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Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici

a cura di Roberto Chieppa

Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.

1. Beni culturali

Cons. Stato, VI, 30 settembre 2008, n. 4691, Pres. Ruoppolo, Est. Colombari. Sulla spettanza del premio per ritrovamenti archeologici.

All'impresa a cui la p.a. ha appaltato l'attività di scavo per individuare eventuali reperti in un'area sulla quale avrebbe dovuto essere realizzata una corsia autostradale non spetta il premio previsto dall'art. 87 T.U. 29 ottobre 1999, n. 490 per chi ha occasionalmente scoperto reperti archeologici.

Cons. Stato, VI, 25 novembre 2008, n. 5784, Pres. Barbagallo, Est. Colombari. Sull'apposizione di un vincolo archeologico indiretto.

Il vincolo archeologico indiretto è imposto su beni e aree circostanti quelli sottoposti a vincolo diretto per garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva o migliori condizioni ambientali e di decoro ed è legittima anche l'imposizione di un divieto assoluto di edificazione; il provvedimento impositivo deve indicare il bene oggetto del vincolo, le cose in funzione delle quali esso è imposto e le ragioni della tutela.

La contiguità con il bene direttamente tutelato non è solo fisica, o di carattere stilistico o estetico tra le aree, ma può essere giustificata anche per esigenze storiche concernenti i monumenti e le popolazioni circostanti.

Il vincolo archeologico è espressione di valutazioni tecnico-discrezionali, sindacabili dal giudice amministrativo sotto il profilo della congruità e della logicità della motivazione, e la sua ampiezza, finalizzata a creare una fascia di rispetto intorno al bene archeologico, è sindacabile in sede di legittimità soltanto per macroscopica incongruenza e illogicità.

Per la salvaguardia dell'integrità, del decoro e del godimento del complesso archeologico e per consentire la prosecuzione delle ricerche senza che l'intervento dell'uomo le pregiudichi, può essere sottoposta a vincolo anche un'area estesa ove siano stati rinvenuti reperti di particolare interesse pubblico.

L'asserito stato di abbandono dei luoghi in cui sono stati trovati i reperti non è di per sé ostativo all'imposizione del vincolo indiretto, posto che la situazione in un determinato momento può essere stata compromessa da circostanze contingenti che non escludono comunque la presenza dei ritrovamenti che presentano un particolare valore storico e archeologico.

Cons. Stato, VI, 23 dicembre 2008, n. 6513, Pres. Barbagallo, Est. Colombari. Sulle modalità di apposizione di un vincolo archeologico e sulla natura ricognitiva, e non costitutiva, del relativo provvedimento.

La declaratoria del particolare interesse archeologico di un immobile è basata su un giudizio che attiene alla discrezionalità tecnica della p.a. ed è sindacabile in sede di legittimità solo per difetto di motivazione o per erroneità o illogicità, ovvero per inattendibilità della valutazione in base allo stato delle conoscenze.

Ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (artt. 1 e 3), il vincolo archeologico c.d. diretto viene imposto su beni o aree nei quali sono stati ritrovati reperti archeologici, o in relazione ai quali vi è certezza dell'esistenza, della localizzazione e dell'importanza del bene archeologico; il vincolo archeologico c.d. indiretto (art. 21 della legge 1089/1939), invece, viene imposto su beni e aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, per garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva, o migliori condizioni ambientali e di decoro.

Imprescindibile presupposto per l'imposizione del vincolo diretto di cui agli artt. 1 e 3 della legge 1089/1939 è la dimostrata, effettiva esistenza delle cose da tutelare; con la conseguenza che il relativo provvedimento si deve considerare illegittimo, per carenza o errore nei presupposti, ove sia stato acclarato che in un'area non irrilevante della zona vincolata in realtà non esiste alcun bene archeologico suscettibile di protezione.

Poiché né la legge 1089/1939, né il regolamento del 1913 contengono specifiche prescrizioni relative al procedimento di cui l'amministrazione debba avvalersi per pervenire all'assoggettamento dei beni di notevole interesse storico e artistico al particolare regime previsto dalla legge indicata (solo con l'art. 7 del d.lg. 490/1999, infatti, sono dettate norme sul relativo procedimento), ben può il ministero per i Beni culturali ed ambientali porre a base di un provvedimento di vincolo, emanato a norma dell'art. 3 della legge 1089/1939, l'accertamento e la valutazione della locale soprintendenza che è l'organo periferico del ministero stesso ed è, istituzionalmente, preposto agli accertamenti ed alle valutazioni in loco delle esigenze di tutela del pubblico interesse tenuto presente dalla indicata legge 1089/1939.

