I musei: servizi e risorse / Dibattito
Attività museali [*]
Sommario: 1. Generalità: programmazione e gestione in tema di beni culturali. - 2. Il ruolo delle fondazioni ex bancarie nella programmazione e nella gestione delle attività museali. - 3. La possibilità che organismi misti, partecipati da fondazioni ex bancarie, possano gestire musei pubblici.
1. Generalità: programmazione e gestione in tema di beni culturali
Per delineare le possibili forme di intervento delle fondazioni bancarie in tema di attività museali occorre prendere le mosse dagli artt. 112 e 115 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, come innovati dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156.
Tali disposizioni, secondo una lettura largamente in circolo [1], danno evidenza ai tre momenti che scandiscono idealmente il passaggio dall'indirizzo politico alla gestione operativa nel campo della valorizzazione dei beni culturali, e in particolare dei luoghi e istituti della cultura di cui all'art. 101 del Codice: la definizione delle strategie e degli obiettivi comuni della valorizzazione, riservata agli enti territoriali titolari dei beni da valorizzare; l'elaborazione e lo sviluppo della programmazione degli interventi da parte degli stessi enti, con l'eventuale concorso di soggetti privati non profit; la gestione, infine, dei servizi culturali ad opera degli enti pubblici proprietari ovvero di un terzo concessionario dei servizi, scelto mediante gara.
In particolare lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali vengono anzitutto abilitati a concludere accordi per definire strategie e obiettivi comuni di valorizzazione e per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale relativamente ai beni di pertinenza pubblica. Gli accordi possono essere su base regionale o sub-regionale e promuovono l'integrazione, all'interno del processo di valorizzazione, delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati. Gli accordi possono riguardare anche beni di proprietà privata, con il consenso dei loro titolari (art. 112, comma 4, primo e secondo periodo).
Per l'elaborazione e lo sviluppo dei piani strategici di sviluppo culturale gli enti territoriali - tra cui il Mibac, secondo modalità da definirsi in sede regolamentare - possono anche costituire appositi soggetti giuridici, "nel rispetto delle vigenti disposizioni". A tali soggetti sono ammessi a partecipare privati proprietari di beni culturali oggetto di valorizzazione e persone giuridiche private non profit (art. 112, commi 5 e 8).
Risultano stipulabili altresì accordi di portata minore: per regolare servizi strumentali comuni (ad es. la creazione di "carte musei") o per istituire forme consortili non imprenditoriali per la gestione di servizi comuni (ad es. del servizio biglietteria) (art. 112, comma 9).
Nel complesso tali previsioni, pur non costituendo in assoluto delle innovazioni, danno rilievo a momenti significativi di un processo di valorizzazione compiutamente condotto.
Maggiori le novità per la gestione delle attività di valorizzazione, specificamente dei servizi culturali. Viene ribadita l'alternativa fra la gestione in forma diretta e quella in forma indiretta. Se ne precisano però i contorni: la prima è svolta da parte degli stessi enti titolari dei beni, eventualmente anche in forma consortile pubblica, attraverso strutture dotate di autonomia (art. 115, comma 2). La seconda è attuata tramite la concessione a terzi, selezionati mediante procedure di evidenza pubblica (art. 115, comma 3). Rispetto al passato le variazioni sono rappresentate dalla considerazione, come gestione diretta, di quella attuata in forma consortile pubblica (in precedenza qualificata come indiretta) e soprattutto dalla menzione, come gestione indiretta, solo di quella attuata tramite concessione a terzi (mentre in precedenza veniva indicato anche il ricorso a soggetti costituiti o partecipati in misura prevalente dall'amministrazione titolare dei beni, cfr. l'originario art. 115, commi 2 e 3).
Risultano, inoltre, puntualizzati i rapporti con i concessionari: il contratto di servizio già previsto (precedente art. 115, comma 8) deve ora indicare i tempi e livelli dei servizi da erogare e la professionalità degli addetti. Inoltre, è specificato che l'inosservanza degli impegni assunti può comportare la risoluzione del rapporto concessorio (art. 115, comma 6, secondo periodo).
