Territori e patrimonio culturale
L'evoluzione del concetto di manutenzione edilizia nella
normativa cogente:
criticità e prospettive per gli interventi sui beni culturali
di Paolo Gasparoli e Anna Teresa Ronchi
Evolution of the Concept of Building Maintenance
in Current Legislation: Critical Issues and Prospects for the Intervention
on the Cultural Heritage
The notion of "maintenance" of buildings has been long influenced
by strategic and operational principles derived by the industrial sector.
They outline a series of works aimed to intervene on already occurred conditions
of malfunction or decay. The evolution of the culture of maintenance drew
the attention to the dimension of prediction and prevention and highlighted
the procedural characteristics of maintenance and its organizational and economic
aspects. The legislation on Cultural Heritage has noted the potential related
to a synergistic programming of preventive activities and maintenance. In
this sense, the Maintenance Plan, properly integrated in its contents, could
be an useful tool for the implementation of scheduled maintenance activities.
The current legislation, however, prescribes the redaction of the Plan only
in case of intervention, and limits its extension to the designed elements,
without introducing the requirement for its effective implementation. The
paper analyzes the limits of the current legislation and describes the potential
related to the activation of Maintenance Plans as part of the protection strategies
for the Cultural Heritage. Some perspectives for the revision of the regulation
and the tools governing the drafting and the implementation of the Plan are
then proposed.
Il concetto di manutenzione è stato introdotto dalla legge 5 agosto 1978, n. 457, Norme per l'edilizia residenziale, e successivamente ripreso dal d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. Le definizioni di manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria contenute nella normativa sopra citata hanno condizionato e limitato per lungo tempo i principi concettuali, strategici e operativi della manutenzione. Le specifiche terminologie e le relative interpretazioni che ne sono derivate, molto semplificate, riduttive e controverse, infatti, hanno delineato una serie di opere tese alla correzione di situazioni di malfunzionamento o degrado già verificatesi, senza considerare la dimensione della previsione e della prevenzione, cui corrisponde una programmazione degli interventi manutentivi, indipendente dal verificarsi di situazioni di emergenza o guasto.
L'evoluzione della cultura manutentiva è da attribuirsi soprattutto al contributo della normativa volontaria che, con il superamento di una dimensione operativa prevalentemente strutturata su singoli interventi, ha contribuito a mettere in luce la natura processuale della manutenzione, i suoi aspetti di natura organizzativa ed economica e le potenzialità legate alla valorizzazione del patrimonio.
Per quanto attiene la normativa cogente, la dimensione della complessità della manutenzione compare, seppur limitatamente, nella definizione fornita dal d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554, Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 - con importanti precisazioni, per quanto riguarda i beni culturali, nei contenuti dell'art. 29 del Codice dei beni culturali e del paesaggio - senza però che a questo faccia seguito la predisposizione di strumenti attuativi realmente efficaci.
La legge 109/1994, all'art. 16, comma 5, introduce per la prima volta il Piano di manutenzione [1] tra gli elaborati di progetto da redigere in fase di progettazione esecutiva. I contenuti del Piano sono stati definiti nel regolamento d'attuazione, d.p.r. 554/1999, art. 40 [2].
Il comma 8 dell'art. 40 stabilisce che il Piano di manutenzione, predisposto in sede di progetto esecutivo, venga controllato ed aggiornato, a cura del direttore dei lavori, al termine degli stessi, in relazione a quanto effettivamente eseguito in cantiere.
Tuttavia, il recepimento operato nel regolamento presenta alcuni significativi limiti: in primo luogo, l'obbligo di redazione del Piano di manutenzione è limitato "all'attività di manutenzione dell'intervento progettato" anziché essere esteso all'intero manufatto; in secondo luogo, all'obbligo di predisposizione del Piano non fa seguito l'obbligo dello sviluppo delle attività pianificate, relegando la manutenzione, nei fatti, ad una pratica di tipo volontario ed il Piano di manutenzione, per questa stessa ragione, ad uno strumento quasi sempre redatto in modo puramente formalistico.
