una biblioteca senza restrizioni di sorta) sarà già la tutela della situazione possessoria a garantire gli interessi del proprietario: in questi casi, pertanto, "il dominio fisico sulle cose si tramuta (...) silenziosamente in una 'privativa' sulla loro dimensione incorporale" [18].
La rilevanza del tema emerge tuttavia con chiarezza quando il soggetto che intenda procedere alla digitalizzazione (in ipotesi, evidentemente, diverso dal proprietario) abbia la possibilità di accedere legittimamente al volume e, allo stesso tempo, la possibilità di riproduzione dello stesso non sia estata esclusa con l'atto unilaterale o il contratto che regola l'accesso al bene.
Che lo ius excludendi del proprietario si estenda alla facoltà di impedirne la riproduzione sembra invero dato acquisito, sul piano del diritto positivo, quando questo possa essere considerato "bene culturale" ai sensi dell'art. 10, comma 4, lett. c, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in quanto evente "carattere di rarità o di pregio" [19]: in questi casi, infatti, per la sua riproduzione, i successivi artt. 107-109 del Codice prevedono la necessità di un provvedimento concessorio, e dunque discrezionale [20], da parte del responsabile dell'ente che ha in consegna l'opera stessa [21].
Tuttavia, sarebbe operazione ermeneutica discutibile quella di trarre dalla disciplina speciale dei beni culturali indicazioni di carattere generale sul regime della proprietà privata.
E' a dire, nondimeno, che la nostra giurisprudenza si è mostrata incline, in talune circostanze, a riconoscere che il diritto del proprietario del bene si estenda fino al potere di vietarne la riproduzione fotografica e il successivo sfruttamento economico, come da ultimo affermato dalla stessa Corte di Cassazione, pur con una decisione criticabile sotto il profilo argomentativo [22], con riferimento all'immagine di un'imbarcazione e del suo equipaggio riprodotta nell'ambito di un calendario [23] e come già in un'altra circostanze era stato ventilato dalla giurisprudenza di merito, la quale aveva affermato in un significativo obiter dictum che "tra le facoltà riconosciute dalla legge al proprietario vi è quella di sfruttare economicamente i propri beni nel modo ritenuto più conveniente; nel caso di specie, quello di vietare la riproduzione fotografica dei quadri senza preventiva autorizzazione e senza adeguato compenso" [24].
La (non copiosa) dottrina italiana che ha affrontato direttamente il tema appare tuttavia divisa - per quanto più strettamente rileva in questa sede - tra chi disconosce tout court la natura reale della tutela relativa all'immagine della cosa [25], chi, pur ritenendo "fondata l'attribuzione al proprietario di ogni diritto anche sulla semplice immagine della cosa", intende limitarla all'ipotesi di beni infungibili e determinati ma, in ogni caso, non quando si ponga in contrasto con la libertà di manifestazione del pensiero e con il diritto all'informazione, "rimanendo azionabile solo in presenza di un suo sfruttamento a fini di lucro" [26], e chi ammette senz'altro che "la proprietà di un bene, oltre che sul bene stesso nella sua integrità corporea, si estenda anche alla sua immagine" [27].
Senza che sia possibile in questa sede affrontare con il dovuto approfondimento un tema che richiederebbe riflessioni di ben più ampio respiro, sembra doversi suggerire - anche alla luce dell'orientamento giurisprudenziale sopra succintamente richiamato - che:
(i) il diritto di proprietà del titolare del volume, a fronte della sua ampiezza, possa conferire al proprietario il potere di impedire lo sfruttamento non autorizzato della riproduzione del testo in formato digitale o la sua messa a disposizione del pubblico (interferendo le suddette attività in modo significativo con le chances di trarre profitto dall'autorizzazione all'uso del bene concessa a titolo oneroso), laddove invece,
(ii) la mera digitalizzazione che avvenga per finalità conservative o per l'uso esclusivamente privato del soggetto che vi proceda sembra, per un verso, potersi ritenere implicitamente autorizzata con l'atto (unilaterale o contrattuale) che concede l'accesso al bene e, per altro verso, non incidere in misura apprezzabile con il potere di godimento esclusivo del titolare che tale accesso abbia appunto autorizzato.
5. Il risultato della digitalizzazione: l'immagine digitale come mera riproduzione fotografica
Il risultato dell'attività di digitalizzazione di un volume dà vita, sub specie iuris, a due nuove res, che volendo continuare a seguire la tradizione tomistica potremmo individuare come segue:
(i) un nuovo corpus quasi-mechanicum [28], costituito da un file, ovvero un'insieme unitario di dati in formato binario; e
(ii) un nuovo corpus mysticum, costituito dall'immagine delle singole pagine (o delle coppie di pagine) del volume.
L'individuazione del regime giuridico cui sottoporre il nuovo corpus quasi-mechanicum presenta particolari problemi sul piano dogmatico, potendosi revocare in dubbio l'applicabilità ad un file delle norme (o almeno di tutte le norme) in materia di proprietà, come testimonia ad esempio la giurisprudenza della Corte di cassazione sull'esclusione della fattispecie del furto con riferimento alla mera copiatura di file, in assenza del concreto spossessamento della cosa mobile richiesto ex art. 624 c.p. [29], almeno quando la sottrazione non si estenda ai supporti materiali (hard disk, flash drive, CD, DVD, ecc.) su cui i file stessi sono memorizzati.
Tuttavia, anche in questo caso, il potere di fatto che il soggetto che crea il file può esercitare sullo stesso induce a minimizzare le conseguenze di tali difficoltà interpretative: dopo essere stato creato, infatti, il file dovrà essere necessariamente memorizzato su un qualsivoglia supporto di memoria, normalmente nella materiale disponibilità dello stesso creatore del file, e dunque inaccessibile ai terzi invito domino, salva la commissione di atti anche penalmente illeciti aventi ad oggetto il supporto (ad es. il furto dello stesso, in quanto cosa mobile, o l'accesso abusivo al sistema informatico su cui il file sia stato eventualmente memorizzato ex art. 615-ter c.p.) [30]. Quando invece l'accesso al file avvenga con l'autorizzazione dell'avente diritto (che immetta ad es. il terzo nella disponibilità del supporto su cui il file stesso sia stato memorizzato), l'eventuale cancellazione volontaria del file potrà dar luogo alla specifica fattispecie di danneggiamento di cui all'art. 635-bis c.p., ferma in ogni caso la risarcibilità del danno ex art. 2043 c.c. Al contrario, la semplice duplicazione non autorizzata del file sembra poter al limite rilevare in termini di illecito contrattuale, qualora il soggetto che vi proceda travalichi i poteri attribuitigli dal soggetto legittimato a disporne.