Viceversa, restano nella sostanza invariate la previsione secondo cui alla concessione delle attività di valorizzazione può essere collegata la concessione in uso "degli spazi necessari all'esercizio delle attività medesime" (art. 115, comma 8) - evenienza questa da considerarsi del tutto "normale" nel caso di concessione dei servizi culturali, cfr. anche art. 115, comma 6, secondo periodo -, nonché quella per la quale i beni culturali conferiti o concessi in uso rimangono assoggettati al regime loro proprio e in particolare alla tutela esercitata dal Mibac (art. 116, primo periodo).
Merita di essere sottolineata la rimodulazione delle modalità di conferimento delle attività di valorizzazione, in particolare dei servizi culturali (compresi quelli aggiuntivi). Ammettendosi la gestione "diretta" solo da parte degli stessi enti titolari dei beni, singolarmente o in "forma consortile pubblica" e quella "indiretta" tramite concessione a terzi scelti tramite gara, viene operata una restrizione di rilievo rispetto al passato: gli organismi di collaborazione pubblico/privato, che in precedenza potevano risultare affidatari diretti dell'attività di valorizzazione (a condizione che risultasse prevalente la partecipazione delle amministrazioni titolari dei beni, cfr. art. 115, comma 3, lett. a)), ora non sono esclusi in assoluto dalla possibilità di svolgere dette attività, ma rientrano tra i "terzi" cui le attività possono essere conferite a seguito di procedure di evidenza pubblica. In particolare ciò vale per i soggetti costituiti ai sensi dell'art. 112, comma 5, in vista della elaborazione di piani di valorizzazione. Detto in altre parole, la novità introdotta - che si cela dietro la nuova dicotomia gestione diretta/indiretta - potrebbe essere riassunta in "un'apertura alla concorrenza" delle attività di valorizzazione (e in particolare dei servizi culturali), la gestione diretta o l'affidamento senza gara risultando ammesso soltanto nei casi in cui il soggetto pubblico provveda a svolgere l'attività con la propria organizzazione o la gestisca con altri soggetti pubblici in forma consortile pubblica. Nello stesso segno può essere altresì letta l'estensione agli enti locali della possibilità di utilizzo della concessione a terzi.
2. Il ruolo delle fondazioni ex bancarie nella programmazione e nella gestione delle attività mussali
Alla luce dei dati normativi che si sono richiamati (e di altri presenti nel Codice) il ruolo delle fondazioni ex bancarie è agevolmente delineabile.
Esse anzitutto possono partecipare in quanto organismi non profit ai soggetti costituiti dagli enti territoriali per l'elaborazione di piani strategici di sviluppo culturale (art. 112, commi 5 e 8), ossia sono in grado di concorrere alla programmazione attuativa delle attività di valorizzazione del settore culturale, per di più, come emerge dall'art. 112, comma 4, in un'auspicata ottica di integrazione fra le politiche pubbliche relative ai territori.
A tale attività programmatoria ben possono collegarsi i protocolli d'intesa che l'art. 121 del Codice prevede che siano conclusi fra gli enti territoriali e le fondazioni ex bancarie al fine di coordinare gli interventi di valorizzazione del patrimonio culturale e di garantire nel settore un equilibrato impiego delle risorse finanziarie disponibili. Al riguardo, per maggiori indicazioni, può rinviarsi a quanto espresso nella relazione svolta nel precedente seminario Acri sul restauro [2].
In secondo luogo, le disposizioni del Codice supportano le scelte in concreto operate dalle fondazioni ex bancarie nel campo delle attività museali.
Le erogazioni a favore di dette attività possono rientrare nella sponsorizzazione di beni culturali di cui all'art. 120. La gestione di propri musei o collezioni e di connessi eventi espositivi risulta inquadrabile nella valorizzazione, ad iniziativa privata, di beni culturali di proprietà privata oggetto degli artt. 111 e 113. Mentre l'ipotesi di gestione di musei pubblici da parte delle fondazioni ex bancarie o delle loro società strumentali - in qualità di concessionarie di attività di valorizzazione - risulta riconducibile alla previsione dell'art. 115, comma 3.
