La cultura e il ruolo del pubblico
Limiti del pubblico e doveri civici [*]
Sommario: 1. Introduzione. - 2. I possibili riflessi delle pronunce della Cassazione sulla categoria dei beni pubblici. - 3. Le limitazioni alla facoltà di godimento del proprietario di terreni adiacenti alle strade pubbliche. - 4. Gli obblighi imposti ai privati proprietari con ordinanza sindacale. - 5. I progetti approvati dall'Autorità garante per la partecipazione in Toscana. - 6. I microprogetti di arredo urbano. - 7. La partecipazione dei cittadini alla gestione e alla cura degli spazi pubblici.
Public bounds and civic responsibilities
This paper examines whether public areas (as streets, squares, parks) could
be efficiently managed by the privates. Currently, public areas are often
interested by urban decay and the public authorities do not have enough resources
to take care of such areas. As a consequence, it is necessary to look for
good practices already adopted by privates and to support them. Firstly, I
analyzed whether, in addition to the traditional categories of private and
public goods, there is also room for the recognition of common goods in our
system and I found some recent decisions admitting the existence of such category.
Secondly, I examined several good practices carried out by privates and I
concluded that there are essentially three categories of intervention. In
particular: (i) the works adopted by privates on their own buildings which
have also a positive effect on public areas (for instance, painting the external
walls); (ii) the interventions carried out by privates directly on public
areas next to their properties (for instance, the maintenance of a sidewalk);
and finally (iii) the good practices carried out by privates for common interests
(the maintenance of a park). Finally, I considered the measures adopted by
the public authorities in order to support and promote such good practices.
La ricerca analizza se gli spazi pubblici vengano attualmente gestiti anche mediante forme di responsabilizzazione diretta da parte dei privati.
Gli spazi pubblici come le strade, le piazze e i parchi italiani sono sempre stati luoghi di incontro in cui si costruiscono relazioni e si crea integrazione sociale. Tuttavia, da un lato il degrado urbano e l'atteggiamento da free riders da parte di molti individui, dall'altro la mancanza di risorse da parte della pubblica amministrazione, rischiano di compromettere la qualità della vita all'interno delle città.
La ricerca è stata svolta su due livelli. Dapprima si sono analizzati i recenti orientamenti giurisprudenziali, normativi e dottrinali sulla tematica della classificazione dei beni pubblici e privati per verificare se vi è spazio per l'introduzione, nel nostro ordinamento, della categoria dei beni comuni.
In particolare, secondo un recente orientamento della giurisprudenza, un bene immobile è da considerarsi bene comune, quando realizza benefici per l'intera collettività, indipendentemente dalla sua titolarità.
Successivamente è stato selezionato un campione di esperienze concrete di gestione di spazi pubblici da parte dei privati.
Dall'analisi di tali esperienze è emerso che la tutela degli spazi urbani può derivare essenzialmente da tre categorie di interventi.
Vi sono, innanzitutto, comportamenti civici corretti posti in essere da parte di privati proprietari sui propri immobili, adiacenti alle pubbliche vie, che hanno un effetto positivo anche su queste ultime.
In secondo luogo, vi sono le consuetudini civiche, ovvero interventi eseguiti dai privati direttamente sugli spazi pubblici, nella convinzione che tali comportamenti siano obbligatori.
La prima tipologia di interventi deriva dalle limitazioni imposte dalla legge allo status di proprietario. La seconda tipologia, invece, si configura quando i privati ritengono di essere obbligati alla manutenzione degli spazi pubblici in quanto adiacenti ai propri beni immobili. In entrambi i casi i privati realizzano tali interventi per interessi di natura individuale - egoistica.
Vi è poi una terza categoria di esperienze di cura e gestione degli spazi urbani in cui i privati agiscono in via principale per la soddisfazione di interessi generali. In tali casi, la rilevanza degli interessi individuali è minima mentre ciò che assume importanza è l'appartenenza ad una via, ad un quartiere, ad una zona della città.
Dall'analisi delle esperienze concrete è emerso che la pubblica amministrazione principalmente può: (i) incentivare l'assunzione di responsabilità da parte degli individui (come avviene ad esempio nel caso dei micro-progetti di interesse locale previsti dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2); (ii) mettere a disposizione dei privati, a posteriori, delle risorse, non necessariamente di tipo economico (come nel caso della gestione del parco Amendola Nord a Modena da parte di un comitato di cittadini e della riqualificazione del quartiere di Saione ad Arezzo, promossa dagli abitanti e dai commercianti della zona e poi co-gestita dal comune insieme ai cittadini). Posto che la P.A. non può ostacolare tali iniziative, perché ciò contrasterebbe con l'art. 118 Cost. che obbliga le amministrazioni a favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, dall'esame delle esperienze concrete è emersa una tendenza a favorire e, spesso, a regolamentare tali iniziative spontanee.
2. I possibili riflessi delle pronunce della Cassazione sulla categoria dei beni pubblici
Con tre recenti sentenze, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno messo in discussione la tradizionale dicotomia fra beni pubblici e privati [1].
La questione affrontata in tutte e tre le decisioni è stata sollevata con particolare riferimento alla natura demaniale delle valli da pesca della laguna veneta.
La Suprema Corte, richiamandosi in particolare, agli artt. 2, 9 e 41 della Costituzione, ha provato a ridefinire il concetto di bene pubblico, superando la tradizionale classificazione patrimoniale-proprietaria per approdare ad una ricostruzione in chiave personale-collettivistica.
Secondo tale impostazione, dagli artt. 2, 9 e 42 Cost. si ricava il principio della tutela della personalità umana, il cui corretto svolgimento avviene, non solo nell'ambito di quei beni che per classificazione legislativa-codicistica rappresentano il demanio e il patrimonio dello Stato, ma anche nell'ambito di "quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell'intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività".
Secondo tale interpretazione, qualsiasi bene immobile, indipendentemente dalla sua titolarità, è da considerarsi "comune", ovvero pubblico, quando la sua funzione consiste nel realizzare dei benefici per l'intera collettività.
Le Sezioni Unite hanno ancorato il criterio di classificazione dei beni pubblici-demaniali al concetto di funzione del diritto di proprietà [2] con ciò intendendo che per valutare "la natura pubblica di un bene, più che allo Stato-apparato, quale persona giuridica pubblica individualmente intesa, debba farsi riferimento allo Stato-collettività, quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi della cittadinanza (collettività) e quale ente preposto alla effettiva realizzazione di questi ultimi".
L'appartenenza del bene all'ente pubblico, in definitiva, si giustifica nella misura in cui quest'ultimo sia legato al bene da un rapporto di servizio e sia quindi tenuto ad assicurare la fruizione del bene ai consociati e a garantire il mantenimento delle sue caratteristiche specifiche.
Le Sezioni Unite sembrano riprendere quella dottrina che in passato aveva proposto una lettura innovativa del binomio proprietà-funzione, rimettendo in discussione il modello unitario di proprietà, che il legislatore del 1942 ha ereditato dal modello del Code Napolèon [3].
Anche se questa impostazione ha il merito di valorizzare gli interessi della collettività a godere di quei beni che realizzano la personalità di ciascun individuo, vi è il rischio che, non ancorando ad un criterio altrettanto tassativo come quello dell'espressa titolarità ex lege, l'appartenenza di un bene all'una piuttosto che all'altra categoria, si possano limitare fortemente le libertà spettanti ai privati in qualità di proprietari.
In una direzione analoga a quella seguita dalle Sezioni Unite, si colloca il documento elaborato dalla Commissione sui beni pubblici, incaricata di predisporre uno schema di disegno di legge delega per la riforma delle norme sui beni pubblici contenute nel codice civile agli artt. 822 ss. [4].