Relativamente più agevole appare l'individuazione del regime giuridico applicabile al corpus mysticum incorporato nel file, ovvero l'immagine digitale raffigurante la pagina o le pagine di un volume.
Sotto un primo profilo, infatti, può pacificamente escludersi che tale immagine possa essere considerata un'opera fotografica ex art. 2, n. 7, l.d.a. per manifesta mancanza del requisito del "carattere creativo" [31] cui è subordinata la tutela autoriale. La sussistenza di tale requisito implicherebbe infatti il riconoscimento di una "impronta personale" dell'autore della fotografia che potrebbe essere ravvisata solo allorché si riscontri un quid pluris rispetto ad un atto meramente riproduttivo della realtà fotografata e, dunque, solo se "il fotografo abbia inserito nell'opera la propria fantasia, il proprio gusto e la propria sensibilità" [32], tali caratteri estrinsecandosi, ad esempio, nella scelta dell'inquadratura, della composizione, delle condizioni di luce, dell'attimo dello scatto, etc. [33].
Nel caso della digitalizzazione di volumi, tuttavia, tali caratteri appaiono mancare del tutto, richiedendosi normalmente che le immagini digitali riproducano nel modo più fedele possibile il contenuto del volume stesso: in questo, come in casi analoghi, dunque, "la necessaria fedeltà nella rappresentazione oggettiva del soggetto riprodotto (...) ne costituisce anche l'altrettanto necessario limite" [34].
Il carattere riproduttivo delle immagini digitali induce tuttavia a domandarsi se a queste ultime possa applicarsi la disciplina di cui agli artt. 87 ss. l.d.a. - i quali riconoscono un diritto c.d. connesso di riproduzione, diffusione e spaccio di durata ventennale sulle "immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell'arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche" - o se le immagini digitali delle pagine di un volume non debbano essere piuttosto ricondotte alle ipotesi di "fotografie di scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili" per le quali l'art. 87, comma 2, l.d.a. esclude qualsiasi forma di tutela [35].
L'incontrovertibile natura di "oggetto materiale" di un volume non deve tuttavia indurre ad equazioni affrettate, dal momento che, se il legislatore avesse realmente inteso escludere la protezione per le fotografie di qualsiasi oggetto materiale, per un verso non avrebbe avuto bisogno di indicare nella norma singole species di oggetti materiali (quali documenti e carte di affari), rientrando questi nella più ampia definizione generale, e, per altro verso, non si comprenderebbe la ratio in base alla quale sarebbe riconosciuta tutela alle riproduzioni di opere dell'arte figurativa e di fotogrammi di pellicole cinematografiche, anch'essi indubitabilmente "oggetti materiali" [36] al pari di tutti gli "elementi della vita naturale" che non appartengano al mondo animale o vegetale.
A tale proposito occorre rilevare come la giurisprudenza abbia prevalentemente tracciato il discrimine tra le c.d. semplici fotografie tutelate ex artt. 87 ss. l.d.a. e le mere riproduzioni fotografiche prive di tutela nella funzione "meramente riproduttiva" che caratterizzerebbe le seconde rispetto alle prime.
Così, ad esempio, la Corte di cassazione, nel giudicare sulla riproduzione di fotografie di materiale ospedaliero utilizzate (senza l'autorizzazione del fotografo) per la realizzazione di un catalogo, ha evidenziato che la presenza di una "funzione autonoma, e precisamente una funzione editoriale (in quanto destinate alla riproduzione in pubblicazioni stampate) e commerciale (in quanto le opere stampate erano cataloghi destinati a promuovere le vendite delle aziende produttrici delle cose)", ulteriore rispetto alla più comune funzione di mera "documentazione della cosa riprodotta" [37], fosse sufficiente per il riconoscimento di un diritto connesso su tali fotografie.
In una recente sentenza della Corte d'appello di Roma [38]è stato tuttavia riconosciuto come immagini riproducenti monete e banconote, anche se inserite all'interno di un catalogo, debbano essere considerate mere riproduzioni fotografiche, con conseguente esclusione dalla tutela, quando queste abbiano esclusivamente "funzione strumentale, in quanto illustrativa del contenuto espositivo del testo, escludente l'ipotesi di una diffusione di un messaggio autonomo, rispetto a detto testo, da parte della fotografia" [39].
Effettivamente, quando la Corte di cassazione, nella succitata sentenza, pone l'accento sulla "funzione" della fotografia, essa sembra piuttosto fare riferimento alla sua "destinazione" [40], ovvero ad un elemento estrinseco rispetto a questa, laddove più correttamente avrebbe dovuto riferirsi alla "funzione" intesa in senso intrinseco come "carattere" o "natura" (meramente riproduttivi o meno) della fotografia stessa [41]. Sarebbe infatti incongruo che la qualificazione giuridica di tale bene dipendesse da un mero atto di volontà del suo utilizzatore, godendo così la fotografia della tutela garantita dal diritto connesso quando venga da questi utilizzata in un qualche modo (diverso dalla mera conservazione), ed essendone invece sprovvista quando (ma solo fino al momento in cui) essa rimanga chiusa in un ipotetico cassetto.
Se può dunque condividersi l'approccio per cui l'elemento che differenzia le semplici fotografie tutelate ex art. 87 ss. l.d.a. da quelle non tutelate è dato dalla loro funzione, occorre precisare che di funzione "propria" della fotografia deve trattarsi, e non dell'elemento comunque esogeno della sua destinazione.
Orbene, a questo proposito sembra a chi scrive che, sebbene le fotografie oggetto di diritto connesso non debbano possedere il carattere creativo proprio delle opere fotografiche tutelate dal diritto d'autore, esse debbano tuttavia almeno caratterizzarsi per l'espressione di un quid ulteriore rispetto al mero intento riproduttivo dell'oggetto fotografato [42]. Diversamente, nel nostro caso, si finirebbe con il riconoscere che la riproduzione pedissequa delle pagine di un volume godrebbe di tutela ex art. 87 l.d.a. ove ottenuta "col processo fotografico o con processo analogo", ma non ove ottenuta, ad esempio, mediante fotocopia [43], laddove appare al contrario evidente l'irrilevanza del mezzo di riproduzione utilizzato ai fini dell'individuazione della tutela.