Con l'obiettivo di configurare un quadro di riferimento quanto più possibile unitario, il d.p.r. 554/1999 introduce il concetto di manutenzione anche in riferimento agli interventi sui beni culturali, specificando che "la manutenzione consiste in una serie di operazioni tecniche specialistiche periodicamente ripetibili volte a mantenere i caratteri storico-artistici, la materialità e la funzionalità del manufatto garantendone la conservazione" [3]. Il più recente d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207, regolamento di attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, però afferma che i contenuti qualificanti e le finalità della manutenzione e del restauro sono definiti all'articolo 29, commi 3 e 4, del Codice.
Al tempo stesso, paradossalmente, però, l'art. 249 dello stesso d.p.r. depotenzia la manutenzione a operazione che sfugge ad una dimensione programmatoria e progettuale, relegandola nell'ambito degli interventi correttivi da attuare in condizioni di emergenza e che può essere normata anche solo sulla base di una perizia di spesa [4].
Nell'ambito dei beni culturali, il tema della manutenzione è costantemente presente nel dibattito culturale sino dalla metà dell'Ottocento, per via delle consapevolezze maturate all'interno della nascente disciplina del restauro dei monumenti antichi. Numerosi Autori, nel discutere sui principi, sui significati e sulle pratiche del restauro, ribadiscono continuamente la preminenza e la centralità delle attività di manutenzione e cura che sono, appunto, finalizzate ad evitare i più invasivi interventi di restauro [5].
Anche le diverse Carte del Restauro ribadiscono l'urgenza delle attività di manutenzione. Esse, affermando sempre la priorità delle azioni di prevenzione e di controllo delle condizioni di degrado rispetto ad ogni altro intervento [6], sostengono che "la programmazione e l'esecuzione di cicli regolari di manutenzione e di controllo dello stato di conservazione di un monumento architettonico è la sola garanzia che la prevenzione sia tempestiva e appropriata all'opera per quanto riguarda il carattere degli interventi e la loro frequenza" [7]. La Carta del Restauro (1987) appena citata definisce la manutenzione "l'insieme degli atti programmaticamente ricorrenti rivolta a mantenere le cose di interesse culturale in condizioni ottimali di integrità e funzionalità, specialmente dopo che abbiano subito interventi eccezionali di conservazione e/o restauro".
Il concetto di manutenzione così definito fa ancora riferimento, però, ad una prassi di tipo interventista nella quale la manutenzione, da eseguire come attività successiva al restauro, è intesa come una serie di azioni ripetitive, esecutive, prive di ritorni di informazioni strutturate, magari pianificate ma senza il supporto di un sistema informativo, finalizzate a mantenere una stazionarietà più che ad amministrare un processo evolutivo dell'oggetto e del suo contesto [8].
Un significativo avanzamento, almeno sul piano concettuale, si è avuto grazie alla introduzione del Codice per i beni culturali e il Paesaggio, dove la manutenzione è stata ridefinita come "il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell'integrità, dell'efficienza funzionale e dell'identità del bene e delle sue parti [9]", rafforzando il legame di reciprocità, sia dal punto di vista dei principi che operativo, tra la manutenzione e la conservazione. Quest'ultima, d'altra parte, è definita dal Codice come "coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro" [10].
Con ogni evidenza l'art. 29 del Codice ha tratto "spunto dagli esiti più maturi della disciplina, formatisi negli ultimi decenni" [11], tenendo debito conto delle riflessioni e degli avanzamenti culturali conseguenti.
Riprendendo in esame, dunque, la definizione di manutenzione contenuta nel Codice, viene introdotta l'idea che alla manutenzione non concorrano solo "interventi diretti" sul manufatto ma anche "attività" di studio, di raccolta e gestione delle informazioni. Si è inoltre ripreso il tema dell'efficienza funzionale: il manufatto è dunque correttamente inteso anche come "sistema tecnologico", che fornisce prestazioni in risposta alle esigenze dell'utenza. Ma ancor più importante è aver introdotto, tra "attività e interventi" che costituiscono la manutenzione, il "controllo" delle condizioni del bene Culturale: con questo la manutenzione definitivamente cessa di essere un'attività di routine, da affidare ad esecutori meno qualificati, e si sostanzia come attività, certo direttamente operante sull'oggetto, che però comporta osservazione, valutazione, registrazione, e perciò richiede esperienza e competenze elevate [12].