I membri della Commissione hanno utilizzato due criteri ispiratori: in primis un'analisi dei beni basata sulla loro rilevanza economica e sociale; in secondo luogo si è posto l'accento sul collegamento tra le utilità prodotte dai beni e la tutela dei diritti della persona e degli interessi pubblici essenziali [5].
Nel testo del documento scompare la classificazione dei beni pubblici in beni demaniali e patrimonio indisponibile/disponibile e viene introdotta una nuova suddivisione, fondata sulla natura e sulla funzione dei beni: vi sono i beni ad appartenenza pubblica necessaria; i beni pubblici sociali e i beni pubblici fruttiferi.
Un elemento peculiare contraddistingue i beni pubblici sociali: essi infatti possono circolare e quindi non appartenere formalmente alla pubblica amministrazione, in quanto su di essi grava un vincolo reale di destinazione pubblica.
Inoltre, superando la classificazione dei beni contenuta nel codice civile, si è proposto di introdurre una nuova categoria di beni, i c.d. beni comuni, caratterizzati dall'essere cose che soddisfano interessi generali fondamentali e di contribuire al libero sviluppo della persona. All'interno di questa categoria vi rientrano i beni archeologici, culturali e ambientali e le risorse naturali; ovvero i fiumi i torrenti e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque; l'aria; i parchi, le foreste, i boschi, le zone montane di alta quota, i ghiacciai, i lidi e i tratti di costa dichiarati riserva ambientale, la fauna selvatica e la flora.
Si tratta quindi di cose che richiedono una tutela da parte dell'ordinamento particolarmente intensa, posto che sono beni a consumo non rivale ma con problemi di esauribilità.
Essi possono appartenere non solo a persone giuridiche pubbliche ma anche ai privati, ma deve in ogni caso esserne assicurata la fruizione collettiva, nei limiti e secondo le modalità fissati dalla legge.
Se la titolarità dei beni comuni è pubblica, essi sono collocati fuori commercio, e ne è inoltre consentita la concessione nei soli casi previsti dalla legge e per una durata limitata.
Si è previsto che all'esercizio dell'azione di danni sia legittimato in via esclusiva lo Stato; ma chiunque può agire in giudizio per la tutela dei diritti connessi alla salvaguardia e alla fruizione dei beni comuni.
Occorre allora interrogarsi sulle possibili ripercussioni dell'eventuale introduzione nel nostro ordinamento della categoria dei beni comuni.
In primo luogo, si sottolinea che il dibattito e l'attenzione per i beni comuni è trasversale, perché sta coinvolgendo la dottrina, il legislatore e la giurisprudenza.
Inoltre, se la tendenza del legislatore è quella di scindere il binomio fra la proprietà pubblica del bene e la sua destinazione per finalità generali, è ipotizzabile che i vincoli imposti su tali beni saranno molto stringenti, con la conseguenza che il privato proprietario di un bene comune sarà limitato nelle sue facoltà di godere e disporre, e potrà essere anche costretto a porre in essere comportamenti finalizzati alla conservazione del bene e al suo godimento da parte dell'intera collettività.
L'evoluzione che sembra essersi avviata va quindi nella direzione di una sempre maggior tutela degli interessi diffusi che vengono tutelati indipendentemente da un rapporto di titolarità con il bene e un indicatore di questa nuova sensibilità, inserito nello schema di disegno di legge delega, è costituito dalla possibilità, riconosciuta a chiunque, di poter agire in giudizio per la salvaguardia e la fruizione dei beni comuni.
Rimane tuttavia da chiedersi se l'istituto della proprietà, così come disciplinato nella nostra Costituzione, sia compatibile con un tale sistema. In altri Paesi ad esempio, è stato introdotto recentemente un vero e proprio dovere di prendersi cura dei beni comuni [6].
Probabilmente, senza procedere ad una modifica del testo costituzionale, potrebbe essere sufficiente fare riferimento alla funzione sociale della proprietà, prevista dall'art. 42, comma 2, Cost.
3. Le limitazioni alla facoltà di godimento del proprietario di terreni adiacenti alle strade pubbliche
Diverse norme di legge e regolamentari prescrivono limitazioni a carico del proprietario di immobili adiacenti alle pubbliche vie.
Oltre alle norme contenute nel codice civile [7] e ai vincoli imposti dalle disposizioni in materia urbanistica, la maggior parte dei comuni ha introdotto nel proprio regolamento di polizia esplicite norme che prevedono obblighi a carico dei proprietari frontisti.
Una norma che ricorre frequentemente è quella che prevede l'obbligo di tenere sgombro da neve il marciapiede in caso di nevicata [8].
Si tratta di disposizioni che impongono un obbligo di fare al proprietario dell'immobile la cui violazione comporta in alcuni casi una sanzione pecuniaria.
Va rilevato che sul punto esistono pochissime pronunce in materia: in un caso deciso dal Tribunale di Monza, il comune, convenuto in giudizio per i danni derivati da caduta su un marciapiede ricoperto di neve nei pressi della stazione ferroviaria, ha contestato la fondatezza della domanda, affermando che l'obbligo di tenere puliti i marciapiedi dalla neve incombeva sui proprietari-frontisti.
Tuttavia nel prosieguo del giudizio, la domanda è stata abbandonata poiché l'attore ha dimostrato che nel luogo dell'incidente non vi erano privati proprietari di immobili retrostanti il marciapiedi [9].
Quanto alla giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte ha recentemente affrontato la questione con particolare riguardo ai danni provocati da buche sui marciapiedi [10].
Nel caso di specie, il giudice d'appello, confermando la pronuncia di primo grado, aveva condannato un condominio al risarcimento dei danni derivanti da una caduta provocata da alcune buche sul marciapiede, poiché il condominio non aveva mai negato la titolarità della proprietà del marciapiede e secondo il giudice, ne era pacifica quanto meno la gestione.
La Corte di legittimità [11] ha cassato la decisione statuendo che gli obblighi di manutenzione dell'ente pubblico proprietario di una strada aperta al pubblico transito, al fine di evitare l'esistenza di pericoli occulti, si estendono ai marciapiedi laterali, i quali fanno parte della struttura della strada, essendo destinati al transito dei pedoni. Di conseguenza, il condominio in questione non risponde del danno cagionato da buche sussistenti sul marciapiede [12].
4. Gli obblighi imposti ai privati proprietari con ordinanza sindacale
Ad Agrigento, i proprietari di aree incolte nei centri urbani o di terreni confinanti con strade comunali e vicinali devono tenere pulite le aree lasciate abbandonate; hanno l'obbligo di liberarle da erbe e rovi e qualsiasi altro materiale; devono sistemare le siepi per evitare l'ingombro delle cunette stradali, lasciando pulita la strada e devono inoltre provvedere nel più breve tempo possibile, quando per qualsiasi causa, cadano sul manto stradale, detriti, rami eccetera, provenienti da stradoni o passaggi privati [13].
In caso di mancata esecuzione dei lavori di manutenzione, il Sindaco può ingiungere ai privati proprietari di eseguire le opere necessarie e in caso di inottemperanza, è previsto che il comune agisca d'ufficio, addebitando i costi ai privati.
I proprietari sono in ogni caso ritenuti responsabili, secondo quanto disposto dalla medesima ordinanza, dei danni eventualmente derivanti, dalla mancata esecuzione dei lavori di cui sopra.
