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Le necessità del patrimonio culturale

La carta di Padula: la parola ai soprintendenti [*]

di Marco Cammelli

The Padula chart: what superintendents want
The modest results achieved by the various organizational reforms of the Ministry for cultural heritage and cultural activities could be attributable to the absolute lack of dialogue between politicians and the administrative personnel of the Ministry. This lack of dialogue appears even more problematic if considering the strong technical and cultural feature of this administrative apparatus. The top directors of the branch offices of the Ministry, meeting voluntarily last September, elaborated a document that denounces the most serious problems and proposes a dialogue with the Minister. This represents a significant innovation that should not pass unnoticed and a chance not to be missed.

Tra i non pochi "topoi" delle vicende riguardanti i beni culturali e in particolare il ministero per i Beni e le Attività culturali (Mibac) c'è il fatto che le numerose riforme organizzative che si sono succedute in questi ultimi anni, e gli ancora più numerosi riformatori che ne hanno tentate altre mai giunte in porto, sono state accompagnate da elaborazioni e dibattiti spesso assai accesi ma con una costante: l'assenza del personale tecnico per eccellenza, vale a dire dei soprintendenti e dei direttori di istituti o luoghi di cultura.

A questo rilievo, avanzato spesso ricordando con giustificata amarezza che l'elaborazione e il varo della legge 1089 del 1939 furono preceduti da un incontro voluto dal ministro Bottai con tutti gli addetti ai lavori e sostenuti dall'apporto decisivo di questi ultimi, i riformatori "pro tempore" hanno per lo più opposto neppure troppo velatamente che iniziative simili erano nei fatti impraticabili per la settorialità delle opinioni avanzate, per la conflittualità riferibile alla diversa formazione dei dirigenti (storici dell'arte vs. architetti) e alla loro funzione (tecnici vs. amministrativi) o collocazione (centrali vs. periferici), per l'aprioristica e tradizionale avversione alle innovazioni. Una modalità da scartare, dunque, perché inutile o dannosa: o tutte e due.

Se le cose stanno così, il minimo che si può dire è che la "Carta di Padula", cioè il documento sottoscritto nel settembre 2011 da una ottantina di soprintendenti e dirigenti, segna una discontinuità di metodo e un rilievo sostanziale che vanno colti e meritano di essere sottolineati.

Intanto, il documento non nasce in concomitanza con l'elaborazione dell'ennesima legge di riforma organizzativa, di cui questa Rivista ha segnalato più volte la sovrabbondanza e l'insufficienza, ma dalla fondata preoccupazione per i riflessi che sul Mibac e sul relativo operato derivano dalle eccezionali misure nazionali dedicate all'emergenza finanziaria e ai relativi riflessi economici. Una iniziativa, dunque, dettata più dal timore dei rischi di sistema dell'amministrazione di settore e del suo operato che dalla cura, legittima ma di ben diverso rilievo, della propria specifica collocazione professionale in uno scenario di innovazione legislativa. Il numero e la qualificazione professionale dei partecipanti e il carattere per così dire "autogestito" dell'iniziativa, alla quale peraltro hanno partecipato anche il segretario generale del Mibac (Roberto Cecchi) e alcuni dirigenti generali centrali e regionali, ne sottolineano ulteriormente la positiva discontinuità.

Quanto al merito, si tratta naturalmente di vedere che cosa è stato approfondito e come. Le teste di capitolo richiamate dal documento, vale a dire il profilo della organizzazione (in sé e nelle relazioni centro periferia), il reclutamento e la formazione del personale, la semplificazione delle procedure anche ai fini della razionalizzazione della spesa e la questione del coordinamento dei metodi in tema di tutela e valorizzazione, manifestano in ogni caso la scelta di un orizzonte ampio e di un taglio tecnico e operativo. Cioè la dimensione più solida per ogni riflessione che si voglia condurre in materia, perché è solo da questa che si può procedere sia verso il concreto, nella direzione della micro-innovazione che investe specifiche decisioni organizzative e comportamenti amministrativi ben poco influenzati dalle norme vigenti, sia in direzione opposta, incidendo cioè sul sistema legislativo di riferimento con (tutte e solo) le modifiche che l'esperienza ha mostrato essere indispensabili.

Dunque una iniziativa dal basso, sulle questioni concrete più rilevanti, avviata e condotta da chi ne ha conoscenza e responsabilità per il fatto di operarvi quotidianamente. La strada è quella giusta, anche perché è questo l'unico modo per aggiornare lo stato del dibattito e dell'approfondimento anche in sede culturale e scientifica correlandolo alla situazione attuale. Che cosa significa all'interno di una amministrazione così particolare, per storia alle spalle e professionalità necessarie, il blocco delle assunzioni e della formazione? Quanto del poco oggi limato in termini quantitativi di minore spesa sarà pagato caro negli anni a venire come perdita di memoria storica, di saperi, di conoscenze fattuali, e inevitabili risorse pubbliche aggiuntive per sopperire al vuoto creatosi? cosa significa, per una amministrazione di questo tipo, imparare a "far fare" ad altri - cruciale nel rapporto corretto con il privato e con il sistema regionale e locale - invece che restare paralizzati dall'insostenibile e apodittico dilemma "noi o nessuno" e quali altre abilità oltre quelle tradizionali sono richieste? quanto l'amministrazione periferica del Mibac può e in certi casi deve differenziarsi in modo da corrispondere meglio ai diversi contesti territoriali in cui opera e entro quali limiti e con quali strumenti (le deleghe del direttore regionale, ad esempio, lo sono?) può farlo?

Come ognuno vede, il se e come rispondere a queste domande, e a tante altre che si potrebbero aggiungere, non è cosa solo interna che riguarda i rapporti tra le articolazioni periferiche del Mibac e i corrispondenti livelli centrali: di questo ambito sono in gioco la politica (quella con la P maiuscola), il sistema istituzionale (perché è solo per questa via che si possono affrontare correttamente anche i temi delle regioni e dei sistemi locali), le tante modalità di relazione con i tanti privati (singoli, imprese, privati sociali, fondazioni) di cui l'amministrazione pubblica, anche in questo settore, non può fare a meno.

Il che, come ognuno può constatare, pone anche un formidabile tema di verifica della solidità della impostazione e della validità delle soluzioni adottate: in breve, di una legittimazione aggiuntiva per scelte che non possono certo poggiare solo sulle prescrizioni generali ed astratte della legge o sulle gambe, peraltro piuttosto malferme, della politica, ma che va pazientemente cercata allargando discussione e approfondimenti ad un cerchio esterno più ampio, dall'Università ai tanti attori pubblici e privati.

Naturalmente ci sono ancora molte cose da precisare e da apprendere, lungo questo percorso, ciò che dimostra quanto le implicazioni del discorso che i soprintendenti hanno aperto a Padula siano ampie e significative.

Una buona ragione per apprezzarne l'avvio e auspicarne la esplicita prosecuzione.

 

Note

[*] Incontro dei dirigenti del ministero per i Beni e le Attività culturali, Certosa di San Lorenzo in Padula (Salerno), 9-10 settembre 2011.

 



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