Pertanto, indipendentemente dalla destinazione che venga data ex post dal suo utilizzatore alle immagini digitali delle pagine del volume, sembra doversi escludere che queste possano essere tutelate mediante il riconoscimento di un diritto connesso quando esse appunto consistano, come avverrà normalmente, in pedisseque duplicazioni delle pagine, la cui unica funzione sia quella di riprodurre le stesse nel modo più fedele possibile rispetto all'originale cartaceo [44].
Tale conclusione, peraltro, lo si nota incidentalmente (e senza voler per questo riconoscere un insussistente valore di strumento interpretativo al documento in questione), sembra coerente con gli auspici espressi dal Comité de sages nel report Il nuovo rinascimento, ove si osserva come, a fronte di opere o altri materiali caduti in pubblico dominio, "in linea di principio, il solo processo di digitalizzazione non dovrà generare nuovi diritti" [45]. In caso contrario, infatti, si potrebbe surrettiziamente perpetuare in via mediata l'esistenza di diritti esclusivi sull'opera in spregio al fondamentale principio della durata limitata della tutela autoriale.
6. (segue) Intermezzo: sull'inserimento di un watermark come idonea modalità di assolvimento dell'onere previsto dall'art. 90 l.d.a. per le semplici fotografie
Per completezza di analisi è appena il caso di precisare che quando - in senso difforme da quanto osservato nel paragrafo precedente - all'immagine digitale delle pagine di un volume voglia invece riconoscersi la tutela di cui all'art. 87 l.d.a., il diritto connesso spetterà all'autore materiale della riproduzione fotografica, sempre che tale riproduzione non sia stata realizzata su commissione e il volume riprodotto non sia in possesso del committente, nel qual caso, secondo quanto disposto dall'art. 88, comma 3, l.d.a., il diritto connesso spetterà al committente, mentre al fotografo spetterà solo un "equo corrispettivo".
Giova in ogni caso ricordare che, ai sensi dell'art. 90 l.d.a., perché un fotografia possa essere tutelata mediante il diritto connesso di cui all'art. 87, occorre che gli esemplari di quest'ultima rechino indicazioni relative al nome del fotografo (o, nel caso di fotografie realizzate su commissione, del nome del committente), all'anno di produzione della fotografia nonché, ove si tratti di fotografia di un'opera d'arte, al nome dell'autore di quest'ultima. In mancanza di tali indicazioni il secondo comma dell'art. 90 l.d.a. prevede infatti che la loro riproduzione non sia considerata abusiva [46] e non siano dovuti i compensi indicati ai successivi artt. 91 e 98 l.d.a, salvo che il titolare del diritto non provi la malafede del riproduttore, ovvero "che quest'ultimo era, comunque, a conoscenza della provenienza dell'opera" [47].
La norma deriva evidentemente "dalla necessità di individuare nei rapporti con i terzi, chi sia il titolare del diritto esclusivo di riproduzione e dalla necessità di fissare la data da cui decorre il termine di durata del diritto medesimo" [48], circostanze che assumono particolare rilievo quando la fotografia, una volta digitalizzata, sia immessa all'interno di una rete telematica, così che essa diventa generalmente accessibile e agevolmente riproducibile da parte di chiunque.
L'onere di cui all'art. 90 l.d.a. potrà ritenersi correttamente assolto, nel caso di immagini digitali, mediante l'inserimento di un watermark (una sorta di filigrana digitale) recante le indicazioni richieste all'interno del relativo file, mentre deve verosimilmente dubitarsi che possano ritenersi sufficienti la trascrizione delle indicazioni a margine della fotografia o la loro visualizzazione mediante il ricorso a dei pop-up, sebbene l'art. 102-quinquies l.d.a. preveda che le informazioni elettroniche sul regime dei diritti "possono essere inserite (...) sulle opere o sui materiali protetti o possono essere fatte apparire nella comunicazione al pubblico degli stessi".
La particolare funzione svolta dalle indicazioni di cui all'art. 90 l.d.a, infatti, sembra richiedere che queste siano riportate direttamente sugli esemplari delle immagini digitali. Diversamente, nulla impedirebbe che un soggetto riproduca in mala fede l'immagine (in sé priva di indicazioni) e la pubblichi altrove, mettendo così ulteriori terzi in condizioni di riprodurla a loro volta da questa "fonte secondaria" senza che il titolare dei diritti possa riuscire a provarne la (peraltro in questo caso inesistente) malafede.
7. Il risultato della digitalizzazione: la collezione di immagini digitali come banca dati
Anche indipendentemente dalla tutela da riconoscersi alle immagini digitali delle singole pagine di un volume, è opportuno chiarire se la collezione di tali immagini possa essere oggetto di tutela per se da parte della legge sul diritto d'autore.
A questo proposito giova osservare come l'art. 1 l.d.a. riconosca tutela alle banche dati - intese come raccolte di opere, dati o altri elementi, e, dunque, anche immagini digitali [49], indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti e individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo - che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell'autore.
Orbene, la collezione di immagini digitali riproducenti le pagine di un volume appare poter rientrare de plano, almeno nella normalità dei casi, all'interno della definizione di banca dati fornita dalla legge. Non sembra di doversi dubitare, infatti, che si tratti di una raccolta di elementi tra loro indipendenti (le singole immagini), e che questi, al fine di renderne possibile la fruizione, debbano essere ordinati in modo metodico o sistematico (ad es. in ordine progressivo di pagina) e risultare individualmente accessibili (non essendo normalmente imposta all'utente una fruizione giocoforza complessiva o unitaria degli elementi costituenti la raccolta) [50].