A Pisa, per tutelare la vivibilità, il decoro e la sicurezza urbana, i privati, proprietari dei terreni posti nel centro urbano, hanno l'obbligo di mantenerli con la vegetazione a raso affinché non siano impedite la visibilità e il controllo.
Il mancato rispetto di tali obblighi comporta l'applicazione di una sanzione pecuniaria, salvo che la fattispecie non integri i presupposti di un illecito penale e/o amministrativo [14].
Il Sindaco del comune di Centola, una località turistica in provincia di Salerno, ha imposto una lunga serie di obblighi ai residenti, alcuni dei quali indirizzati in particolare, ai proprietari di terreni o giardini confinanti con pubbliche vie, piazze e strade o esposti alla pubblica vista: questi ultimi, devono mantenere in buono stato le recinzioni di tali immobili, affinché siano adeguate al decoro e all'immagine turistica del comune.
Per le medesime finalità, l'ordinanza impartisce disposizioni simili anche con riferimento agli androni, alle scale, alle porte, alle vetrate, arrivando a prevedere che i teli e le altre forme di riparo visivo debbano essere di colore uniforme, nonché adatto al contesto ambientale; ed ancora, si prevedono obblighi restauro e di tinteggiatura delle facciate degli edifici.
E' fatto inoltre divieto di imbrattare i muri degli edifici con scritte di qualsiasi genere, ed in caso di mancata individuazione dei responsabili, il comune può provvedere alla rimozione delle scritte, addebitando i costi ai privati proprietari [15].
Le tre fattispecie sopra descritte hanno in comune due elementi: sono tutti provvedimenti contenenti obblighi di fare imposti a carico dei privati in qualità di proprietari di immobili, per esigenze di tutela degli spazi pubblici e sono inoltre espressione del potere di ordinanza del Sindaco, disciplinato dall'art. 54, 4° comma [16] del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico degli enti locali), così come modificato dall'art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica) convertito nella legge 24 luglio 2008, n. 125 [17].
A seguito di tale modifica, il legislatore ha attribuito al Sindaco, in qualità di ufficiale di governo, il potere di emettere ordinanze, anche non contingibili ed urgenti, per prevenire ed eliminare gravi pericoli che minaccino l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana.
Le definizioni di incolumità pubblica e di sicurezza urbana sono state demandate dal Testo Unico ad un successivo decreto del ministro dell'Interno, il quale ha provveduto con d.m. 5 agosto 2008, definendo in particolare la sicurezza urbana "un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell'ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale".
I comportamenti, che legittimano l'esercizio del potere di ordinanza da parte del Sindaco, vengono elencati dal successivo articolo 2: tale elenco contiene un ampio ventaglio di situazioni e di condotte, riconducibili da un lato, ad una serie di fenomeni criminosi quali, spaccio, sfruttamento della prostituzione, accattonaggio, occupazione abusiva di immobili; e dall'altro, si fa riferimento a situazioni ordinarie che, pur non rivestendo i caratteri di gravità della prima serie di comportamenti descritti, sono comunque suscettibili di arrecare danno alla pubblica sicurezza: il riferimento è a quei comportamenti che danneggiano il patrimonio pubblico e privato e che determinano lo scadimento della qualità urbana, l'incuria e il degrado degli immobili.
Quindi, sia l'ambito di applicabilità delle ordinanze, sia la definizione di sicurezza pubblica contenuta nel decreto ministeriale sono molto ampie, ed in particolare, la seconda, facendo riferimento alla gestione del territorio urbano e alla qualità della vita, consente un vasto potere di intervento in capo ai Sindaci a tutela di tali interessi, anche se limitativo della libertà dei singoli, ai quali sono stati fino ad ora imposti innumerevoli obblighi di fare.
Dall'esame delle ordinanze adottate fino ad ora [18], emerge che i Sindaci hanno fatto un ampio uso di questo potere, non solo per regolare situazioni contingibili ed urgenti, ma anche e soprattutto per regolare situazioni ordinarie e con un'efficacia non limitata nel tempo [19].
Spesso inoltre, le ordinanze del sindaco hanno imposto degli obblighi di fare in capo a privati esclusivamente in virtù di un rapporto di appartenenza con un bene di loro proprietà e quindi indipendentemente dall'accertamento di una responsabilità connessa alla situazione di pericolo venutasi a creare.
Tale prassi è stata avvallata anche dal Consiglio di Stato [20], che in una recente pronuncia ha stabilito che l'ordinanza contingibile ed urgente non ha carattere sanzionatorio ma solo ripristinatorio [21]; di conseguenza, l'emanazione del provvedimento non dipende, secondo il Collegio, dalla individuazione di responsabilità del proprietario in relazione alla situazione inquinante poiché essa è diretta esclusivamente alla rimozione dello stato di pericolo e a prevenire danni alla salute pubblica. Di conseguenza, l'ordinanza è legittimamente indirizzata al proprietario dell'area, cioè a chi si trova con questa in rapporto tale da consentirgli di eliminare la riscontrata situazione di pericolo, ancorché tale situazione non possa essergli imputata [22].
Un'altra ipotesi che si è verificata è quella relativa ad obblighi manutentivi derivanti dall'imbrattamento delle facciate degli edifici. In alcuni casi infatti [23], i Sindaci hanno adottato dei provvedimenti che prescrivono l'obbligo a carico dei proprietari di rimuovere le scritte a proprie spese. In dottrina, si è sottolineato che poiché i proprietari di edifici che si affacciano sulla pubblica via non possono impedire il passaggio di terzi, e quindi esercitare la custodia ex art. 2051 cod. civ., i comuni non possono addossare ai privati proprietari una tale responsabilità, violandosi in caso contrario l'art. 42 Cost., nonché la riserva di legge ex art. 23 della Costituzione [24].
La scelta del legislatore di attribuire ai Sindaci un così ampio potere implica l'adesione alla teoria così detta delle broken windows, il cui principio base è che il degrado provoca altro degrado.
Di conseguenza, una finestra rotta o un graffito su un muro, se non si interviene tempestivamente, possono provocare in un determinato spazio urbano un disordine sociale ed un senso di pericolosità ed insicurezza con un conseguente indebolimento dei rapporti di vicinato e con il trasferimento di molti individui in altre zone della città [25].
Le critiche mosse a questo modello, poggiano sul fatto che spesso esso viene interpretato dalle amministrazioni nel senso di non tollerare e quindi di sanzionare, tutti quei comportamenti che pur essendo penalmente rilevanti, rappresentano una violazione di regole di civiltà non scritte, la cui osservanza dipende dal livello di senso civico del cittadino [26].
La stagione delle ordinanze sembra in ogni caso essersi esaurita in seguito alla recente pronuncia della Corte costituzionale 7 aprile 2011, n. 115, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 54, 4° comma, del d.lg. 267/2000, nella parte in cui comprende la locuzione ", anche" prima delle parole "contingibili e urgenti".
Già prima di tale pronuncia, diversi autori in dottrina avevano prospettato una possibile declaratoria di illegittimità costituzionale del potere di ordinanza sindacale, ritenendo che l'art. 54, 4° comma del Testo Unico violasse in particolare gli artt. 13, 117 e 118 della Costituzione.
Si era sottolineato infatti, che il rinvio ad una fonte non legislativa operato dal comma 4-bis dell'art. 54 del Testo Unico, contrastava con la competenza legislativa statale esclusiva prevista dall'art. 117 Cost, 2° comma, lett. h) in materia di ordine pubblico e sicurezza.
Veniva inoltre violata la riserva assoluta in materia di libertà personale ex art. 13 Cost., in quanto l'ambito di applicabilità delle ordinanze, che contengono anche disposizioni restrittive e a carattere sanzionatorio, era previsto da una fonte regolamentare e non di rango legislativo.