Una volta riconosciuto che il bene archeologico "ritrovato" è un bene "pubblico, non deve ritenersi necessario nessun provvedimento "costitutivo" per verificare il carattere pregiato del bene e per la conseguente imposizione del regime di protezione, perché tale regime deriva direttamente dalla legge, una volta accertato il particolare valore delle cose ritrovate

Cons. Stato, VI, 14 gennaio 2009, n. 136, Pres. Ruoppolo, Est. Taormina. Sulla esportazione di beni di interesse storico-artistico e sull'esercizio del potere di autotutela.

La disciplina dell'acquisizione dei beni di interesse storico, artistico e archeologico, per i quali viene richiesta licenza di esportazione verso i paesi appartenenti alla CEE, è contenuta nell'art. 39, commi 2 e 3, legge 1089/1939, i quali dispongono una regolamentazione del tutto autonoma e diversa rispetto al sistema previsto dallo stesso art. 39, comma 1, legge 1089 cit. con riguardo alle esportazioni verso i paesi extracomunitari; pertanto, di fronte ad una richiesta di autorizzazione all'esportazione verso paesi della CEE, l'amministrazione ha le seguenti possibilità: a) concedere la licenza; b) negare l'autorizzazione, qualora l'esportazione danneggi il patrimonio storico e culturale della nazione (art. 35); c) formulare un'offerta di acquisto, che può essere accettata, dando luogo a trasferimento convenzionale, ovvero non accettata, con rinunzia all'esportazione (nel qual caso l'intero procedimento viene meno) o senza rinunzia (nel qual caso può instaurarsi un procedimento espropriativo, in cui il prezzo è stabilito obiettivamente, con determinate modalità. Da ciò emerge che la facoltà di acquisto è soltanto una delle opzioni previste in capo all'amministrazione, che può limitarsi a vietare la fuoriuscita del bene dal territorio nazionale, ove ritenga che la fuoruscita del bene danneggi il patrimonio della nazione.

L'interesse pubblico che è alla base del legittimo esercizio del potere di autotutela della pubblica amministrazione non si identifica nella necessità del ripristino dell'ordinamento violato, ma richiede una valutazione comparativa sulla qualità e concretezza degli interessi in gioco; rapportata anche al tempo decorso e alla situazione di fatto al momento di agire in autotutela (fattispecie in cui un privato aveva acquistato ad un asta il quadro definito "Madonna con Bambino", imitatore di Giotto, circa 1800; il quadro era stato legittimamente esportato e reimportato in Italia varie volte, anche per partecipare a mostre; a seguito di restauro si era scoperta l'attribuibilità dell'opera al maestro Giotto con conseguente esponenziale incremento di valore; l'amministrazione aveva conseguentemente revocato la licenza d'esportazione con provvedimento in un primo momento annullato per violazione del disposto di cui all'art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e reiterato con provvedimento la cui legittimità è stata confermata in sede giurisdizionale).

2. Beni paesaggistici

Cons. Stato, IV, 30 settembre 2008, n. 4708, Pres. Trotta, Est. Leoni. Sul vincolo paesaggistico ex lege.

Alle aree che alla data del 6 settembre 1985 ricadevano nei centri edificati perimetrali a norma dell'art. 18 legge 22 ottobre 1971, n. 865, non si applica il vincolo paesaggistico previsto dall'art. 146 comma 2 lett. b) T.U. 490/1999.

Cons. Stato, VI, 8 ottobre 2008, n. 4916, Pres. Varrone, Est. De Michele. Sulle competenze degli enti parco in ordine al traffico veicolare.

Ai sensi degli artt. 4 comma 1 lett. a) e f) legge 12 luglio 1923, n. 1511, e 7 comma 1 punto 4, dpr 30 giugno 1951, n. 535, spetta all'Ente Parco regolare il traffico pedonale e veicolare all'interno del proprio territorio, anche se la strada sulla quale si svolge detto traffico è di proprietà comunale.

Cons. Stato, VI, 24 ottobre 2008, n. 5267, Pres. Ruoppolo, Est. Taormina. Sulla disparità di trattamento in sede di autorizzazioni paesaggistiche e sulla responsabilità della p.a.