Per lo meno dubbio, invece, è che una banca dati costituita dalle immagini digitali delle singole pagine di un volume possa integrare il requisito del carattere creativo richiesto per la tutela autoriale, il quale si sostanzia nell'originale "selection and arrangement" del contenuto della banca dati stessa [51]. In linea di massima, infatti, non solo non vi sarà nessuna originalità nella selezione del contenuto (il quale dovrà comprendere in modo necessariamente esaustivo tutte le pagine del volume o, almeno, tutte le pagine di una specifica parte del volume, come ad es. un singolo capitolo), ma neanche originale sarà la disposizione di tale contenuto, il quale dovrà anzi essere organizzato secondo criteri banali (tipicamente, come già osservato, seguendo l'ordine progressivo delle pagine) per poterne consentire l'ottimale fruizione da parte dell'utente.
Tuttavia, la tendenziale esclusione della tutela autoriale per la banca dati costituita dalle immagini digitali delle singole pagine di un volume non implica ipso facto che a questa non possa eventualmente riconoscersi la diversa e ulteriore tutela di cui al Titolo II-bis, Capo I, della legge n. 633/1941 [52].
L'art. 102-bis l.d.a., in particolare, attribuisce per 15 anni il diritto c.d. sui generis di impedire l'estrazione (i.e. la riproduzione) o il reimpiego (i.e. la messa a disposizione del pubblico) di una parte sostanziale della banca dati al soggetto che effettui investimenti rilevanti [53] per la sua costituzione, la sua verifica o la sua presentazione, impegnando a tal fine mezzi finanziari, tempo o lavoro. Si tratta, in questo caso, di una norma che tutela non l'apporto creativo dell'autore (irrilevante sotto questo profilo) ma l'investimento in sé [54], secondo una ratio che accomuna in tal senso il diritto sui generis ai diritti connessi di cui al Titolo II della legge 633/1941 [55].
Occorre tuttavia osservare, in primo luogo, che non sembra agevole ipotizzare l'effettuazione di un investimento rilevante per la "verifica" di una banca dati costituita dalla immagini digitali delle pagine di un volume - avendo tale investimento ad oggetto, come chiarito dalla Corte di giustizia dell'Ue, i "mezzi destinati (...) al controllo dell'esattezza degli elementi ricercati" [56] - quando tali elementi siano stati creati direttamente (mediante digitalizzazione) dal costitutore della banca dati [57] e non, invece, da quest'ultimo raccolti aliunde.
Tale ultima circostanza assume inoltre particolare rilievo con riferimento all'ulteriore possibilità di individuare un investimento rilevante nella "costituzione" di una siffatta banca dati: la Corte di giustizia ha infatti interpretato in modo restrittivo il requisito in discorso, chiarendo come "la nozione di investimento collegata al conseguimento del contenuto di una banca di dati (...) debba essere intesa nel senso che indica i mezzi destinati alla ricerca di elementi indipendenti esistenti e alla loro riunione nella detta banca di dati, ad esclusione dei mezzi impiegati per la creazione stessa di elementi indipendenti" [58]. Orbene, nel caso di una banca dati costituita dalle immagini digitali delle pagine di un volume, l'investimento pare consistere proprio nella "creazione" degli elementi che la andranno a costituire (le immagini digitali), con la conseguenza che, in assenza di un ulteriore investimento [59] nella "ricerca" e nella "riunione" di tali elementi - ciò che potrà ad es. verificarsi nel caso di banche di dati che raccolgano immagini digitali di più volumi, come tipicamente avviene nella costituzione delle cc.dd. biblioteche digitali - dovrà escludersi la presenza di un investimento rilevante effettuato nella "costituzione" della banca dati ai sensi dell'art. 102-bis l.d.a.
Più agevole potrà invece risultare - nulla ostando sul piano teorico, ma dovendosi in ogni caso verificare il ricorrere in concreto di tale circostanza - l'individuazione di un investimento rilevante per la "presentazione" della banca dati, avendo esso ad oggetto i mezzi destinati "alla disposizione sistematica o metodica degli elementi" contenuti nella stessa "nonché all'organizzazione della loro accessibilità individuale" [60].
Le osservazioni sopra proposte, in ogni caso, sono relative alla circoscritta ipotesi in cui la banca dati sia costituita dalle immagini digitali delle pagine di un singolo volume: i presupposti per il riconoscimento del diritto del costitutore ex art. 102-bis l.d.a. (e, in talune circostanze, anche del diritto d'autore sulla struttura della banca dati) sembrano invece, in termini generali, potersi più agevolmente riscontrare quando la banca dati sia costituita dalle immagini digitali delle pagine di più volumi, dando così luogo ad una vera e propria biblioteca digitale.
La digitalizzazione e la successiva messa a disposizione on line del nostro immenso patrimonio librario appaiono sempre più irrinunciabili per la conservazione e la piena valorizzazione della cultura europea, ed il punto appare ormai al centro della strategia culturale della Commissione Ue [61].
A questo fine, all'innegabile esigenza di reperire stabili risorse finanziarie [62] e di incentivare partenariati pubblico-privati [63], sembra doversi aggiungere la necessità di un chiaro quadro di riferimento giuridico (non solo a livello interno ma, ciò che più rileva, a livello europeo) tanto sui profili "a monte", quanto su quelli "a valle" del processo di digitalizzazione.
Quanto ai profili a "monte", occorre osservare che la Commissione ha recentemente fatto alcuni primi opportuni passi in avanti:
(i) quanto alla possibilità di procedere alla digitalizzazione delle cc.dd. opere orfane, con la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni usi consentiti di opere orfane, emanata a Bruxelles il 24 maggio 2011 [64], la quale prevede le condizioni di "ricerca diligente" alle quali un'opera può essere riconosciuta come orfana e i conseguenti usi consentiti della stessa, tra cui, ex art. 6, comma 1, lett. b) della proposta, la possibilità per le biblioteche, gli istituti di istruzione, i musei pubblicamente accessibili, gli archivi, gli istituti per il patrimonio cinematografico e le emittenti di servizio pubblico di effettuare "atti di riproduzione, ai sensi dell'articolo 2 della direttiva 2001/29/CE, a fini di digitalizzazione, messa a disposizione, indicizzazione, catalogazione, conservazione o restauro";
(ii) quanto alla possibilità di procedere alla digitalizzazione delle opere fuori commercio, con due versioni di un "model agreement for a licence on digitisation of out of print works" [65], realizzate dallo High level expert group on digital libraries costituito dalla Commissione europea nel 2006, le quali dovrebbe dare alle biblioteche, previa acquisizione del consenso dei titolari dei diritti, la possibilità di digitalizzare e di concedere agli utenti l'accesso in loco o attraverso reti sicure alla versione digitalizzata delle opere oggetto della licenza (come previsto dalla prima versione del model agreement), ovvero addirittura il libero accesso online alla stesse (come previsto dalla seconda versione del model agreement).