Infine, se le funzioni amministrative in materia di sicurezza urbana corrispondono a quelle stabilite dal decreto ministeriale più volte citato, la norma violava anche l'art. 118 Cost. in quanto l'allocazione di funzioni era opera di una fonte non legislativa [27].
La dottrina inoltre, si era interrogata sul problema della possibile sovrapposizione di tali strumenti con i regolamenti comunali.
Ed invero, il problema si era posto con maggior vigore a partire dalla novella del 2008, che aveva appunto introdotto un potere di ordinanza ordinario, ampliandolo anche al di fuori delle situazioni di contingibilità ed urgenza ed estendendolo a tutela della sicurezza urbana e non solo dell'incolumità pubblica.
Il decoro urbano ed ambientale così come il corretto uso del suolo pubblico vengono infatti tradizionalmente tutelati dai regolamenti comunali ed in particolare dai regolamenti di igiene e di polizia urbana [28].
Secondo la dottrina, mediante le ordinanze non contingibili ed urgenti e con carattere sostitutivo rispetto alle prescrizioni dei regolamenti comunali si permetteva al Sindaco di modificare a suo piacimento le funzioni comunali previste e regolate dalla legge [29]. Di conseguenza, il potere di ordinanza, per essere conforme alla Costituzione, avrebbe dovuto consentire al Sindaco di adottare unicamente misure dirette a tutelare situazioni già regolate da leggi e regolamenti, per migliorare la qualità della vita nei centri urbani.
Come già anticipato, la Corte si è definitivamente pronunciata sul punto con la sentenza n. 115 del 2011.
La questione è stata sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto nell'ambito di un procedimento tra un'associazione denominata "Razzismo Stop" e il comune di Selvazzano Dentro (PD).
Oggetto del giudizio principale era l'ordinanza del Sindaco di Selvazzano con la quale si vietava l'accattonaggio effettuato, anche in forma petulante e molesta, in molte zone del comune, prevedendo altresì una sanzione pecuniaria per i trasgressori.
Il ricorrente del giudizio principale censurava specificamente la possibilità per il Sindaco di adottare tale provvedimento anche in assenza dei requisiti di contingibilità ed urgenza. Il giudice a quo ha ritenuto che il potere di ordinanza consentisse ai sindaci di emettere atti con efficacia a tempo indeterminato e aventi valenza normativa libera con valore equiparato alla legge ed indipendentemente dall'obbligo di motivazione previsto.
L'art. 54, 4° comma del Testo Unico violava, secondo il giudice a quo, gli artt. 23, 70, 76, 77, 97 e 117 Cost., espressione dei principi costituzionali di legalità, tipicità e delimitazione della discrezionalità della pubblica amministrazione.
Nell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo ha rilevato che la disposizione censurata consentiva ai sindaci di imporre qualsiasi comportamento ai singoli, che non fosse vietato dalla legge, determinando così una irragionevole differenziazione della disciplina di comportamenti leciti in base al frazionamento territoriale.
Sul punto la Corte ha ritenuto che le ordinanze pongono prescrizioni di comportamento, tra cui obblighi di fare che, seppur poste a tutela di beni pubblici importanti, determinano il sacrificio della libertà dei singoli in violazione dell'art. 23 Cost., in base al quale nessuna prestazione personale e patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
La Corte ha quindi ritenuto la questione fondata perché anche se la dizione letterale della norma comportava che solo le ordinanze contingibili ed urgenti potessero derogare alle norme di legge e ai regolamentari vigenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento; le ordinanze di ordinaria amministrazione "si presentano come esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico, genericamente identificato dal legislatore nell'esigenza di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana"; di conseguenza la norma è stata ritenuta in contrasto con la riserva relativa di legge di cui all'art. 23 Cost.; con l'art. 97 Cost. che prescrive l'imparzialità dell'azione amministrativa; ed infine con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.
5. I progetti approvati dall'Autorità garante per la partecipazione in Toscana
Robert Putnam, interessato da come il modello regionale in Italia abbia prodotto risultati così diversi da regione a regione, in uno studio dedicato al regionalismo italiano, ha giustificato le forti differenze esistenti a livello regionale sulla base del diverso grado di impegno civico presente in percentuali molto diverse nel territorio italiano [30].
Vi sono infatti, secondo Putnam, regioni come l'Emilia-Romagna la Toscana, caratterizzate dall'esistenza di forti reti sociali e dalla presenza di cittadini attivi che si impegnano per partecipare nella gestione dei beni comuni; vi sono all'opposto regioni come Calabria e Sicilia, in cui invece l'impegno civico è molto basso.
Le profonde differenze che caratterizzano la partecipazione civica in Italia sono riconducibili, secondo l'autore, a profonde ragioni storiche che egli fa risalire all'età dei comuni.
Così, non è un caso, che proprio la regione Toscana, abbia istituito con legge, l'Autorità per la garanzia e la promozione della partecipazione [31].
Oltre ad aver introdotto legislativamente un dibattito pubblico per i grandi interventi, la legge ha previsto anche la possibilità, per i residenti che raggiungono una determinata percentuale - diversa a seconda del numero complessivo di abitanti [32] - di richiedere un sostegno all'amministrazione territorialmente competente per i propri progetti partecipativi. Il sostegno può avere natura finanziaria, metodologica o consistere nel mettere a disposizione dei supporti informatici.
Tra le condizioni di ammissibilità della domanda, il legislatore regionale richiede che i cittadini e i residenti mettano a disposizione delle risorse proprie per la realizzazione del progetto, anche solamente di natura organizzativa.
E' previsto che anche le imprese possano presentare domanda, ma in questo caso, la richiesta deve avere ad oggetto progettazioni od interventi con un rilevante impatto di natura ambientale, sociale od economica nel territorio interessato ed è necessario il supporto dei cittadini e dei residenti, nelle soglie demografiche sopra richiamate [33].
Tra i criteri di priorità che sono stati stabiliti dal legislatore per stabilire l'ordine di approvazione dei progetti, vi rientrano quelli che vengono realizzati su territori con un elevato disagio sociale o territoriale e quelli che hanno ad oggetto opere o interventi che presentano un rilevante impatto potenziale, sul paesaggio o sull'ambiente.
Sulla domanda di sostegno, l'Autorità per la partecipazione deve provvedere con atto motivato nel termine di 30 giorni dalla presentazione della domanda.
Se i risultati del processo partecipativo concernono competenze di altri enti, l'Autorità tiene conto del parere dell'amministrazione competente e ne accerta la disponibilità a considerare i risultati dei processi partecipativi o, in alternativa, a motivarne il mancato o parziale accoglimento.
Passando ora ad analizzare gli aspetti applicativi [34], va innanzitutto rilevato che l'oggetto principale delle richieste ha riguardato progetti di riqualificazione urbana. Tra il 2008 e il 2009 sono state presentate 64 domande di sostegno finanziario, e l'autorità ha concesso il finanziamento a 48 progetti. Tuttavia, il 75% delle richieste proviene dagli enti locali e nessuna domanda di sostegno metodologico è stata avanzata dai privati nel biennio 2008-2009.
Tra i progetti presentati dai privati, vi è ad esempio quello proposto da un'associazione di cittadini del comune di Marina di Carrara, denominata "Amaremarina", che ha usufruito del finanziamento concesso dall'Autorità per la partecipazione, per elaborare insieme ad una società di consulenza, delle linee guida per la riqualificazione dell'area portuale del comune di Marina di Carrara, alternative al progetto presentato dall'autorità portuale. Mediante tale iniziativa si è raggiunta una visione condivisa tra i cittadini sul progetto relativo all'area portuale e si è consolidata una rete sociale all'interno della comunità di Marina di Carrara [35].