L'illegittimità, per disparità di trattamento, del diniego del nulla osta previsto dall'art. 7, legge 29 giugno 1939, n. 1497, è configurabile solo in casi macroscopici e presuppone un'assoluta identità delle situazioni di fatto prese in considerazione; ciò perché la valutazione preordinata al rilascio del nulla osta ex art. 7 legge 1497/1939 ha per oggetto la tutela di un bene primario sancita dall'art. 9 Cost., i cui valori sono inderogabili e che implica l'obbligo della massima cautela nella disamina di ogni profilo dell'intervento edilizio che si possa risolvere nella compromissione dei valori ambientali. Pertanto, in tale materia, la disparità di trattamento tra situazioni di uguale contenuto va accertata con estremo rigore e si può configurare soltanto nel caso della macroscopica violazione dei limiti che sul punto le norme impongono alla discrezionalità della p.a. preposta alla tutela del vincolo.

L'esercizio di un atto di autotutela dell'amministrazione che elimini il provvedimento asseritamente lesivo non è preclusivo della domanda risarcitoria: e neppure spiega effetti ostativi alla proponibilità del petitum risarcitorio la emissione di un nuovo provvedimento di tenore contrario ed opposto al precedente reiettivo, che si risolva nell'attribuzione del bene della vita in capo all'originario istante; tuttavia, deve escludersi la sussistenza della colpa della p.a. in un caso in cui l'amministrazione, pur in presenza di una sentenza di primo grado che aveva respinto le doglianze del privato riconoscendo la correttezza dell'azione amministrativa, non ha esitato a prendere in esame la nuova istanza da questi proposta - successiva alla decisione di primo grado, esitandola favorevolmente; tale condotta, costituisce, già isolatamente considerata, manifestazione di attenzione, cura dell'interesse amministrativo, e diligenza, incompatibile con profili colposi (fattispecie in cui dopo un primo annullamento dell'autorizzazione paesaggistica, l'amministrazione aveva riesaminato la pratica in senso favorevole al ricorrente).

Cons. Stato, VI, 29 dicembre 2008, n. 6586, Pres. Barbagallo, Est. Scola. Sul carattere non recettizio del provvedimento di annullamento di una autorizzazione paesaggistica e sulle ragioni dell'annullamento attinenti a profili urbanistici.

Il decreto ministeriale di annullamento di una autorizzazione paesaggistica non costituisce un atto recettizio e il termine di sessanta giorni, previsto per l'esercizio del potere statale di annullamento, ancorché perentorio, attiene al solo esercizio del potere di annullamento, da parte dell'amministrazione statale, restando estranea alla previsione normativa l'ulteriore fase di comunicazione o notificazione del provvedimento.

E' legittimo il provvedimento di annullamento di una autorizzazione paesaggistica motivato con riguardo al superamento degli indici di fabbricazione consentiti dallo strumento urbanistico, costituendo tale circostanza vizio idoneo a giustificare un giudizio d'incompatibilità del fabbricato con la tutela ambientale.

Cons. Stato, VI, 29 dicembre 2008, n. 6591, Pres. Barbagallo, Est. Chieppa. Sull'istituto del silenzio assenso previsto dall'art. 13 della legge 394/1991 sui parchi nazionali.

La legge 80/2005, che ha generalizzato l'istituto del silenzio assenso di cui all'art. 20 legge 241/1990, prevedendo alcune eccezioni in determinate materie, tra cui quelle inerenti il patrimonio culturale paesaggistico e l'ambiente, non ha implicitamente abrogato la norma speciale contenuta all'art. 13 legge 394/1991, che già prevedeva una speciale forma di silenzio assenso sulle istanze di nulla osta da parte degli enti parco. L'eccezione in questione, infatti, va interpretata nel senso che la generalizzazione dell'istituto del silenzio assenso non può applicarsi in modo automatico alle materie indicate dall'art. 20, comma 4, ma ciò non impedisce al legislatore di introdurre in tali materie norme specifiche, aventi ad oggetto il silenzio assenso, a meno che non sussistano espressi divieti, derivanti dall'ordinamento comunitario o dal rispetto dei principi costituzionali (fattispecie relativa ad un parco regionale del Lazio; nella regione Lazio l'art. 28, comma 1, della l.r. 29 del 1997 prevede che "Il rilascio di concessioni od autorizzazioni, relativo ad interventi, impianti ed opere all'interno dell'area naturale protetta, è sottoposto a preventivo nulla osta dall'ente di gestione ai sensi dell'articolo 13, commi 1, 2 e 4, della legge 394/1991", con richiamo, quindi, della norma statale da parte di quella regionale).