Tuttavia, come si è visto in questo breve contributo, anche i profili "a valle" della digitalizzazione meritano particolare attenzione. In particolare, sembra auspicabile l'intervento, anche a livello comunitario:
(i) di un definitivo chiarimento sulla qualificazione giuridica del risultato della digitalizzazione (se, dunque, dei diritti esclusivi debbano essere in tutti i casi riconosciuti sulle rappresentazioni digitali delle opere, maxime quando queste siano ormai cadute nel pubblico dominio);
(ii) di un chiarimento e di una semplificazione della disciplina vigente in materia di diritto sui generis sulle banche dati non originali, le cui criticità sono state peraltro già evidenziate nell'ambito del processo di valutazione della direttiva 96/9/CE [66].
Dalla capacità del legislatore europeo e delle istituzioni dell'Unione di sciogliere i nodi giuridici sopra richiamati dipenderà, almeno in parte, l'avvento del nuovo rinascimento digitale auspicato dalla Commissione.
Note
[1] Così si legge nell'executive summary della versione italiana del report Il nuovo rinascimento, presentato a Bruxelles il 10 gennaio 2011 dal Comité des sages on bringing Europe's cultural heritage online, composto da Elisabeth Niggemann, Jacques De Decker e Maurice Lévy e nominato nel mese di aprile 2010 dai Commissari UE Neelie Croes e Androulla Vassiliou.
[2] Cfr. in particolare il par. 8.1.3 del report Il nuovo rinascimento.
[3] Cfr. la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni dal titolo i2010: le biblioteche digitali, emanata a Bruxelles il 30 settembre 2005, doc. COM(2005) 465 def.
[4] Ovvero quelle per le quali sia impossibile identificare il titolare dei diritti, circostanza che comporta difficoltà non irrilevanti rispetto a progetti di digitalizzazione di massa, anche considerato che il loro numero appare tutt'altro che modesto e che esso è anzi suscettibile di aumentare esponenzialmente stante la facilità con cui le tecnologie digitali consentono la creazione e la diffusione di opere dell'ingegno.
[5] Con la conseguenza, ad esempio, che "per ragioni giuridiche, Europeana non contiene né opere esaurite (ossia circa il 90% dei libri delle biblioteche nazionali europee) né opere orfane (che secondo le stime dovrebbero costituire il 10-20% delle collezioni per le quali vige il diritto d'autore), ancora tutelate dal diritto d'autore ma il cui autore non può essere identificato", come si legge in un comunicato stampa (IP/09/1257) emanato a Bruxelles il 28 agosto 2009.
[6] Il comunicato stampa relativo all'accordo tra Google e il ministero per i Beni e le Attività culturali, che consentirà l'accesso di circa un milione di libri non più protetti da diritto d'autore conservati nelle Biblioteche nazionali di Roma e Firenze è disponibile sul sito del Mibac, consultato in data 30 agosto 2011, all'Url: http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_1325926034.html.
[7] A fronte di due autonome azioni instaurate nel 2005 da parte dell'Authors guild of America e dell'Associazione degli editori americani (unitamente ad alcune importanti case editrici) è stato raggiunto nel mese di ottobre 2008 un discusso accordo transattivo che è stato successivamente emendato nel mese di novembre del 2009. Tuttavia, il giudice federale Danny Chin ha rigettato l'accordo il 22 marzo 2011 per il suo contrasto con la normativa in materia di copyright e antitrust. La vicenda giudiziaria è ricostruita da I. Lincesso, R. Pardolesi, "Glourious basterds": meraviglie e sortilegi del Google Books settlement, in Foro it., 2011, n. 1, 11 ss. Ne dà conto anche S. Lavagnini, La proprietà intellettuale in internet, in Ann. it. dir. aut., 2009, 228 s. Tra la copiosa dottrina statunitense ci si limita a rinviare ai recenti contributi di P. Samuelson, The Google Book Settlement as Copyright Reform, 2011 Wis. L. Rev. 479; Id., Legislative Alternatives to the Google Book Settlement, in 34 Colum. J.L. & Arts (forthcoming 2011), quest'ultimo successivo alla pronuncia del giudice Chin.
[8] Secondo quanto dichiarato il 14 ottobre 2010 dall'engineering director del progetto, James Crawford, sul blog tematico dell'azienda Inside Google Books, consultato in data 30 agosto 2011, all'Url: http://booksearch.blogspot.com/2010/10/on-future-of-books.html.
[9] Per una ricostruzione della nozione si rimanda all'ancora attuale contributo di M. Are, voce Beni immateriali (dir. priv.), in Enc. diritto, Milano, Giuffrè, vol. V, 1959, 244 ss.
[10] Il termine è tuttavia di 70 anni dal momento della prima pubblicazione dell'opera in caso di opere anonime o pseudonime, secondo quanto previsto dall'art. 27 l.d.a.
[11] Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2001 sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione, in G.U.C.E. n. L 167 del 22 giugno 2001.
[12] Su tale definizione v. da ultimo A. Musso, Diritto di autore sulle opere dell'ingegno, letterarie e artistiche, Bologna, Zanichelli, 2008, 193 ss.
[13] Meno rilevante, in questo caso, appare l'art. 70 l.d.a. (che consente liberamente la riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico per uso di critica o di discussione), norma inapplicabile, per pacifico orientamento dottrinale e giurisprudenziale - oltre che per l'inequivoco tenore letterale della norma, la quale fa riferimento a "brani" o "parti" di opera - in tutti i casi di riproduzione integrale dell'opera dell'ingegno. In questo senso v. per tutti Trib. Torino, 26 febbraio 200, inedita, per il quale "nessun intento culturale può giustificare la riproduzione integrale dell'opera stessa".