Nonostante la maggior parte dei progetti sia stata avviata da parte degli enti locali, in alcuni casi il coinvolgimento degli enti locali per la presentazione della domanda di sostegno è stata richiesta dal basso: ad esempio, nel caso del progetto denominato "Saione, un quartiere dove incontrarsi-processo di rigenerazione urbana partecipata". Con tale progetto, un comitato di 250 cittadini e commercianti, volendo porre fine al degrado urbano del proprio quartiere, ha realizzato insieme al comune un programma di azioni e iniziative, finanziato dall'Autorità per la partecipazione, per migliorare l'aspetto estetico della zona. L'iniziativa ha prodotto dei risultati inaspettati, perché le idee e le iniziative sviluppate dai residenti del quartiere, sono poi state realizzate direttamente da un gruppo di cittadini, composto da residenti, associazioni e commercianti, che sono attivati in prima persona per realizzare insieme ai tecnici comunali opere come le piantumazioni, le pitturazioni delle panchine nonché altri interventi di miglioramento di alcuni luoghi del quartiere [36].
In generale, due sono gli elementi di criticità emersi dalle esperienze analizzate: da un lato, il finanziamento concesso dall'Autorità ai singoli progetti viene utilizzato, per la maggior parte, per coprire i costi dell'attività di consulenza prestata da società esterne; dall'altro, l'Autorità non dispone di risorse umane ed economiche necessarie per poter monitorare in maniera compiuta i progetti che vengono sostenuti.
6. I microprogetti di arredo urbano
Espressione del principio di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, 4° comma, Cost., sono stati introdotti nel nostro ordinamento con il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 2/2009 recante "Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale".
Ogni individuo, organizzato in gruppi di cittadini può formulate all'ente locale territorialmente competente delle proposte operative per la realizzazione di opere di interesse generale di pronta realizzabilità, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti o delle clausole di salvaguardia degli strumenti urbanistici adottati, indicando le modalità di finanziamento e senza oneri per l'ente locale.
A differenza di quanto originariamente previsto nel testo contenuto nel decreto-legge, il silenzio della pubblica amministrazione, trascorsi due mesi dalla presentazione della proposta, è da intendersi come silenzio-rifiuto.
Si tratta di uno strumento espressione del principio di sussidiarietà orizzontale, perché i privati possono decidere di attivarsi per migliorare il contesto urbano in cui vivono, potendo tra l'altro detrarre dall'imposta sul reddito, le spese sostenute per la realizzazione dell'opera, nella misura del 36%.
L'ente locale, approva le proposte con delibera motivata e può offrire ai propositori dell'intervento prescrizioni e assistenza.
I regolamenti approvati fino ad ora per disciplinare le modalità di presentazione del microprogetto hanno stabilito che il costo dell'opera non possa superare un importo massimo che oscilla, a seconda dei casi, tra 100.000 e 500.000 euro [37].
In quasi tutti i regolamenti si prevede che i privati possano presentare progetti relativi non solo all'arredo urbano ma anche al verde pubblico, alla viabilità, all'ecologia e all'ambiente.
I rapporti fra il soggetto promotore del progetto e il comune vengono regolati, mediante la previsione di una convenzione, al fine di responsabilizzare il soggetto promotore.
In merito alle possibili utilizzazioni dello strumento da parte dei cittadini, le situazioni tipiche possono essere essenzialmente riconducibili a due macro-ipotesi: da un lato, i microprogetti potrebbero essere utilizzati per migliorare l'aspetto estetico-funzionale della propria via o del proprio quartiere, per una maggiore valorizzazione economica del proprio immobile. I soggetti promotori, saranno in questo caso gruppi di proprietari di immobili che si affacciano sulla pubblica via, che associatisi appositamente per realizzare la proposta, saranno spinti da un interesse prevalentemente individualistico.
L'altra situazione tipica, sarà quella costituita all'opposto, da quelle associazioni che perseguendo come fini il miglioramento della qualità della vita nelle città, promuoveranno i microprogetti, eventualmente anche attraverso il finanziamento economico delle proposte presentate dai cittadini.
In questo ultimo caso, si avrà un'applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, in quanto le associazioni promotrici agiranno e si attiveranno per l'interesse generale.
Tuttavia, anche nel primo caso si possono ottenere benefici per l'intera collettività, perché la via o la piazza o il parco nei quali verrà realizzato il progetto, saranno accessibili a tutti [38].
In definitiva, i microprogetti di arredo urbano rappresentano uno strumento operativo con il quale i privati possono utilizzare le loro risorse, non solo economiche ma anche conoscitive, per migliorare la realtà in cui vivono e quindi con un complessivo beneficio per l'intera collettività, in termini sia di qualità dei vita, sia economici, per la valorizzazione delle proprietà immobiliari.
Inoltre, si tratta anche di uno strumento educativo perché forma i cittadini a prendersi cura direttamente della propria via, piazza, quartiere.
Va altresì rilevato che, a differenza dei progetti finanziati dall'Autorità per la partecipazione della Toscana aventi ad oggetto la riqualificazione urbana, in questo caso i costi sono interamente a carico dei cittadini attivi, che si assumono la responsabilità complessiva della realizzazione del progetto, anche in termini economici.
7. La partecipazione dei cittadini alla gestione e alla cura degli spazi pubblici
Una parte della dottrina ritiene che la sussidiarietà orizzontale rappresenti uno strumento innovativo dal quale possono derivare benefici concreti per la collettività: in particolare, tali benefici derivano dalla capacità di quei cittadini attivi che mettono a disposizione della collettività le proprie risorse, non solo in termini di denaro ma soprattutto in termini di conoscenze, tempo, ecc. [39].
Affinché la sussidiarietà orizzontale possa rappresentare realmente un modello alternativo a quello tradizionale per la cura degli interessi generali, è necessario che le pubbliche amministrazioni ed in particolare le regioni, le province e i comuni non si limitino ad aspettare passivamente l'attivazione spontanea di un gruppo di cittadini, perché le risorse esistenti vanno incentivate e promosse attraverso, ad esempio, una legge come quella sui progetti di microarredo urbano.
Tuttavia, vi sono numerosissime iniziative di sussidiarietà orizzontale dirette alla cura degli spazi urbani che vengono realizzate da gruppi di cittadini senza che tale attività sia stata a priori supportata o promossa dalle amministrazioni [40].
Così, si riportano a titolo esemplificativo le seguenti iniziative considerate particolarmente significative:
La realizzazione delle piazzette di vicinato in via Centotrecento a Bologna
In questo caso, il progetto di riqualificazione dell'area urbana è stato circoscritto in via sperimentale ad una zona ben delimitata della città ma verrà probabilmente esteso ad altre zone di Bologna e anche ad altre città di Italia. L'idea è stata sviluppata da un'associazione culturale che ha voluto ridare allo spazio urbano una funzione di incontro sociale e di socializzazione. L'associazione ha progettato delle piccole piazzette di vicinato o LSP (luoghi di sosta pedonale) che cambiano continuamente e durano per un numero di settimane determinato.
L'effetto prodotto è stato molto positivo perché si è riusciti, con piccoli interventi che modificano in minima parte l'aspetto estetico della strada, a favorire la sosta dei cittadini e quindi la creazione dei rapporti di vicinato attraverso un'iniziativa di sussidiarietà orizzontale [41].
