I musei: servizi e risorse / Esperienze
La Galleria nazionale di arte moderna e contemporanea di Roma [*]
di Maria Vittoria Marini Clarelli
La relazione del professor Baia Curioni ha evidenziato come il documento finale della sottocommissione sui processi produttivi sia anche un tentativo di far interagire in modo diverso gli aspetti economici e quelli culturali che coesistono nel museo. Durante i lavori preparatori, ho constatato che la difficoltà di attuare questa interazione non dipende tanto dalla divergenza degli obiettivi quanto piuttosto, e direi soprattutto, dal fatto che gli obiettivi oggi non sono abbastanza ambiziosi. Se lo scopo è solo far funzionare una caffetteria, o rendere redditizia una libreria, o aumentare i visitatori di un museo, allora non vale la pena di rivoluzionare il modello di gestione. Se invece lo scopo è intervenire sulla funzione del museo e sulla sua capacità di incidere nella realtà, allora si constata che il valore culturale e quello economico possono potenziarsi vicendevolmente.
Cerchiamo dunque di capire quali sono le potenzialità evolutive del museo.
Il primo tema riguarda la struttura di questa istituzione. Ho sostenuto in diverse occasioni che il museo è un luogo di conflitti, un ambito in cui devono essere mantenute in equilibrio esigenze contrapposte. Il primo conflitto è fra la tutela e la valorizzazione, che sono ambiti contrapposti sul piano temporale: la tutela guarda alla generazione futura, perché mira alla conservazione e alla trasmissione degli oggetti, mentre la valorizzazione guarda alla generazione presente, perché mira al loro godimento in termini di conoscenza e di diletto. Questa contrapposizione è consustanziale al museo e non si può risolvere solo comporre, adeguando il livello di equilibrio alle circostanze storiche. Se si separa la gestione dei processi di tutela da quella dei processi di valorizzazione, lasciando la prima in mano alla direzione del museo e esternalizzando l'altra, si cade in una schizofrenia che, prima o poi, finisce per alterare la fisionomia della struttura.
D'altra parte, la ricchezza del museo è principalmente la sua collezione e la conservazione di questo patrimonio non può non aver una valenza economica; d'altro canto la fruizione è legata alla missione educativa del museo e alla sua capacità di produrre e diffondere conoscenza e perfino i servizi di ristorazione, poiché incidono sull'agio con il quale si svolge la visita, non sono del tutto neutrali. Il governo unitario di queste sfere di attività è dunque indispensabile, ma la complessità che la loro coesistenza genera implica non solo il coinvolgimento di più figure professionali ma anche l'integrazione di diversi sistemi di analisi, che permettano alla strategia di essere sufficientemente ampia. Le esigenze di conservazione si contrappongono a quelle di fruizione anche nella misura in cui pongono limiti e condizionamenti alle modalità con le quali gli oggetti sono esposti.
Anche all'interno della funzione espositiva del museo si verificano conflitti: quello fra il piano emotivo e il piano razionale che sono entrambi presenti nell'esperienza della visita, quello fra l'aura della quale il museo circonda gli oggetti e il contatto diretto che comunque il visitatore deve stabilire con essi. Rigore scientifico e accessibilità dell'informazione, correttezza e spettacolarità nella presentazione degli oggetti, impegno e piacere nello svolgimento della visita, sono tutte contrapposizioni che devono trovare un livello di conciliazione; ma questo livello non può essere quello dell'affidamento separato. Supporre che i contenuti spettino alla direzione del museo e invece il modo di divulgarli e renderli attraenti al gestore esterno, perché il primo avrebbe maggiori competenze scientifiche e l'altro maggiori capacità nell'ambito della comunicazione, equivarrebbe di nuovo a operare una frattura snaturante.
Per quanto sia più difficile, faticosa, e a sua volta generatrice di conflitti, la collaborazione deve riguardare la gestione nel suo complesso. Questo però non è possibile se si continua a valutare il museo in modo schizofrenico, ora solo in termini di audience e di incassi, ora solo in termini di consenso da parte della comunità scientifica di riferimento, e non si cerca invece di restituire ai termini valore culturale e valore economico tutta la loro estensione semantica, che li rende assai meno contrapposti di quanto siano divenuti con il tempo. L'esame del museo come struttura conflittuale in equilibrio ci conduce dunque a considerare il problema della sua gestione in senso organico.
Il secondo tema che vorrei proporre, e che è collegato al precedente, è il legame fra museo e democrazia. Il diritto alla cittadinanza, sul quale ha già insistito Massimo Montella, in questa struttura culturale - che non è condizionata dalle barriere linguistiche e che è aperta a tutti a prescindere dalla nazionalità, dall'età, dal censo, dalla fedina penale - va inteso in senso ampio. Il museo è un luogo nel quale davvero si può attuare quell'educazione alla "cittadinanza terrestre" che Edgar Morin considera uno dei sette saperi necessari all'educazione del futuro.