[14] Così sembrano ad esempio suggerire R. Valenti, Commento all'art. 71-ter della Legge 22 aprile 1941, n. 633, in Diritto d'autore, estratto da L.C. Ubertazzi (a cura di), Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Padova, Cedam, 2007, 211; nonché S. Vezzoso, Consultazione di opere digitali: quadro comunitario ed esperienze nazionali, in G. D'Ammassa, A. Maggipinto (a cura di), Diritto e tecnologie digitali per la valorizzazione e l'accessibilità delle conoscenze, Milano, Nyberg, 2008, 52 ss.
[15] In questo senso, v. peraltro la risposta della SIAE sul punto (redatta a cura della dott.ssa Stefania Ercolani) al questionario proposto nell'ambito del progetto Dalle biblioteche e gli archivi alla divulgazione in ambito universitario: il diritto d'autore nello studio, nella ricerca e nella didattica, condotto dall'Alma mater studiorum - Università di Bologna in collaborazione con la Fondazione istituto Gramsci dell'Emilia-Romagna, in G. Spedicato, Il diritto d'autore in ambito universitario, Milano, Simplicissimus, 2011, pag. 259 ss.
[16] In questo senso la dottrina unanime: v. per tutti M. Di Rienzo, Le utilizzazioni libere: non profit, in Ann. it. dir. aut., 2002, 263 s.
[17] La definizione è di G. Resta, L'appropriazione dell'immateriale: quali limiti?, in Dir. inf., 2004, n. 1, 29.
[18] Così G. Resta, L'appropriazione dell'immateriale, cit., 34.
[19] Su taluni parallelismi tra la normativa in materia di diritto d'autore e quella relativa ai beni culturali v. A. Musso, Opere fotografiche e fotografie documentarie nella disciplina dei diritti di autore o connessi: un parallelismo sistematico con la tutela dei beni culturali, in Aedon, 2/2010.
[20] Sulla discrezionalità dell'analogo provvedimento ex artt. 7-8 dell'abrogato D.P.R. 2 settembre 1971, n. 1249, v. già Cass. civ., S.U., 9 gennaio 1997, n. 93, in Foro it., 1997, I, 452.
[21] Sul tema, ancora vigente la precedente disciplina, v. C. Scognamiglio, Proprietà museale e usi non autorizzati di terzi, in Ann. it. dir. aut., 1999, 67 ss.
[22] Cfr. C.E. Mayr, I diritti del proprietario sull'immagine della cosa (nota a Cass. civ., 11 agosto 2009, n. 18218), in Ann. it. dir. aut., 2010, 597, il quale osserva che data le peculiarità del caso, la decisione della S.C. sarebbe in ogni caso "del tutto ininfluente ai fini della concessione di una tutela di carattere generale anche all'immagine dei beni".
[23] Cass. civ., 11 agosto 2009, cit., pubblicata anche in Danno e resp., 2010, n. 5, 471 ss., con note di G. Resta, L'immagine dei beni in Cassazione, ovvero: l'insostenibile leggerezza della logica proprietaria, e di M. Pastore, Prove (a)tecniche di tutela esclusiva dell'immagine dei beni.
[24] Così Trib. Roma, 27 maggio 1987, inedita, citata da G. Resta, L'appropriazione dell'immateriale, cit., 13, la quale ha contraddetto sul punto la precedente pronuncia di Pret. Roma, 23 giugno 1980, in Dir. aut., 1980, n. 4, 471 ss. Avevano tuttavia già negato la possibilità di riconoscere un diritto erga omnes del proprietario sull'immagine delle cose di sua proprietà Trib. Napoli, 25 luglio 1958, in Dir. aut., 1959, n. 3, 408 ss., con riferimento alla riproduzione delle parti esterne di un fabbricato; nonché Cass. civ., 15 febbraio 1968, n. 542, in Dir. aut., 1971, n. 2, 270 ss., con riferimento alla riproduzione fotografica di un apparecchio brevettato.
[25] In questo senso cfr. specialmente G. Resta, L'immagine dei beni in Cassazione, cit., 484, il quale ammette tuttavia che "l'atto unilaterale o il contratto con il quale si concede l'accesso al fondo (si pensi ad un museo o ad una casa privata contenente opere d'arte cadute nel pubblico dominio) possono essere corredati da una clausola espressa o tacita di non divulgazione, di tal che l'eventuale atto di riproduzione in violazione dell'accordo risulterebbe fonte di responsabilità civile".
[26] Così C.E. Mayr, I diritti del proprietario sull'immagine della cosa, cit., 603.
[27] Così M. Fusi, Sulla riproduzione non autorizzata di cose altrui in pubblicità, in Riv. dir. ind. 2006, n. 3, 98 s., per il quale "non si vede su quali basi si potrebbe anche solo dubitare che il diritto di proprietà su una cosa si estenda pure alla sua immagine, evidente essendo che esso investe la cosa nella totalità e con riguardo a tutti i suoi aspetti, fra i quali il tratto esteriore gioca un ruolo certamente non secondario non fosse altro perché essenziale ai fini dell'individuabilità della cosa stessa nel mondo esterno". L'A. riconosce tuttavia "come l'oggetto della proprietà non vada confuso con il contenuto del diritto e come l'esclusiva sull'immagine della cosa, se è sicuramente da riconoscersi al dominus in linea di principio, non sia però sempre azionabile in concreto, o in ragione della natura del bene o con riguardo alla disposizione fattane dal proprietario". La tesi è tuttavia espressamente criticata da G. Resta, L'immagine dei beni, in Id. (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, Utet, 2010, 563, per il quale al contrario la "lettera della legge sembra (...) circoscrivere la facoltà di godimento e disposizione comprese nel diritto di proprietà alle cose che formano oggetto del diritto, senza contemplare le relative proiezioni incorporali".
[28] Si ritiene preferibile parlare di corpus quasi-mechanicum, e non di corpus mechanicum in senso stretto, poiché se per un verso appare difficile parlare di "materialità" con riferimento ad un file, a questo non può essere tuttavia negata una qualche dimensione "fisica". Con specifico riferimento alla dicotomia tra corpus mysticum e corpus mechanicum, inoltre, la specifica funzione di "contenitore" di informazione assolta da un file lo rende maggiormente assimilabile al corpus mechanicum rispetto al corpus mysticum costituito dall'informazione ivi codificata.