La riqualificazione degli spazi verdi a Milano e a Roma
L'iniziativa è nata da un gruppo di cittadini attivi che ha deciso di riqualificare le aiuole abbandonate e le aree dismesse della città di Milano. L'attività di questi soggetti consiste nel piantare fiori e piante con "attacchi" notturni.
Si tratta di un'iniziativa che ha avuto un effetto moltiplicatore inaspettato perché anche in altre città, come Roma e Bologna, solo per citare qualche esempio, vi sono state spontanee adesioni da parte di altri gruppi di cittadini.
A differenza delle ipotesi di sponsorizzazione che molti comuni di Italia offrono ai privati per la sistemazione a verde delle aree urbane, l'iniziativa dei c.d "Guerilla Gardening" si caratterizza per essere del tutto spontanea [42].
La pulizia del parco "Amendola Nord" nel comune di Modena da parte di un comitato di volontari denominato "Peter P.A.N"
I volontari si occupano sia della promozione di attività all'interno del parco, attraverso l'organizzazione di eventi, feste, giornate ecologiche, sia della cura e della sicurezza del parco, raccogliendo le foglie ed i rami caduti a terra, innaffiando i fiori, pulendo il lago dai rifiuti.
Inizialmente, i costi per le iniziative sono stati interamente a carico del Comitato, successivamente il gruppo di volontari è riuscito ad ottenere il patrocinio da parte della Circoscrizione di quartiere ed un contributo di 1.500 euro [43].
Note
[*] Il presente testo è parte di materiali elaborati all'interno di una ricerca dedicata ai "doveri civici" diretta da Marco Cammelli e promossa nel 2011 dal Centro di studi sul lavoro della Fondazione della Cassa di Risparmio di Imola. La ricerca è aggiornata all'aprile 2011.
[1] Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2011, nn. 3811, 3812, 3813.
[2] Si veda S. Pugliatti, Interesse pubblico e privato nel diritto di proprietà in La proprietà nel nuovo diritto, Milano, Giuffrè, 1964, pp. 45 ss.: "il proprietario è sempre soggetto attivo di un rapporto assoluto, e quindi fa valere la sua signoria sulla cosa, pur dentro i limiti segnati dal diritto. Egli però, in quanto proprietario di una data cosa, assume degli obblighi nei confronti della pubblica amministrazione: così che al rapporto assoluto si lega, in un determinato punto un rapporto personale". Per proprietà-funzione, secondo Pugliatti, si intende allora "un rapporto di natura reale, a cui è connesso un rapporto personale, considerati, nella loro connessione, dal punto di vista funzionale". Secondo l'autore, l'ordinamento deve tener conto delle esigenze sociali che non eliminano ma riducono quelle puramente individuali. Si tratta di una soluzione equilibrata fra interessi puramente individualistici e il dominio dell'interesse pubblico. Si veda anche S. Rodotà, Il terribile diritto, Studi sulla proprietà privata, II ed., Il Mulino, 1990.
[3] F. Galgano, Diritto civile e commerciale, vol. I, IV ed., CEDAM, 2004, p. 357.
[4] Si veda il d.m. Giust. del 21 giugno 2007.
[5] Si veda Relazione di accompagnamento al disegno di legge delega consultabile all'indirizzo www.giustizia.it.
[6] L'art. 82 della Costituzione polacca prevede infatti che: "E' dovere del cittadino polacco la fedeltà alla Repubblica Polacca e la cura del bene comune" e prosegue all'art. 86 "Ciascuno è obbligato ad aver cura delle condizioni dell'ambiente ed è responsabile dei peggioramenti provocati. I principi di tale responsabilità sono stabiliti dalla legge".
[7] Nel nostro ordinamento il proprietario di un edificio è obbligato a provvedere alla manutenzione del proprio immobile.
Tale principio si ricava per implicito dall'art. 2053 cod. civ. che stabilendo che il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, disciplina un'ipotesi speciale di responsabilità legale presunta da cose in custodia ex art. 2051 cod. civ.
Questo principio è pacifico tanto nella giurisprudenza di merito che in quella di legittimità (si veda ad esempio Tribunale di Padova, sez. II, 25 ottobre 2010; Cass. civ., sez. III, 30 gennaio 2009, n. 2481; Cass. civ., 8 settembre 1998, n. 8876), tuttavia mentre la giurisprudenza di merito tende ad interpretare la norma in maniera estensiva ritenendola applicabile anche ad ipotesi di inadeguatezza dell'edificio, la giurisprudenza di legittimità interpreta il concetto di rovina più restrittivamente, ovvero come ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione ovvero degli elementi accessori in essa incorporati (si veda ad esempio Cass. civ., sez. III, sent. 4 ottobre 2010, n. 20608 che ha cassato con rinvio App. Roma, 28 febbraio 2005; Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2009, n. 23939).
Tra gli elementi accessori che la giurisprudenza ha ricompreso nell'ambito di applicabilità della norma si annoverano a titolo esemplificativo i sostegni per i vasi da fiori, la balaustra, la scala interna, le imposte, i vetri, le finestre, i lucernari.
Si può quindi affermare che il privato ha un dovere di attivarsi affinché gli edifici di sua proprietà siano tenuti in buono stato perché in caso contrario risponderà dei danni cagionati a terzi salvo che non dimostri che l'evento dannoso si sia prodotto per difetto di manutenzione o difetto di costruzione.
Fra le limitazioni imposte ai privati vanno poi ricordate le strade vicinali, che pur appartenendo ai privati, sono soggette ad una servitù pubblica di passaggio, quando, per costante giurisprudenza, sono destinate a soddisfare in maniera permanente esigenze collettive in maniera continua e non interrotta da parte della collettività (si veda a titolo esemplificativo Cass. civ., 11 gennaio 1979, n. 199).
[8] Così ad esempio, si vedano art. 12 del Regolamento di polizia urbana del comune di Padova approvato con deliberazione consiliare n. 149 del 28 ottobre 2002 e modificato con deliberazione consiliare n. 52 del 5 maggio 2003; art. 29 del Regolamento di polizia urbana del comune di Monza approvato con atti consiliari del 20 aprile 1960 e successive modificazioni.
[9] Tribunale di Monza, sez. II, 7 luglio 2009.
[10] Sulla responsabilità della pubblica amministrazione per danni derivanti dal demanio stradale si vedano: M. Bona, Buche sulle strade urbane: spunti per un nuovo modello di responsabilità dei comuni, in Responsabilità civile e previdenza, 2, pp. 390 ss.; A. Ferri, "Insidie" e "trabocchetti" sul cammino della giurisprudenza verso l'eliminazione dei residui privilegi della P.A. in tema di responsabilità civile per danni originati dal demanio stradale, in Responsabilità civile, 2006, 10, pp. 835 ss.; G. Facci, La responsabilità della P.A. per insidia stradale, in Responsabilità civile, 2004, 3, pp. 245 ss.; C.M. Bianca, Qualche spunto critico sugli attuali orientamenti (o disorientamenti) in tema di responsabilità oggettiva e di danni da cose, in Giustizia civile, 2010, 1, pp. 19 ss.
[11] Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2005, n. 16226, in Massimario della Giurisprudenza Italiana, 2005.
[12] Appare opportuno ripercorrere brevemente l'evoluzione giurisprudenziale della Corte di Cassazione in materia di responsabilità della pubblica amministrazione per i danni derivanti dal demanio stradale.
L'orientamento dominante per lungo tempo e di cui si può trovare ancora traccia in alcune recenti pronunce di legittimità, ha escluso l'applicabilità alla P.A. dell'art. 2051 c.c., sul presupposto che l'uso generalizzato da parte della collettività dei beni in custodia non consente di esercitare sui beni in questione un controllo efficace e una vigilanza continua.