Anche per l'intervento sui beni culturali, il d.p.r. 554/1999 introduce l'obbligo di redazione del Piano di manutenzione in fase di progettazione esecutiva. Il d.lg. 163/2006, abrogando la legge 109/1994, ne conferma le disposizioni, aggiungendo che nella progettazione di interventi sui beni culturali, l'obbligo vige comunque, anche in caso di assenza di progetto esecutivo [13]. In materia di "Progettazione dello scavo archeologico" [14], in particolare, la "manutenzione programmata" è prevista come documento del progetto definitivo. Come già nella normativa precedente, però, l'obbligo è limitato alla programmazione delle attività manutentive relative all'intervento progettato e, anche in questo caso, non è posta alcuna garanzia riguardo all'effettiva attuazione del Piano.
Sulla scorta di queste riflessioni, è importante mettere in luce due aspetti di grande rilevanza legati alle attività di manutenzione, peculiari per il settore dei beni culturali. In primo luogo, la definizione di conservazione riportata nell'art. 29 del Codice mette in evidenza le potenzialità legate alla programmazione sinergica delle attività di prevenzione e delle attività manutentive propriamente dette, favorendo l'evoluzione culturale e processuale da una prassi di tipo interventista alla diffusione di strategie di tipo preventivo, nell'ottica di aumentare la sostenibilità della gestione del patrimonio costruito. In secondo luogo, si riconoscono le grandi potenzialità che lo strumento del Piano di manutenzione potrebbe assumere in relazione alle caratteristiche specifiche degli interventi sui beni culturali, che comportano sempre lo sviluppo di una consistente attività conoscitiva. Se concepito in chiave evolutiva ed opportunamente integrato nei contenuti, il Piano potrebbe infatti rivelarsi uno strumento di grande utilità, oltre che per il perseguimento delle attività di conservazione, anche per la raccolta di informazioni, la registrazione delle attività ispettive e manutentive progressivamente attuate ed il monitoraggio delle condizioni di stato del bene edilizio.
Purtroppo, nonostante la cultura della manutenzione Programmata trovi sempre maggiore riconoscimento e sia oggi incentivata in alcune regioni [15], anche grazie all'erogazione di finanziamenti da parte di importanti fondazioni filantropiche [16], la normativa cogente non ha recepito gli esiti della riflessioni operate nell'ambito della ricerca, sicché la redazione del Piano di manutenzione è richiesta solo nei casi di lavori pubblici e resta limitata nella sua effettiva operatività, come già rilevato, ad iniziative di tipo volontario.
Il risultato è che il Piano di manutenzione nella maggior parte dei casi viene considerato, anche da parte dei soggetti promotori di interventi sui beni culturali, come un semplice e noioso adempimento burocratico; esso inoltre rappresenta, per il progettista, un onere economico non adeguatamente compensato dai tariffari professionali, pertanto molto speso viene sviluppato e compilato in modo puramente formale e non secondo gli obiettivi e le potenzialità che gli sono proprie.
In una prospettiva più ampia, considerando le potenzialità di questo strumento rispetto agli scopi della conservazione, sarebbe opportuno che i Piani non venissero redatti solo in occasione di interventi ma, adottando una strategia preventiva, fossero elaborati anche in assenza di opere.
Sebbene la decisione di attivare la programmazione degli interventi trovi origine necessariamente in criteri di natura culturale e decisioni di tipo politico-strategico, non vanno sottovalutate le motivazioni di natura economica: l'attuazione dei Piani di manutenzione, infatti, presenta dei vantaggi, poiché permette una razionalizzazione degli investimenti, consentendo di individuare gli interventi da eseguire e di programmarne l'esecuzione su base pluriennale definendo i budget annuali di spesa [17]. Tenere registrazione di tutte le informazioni di ritorno sia dall'attività ispettiva che da quella manutentiva, può inoltre consentire di ottimizzare i tempi di intervento ed i relativi costi, beneficiando di significative economie di scala.