[29] Cfr. Cass. pen., 26 ottobre 2010, n. 44840, in Dir. pen. e proc., 2011, n. 2, 161; Cass. pen. Sez. IV, 13 novembre 2003, n. 3449, in Riv. pen., 2005, n. 11, 1395 ss., con nota di S. Corbetta, Furto di files.
[30] Sempre che, ovviamente, il predetto sistema informatico sia protetto da misure di sicurezza, come espressamente richiesto per la configurabilità della fattispecie dall'art. 615-ter c.p.
[31] Su cui v. per tutti, in generale, V.M. De Sanctis, Il carattere creativo delle opere dell'ingegno, Milano, Giuffrè, 1971.
[32] Trib. Bari, 27 settembre 2006, inedita.
[33] Così Trib. Catania, 27 agosto 2001, in Dir. ind., 2002, 97 ss. con nota di P. Cavallaro, Le fotografie come oggetto di diritto d'autore.
[34] Così Pret. Saluzzo, 13 ottobre, 1993, in Dir. aut., 1994, n. 3, 484 ss.
[35] La circostanza che possano esistere fotografie non protette dal diritto d'autore è peraltro del tutto conforme alle obbligazioni derivanti dal diritto comunitario e internazionale, considerato che l'art. 6 della direttiva 2006/116/CE concernente la durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi, in G.U.C.E. n. L 372 del 27 dicembre 2006, stabilisce che, al di là delle fotografie di carattere creativo, tutelate dal diritto d'autore, gli Stati membri "possono" (e non "devono") prevedere la protezione di altre fotografie. Analogamente, l'art. 2.1 della Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche (nell'ultima versione riveduta a Parigi il 24 luglio 1971) sancisce come necessaria la tutela per le sole "opere fotografiche", mentre l'art. 7.4 specifica ulteriormente che i paesi unionisti hanno "facoltà di stabilire la durata della protezione delle opere fotografiche e di quelle delle arti applicate, protette in qualità di opere artistiche", lasciando fuori dalla Convenzione le ipotesi in cui le fotografie non siano, per l'appunto, protette "in qualità di opere artistiche".
[36] In questo senso v. anche N. Rositani, La tutela della fotografia, in N. Rositani, I. Zannier, La fotografia. Dall'immagine all'illecito nel diritto d'autore, Milano, Skira, 2005, 61.
[37] Cass. civ. 21 giugno 2000, n. 8425, in Foro it., 2001, I, c. 2631, con nota di M. Chiarolla, Giro di boa per le fotografie cosiddette semplici di oggetti materiali.
[38] App. Roma, 2 maggio 2011, inedita.
[39] In senso conforme v. anche Cass. civ., 13 gennaio 1988, n. 183, in Giust. civ., 1988, I, 955.
[40] Come in dottrina sembra fare ad es. S. Lavagnini, nota a Trib. Milano 4 agosto 1998, in Ann. it. dir. aut., 1999, 546, osservando che "le fotografie escluse da ogni tutela ex art. 87 capoverso l.a. costituirrebbero una categoria estremamente ristretta e residuale, fra cui andrebbero comprese le fotografie normalmente effettuate ad autoveicoli dopo uno scontro, a scopi assicurativi; le fotografie di un luogo, per documentarne lo status; forse anche le fotografie esclusivamente segnaletiche; e così via. Sarebbero invece sempre (almeno) fotografie oggetto di diritti connessi le fotografie amatoriali, riprese in vacanza, in gita o ad una festa; le fotografie di oggetti materiali per fini non esclusivamente archivistici (e per esempio, come nel caso di specie, le fotografie realizzate per essere inserite in un catalogo); etc.".
[41] In questo senso v. chiaramente A. Musso, Diritto di autore sulle opere dell'ingegno, cit., 90, nota n. 4, il quale osserva come anche la funzione della fotografia debba essere "rilevabile obiettivamente dal contesto e dalla percezione dell'opera, non già dall'intento soggettivo dell'autore".
[42] Cfr. in questo senso E. Piola Casellli, Codice del diritto di autore: commentario della nuova Legge 22 aprile 1941-XIX, n. 633, Torino, Utet, 1943, 486, il quale, scrivendo tuttavia in un'epoca in cui era esclusa la possibilità di tutelare una fotografia con l'attribuzione del diritto d'autore, osservava come "la legge, pur non esigendo un contenuto di carattere creativo della natura di quello del contenuto delle opere dell'ingegno protette dal diritto d'autore, vuole che le fotografie abbiano non di meno un certo contenuto e valore artistico rispondente a quel quid creativo che è proprio del processo fotografico e che consiste principalmente nella scelta degli elementi da riprodurre e nella combinazione delle prospettive, delle luci e dei colori".
[43] Cfr. G. Sacchi Lodispoto, nota a Trib. Roma, 24 febbraio 1998, in Dir. inf., 1998, n. 4-5, 801, il quale osserva appunto come "nella terza ipotesi prevista dalla legge n. 633/1941, la fotografia non sembra (...) essere nulla di piu di una semplice fotocopia di un documento". Cfr. altresì in senso analogo G. Guglielmetti, nota a Cass. civ., 4 luglio 1992, n. 8186, in Ann. it. dir. aut., 1992, 565, il quale osserva come "l'esclusione della tutela ex art. 87 comma 2 riguarda fotografie non creative di una serie di oggetti che hanno un quid che tutti li accomuna; individuando tale quid nell'essere questi oggetti fotografati in funzione di formazione o riproduzione documentale".
[44] In questo senso, ad es., App. Milano, 15 giugno 1999, in Ann. it. dir. aut., 2000, 689 ss., ha escluso qualunque tutela (e dunque anche quella ex art. 87 ss. l.d.a.) per delle riproduzioni fotografiche di documenti della Sacra Rota.
[45] Tanto si legge nell'executive summary della versione italiana del report. Il Comité de sages aggiunge peraltro, al par. 4.1.5 dello stesso report, che "molte istituzioni culturali di tutta Europa rivendicano diritti sul materiale digitalizzato di dominio pubblico. In altre parole, invocano nuovi diritti che sarebbero sorti a seguito della digitalizzazione del materiale. Le basi di simili rivendicazioni non sono tuttavia sempre solide e la situazione può variare da uno Stato membro all'altro, secondo la legislazione sul diritto d'autore vigente nel paese interessato. Questo può portare a una situazione in cui gli oggetti digitalizzati sono protetti in un paese ma non in un altro, situazione che si rivela particolarmente problematica in un contesto transfrontaliero".