Secondo questo orientamento, l'amministrazione risponde dei danni cagionati dal demanio stradale ex art. 2043 cod. civ. ma limita ulteriormente l'operatività di questa norma richiedendo che il pericolo presenti le caratteristiche dell'insidia e del trabocchetto, ovvero che non sia visibile ed evitabile da parte dell'utente.
Secondo un più recente orientamento, avallato anche dalla Corte costituzionale e finalizzato ad eliminare la posizione di privilegio della P.A. rispetto ai privati, la responsabilità per danni derivanti dal demanio stradale rientrerebbe nell'ambito di applicabilità dell'art. 2051 cod. civ. che, come è noto, prevede un'inversione dell'onere della prova rispetto all'art. 2043 cod. civ. a favore del danneggiato, poiché ex art. 2051 cod. civ. è onere del danneggiante, e quindi nel caso di specie della P.A., provare che il danno è stato cagionato da caso fortuito, operando in caso contrario una presunzione di colpevolezza a carico del custode del bene.
Nonostante questa apertura a favore dell'applicabilità anche alla pubblica amministrazione, dell'art. 2051 cod. civ., alcune pronunce della Suprema Corte escludono la responsabilità dell'amministrazione per i danni derivanti da quei beni che, come il demanio stradale, sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi, perché in questo caso, non è possibile esercitare un efficace controllo e una continua vigilanza tali da impedire l'insorgere di cause di pericolo per cittadini.
In una recentissima pronuncia di legittimità, la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 6 giugno 2008, n. 15042), affrontando la vexata quaestio dell'applicabilità alla Pubblica Amministrazione dell'art. 2051 cod. civ., ha sottolineato che l'agente dannoso è da considerarsi fortuito e quindi si esclude la responsabilità dell'amministrazione-custode, nelle ipotesi in cui il pericolo sia causato da comportamenti più o meno civili, corretti e avveduti degli innumerevoli utilizzatori, quanto meno finché non sia trascorso il tempo ragionevolmente sufficiente perché l'ente gestore acquisisca conoscenza del pericolo venutosi a creare e possa intervenire ad eliminarlo; di conseguenza, secondo la Cassazione le modalità con cui i privati utilizzano gli spazi pubblici non sono indifferenti: all'opposto incidono direttamente sul giudizio relativo alla responsabilità in capo all'amministrazione.
[13] Ordinanza del Sindaco del comune di Agrigento, n. 225 del 26 giugno 2009.
[14] Ordinanza del Sindaco del comune di Pisa, n. 8 del 24 gennaio 2009.
[15] Ordinanza del Sindaco del comune di Centola, n. 39 del 21 giugno 2008.
[16] L'art. 54, 4° comma recita: "Il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione".
[17] Sul potere di ordinanza in generale si veda A. Lorenzetti e S. Rossi (a cura di), Le ordinanze sindacali in materia di incolumità pubblica e sicurezza urbana. Origini, contenuti, limiti, Jovene, Napoli, 2009.
[18] Si veda AA.VV., Oltre le ordinanze. I sindaci e la sicurezza urbana, Anci-Cittalia, Roma, 2009.
Dai dati raccolti emergono alcuni elementi caratterizzanti:
- le ordinanze adottate per tutelare un ordinato utilizzo degli spazi pubblici sono quantitativamente poche rispetto a quelle adottate per esempio, per risolvere problemi come l'accattonaggio o la prostituzione;
- il maggior numero di provvedimenti è stato adottato da comuni di piccole e medie dimensioni appartenenti per lo più al Centro-Nord. Infatti le regioni con le amministrazioni che hanno emesso il maggior numero di ordinanze nel periodo compreso fra luglio 2008 e agosto 2009 sono Lombardia (8,2%); Veneto (10,8%); Emilia-Romagna (10,0%) e Toscana (9,4%). Dal 2008 al 2009 è inoltre aumentato dal 4,9% all'11,6% il numero di provvedimenti diretti a contrastare quei comportamenti che arrecano danno al decoro urbano;
- alcune ordinanze rendono obbligatori alcuni comportamenti "di buona educazione" che vengono quindi trasformati da "doveri civici" a doveri giuridici;
- in ordine al soggetto ritenuto più efficace a fronteggiare i fenomeni di insicurezza urbana, i cittadini intervistati hanno dato risposte diverse a seconda delle aree di intervento ed hanno in particolare ritengono che i comuni dovrebbero intervenire soprattutto per contrastare i fenomeni di vandalismo; sporcizia, incuria e degrado delle vie ed illecita occupazione di suolo pubblico; lo Stato invece dovrebbe intervenire sui problemi di immigrazione clandestina, contrasto allo spaccio di stupefacenti, integrazione degli immigrati e controllo del fenomeno delle bande giovanili.
[19] A livello regionale, va segnalato che con legge n. 16 del 15 luglio 2002, l'Emilia-Romagna, per tutelare il recupero degli edifici storico-artistici e promuovere la qualità architettonica e paesaggistica del territorio, ha previsto una serie di ipotesi nelle quali il Sindaco può intimare ai privati proprietari la realizzazione di interventi di recupero di edifici interessati da fenomeni di degrado.
Per ragioni di salvaguardia del decoro e dell'ornato pubblico, il Sindaco può intimare in particolare ex art. 9, l'attuazione di interventi di recupero dello facciate di edifici, dei muri di cinta o delle recinzioni prospicienti vie, piazze o altri luoghi aperti al pubblico, che presentino un cattivo stato di conservazione, nonché di rimozione di strutture precarie che contrastano con le caratteristiche storico-architettoniche dei luoghi.
In caso di mancata realizzazione dell'intervento da parte del proprietario, il comune può stabilire di eseguire direttamente gli interventi intimati con spese a carico dei privati proprietari.
La legge è stata oggetto di un giudizio di legittimità costituzionale sollevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri con ricorso notificato il 12 settembre 2002 e depositato il 17 settembre 2002, con il quale si rilevava in particolare la violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di beni culturali ex art. 117 Cost., 2° comma, lett. l) ed s), e per violazione ex art. 117 Cost., 3° comma, della competenza amministrativa dello Stato in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e dei beni ambientali.
In particolare, la censura mossa nei confronti dell'art. 9 della legge regionale in questione, che prevede il potere del Sindaco di intimare gli interventi sopra descritti, ruotava attorno al concetto di opinabilità e soggettività dei concetti di decoro ed ornato pubblico, con conseguente violazione delle norme dell'ordinamento civile che prescrivono interventi a carico dei privati solo a salvaguardia dell'incolumità, come si è visto in relazione all'art. 2053 cod. civ.
A seguito della parziale modifica della legge regionale, il procedimento dinnanzi alla Corte costituzionale si è estinto per rinuncia al ricorso e relativa accettazione della Controparte (Ordinanza 24 luglio 2003, n. 281).
Tuttavia, le modifiche introdotte con legge di poco successiva (ex. art. 45 della legge regionale n. 31 del 25 novembre 2002), hanno solamente aggiunto che le finalità della legge, ovvero il recupero e la valorizzazione degli edifici e dei luoghi di interesse storico-artistico, nonché il miglioramento della qualità architettonica, ed infine il recupero del valore paesaggistico del territorio anche attraverso l'eliminazione delle opere incongrue, vengono perseguite nel rispetto della legislazione statale vigente in materia di tutela di beni culturali ed in tale ambito la regione promuove forme di concertazione con il Ministero per i beni e le attività culturali.
[20] Cons. di Stato, sez. V, 7 settembre 2007, n. 4718, in www.giustizia-amministrativa.it.