3. La possibilità che organismi misti, partecipati da fondazioni ex bancarie, possano gestire musei pubblici
La "mappa" degli interventi delle fondazioni ex bancarie nelle attività museali si completa considerando l'ipotesi in cui ai soggetti costituiti dagli enti pubblici per elaborare e sviluppare piani di valorizzazione (art. 112, comma 5) - e partecipati dalle fondazioni ex bancarie - detti enti abbiano conferito in uso i beni culturali (musei) oggetto di valorizzazione, come ammesso dall'art. 115, comma 7. Il caso numericamente più rilevante è costituito da fondazioni miste (possibili ex comma 8 della medesima disposizione) e ad esso nel prosieguo si farà riferimento specifico, anche se quanto si dirà varrà anche per gli altri soggetti misti di diritto privato costituiti dalle amministrazioni titolari di beni culturali da valorizzare.
Come già indicato, le fondazioni miste costituite per elaborare e sviluppare piani di sviluppo culturale (art. 112, commi 5 e 8) possono, ai sensi dell'art. 115, comma 3, risultare concessionarie da parte delle amministrazioni cui i beni pervengono delle attività di valorizzazione, previo espletamento di procedure di evidenza pubblica [3]. Il problema che si pone è se tali fondazioni, nel caso in cui siano divenute conferitarie dei beni da valorizzare ex comma 7 dell'art. 115, possano scegliere di gestire direttamente le attività di valorizzazione dei beni conferiti in alternativa all'affidarle in concessione a terzi, ipotesi quest'ultima espressamente prevista dall'art. 115, comma 3.
La lettera dei commi 2 e 3 dell'art. 115 non menziona tale possibilità. Sussiste però una serie di ragioni per ritenere che la non previsione non vada interpretata come esclusione, ma rifletta soltanto il caso ordinario della fondazione non conferitaria dei beni. Invero, la tesi secondo cui la fondazione conferitaria dei beni non possa provvedere in proprio alle attività di valorizzazione dei beni stessi incontrerebbe i seguenti rilievi:
- L'affidare in concessione un servizio (come del resto un bene), piuttosto che gestirlo direttamente, costituisce in genere una scelta discrezionale e nel campo specifico delle attività di valorizzazione dei beni culturali comporta una "valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia, sulla base di obiettivi previamente definiti" (art. 115, comma 4). In questo caso si tratterebbe di una scelta "necessitata", anche in presenza di esiti contrari della valutazione operata.
- Il conferimento in uso comporta per il conferitario, appunto, la possibilità dell'uso del bene, comprensivo concettualmente anche della gestione delle attività inerenti al bene. In questo caso si avrebbe un conferimento con "divieto d'uso" (nel senso appena detto), non esplicitato dalla norma e perciò in contrasto con il principio di segno opposto desumibile dall'art. 113, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (d'ora in avanti Tuel), che vuole indicati tali casi.
Risulterebbe incomprensibile la ratio della previsione del conferimento. Vero è che solo nel caso del conferimento il beneficiario può procedere ad affidare in concessione a terzi le attività di valorizzazione. Tuttavia tale obiettivo non avrebbe richiesto la previsione del conferimento, giacché sarebbe risultato sufficiente prevedere che gli enti pubblici potessero assegnare al soggetto costituito il compito di espletare la gara per la scelta del concessionario.
- Da ultimo, la fondazione, in quanto entità di diritto privato, è in una posizione di autonomia civilisticamente intesa. Quando sia conferitaria del bene culturale, incontra limiti nell'attività volta alla sua valorizzazione - attività che è espressione di tale autonomia - solo se questi si desumono univocamente dalle disposizioni normative. In questo caso manca un divieto non solo esplicito, ma anche inequivocabilmente desumibile dal sistema, in ordine alla possibilità di procedere alla valorizzazione del bene.
Per tutti questi motivi è da pensare che la formulazione dell'art. 115, comma 2, disciplinante le ipotesi di gestione diretta, sia da reputarsi non tassativa e perciò tale da non escludere una sua interpretazione estensiva in grado di comprendere anche il caso in cui alle fondazioni (e in genere ai soggetti costituiti ex art. 112, comma 5) sia stato conferito in uso il bene della cui valorizzazione si tratta.
L'esame appena condotto risulterebbe peraltro parziale se non si valutasse la compatibilità dell'ammessa gestione diretta con il quadro comunitario.