All'interno di questi problemi deve essere messo in evidenza il ruolo di un altro fondamentale documento previsto dalla normativa cogente, il Consuntivo scientifico [18], che si pone in naturale e necessaria relazione con il Piano di manutenzione.
Il Consuntivo scientifico è un documento che deve essere redatto dal direttore dei lavori, al termine del cantiere, sotto forma di una relazione finale tecnico-scientifica, che si configura "come ultima fase del processo della conoscenza e del restauro e quale premessa per un eventuale e futuro programma di intervento sul bene, con l'esplicitazione dei risultati culturali e scientifici raggiunti, e la documentazione grafica e fotografica dello stato del manufatto prima, durante e dopo l'intervento; l'esito di tutte le ricerche ed analisi compiute e i problemi aperti per i futuri interventi" [19]. L'utilità del Consuntivo scientifico - che ha quindi l'obiettivo di raccogliere tutte le informazioni generate sia in fase progettuale che, soprattutto, in fase esecutiva - ai fini della redazione del Piano di manutenzione è piuttosto scontata, ma è anche paradossale che nell'articolo di legge non si faccia riferimento esplicitamente al Piano ma solo a "futuri programmi di intervento". Il nuovo regolamento d.lg. 163/2006, però, introduce un elemento correttivo prevedendo "l'aggiornamento del piano di manutenzione" [20] oltre alla già prevista relazione tecnico-scientifica.
Rispetto alle possibilità di adeguamento degli strumenti normativi, la criticità più evidente cui andrebbe data soluzione è l'attuale obbligo di redazione del Piano, oggi limitato solo al caso in cui si prevedano opere e al solo ambito dell'intervento progettato. Sarebbe poi da rendere cogente la attuazione del Piano stesso.
Per raggiungere risultati adeguati in termini di qualità ed efficienza, sarebbe necessario definire i contenuti e gli ambiti di applicabilità dei diversi servizi di manutenzione, indagare e definire le competenze, i ruoli e le responsabilità dei diversi attori coinvolti (soprintendenze, proprietari privati e pubblici, gestori dei beni, imprese) e le tecniche di coordinamento dell'intero processo, che non si esaurirebbe con l'applicazione delle attività progettate ma richiederebbe costanti attività di monitoraggio, registrazione delle informazioni generate in fase esecutiva e di controllo, implementazione, aggiornamento ed eventuale revisione del Piano.
Le modalità di affidamento dei lavori per i beni culturali non sono definite in una normativa specifica per il settore, ma sono disciplinate dal regolamento del d.lg. 163/2006. Gli interventi sui beni culturali sono pertanto regolati da procedure di appalto che non si discostano da quelle in uso per i lavori pubblici, anche di nuova costruzione. Nell'ottica di una revisione e di una evoluzione della programmazione e dell'implementazione delle attività manutentive, sarebbe necessario prevedere una revisione delle procedure amministrative, anche in riferimento alle modalità di affidamento dei lavori. Il d.lg. n. 163/2006, a questo proposito, presenta un elemento di novità, introducendo gli accordi quadro quali nuovi strumenti giuridici per l'attuazione dei servizi di manutenzione.
L'introduzione della redazione dei Piani di manutenzione nella prassi degli operatori del settore è una strategia in grado di dar frutto sul lungo periodo e come tale incontra alcune resistenze, per cui per favorire l'investimento economico da parte dei proprietari o degli enti gestori dei beni può risultare utile, oltre a un'opportuna revisione della normativa di riferimento, intervenire con azioni incentivanti e premiali. Possono inoltre essere pianificate strategie complementari attuabili nel breve periodo, in grado di agire sia sul fronte della domanda che su quello dell'offerta di servizi di manutenzione, con l'obiettivo di diffondere le buone pratiche e preparare il terreno al recepimento delle trasformazioni normative.