[21] Sul punto si veda Nota sul potere di ordinanza contingibile e urgente, in Giurisprudenza Italiana, 2008, n. 1, p. 229.
[22] Il Collegio in questo caso ha ritenuto legittima un'ordinanza del Sindaco di Verona con la quale si era ordinato ad una società proprietaria di un complesso immobiliare in grave degrado e divenuto ricovero di soggetti irregolari, di presentare un piano di intervento entro 72 ore per sanare tale situazione di pericolo igienico sanitario.
[23] Si veda l'ordinanza del comune di Centola, cit.
[24] I. Meo e E. Zanframundo, L'imbrattamento delle facciate condominiali: responsabilità e tutele, in Immobili e proprietà, 2010, 6, pp. 356 ss.
[25] Si veda J.Q. Wilson & G.L. Kelling, The Police and neighborhood safety, broken windows.
[26] Si veda M. Pavarini, Bologna: riflessioni sul degrado, in Il Mulino, 2007, 1, pp. 117-127.
[27] C. Meoli, Il potere di ordinanza del sindaco in materia di incolumità pubblica e sicurezza urbana, in Giornale di diritto amministrativo, n. 6/2009.
[28] Si veda ad esempio il Regolamento di polizia urbana del comune di Monza (approvato con atti consiliari del 20 aprile 1960, n. 42; 5 novembre 1962, n. 175; 24 maggio 1965, n. 100; 6 aprile 1970, n. 66 e successive modificazioni), che all'art. 29 prevede l'obbligo a carico dei proprietari degli immobili di sgomberare la neve dai marciapiedi in caso di nevicate; il Regolamento di polizia urbana del comune di Padova (adottato con deliberazione consiliare del 28 ottobre 2002, n. 149 e successive modificazioni), che impone diversi obblighi di fare, fra cui l'obbligo per i proprietari di alberature e piante di curare che i rami non sporgano sulla pubblica via, nonché di raccogliere giornalmente le foglie e i rami caduti sul suolo pubblico (art. 2, comma 2); l'obbligo per i conduttori dei locali al piano terra, o in mancanza per i proprietari se abitanti nell'immobile, di mantenere puliti i marciapiedi ed i sottoportici, comprese le pareti, i soffitti e gli infissi, fatti salvi diversi accordi condominiali (art. 3, comma 1); l'obbligo di spazzare tempestivamente la neve dal sottoportico o dal marciapiede per i conduttori dei locali al pianoterra, nonché, per i titolari di concessione di suolo pubblico per l'area occupata (art. 12).
[29] P. Bonetti, La prima interpretazione costituzionalmente conforme (e restrittiva) dei provvedimenti (anche ordinari) dei sindaci in materia di sicurezza urbana: l'opinabile sopravvivenza dei Sindaci e dei Presidenti delle Giunte provinciali quali "ufficiali di Governo", l'afferenza alla sicurezza pubblica, tipologia e limiti, in Le regioni, n. 6/2009, pp. 1403-1420.
[30] Si veda R. Putnam, Making democracy work: civic traditions in modern Italy, 1993, Princeton University Press.
Si veda altresì R. Putnam, Capitale sociale e individualismo:crisi e rinascita della cultura civica in America, ed. it. a cura di Roberto Cartocci, Bologna, Il Mulino, 2004.
Dopo aver analizzato in modo molto dettagliato le cause del declino della partecipazione civica negli Stati Uniti, Putnam ha avanzato delle proposte per fare fronte all'erosione del capitale sociale: in particolare, fra gli ambiti di intervento principali vi è la progettazione delle città al fine di creare più spazi ad uso pubblico che permettano di alzare i livelli di aggregazione e di partecipazione civica, attraverso una ridefinizione delle modalità di espansione degli agglomerati urbani.
[31] L'Autorità è stata istituita con legge regionale 27 dicembre 2007, n. 69 recante "Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali". Si tratta di una legge sperimentale che perderà efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2012.
[32] I residenti, riuniti anche in associazioni o comitati, devono raggiungere il 5% fino a mille abitanti; il 3% fino a cinquemila abitanti; il 2% fino a quindicimila abitanti; l'1% per cento fino a trentamila abitanti; lo 0,50 oltre trentamila abitanti.
[33] La domanda di sostegno, ai sensi dell'art. 1, lett. b) e c), può essere presentata anche dagli enti locali, singoli e associati, anche con il supporto di cittadini, residenti e associazioni;nonché da istituti scolastici, singoli o associati, anche con il supporto dei cittadini e dei residenti nelle percentuali previste dall'art. 1, lett. a).
[34] Rapporto annuale 2009 disponibile sul sito dell'Autorità per la partecipazione della Regione Toscana.
[35] Si veda la Relazione finale realizzata dall'associazione "Amaremarina".
[36] Si veda la Relazione finale realizzata dal comune di Arezzo, "Saione: un quartiere dove incontrarsi".
[37] I Regolamenti che sono stati esaminati sono il Regolamento per la realizzazione di microprogetti di interesse locale approvato dal comune di Ascoli Piceno con delibera di C.C. n. 26 del 27 maggio 2010; Regolamento per la realizzazione di microprogetti di interesse locale approvato dal comune di Bitonto (BA) con delibera di C.C. n. 139 del 12 novembre 2010; Regolamento per la realizzazione di microprogetti di interesse locale approvato dal comune di Sona (VR) approvato con delibera di C.C. n. 58 del 17 dicembre 2009; Regolamento per la realizzazione di microprogetti di miglioramento dello spazio pubblico da parte della società civile approvato dal comune di Bologna con delibera di C.C. n. 72 del 24 marzo 2011.
[38] Tra i progetti realizzati si segnala la sistemazione e manutenzione di un'area antistante la sede di un'associazione, nel comune di Fucecchio (FI): un'associazione denominata "Contrada Querciola" ha realizzato la riqualificazione della zona verde posta di fronte alla sua sede, rinnovando l'impianto di illuminazione e spostando le due aiuole centrali già esistenti, ricreandole ai lati dell'area.
L'associazione si è impegnata altresì a garantire la manutenzione dell'area e delle alberature per un periodo di dieci anni (Fonte: Ufficio Stampa del comune di Fucecchio).
[39] Si vedano G. Arena, G.Cotturri (a cura di), Il valore aggiunto: come la sussidiarietà può salvare l'Italia, Roma, Carocci, 2010; G. Arena, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell'art. 118 u.c. della Costituzione, in Studi in onore di Giorgio Berti, Napoli, Jovene, 2005, pp. 179-221; G. Arena, Cittadini attivi, Roma-Bari, Laterza, 2006; D. Donati, A. Paci (a cura di), Sussidiarietà e concorrenza, una nuova prospettiva per la gestione dei beni comuni, Bologna, Il Mulino, 2010; C. Magnani, Beni pubblici e servizi sociali in tempi di sussidiarietà, Torino, Giappichelli, 2007.
[40] Per un esame delle esperienze più significative di sussidiarietà orizzontale si veda www.labsus.org.
[41] Fonti: F. Ozzola, Luoghi di sosta pedonali, articolo pubblicato sul sito www.labsus.org. Si veda altresì il sito web dell'associazione culturale Centotrecento all'indirizzo www.centotrecento.it.
[42] Si veda A. Lombardi, Trasformiamo il cemento in fiori, articolo pubblicato sul sito www.labsus.org. Altre informazioni sono disponibili sul sito www.guerillagardening.it.
[43] Si veda E. Mastroeni, Parco pulito e animato: puliamolo insieme, articolo pubblicato sul sito www.labsus.org.