Contro l'ammissibilità della gestione da parte della fondazione potrebbe essere mosso il rilievo che, se la fondazione costituita per gli scopi di cui art. 112, comma 5, potesse provvedere, quando conferitaria dell'uso del bene culturale, alle attività di valorizzazione dello stesso bene e ai servizi aggiuntivi (ex artt. 115 e 117), si realizzerebbe a tappe successive un meccanismo di elusione delle regole comunitarie.
La fattispecie, però, è inquadrabile nel c.d. partenariato pubblico-privato istituzionalizzato (ossia in quello che si attua con la creazione di un'entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e da quello privato) [4]. La scelta del partner privato va operata attraverso il meccanismo dell'evidenza pubblica, perché prodromica alla creazione del soggetto misto e al conferimento ad esso di una missione duplice - elaborazione e sviluppo del piano (ex art. 112) e gestione delle attività di valorizzazione e dei servizi aggiuntivi (ex artt. 115 e 117) - e come tale in prevalenza riconducibile allo schema della concessione di servizio pubblico.
Il punto decisivo è costituito dal quesito se la scelta previa gara del partner privato dispensi l'amministrazione dal ricorrere alla procedura di evidenza pubblica ai fini del conferimento alla fondazione mista dell'anzidetta missione. Sul piano meramente formale, invero, tale soggetto risulterebbe beneficiario di un affidamento diretto (sicuramente non inquadrabile nell'istituto dell'in house, trattandosi di organismo misto) e quindi contrario al diritto comunitario.
Il quesito non è stato ancora affrontato dalla giurisprudenza comunitaria e ha trovato risposte contrastanti in quella italiana [5]. A mio avviso, se si muove dall'idea che la disciplina comunitaria in tema di appalti e concessioni persegue l'obiettivo della parità di trattamento fra gli operatori interessati degli Stati membri [6], sembra potersi pienamente condividere la tesi [7] che ritiene sufficiente il ricorso all'evidenza pubblica per la sola scelta del partner privato, in presenza di condizioni che assicurino il legame funzionale fra tale scelta e la missione da affidarsi all'organismo misto (focus del contenuto della gara sulla missione da realizzare, durata della partnership commisurata alla durata della missione, non modifiche alle condizioni di partecipazione del privato nel corso della vita dell'organismo).
Note
[*] Testo della relazione discussa nel seminario Acri sulle Attività museali, tenutosi a Roma il 21 marzo 2007.
[1] Ad es. P. Carpentieri, Ecco come è cambiato, in Leggi dell'arte. Rapporto annuale 2006, in Il Giornale dell'arte, 2006, n. 253, 2.
[2]Restauro, tutela e valorizzazione dei beni culturali, Relazione svolta al Seminario Acri - Roma 24 gennaio 2007, par. 2, pubblicata su Aedon 2/2007
[3] E' appena il caso di rilevare che l'esclusione, posta dall'art. 115, comma 3, dalla possibilità di essere individuati come concessionari delle attività di valorizzazione è dettata per "i privati che eventualmente partecipano ai soggetti indicati all'articolo 112, comma 5" e non per i soggetti partecipati, né ad essi può essere estesa per via analogica trattandosi di una limitazione alla sfera di autonomia negoziale.
[4] Cfr. Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati e al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, COM (2004) 327 def., del 30 aprile 2004, punto 53.
[5] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 1° luglio 2005, n. 3672, in Giorn. dir. amm., 2006, n. 3, 294 (con nota di T. Bonetti), che parla di modello costituito "dall'affidamento diretto a società mista (con socio privato individuato in base a pubblica gara)" e, in senso opposto, Tar Lazio, n. 310/2066, cit., che ravvisa "un'incompatibilità di siffatto [diretto] affidamento, ovvero di una tale deroga [quella prevista dall'art. 113, comma 5, lett. b), Tuel] (non già con le direttive comunitarie, bensì) con le norme fondamentali del Trattato".
[6] Cfr. Corte di giustizia CE, 11 gennaio 2005, Stadt Halle e RPL Lochau, causa C-26/03, punto 44, che indica la "libera circolazione dei servizi e l'apertura ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri" come obiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici.
[7] Cfr. M. Giorello, L'affidamento dei servizi pubblici locali tra diritto comunitario e diritto italiano, in Riv. Ital. Dir. Pubbl. Com., 2004, 940 ss.