[46] Per la dottrina maggioritaria, correttamente, l'assenza delle indicazione richieste dall'art. 90 l.d.a. non incide sull'esistenza del diritto, che in ossequio ai principi generali del diritto d'autore sorge con la semplice creazione dell'opera (in questo caso, con la semplice realizzazione della fotografia), ma rileva sul diverso piano dell'opponibilità ai terzi di tale diritto.
[47] Così Cass. civ., 18 marzo 2005, n. 5969, in Riv. dir. ind., 2006, II, 3 ss., con nota di E. Callegari, Diritto d'autore e compenso del fotografo.
[48] Così E. Piola Casellli, Codice del diritto di autore, cit., 489.
[49] Cfr. il considerando n. 17 della direttiva 96/9/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 1996, relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, in G.U.C.E. n. L 77 del 27 marzo 1996.
[50] Cfr. il punto n. 30 della sentenza resa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in data 9 novembre 2004, nella causa C-444/02 (Fixtures marketing), in Ann. it. dir. aut., 2005, 407 ss., con nota di Cogo, ove si osserva come "questa condizione comporta che la raccolta figuri su un supporto fisso, di qualsiasi natura, e contenga un mezzo tecnico quale un processo di tipo elettronico, elettromagnetico o elettroottico, in base al tredicesimo considerando della stessa direttiva, o un altro mezzo, quale un sommario, un indice delle materie, un piano o un metodo di classificazione particolare, che consente la localizzazione di ogni elemento indipendente contenuto nel suo ambito".
[51] Sulla particolare declinazione del requisito del carattere creativo nel caso delle banche dati v. P.A.E. Frassi, Creazioni utili e diritto d'autore, Milano, Giuffrè, 1997, 170 ss.
[52] Il terzo comma dell'art. 102-bis l.d.a, infatti, prevede esplicitamente che la tutela prevista da tale articolo si applichi "indipendentemente dalla tutelabilità della banca di dati a norma del diritto d'autore o di altri diritti".
[53] Sulla definizione di "investimento rilevante" v. V. Di Cataldo, Banche-dati e diritto sui generis: la fattispecie costitutiva, in Ann. it. dir. aut., 1997, 24; nonché E. Derclaye, Database Sui Generis Right: What is substantial Investment? A Tentative Definition, in IIC, 2005, 2 ss.
[54] Cfr. il considerando n. 40 della Direttiva 96/9/CEE.
[55] Sull'equivoca definizione di diritto sui generis v. M.S. Spolidoro, Il contenuto del diritto connesso sulle banche di dati, in Ann. it. dir. aut., 1997, 45 ss.
[56] Così al punto n. 43 della citata sentenza Fixtures marketing. Nello stesso senso v. il punto n. 38 della sentenza resa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in data 9 novembre 2004, nella causa C-203/02 (British horseracing).
[57] Ma cfr. i punti n. 46 della citata sentenza Fixtures marketing e n. 36 della citata sentenza British horseracing, ove la Corte osserva come tale circostanza non tolga "che la raccolta di questi dati, la loro disposizione sistematica o metodica nell'ambito della banca di dati, l'organizzazione della loro accessibilità individuale e la verifica della loro esattezza per tutto il periodo di funzionamento della banca di dati possano richiedere un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo, ai sensi dell'art. 7, n. 1, della direttiva".
[58] Così al punto n. 40 della citata sentenza Fixtures marketing, il quale tuttavia fa riferimento non alla "costituzione", bensì al "conseguimento" ("obtaining", nel testo inglese; "obtention" nel testo francese; "obtención" nel testo spagnolo; "Beschaffung" nel testo tedesco) della banca di dati, in coerenza con la dizione del testo italiano della direttiva 96/9/CE trasposto sul punto de quo in modo non letterale dal legislatore interno. Ciò non induce tuttavia a ritenere che il termine "costituzione" utilizzato dal legislatore italiano debba essere interpretato in modo diverso dal termine "conseguimento" utilizzato dalla direttiva, sebbene non si può nascondere che essi non appaiano effettivamente coincidenti nella lingua italiana. Ad escludere tale circostanza valga la considerazione che lo Studio sull'implementazione e l'applicazione della direttiva commissionato dalla Commissione europea nel 2001 non ha evidenziato sul punto alcuna discrasia tra il testo della direttiva e il suo recepimento nell'ordinamento italiano. Cfr. sul punto quanto osservato a pag. 219 dello studio commissionato dalla D.G. Mercato Interno della Commissione europea dal titolo The implementation and application of Directive 96/9/EC on the legal protection of databases.
[59] La circostanza è ulteriormente chiarita dalla Corte al punto n. 45 della citata sentenza Fixtures marketing e al punto n. 35 della citata sentenza British horseracing, ove si osserva che il costitutore potrà "rivendicare il beneficio della tutela conferita dal diritto sui generis, a condizione che dimostri che il conseguimento dei detti elementi, la loro verifica o la loro presentazione (...) abbiano dato luogo ad un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo, autonomo rispetto ai mezzi impiegati per la creazione di questi elementi".
[60] Così ancora la Corte di giustizia Ue al punto n. 43 della citata sentenza Fixtures marketing.
[61] Per approfondimenti si visitino le pagine relative alla Digital Libraries Initiative sul sito della Commissione europea (consultato il 30 agosto 2011).
[62] Il punto è specificamente all'ordine del giorno (cfr. par. 2.7.3) della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni intitolata Un'agenda digitale - doc. COM(2010) 245 definitivo/2 - emanata a Bruxelles il 26 agosto 2010.
[63] In questo senso v. § 9 del report Il nuovo rinascimento.
[64] Cfr. la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni usi consentiti di opere orfane - doc. COM(2011) 289 def. - presentata a Bruxelles il 24 maggio 2011.
[65] Sulle due versioni del model agreement v. il par. 6.3 del Final Report on Digital Preservation, Orphan Works, and Out-of-Print Works, presentato il 4 giugno 2008 dall'High level expert group on digital libraries.
[66] Cfr. in particolare il par. 5.1 ss. del report della Commissione First evaluation of Directive 96/9/EC on the legal protection of databases, pubblicato a Bruxelles il 12 dicembre 2005.