Note
[1] La legge è stata abrogata dal d.lg. 163/2006, Codice degli appalti; l'articolo in questione è stato ripreso senza che fossero introdotte modifiche.
[2] Il Piano di manutenzione è costituito da tre documenti operativi: manuale d'uso, manuale di manutenzione, programma di manutenzione. Il primo raccoglie l'insieme delle informazioni atte a permettere all'utente di conoscere le modalità di fruizione del bene, nonché tutti gli elementi necessari per limitare quanto più possibile i danni derivanti da un'utilizzazione impropria e per riconoscere tempestivamente fenomeni di deterioramento al fine di sollecitare interventi specialistici. Il secondo fornisce le indicazioni necessarie per la corretta manutenzione delle parti di cui si compone il bene, ed in particolare degli impianti tecnologici. Infine, il programma di manutenzione prevede un sistema di controlli e di interventi da eseguire a cadenze prefissate al fine della corretta gestione del bene e delle sue parti nel corso del tempo.
[3] D.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554, regolamento di attuazione legge 109/1994, art. 212, comma 4.
[4] Art. 249, d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207, regolamento di attuazione del d.lg. 163/2006: "I lavori di manutenzione, in ragione della natura del bene e del tipo di intervento che si realizza, possono non richiedere tutte le specifiche previste dalle norme sui livelli di progettazione preliminare e definitiva, e sono eseguiti anche sulla base di una perizia di spesa contenente: a) la descrizione del bene corredata da eventuali elaborati grafici e topografici redatti in opportuna scala; b) il capitolato speciale con la descrizione delle operazioni da eseguire ed i relativi tempi; c) il computo metrico; d) l'elenco dei prezzi unitari delle varie lavorazioni".
[5] Sull'argomento si possono portare innumerevoli citazioni. Pur brevemente, va ricordato il pensiero di Ruskin (1849) che sosteneva la preminenza della manutenzione minuta e costante rispetto alle più distruttive attività di restauro "Prendetevi cura solerte dei vostri monumenti e non avrete alcun bisogno di restaurarli" (in: The Seven Lamps of Architecture, 1849, Jaca Book, Milano, 1981, p. 228). E' poi il caso di segnalare il Manifesto della S.p.a.b. (1877) dove, nell'osservare che il restauro è "un'idea strana e di gran lunga fatale", si afferma che "è per tutte queste costruzioni, (...) di tutti i tempi e gli stili, che noi lottiamo, e spingiamo coloro che hanno rapporti con esse di sostituire la tutela al posto del restauro per evitare il degrado con cure giornaliere, per puntellare un muro pericolante o rappezzare un tetto cadente (...) e comunque resistere a tutti i tentativi di manomettere la costruzione". Riegl (1902) osserva che "Ogni opera dell'uomo viene concepita perciò come organismo naturale, nella cui evoluzione nessuno deve intervenire; l'organismo deve vivere liberamente e l'uomo può tutt'al più preservarlo da una fine precoce" in: Riegl A, Scritti sulla tutela e il restauro (a cura di G. La Monica), Palermo, 1982, p. 48.
Sono noti inoltre i passi del Boito dove egli afferma che "Per quanto lodevole possa riescire il restauro di un edificio, il restaurare deve considerarsi pur sempre una triste necessità. Un mantenimento intelligente deve sempre prevenirla" (da: I restauri in architettura; "Restaurare o Conservare", in: Questioni pratiche di Belle Arti, Hoepli, Milano, 1893).
[6]Carta del Restauro di Roma, 1883; art. 1, "I monumenti architettonici, quando sia dimostrata incontrastabilmente la necessità di porvi mano, devono piuttosto venire consolidati che riparati, piuttosto riparati che restaurati, evitando in essi con ogni studio le aggiunte e le rinnovazioni."
Carta Italiana del restauro, 1932; art. 1, "che al di sopra di ogni altro intento debba la massima importanza attribuirsi alle cure assidue di manutenzione alle opere di consolidamento, volte a dare nuovamente al monumento, la resistenza e la durevolezza tolta dalle menomazioni o dalle disgregazioni".
