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Fine legislatura: le cose da fare e da evitare

di Girolamo Sciullo


La XIII legislatura volge al termine. Non è ancora però tempo di bilanci. Per la sua fine effettiva mancano alcuni mesi ed importanti appuntamenti intermedi: il Dpef, la legge finanziaria per il 2006, i suoi collegati. Soprattutto si apre il tempo per gli interventi diretti alla "ricerca del consenso" che le scadenze elettorali puntualmente pongono all'attenzione (e alla tentazione) del ceto politico (di qualsiasi segno). Come si sa, i beni culturali non hanno capacità di lobbing né tantomeno di voto e, nonostante segnali importanti di crescita, quelle dei beni culturali restano le ragioni "dei meno", non sono ancora le ragioni "dei più". Ed è proprio questo a preoccupare.

Qualche tempo fa un'autorevole rivista del settore ha intitolato "Semplificazione scampata", a proposito della evitata estensione della dia e del silenzio-assenso al campo dei beni culturali nel decreto legge sulla competitività. Solo di recente, però, la conversione in legge del decreto ha fugato i dubbi che al riguardo, in un'altalena di notizie, avevano continuato a profilarsi (lo stesso però non giureremmo a proposito delle norme sulle grandi opere contenute nello stesso decreto).

Ecco, piacerebbe che ai beni culturali lo scorcio della legislatura risparmiasse gli scampoli di "vita spericolata", vissuti in questi anni. Se questo risultato fosse raggiunto, il nuovo ministro, al quale vanno auguri non di circostanza, potrebbe ritenere di aver già ben meritato.

Quanto al resto, ci accontenteremmo di pochi interventi, pronti comunque a discutere "laicamente" anche dell'allungamento delle concessioni sui beni demaniali.

Non crediamo che le attuali condizioni della finanza pubblica permetteranno al nuovo titolare del Dicastero di vincere la preannunciata "battaglia per ottenere finanziamenti". Sarebbe però un segnale significativo se venisse approvata la misura contenuta nel disegno di legge sulla competitività (art. 16), che consente la intera deducibilità anche alle persone fisiche e agli enti non commerciali delle erogazioni liberali alla cultura.

Circa le innovazioni normative, non auspichiamo una revisione del Codice. Non che talune sue previsioni non si presterebbero a modifiche, o addirittura lo richiederebbero. Tutt'altro. Si avverte però l'esigenza di una moratoria normativa e di una verifica sul campo e "di durata" delle sue previsioni. Poi si potrà procedere a variazioni destinate a non essere messe a loro volta immediatamente in discussione. Oltretutto non è da sottovalutare che il Codice si pone ormai come nucleo fondamentale di molteplici sistemi di regole, in misura significativa anche regionali e locali, sicché ogni sua modifica produce "onde lunghe" di cui tener preventivamente (e adeguatamente) conto.

Questo non impedisce però di essere d'accordo su interventi di corredo. La recente introduzione nel decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 della valutazione di impatto archeologico costituisce un buon esempio di misura opportuna e calibrata. Non andrebbe trascurata poi la normativa di attuazione del Codice. Il decreto ministeriale del febbraio di quest'anno, in tema di garanzia rilasciabile dallo Stato per la copertura dei rischi derivanti dal prestito di beni culturali, costituisce un'altra "buona pratica", ma molto resta ancora da fare.

Soprattutto sarebbe da rafforzare quel principio collaborativo fra Stato e autonomie territoriali in tema di valorizzazione che il Codice indica come valore da tradurre in forme e strumenti operativi. Occorrerebbe che il Mbac si sentisse chiaramente centro di stimolo e di coordinamento di un sistema pluralistico, piuttosto che parte sia pure significativa di un tutto più ampio, ma poco sistemico.

Poiché le istituzioni camminano con le gambe dell'amministrazione, si vorrebbe anche una messa a regime della riforma da poco intervenuta nell'assetto del ministero. Ad esempio, il ricorso all'istituto della reggenza nel conferimento degli incarichi dirigenziali - per quello che si sa, almeno in alcune realtà regionali, significativamente utilizzato - andrebbe riportato in limiti più contenuti, perché se risponde nell'immediato ad esigenze "di cassa", in prospettiva rischia di rendere incerta la gestione stessa delle missioni del ministero. Così come il mancato chiarimento su alcuni nodi organizzativi - non nuovi in assoluto, ma resi più acuti da recenti disposizioni - quale ad esempio quello sulla competenza in tema di dipinti murari e apparati decorativi, rischia di creare disfunzionalità di cui non si avvertiva il minimo bisogno.

Insomma, per questo scorcio di legislatura, si vorrebbe nel campo dei beni culturali quella "manutenzione delle istituzioni" che solo a spiriti disattenti può sembrare valore minimale, specie in una democrazia dell'alternanza. Per i vaste programme ci sarà tempo la prossima legislatura, qualunque colore politico essa assumerà.

 
 


 

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