A questa straordinaria apertura corrisponde però anche una straordinaria ingerenza del potere politico. Il museo è stato spesso usato come simbolo di prestigio, anche in senso nazionalistico, come canale di propaganda o di raccolta del consenso, perfino come strumento di sopraffazione di una nazione o di un'area socioculturale rispetto a un'altra.
E' però comunque vero che i grandi investimenti in materia di musei pubblici sono possibili solo se ad attivarli è una forte volontà politica. E' un'ambivalenza legata alla natura del museo come struttura educativa, come simbolo dell'identità nazionale o locale, come generatore di modifiche negli equilibri sociali legati alla pianificazione e gestione del territorio. Il suo uso politico è per certi versi inevitabile, ma deve essere mantenuto entro i limiti della concezione democratica. D'altra parte, non si può pensare che i rischi di questo uso si annullino rinunciando alla sua natura pubblicistica o comunque alla sua destinazione pubblica. Un conto è immaginare nuove forme di coinvolgimento della società civile e delle sue forze produttive, un conto è trasformare il museo in un'impresa soggetta alle dinamiche del mercato.
Essendo uno dei luoghi nei quali si esercita il diritto alla cultura, la garanzia di questo esercizio deve essere un fine sempre presente, anche se le modalità concrete del suo raggiungimento possono cambiare con le circostanze storiche. Il fatto che il museo sia anche una scuola di comportamenti civili ha risvolti sociali che producono effetti economici. Altrimenti continueremo a considerare l'economia del museo solo in senso finanziario, come il prodotto degli incassi della biglietteria e degli altri servizi, più l'eventuale indotto, dimenticando gli effetti a largo raggio e a lungo termine.
Così la politica dei prezzi nel museo non può essere svolta solo in una prospettiva di mercato. In Italia il pagamento del biglietto d'ingresso, che fino agli inizi degli anni novanta era una tassa, risale a poco dopo l'unità nazionale. Non è questa la sede per discutere dell'eventuale ripristino della gratuità generale, che è rimasta tale in molti ambiti dell'area anglosassone; ma certamente una differenziazione che tenga conto anche di certe esigenze sociali, e una strategia meno episodica di quella per lo più adottata in Italia adesso, possono rendere l'uso di questo strumento più equilibrato e nel contempo efficace. A volte l'obiettivo di offrire al pubblico un prodotto migliore e dunque più costoso, fa dimenticare che il prezzo seleziona il pubblico anzitutto su base censuaria. Le forme di gratuità generale o temporale vigenti attualmente in Italia sono elementi equilibratori e dimostrano anche che si opera ancora nell'ottica della garanzia di un diritto da adattare alle esigenze del più debole. Finché i finanziamenti pubblici esistono, e io mi auguro che in una certa forma esistano sempre, la gratuità, per quanto modulata, deve essere prevista.
La terza riflessione che vi propongo concerne il museo come struttura di mediazione fra il locale e il globale. La sua dimensione spaziale infatti è estesa non solo perché la collezione museale può includere anche oggetti appartenenti a culture diverse ma anche perché gli stessi visitatori possono provenire da paesi ambiti anche molto lontani; al tempo stesso il radicamento locale opera al livello sia dei rapporti fra la collezione e il territorio, ciò che in Italia è di particolare evidenza, sia al livello dei rapporti fra il museo e la sua comunità stabile di riferimento. L'aspetto più importante è che, sebbene con diversa intensità a seconda della tipologia e del luogo, il museo funge da mediatore fra i conflitti culturali, in un momento storico nel quale essi sono più drammatici di quelli politici e economici. Culture minoritarie che contestano le modalità con le quali le loro testimonianze sono rappresentate nei musei gestiti da quelle maggioritarie oppure che rivendicano di avere anch'esse i propri musei, fenomeni nazionalistici e campanilistici, sono gli aspetti negativi di una situazione che però sta generando anche molti esperimenti e innovazioni interessanti. Comunque il museo, in quanto struttura, è coinvolto nei grandi problemi del pianeta anche quando ha a che fare con il loro piccolo riflesso locale e tener conto di questo suo ruolo di prima linea è essenziale per misurare l'importanza della posta in gioco. Insegnare a rispettare la diversità culturale è una parte importante, e non delegabile, della funzione educativa del museo.
Anche quelli che i nostri colleghi inglesi chiamano green issues, ossia le questioni ecologiche o comunque connesse con lo sviluppo sostenibile sono tutt'altro che distanti dall'universo apparentemente protetto del museo. Intanto queste macchine tecnologicamente sempre più complesse sono grandi consumatrici di risorse energetiche: nei musei di dimensioni importanti, le utenze e la manutenzione degli impianti sono la prima delle voci di spesa. O il museo riesce a diventare produttore di energia pulita e opera nella prospettiva del contenimento dei costi, o le risorse a lungo andare non saranno sufficienti per alimentare i consumi che la proliferazione degli edifici museali continua a generare. L'educazione all'uso responsabile del patrimonio culturale e quella all'uso responsabile dell'ambiente, come sappiamo, sono interdipendenti e il museo anche in questo campo, come già avviene altrove, può candidarsi ad assumere un ruolo sociale nuovo. Anche questa è una sfida che può generare diverse e più avanzate forme di collaborazione.