Carta di Venezia, 1964; art. 4, "La conservazione dei monumenti impone innanzi tutto una manutenzione sistematica".
Carta Italiana del Restauro, 1972; Allegato B, "Premesso che le opere di manutenzione tempestivamente eseguite assicurano lunga vita ai monumenti, evitando l'aggravarsi dei danni, si raccomanda la maggiore cura possibile nella continua sorveglianza degli immobili per i provvedimenti di carattere preventivo, anche al fine di evitare interventi di maggiore ampiezza".
[7] All. B della Carta della Conservazione e del Restauro degli oggetti d'arte e di cultura, 1987.
[8] Della Torre S., Gasparoli P., La definizione di manutenzione contenuta nel Codice dei beni culturali: un'analisi del testo e delle sue implicazioni. Riferimenti e confronti con le attività manutentive sul costruito diffuso, in: Atti del Convegno "La cultura della manutenzione nel progetto edilizio e urbano", Siracusa, 2007, Lettera Ventidue, Siracusa, 2007, pp. 160-163.
[9] D.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice per i beni culturali e il paesaggio, art. 29, comma 3.
[10] D.lg. 42/2004, art. 29, comma 2.
[11] R. Cecchi, Presentazione, in Gasparoli P., Talamo C., op. cit., 2006, p. 10.
[12] Della Torre S., Gasparoli P., 2007, op. cit., pp. 160-163.
[13] D.lg. 163/2006, art. 203, comma 2, e art. 243 del d.p.r. 207/2010, Regolamento di attuazione del d.lg. 163/2006. Si ricordi che sino alla entrata in vigore del d.lg. 163/2006 vigeva l'art. 213, comma 2, del d.p.r. 554/99. Esso afferma che "per quanto concerne i lavori di scavo archeologico e quelli di manutenzione di beni immobili e di beni mobili di interesse storico-artistico la progettazione si articola in progetto preliminare e progetto definitivo" e pertanto queste opere erano soggette alla obbligatoria stesura del Piano di manutenzione.
[14] D.p.r. 554/1999, art. 217, comma 7 h.
[15] La regione Lombardia ha promosso la redazione di Linee guida per la conservazione programmata del patrimonio culturale. Cfr. Della Torre S. (a cura di), La conservazione programmata del patrimonio storico- architettonico: linee guida per il piano di manutenzione e il consuntivo scientifico, Milano, Guerini, 2003
[16] Fondazione Cariplo per l'anno 2011 ha confermato l'erogazione di finanziamenti nell'ambito del bando titolato "Diffondere le metodologie innovative per la conservazione programmata del patrimonio storico-architettonico", già promossi nel 2008, nel 2009 e nel 2010.
[17] Un caso significativo per la determinazione dei costi delle attività di tipo preventivo è costituito dal restauro delle Mura Spagnole di Milano, a seguito del quale è stato redatto un puntuale Piano di manutenzione. Il costo dell'intero restauro è stato di circa € 2.400.000,00. Il costo previsto per attività ispettive e attività di tipo preventivo, in 8 anni, è stato stimato in € 315.064,00, pari a € 39.838/anno, che corrisponde all'1,8% circa all'anno se rapportato all'intero costo del restauro. Le attività manutentive programmate, invece, sono state valutate in circa € 660.126,00, in 8 anni, pari a € 82.516,00 all'anno, che corrisponde a circa il 4% all'anno se rapportato all'intero costo del restauro. Si tenga conto che le Mura Spagnole di Milano sono strutture ruderizzate, ad elevato rischio di colonizzazione da vegetazione infestate, con un microclima urbano ad alta pericolosità per i valori di umidità e inquinamento.
[18] Della Torre S., Piano di manutenzione e Consuntivo scientifico nella legislazione sui lavori pubblici, in Della Torre S., (a cura di), op. cit., 2003, pp. 25-29.
[19] Art. 221, d.p.r. 554/1999.
[20] Art. 250, d.p.r. 207/2010 (rif. art. 221, d.p.r. 554/1999).