Cons. Stato, VI, 13 febbraio 2009, n. 771, Pres. Varrone, Est. Contessa. Sulla comunicazione dell'avvio del procedimento di annullamento di autorizzazione paesaggistica.

Con riguardo al periodo antecedente l'entrata in vigore del dm 19 giugno 2002, n. 165, l'amministrazione statale è obbligata a comunicare al privato l'avvio del procedimento di annullamento di una autorizzazione paesaggistica allo scopo di consentire all'interessato di avvalersi degli strumenti di partecipazione e di accesso, previsti dalla legge n. 241/1990; non costituisce atto equipollente alla comunicazione di avvio l'avviso in sede di rilascio dell'autorizzazione dell'invio della stessa alla competente soprintendenza, in quanto il destinatario del richiamato avvertimento non è comunque posto in grado di conoscere l'esatta tempistica entro la quale attivare la propria facoltà di interlocuzione con l'amministrazione statale.

Nel sistema successivo all'entrata in vigore del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all'annullamento del nulla osta paesaggistico da parte del competente Organo statale non richieda più la previa comunicazione ex art. 7, legge 241/1990, in base al disposto di cui al comma 1 dell'art. 159, d.lg. 42/2004 cit., il quale (innovando rispetto al previgente disposto di cui all'art. 151 del d.lg. 490/1999) stabilisce in modo espresso che la comunicazione relativa all'avvenuto rilascio del nulla osta da parte dell'Ente a ciò competente "costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241".

Cons. Stato, VI, 23 febbraio 2009, n. 1050, Pres. Ruoppolo, Est. Barra Caracciolo. Sul potere di controllo delle autorizzazioni paesaggistiche da parte delle Soprintendenze per soli vizi di legittimità, anche dopo le modifiche dell'art. 159 del d.lg. 42/2004.

L'art. 159, comma 3, del d.lg. 42/2004, quale sostituito dall'art. 26 del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157, non può essere interpretato nel senso che, a seguito dell'entrata in vigore di detta norma, la soprintendenza, in sede di verifica dell'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal comune, non ha bisogno di indicare specifici vizi di legittimità da cui sarebbe affetta detta autorizzazione, potendo esercitare un controllo di merito in ordine all'impatto ambientale dell'intervento richiesto.

In conformità con quanto affermato da Corte cost. 7 novembre 2007, n. 367, deve ritenersi che il comma 3 del novellato art. 159 non attribuisce all'amministrazione centrale un potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico per motivi di merito, così da consentire alla stessa amministrazione di sovrapporre una propria valutazione a quella di chi ha rilasciato il titolo autorizzativo, ma riconosce ad essa un controllo di mera legittimità che, peraltro, può riguardare tutti i possibili vizi, tra cui anche l'eccesso di potere.

Va perciò ritenuto che l'autorità statale, in sede di esercizio della sua competenza ex art. 159, comma 3, del d.lg. 42/2004, disponga degli stessi poteri di riscontro in termini di legittimità costantemente riconosciuti come ambito della sua potestà di annullamento, senza che possa profilarsi, in relazione alla "non conformità" dell'autorizzazione paesaggistica rilasciata dall'organo delegato dalla regione, un potere di riesame nel merito. Tale interpretazione fa venire meno i dubbi di illegittimità costituzionale dell'art. 159, comma 3, del d.lg. 42/2004, dipendenti dalla possibile lettura marcatamente innovativa della disposizione medesima (sentenza emessa nel giudizio, in precedenza sospeso dal Consiglio di Stato con rinvio degli atti alla Corte costituzionale e riassunto a seguito della ordinanza della Corte costituzionale n. 295 del 18 luglio 2008 di restituzione degli atti per la valutazione dell'incidenza della ulteriore modifica di cui all'art. 2 lettera hh), del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63, che ha sostituito il previgente art. 159 del d.lg. 42/2004, come sostituito dall'art. 26 del d.lg. 157.

 

 

 

 

 



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