Se innalzare il livello degli obiettivi è a mio avviso la prima condizione per affrontare il problema dei modelli di gestione, non v'é dubbio però che esistono ostacoli pratici da rimuovere affinché si possano condurre esperimenti dotati di sufficienti probabilità di successo. Uno di questi ostacoli, nella struttura pubblica, è l'incapacità di svolgere una vera programmazione pluriennale. Da noi i piani sono formalmente triennali ma sostanzialmente di durata variabile da un anno a tre mesi, perché l'entità del risorse disponibili si conosce ad anno finanziario già iniziato e in qualche caso, come quello del 2007, già quasi finito. Inoltre sono anni che in Italia il bilancio dello Stato segue formalmente il metodo del budget ma ne prescinde sostanzialmente al momento di allocare le risorse. Se la progettazione culturale e quella economica non si coordinano, qualunque speranza di rendere la gestione coerente, e anche trasparente, è destinata a svanire.
Un altro ostacolo è l'attuale impossibilità delle strutture museali gestite in forma pubblicistica di vendere prodotti culturali. In Italia l'attività di studio, ricerca, curatela che si svolge abitualmente in un museo non diventa una risorsa economica anche quando sarebbe deontologicamente corretto se non addirittura necessario. Un museo statale che progetta e organizza una mostra sostenendone tutti i costi potrebbe offrirla a un'altra struttura espositiva a un prezzo conveniente ma comunque traendone un profitto. Oltre alla suddivisione delle spese fra più sedi che co-producono un'esposizione, cosa che è ormai una prassi consolidata a livello internazionale e che si sta sviluppando anche da noi come forma di ottimizzazione dei costi, dovrebbe essere possibile anche ottenere forme di compenso, quando a ricevere la mostra è una sede che non ha in alcun modo partecipato alla sua organizzazione.
Ma il museo può offrire molti altri servizi: la progettazione dell'allestimento degli spazi espostivi e dei depositi di altri musei non dotati di un corpus stabile di conservatori, architetti e restauratori; l'assistenza nella conservazione e alla catalogazione degli oggetti; pacchetti didattici, software per la gestione delle collezioni e così via. Si tratta naturalmente di valutare le incidenze sull'equilibrio economico generale, ma non vedo perché ai musei debba essere precluso ciò che invece alle università è permesso, con il solo limite che deve trattarsi di un'attività istituzionale e non di una prestazione professionale individuale. Per ora comunque il mio è solo un esempio per mostrare che anche i servizi e i prodotti culturali possono generare un mercato, nel quale però i rapporti fra pubblico e privato vanno ripensati. Come vanno anche ripensati i rapporti con le università, nelle quali si formano gli operatori museali di domani e con le quali, anche sul versante della produzione di servizi culturali, si possono stabilire alleanze meno timide di quelle finora attivate. Se ci limitiamo a porre la questione nei termini, assai limitati, della relazione fra soprintendenze e concessionari nell'ambito dei musei statali, le beghe quotidiane prevarranno sulle grandi strategie e quella che potrebbe diventare una grande sfida resterà una piccola rissa.
Ma già da ora, all'interno di questa dinamica probabilmente provvisoria, si può cercare di sperimentare almeno la condivisione di un progetto che permetta a ciascun attore di sviluppare le proprie potenzialità partecipando alla riuscita complessiva. Come dicevo all'inizio, il progetto deve essere abbastanza ambizioso da giustificare la fatica della collaborazione e del reciproco adattamento che sempre implica. E per ambizioso non intendo molto impegnativo sul piano finanziario ma molto impegnativo sul piano dell'innovazione.
Quanto alla prospettiva a lungo termine, credo che debba tener conto degli elementi di riflessione emersi dal lavoro del quale il professor Baia Curioni ha illustrato oggi gli esiti. Purché il sistema di valori sui quali si fonda il museo non venga alterato nei suoi aspetti costitutivi e purché i processi produttivi non siano interrotti in modo che sia impossibile stabilire dove risiede la responsabilità e come se ne attua il controllo, la gamma dei modelli di gestione è ampia e nulla vieta che se ne sperimentino contemporaneamente forme diverse, adattabili alle circostanze concrete di ciascuna istituzione in base a seri studi di fattibilità. E anche la gradualità, in campi del genere, è una regola di prudenza; dubito che bruschi cambiamenti generali imposti per legge siano la soluzione migliore, anche perché rischiano di innescare una sindrome della riforma che sarebbe poi difficile interrompere.
Note
[*] Testo della relazione discussa al convegno La creazione del valore nei processi di gestione dei musei, tenutosi a Milano il 7 febbraio 2008.